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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Monday, September 21, 2020

IN PLICATVRVM XIX/XX

 

samuel: Hillel ben Samuel da Verona (Forlì), filosofo. Noto anche come Lelio di Samuele o Hillel di Forlì.  Prende parte attivamente alla polemica per l'accettazione o meno dell'opera di Mosè Maimonide, da molti accusato di eccessivo razionalismo, sostenendo a chiare lettere le posizioni del grande maestro, anche con l'opera Tagmulé ha-Nefesh (o Tagmulei ha-Nefesh) (Retribuzioni dell'anima), che scrive a Forlì. In quest'opera, infatti, "si mantiene sulla stessa linea del maestro [...] Per lui l'intelletto è la forma attuale dell'anima e ne guida tutte le operazioni". Una presentazione schematica dell'opera si trova, in lingua inglese, nella Jewish Virtual Library. Il Tagmulé ha-Nefesh influenza, tra gli altri, anche il rabbino Shem Tov ben Yosef Falaquera.  Sempre da Forlì, Hillel scrive due famose lettere a Maestro Gaio (Isacco ben Mordecai), medico papale, chiedendo di non aderire al movimento favorevole alla condanna di Maimonide.  Hillel, oltre al pensiero ebraico, conosce bene quello arabo e molto bene quello cristiano: in particolare, è molto attratto da Tommaso d'Aquino, tanto da essere definito "il primo tomista ebreo della storia" . Ad esempio, nel Tagmulé ha-Nefesh riporta ampiamente una traduzione del De Unitate Intellectus di Tommaso, del quale riprende anche gli argomenti per dimostrare l'immortalità individuale dell'anima. Oltre alla traduzione della prima parte del De unitate intellectus, Hillel si dimostrò a tal punto estimatore di Tommaso d'Aquino da salutarlo come "il Maimonide della sua epoca, capace persino di rispondere a domande che il Maestro aveva lasciato irrisolte"  Hillel probabilmente non è nato a Verona, anche se la sua famiglia sembra provenirne, visto che suo nonno è Eliezer di Verona, ma è comunque rappresentante di una cultura ghibellina, filoimperiale, come quella della città scaligera. Lo dimostra anche il fatto che decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in quella roccaforte del ghibellinismo italiano che è la Forlì degli Ordelaffi e del consigliere imperiale Guido Bonatti.  Hillel studia il Talmud a Barcellona con Yonah ben Abraham Gerondi e la medicina a Montpellier.  Secondo la maggior parte degli storici, Hillel, a Capua, esercita una forte influenza sul celebre mistico Abramo Abulafia, aiutandolo ad apprezzare Mosè Maimonide. È altresì molto probabile che le sue opere ed il suo pensiero abbiano potuto influenzare Dante Alighieri, a causa di alcuni parallelismi che sono stati riscontrati tra la Divina Commedia e gli autori ebrei.  Hillel in effetti opera, dopo Capua, a Napoli, a Roma, a Ferrara, e soprattutto a Forlì, città dove anche Dante vive per qualche tempo, pochi anni dopo la sua morte. La circostanza è invocata a favore della possibilità che Dante ne abbia conosciuto le opere .  Negli anni novanta del Duecento, in pieno periodo forlivese dunque, disputa con Zeraḥyah Ḥen su quale sia la lingua originaria: per Hillel, si tratta dell'ebraico.  La data della morte non è sicura.  Note  La cultura ebraica (a c. di P. Reinach Sabbadini), Einaudi, Torini  Cf. Die Pseudo-aristotelische Schrift Ueber das reine Gute bekannt unter dem Namen Liber de Causis, BiblioBazaar, Jean-Pierre Torrell, OP, Saint Thomas Aquinas, Volume I: The Person and His Work, translated by Robert Royal, CUA Press, A. Wohlmann, Thomas d'Aquin et Maïmonnide, Cerf, M. Zonta in Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in .  Hillel ben Shemu'el, Sefer Tagmulé ha-Nefesh, Jerusalem  (G. Sermoneta, in ebraico). W. Peeters, Hillel ben Samuel, philosophe du XIIIe siècle, in Revue Philosophique de Louvain, Comunità ebraica di Forlì Hillel ben Samuel, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Mauro Zonta, Hillel ben Samuel, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Hillel ben Samuel.

 

sanzione -- sanction, anything whose function is to penalize or reward. It is useful to distinguish between social sanctions, legal sanctions, internal sanctions, and religious sanctions. Social sanctions are extralegal pressures exerted upon the agent by others. For example, others might distrust us, ostracize us, or even physically attack us, if we behave in certain ways. Legal sanctions include corporal punishment, imprisonment, fines, withdrawal of the legal rights to run a business or to leave the area, and other penalties. Internal sanctions may include not only guilt feelings but also the sympathetic pleasures of helping others or the gratified conscience of doing right. Divine sanctions, if there are any, are rewards or punishments given to us by a god while we are alive or after we die. There are important philosophical questions concerning sanctions. Should law be defined as the rules the breaking of which elicits punishment by the state? Could there be a moral duty to behave in a given way if there were no social sanctions concerning such behavior? If not, then a conventionalist account of moral duty seems unavoidable. And, to what extent does the combined effect of external and internal sanctions make rational egoism or prudence or self-interest coincide with morality?

 

sanctis: essential philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettresand his field of expertise is when stylists stopped using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been infested of the philosophical pest!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia..

 

sanseverino: Gaetano Sanseverino (Napoli), filosofo. Considerato uno fra i massimi precursori del neotomismo. Si trasferì in giovanissima età a Nola dalla natia Napoli per frequentare il seminario diocesano dove suo zio era rettore. Dopo l'ordinazione, continuò lo studio della filosofia con l'intento di confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui godeva particolare credito in Italia, all'epoca, quello cartesiano. Lo studio comparato dei vari sistemi gli permise una conoscenza più approfondita della Scolastica, soprattutto delle opere di Tommaso d'Aquino, e del legame intimo tra la Scolastica e la Patristica. Da allora, e fino alla fine della sua vita, la sua unica preoccupazione fu la restaurazione della filosofia scolastica, non solo con scritti, ma anche con lezioni, conferenze e discussioni. La sua preparazione in materie filosofiche gli permise di divenire, non ancora trentenne, professore di logica e metafisica presso il seminario di Napoli. Fu anche canonico della cattedrale della propria città. Fondò la rivista La Scienza e la Fede che continuò ad uscire, a cura dei suoi discepoli Nunzio Signoriello e Antonio D'Amelio, a oltre vent'anni di distanza dalla morte del filosofo. Nel 1851 venne chiamato da Ferdinando II a insegnare filosofia morale nell'Napoli, e venne incaricato anche di preparare un manuale "ufficiale" per le scuole del Regno delle Due Sicilie; Sanseverino scrisse allo scopo il manuale "I principali sistemi della filosofia del criterio, discussi colla dottrina de' Santi Padri e de' Dottori del Medio Evo". Con l'unità d'Italia Sanseverino venne progressivamente emarginato e messo in condizione di abbandonare l'insegnamento universitario. Continuò tuttavia ad insegnare presso il seminario di Napoli. Morì nella città partenopea nel corso di un'epidemia di colera all'età di 54 anni.  L'opera Profondo conoscitore di San Tommaso e della filosofia medievale, il Sanseverino diede alle stampe, negli anni quaranta dell'Ottocento, alcuni interessanti saggi sui filosofi moderni, fra cui Emanuele Kant e Baruch Spinoza. Nel 1849 iniziò ad occuparsi più specificamente di San Tommaso e della dottrina tomista con La dottrina di S. Tommaso sull'origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, cui fece seguito, otto anni più tardi, un Saggio di teologia scolastica in difesa dell'angeologia di S. Tommaso d'Aquino contro i sofismi di G. Reynaud. Fra il 1850 e il 1853, esce il ponderoso I principali sistemi della filosofia del criterio, discussi colla dottrina de' Santi Padri e de' Dottori del Medio Evo, un'ampia e dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista del Settecento e su quella a lui contemporanea (fra cui quella dello stesso Gioberti) confutata sulla base della logica dei più alti rappresentanti del cristianesimo medievale.  Il suo capolavoro, in cinque volumi, fu però pubblicato solo fra il 1862 e il 1865. Si tratta del celebre saggio, redatto in lingua latina, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, che ha per oggetto la storia della logica nell'ambito della filosofia cristiana. Un sesto volume, già progettato, non vide mai la luce a causa dell'improvviso decesso dell'autore. L'opera fu ripresa in alcune sue parti dallo stesso Sanseverino ad uso dei suoi studenti nel suo Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium. Venne pubblicata a Napoli la versione definitiva degli Elementa. L'opera, letta e molto citata nella seconda metà dell'Ottocento e durante tutto il Novecento, si articola in quattro tomi, di cui gli ultimi due, Antropologia e Teologia naturale, uscirono postumi rispettivamente tre e cinque anni dopo la morte del filosofo grazie all'iniziativa di un suo allievo, Nunzio Signoriello. Quest'ultimo si assunse anche l'onere di dirigere, dopo la scomparsa del proprio fondatore, le pubblicazioni della rivista di Sanseverino La Scienza e la Fede, che, fino al 1887, mantenne vivo l'interesse, a Napoli e in Italia, sulla filosofia cristiana medievale e sul tomismo.  Opere pubblicate (selezione) Delle teorie kantiane difese da O. Colecchi nella sua opera che per titolo: sopra alcune questioni le più importanti della filosofia, Napoli, La Scienza e la fede. Il razionalismo teologico dei più celebri filosofi tedeschi e francesi da Kant insino ai nostri giorni, in La Scienza e la Fede, Spinoza e i moderni razionalisti, Napoli, La Scienza e la fede,  La dottrina di s. Tommaso sull'origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, Napoli, (I edizione, 1849), nuova edizione (con introduzione di F. Di Mieri), Napoli, Giannini. Saggio di teologia scolastica in difesa dell'angeologia di S. Tommaso d'Aquino contro i sofismi di G. Reynaud, Napoli, Tip. Manfredi, Elementa philosophiae theoreticae ad usum cleri neapolitani, Napoli, Tipografia Manfredi, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, in cinque volumi, Napoli, Tip. Manfredi, Institutiones seu Elementa philosophiae christianae cum antiqua et nova comparata, in tre volumi e 4 tomi, Napoli, Tip. Manfredi,  Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium, Napoli, Tip. Manfredi, Compendio della filosofia cristiana comparata con le dottrine de' filosofi antichi e moderni, in 2 volumi (versione italiana della precedente latina), Napoli, Biblioteca cattolica, Ugo Dovere, Gaetano Sanseverino filosofo tomista, tentativo di ricostruzione, in Doctor communis, Ugo Dovere, Gli orientamenti del periodico napoletano La scienza e la fede, in Campania sacra, Pasquale Naddeo, Le origini del neotomismo e la scuola di Gaetano Sanseverino, in Storia della filosofia, Società editrice italiana, Torino Pasquale Orlando, Il neotomismo a Napoli e G. Sanseverino, in Asprenas, Pasquale Orlando, Vita e opere di Gaetano Sanseverino secondo i documenti, in Aquinas, Pasquale Orlando, L'Accademia tomista a Napoli, storia e filosofia, in Saggi sulla rinascita del tomismo, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, Carmine Matarazzo, Per una "rivoluzione del cuore". La visione dell'umano in Giacomo Leopardi nella lettura critica di Gaetano Sanseverino tra antropologia cristiana e istanze pastorali, Alessandro Polidoro Editore, Napoli .  Tomismo Neotomismo. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Gaetano Sanseverino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Gaetano Sanseverino, . Gaetano Sanseverino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Biografia di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it.  di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it.

 

santilli: Angelo Andrea Silvestro Santilli (Sant'Elia Fiumerapido), filosofo. Figlio del medico santeliano Silvestro, sindaco del paese, atredici anni si trasferì a Napoli con la madre Giuseppa Mancini, figlia del medico Evangelista Mancini di Picinisco ma residente a San Germano (oggi Cassino), e i tre fratelli, per completare gli studi. A Napoli, il giovane Angelo Santilli seguì il corso liceale presso la Scuola di Francesco Murro. All'Università fu discepolo del filosofo Pasquale Galluppi e amico, fra gli altri, di Luigi Settembrini, Giuseppe Fiorelli e Francesco De Sanctis. A soli venti anni, nel 1842, si laureò in filosofia e giurisprudenza, aprendo anche una Scuola di Diritto Morale e Costituzionale.  Fervente giobertiano, fu attivo propugnatore, nei circoli culturali napoletani, di un'Italia federata sotto la guida di papa Pio IX. Ebbe frequenti rapporti epistolari con Terenzio Mamiani, con il cardinale Gizzi e con il filosofo eclettico francese Victor Cousin. Quest'ultimo lo introdusse nel giro culturale del socialismo utopistico europeo e soprattutto francese, ma Santilli modulò il suo socialismo secondo i propri valori cristiani ed umanitari, rifiutando la logica della lotta di classe.  Ebbe comunque a scrivere che nel Regno di Napoli occorreva "una savia distribuzione della ricchezza". Fu presidente della Società Dantesca di Napoli e prolifico filosofo, giornalista e poeta.  Fondò e diresse i giornali "L'Enciclopedico" e il quotidiano giobertiano "Critica e Verità" fondato durante i moti rivoluzionari del '48 napoletano in cui vivacemente sosteneva che occorreva occuparsi della piaga della povertà meridionale, scrivendo il 20 marzo che: "La nazione vuole pane e lo dimanda incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le sciagure della desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto necessario, assoluto ... il popolo non capisce la speculativa astrazione di alcune verità, non sa i titoli di libertà, di costituzione, di uguaglianza ... una riforma che dimentica affatto la fisica prosperità de' popoli non è che riforma di solo nome...".  Fra le sue opere filosofiche: "Le idee soggettive", che fu testo di studio nelle scuole del Granducato di Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo filosofico dell'Autorità"; "Cenno psicologico sull'attività e la passività dello spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'Umanità razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro, industria e capitale". Le sue poesie le pubblicava sul giornale "La Gazza". Si batté politicamente per l'ottenimento della Costituzione da parte di re Ferdinando II di Borbone.  Malvisto e considerato individuo pericoloso dalla polizia borbonica, per i suoi scritti, la sua attività politica e i suoi discorsi pubblici, il cui numero di ascoltatori si andava infoltendo sempre di più, Santilli fu ucciso a baionettate insieme al fratello Vincenzo di 27 anni, all'amico e compaesano Filippo Picano di 18 anni e alla fantesca Carmela Rossi detta Mega da soldati svizzeri che fecero irruzione nella sua abitazione di Napoli, in Largo Monteoliveto, il 15 maggio 1848 durante i moti insurrezionali di Napoli. Secondo i ricordi di Luigi Settembrini venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indicò come "il predicatore" alla soldataglia. I fratelli Giuseppe (21 anni) e Giovanni (13 anni), si salvarono nascondendosi in casa della famiglia Leanza al piano superiore.  Lo ricordano due epigrafi: una sulla facciata della sua casa natia a Sant'Elia Fiumerapido e una sulla facciata della palazzina in cui abitò a Napoli, in Largo Monteoliveto, accanto al Palazzo Gravina. Di lui hanno scritto: Francesco De Sanctis, Guglielmo Pepe, Luigi Settembrini, Atto Vannucci, Giuseppe Massari, Vincenzo Grosso, Alberto Guzzardella, Mario Mandalari che volle raccogliere, in un unico volume, su desiderio del grande Francesco De Sanctis, tutte le opere di Santilli tramite il libro "Memorie e scritti di Angelo Santilli" (Roma).  Note  Franco Della PerutaIl Giornalismo Italiano del Risorgimento, I. Ghiron, Della Peruta, ()  Storia del quindici maggio in Napoli L. Settembrini "Memorie e scritti raccolti da Mario Mandalari"  Mario Mandalari, Memorie su Angelo Santilli, Roma, 1893. Alberto Guzzardella, Angelo Santilli, un grande cattolico socialista e martire del Risorgimento Italiano, Milano, 1973. Isaia Ghiron, Il valore italiano, Volume 1, Tip. nazionale degli editori Ghione e Lovesio, Franco Della Peruta, Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, FrancoAngeli, . Benedetto Di Mambro, in Sant'Elia Fiumerapido, il Sannio, Casinum e dintorni Roccasecca, . Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita, Volume 1, Antonio Morano.

 

santorio: Santorio Santorio (Capodistria), filosofo. Considerato il padre della fisiologia sperimentale moderna. Santorio fu il primo a comprendere l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri quantitativi in medicina, per valutare i quali inventò alcuni dispositivi ancora attualmente in uso nella pratica medica, tra cui il termometro e il tachimetro. Oltre ai suoi meriti in medicina, Santorio fu filosofo e studiò sperimentalmente la struttura della materia, di cui descrisse la struttura corpusculare e meccanica sin dal 1603, anticipando le ricerche successive di Galileo e Descartes.  Completati gli studi di medicina a Padova, nel 1582, esercitò la professione per molti anni in Croazia, Polonia e Ungheria. Nel 1599 tornò a Venezia dove fece amicizia con Sarp, Sagredo e Galilei. Il suo adattamento del pendolo alla pratica medica precede gli esperimenti condotti da Galileo con i pendoli, ed era noto ai professori dello studio di Padova sin dal 1600. Fu un pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia usata per studiare l'equilibrio omeostatico e le trasformazioni metaboliche Tra i soggetti che si prestarono alla sperimentazione vi fu anche il collega Galileo Galilei. Nel 1611 fu nominato professore di 'Medicina Teorica' (corrispondente all'attuale fisiologia generale) a Padova. In quella città pubblicò descrizioni di congegni termometrici e di precisione che divennero di largo uso nella pratica medica. Nel 1624 rinunciò alla cattedra per dedicarsi alla pratica privata.  Attività scientifica Fu un pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia (stadera medica) usata per studiare le trasformazioni metaboliche in soggetti sperimentali tra i quali vi fu lo stesso Galileo. Fu pioniere nell'uso del metodo sperimentale di cui comprese l'importanza e la necessità replicando i suoi esperimenti per circa trent'anni. Considerato a torto il fondatore della iatromeccanica, ne fu tuttavia ispiratore con i suoi importanti studi sul metabolismo e sulla termoregolazione umana. Fu il primo a quantificare la perspiratio insensibilis e ad introdurre in medicina l'uso del termometro clinico che egli stesso ideò.  Santorio inventò anche altri strumenti (pulsilogio, igrometro, "letto artificioso", "eolopila medica", "termometro lunare") intesi a tradurre in numero e determinare con esattezza matematica i parametri vitali umani.  Opere principali Le sue opere ebbero numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità fino al '700. Classico il De statica medica: uno dei libri più importanti della storia della fisiologia.   Santorio Santorio, Sanctorii Sanctorii ... Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica contingunt libri quindecim. Nunc primum accessit eiusdem authoris De inventione remediorum liberAubert, Santorio Santorio, Ars de statica medicina, Leida, David Lopes de Haro, Commentaria in artem medicinalem Galeni, Nova pulsuum praxis morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens, sine eorum relatione, 1624. Commentaria in primam fen primi libri canonis Auicennae, 1625. Commentaria in primam sectionem Aphorismorum Hippocratis, Opera omnia, Fabrizio Bigotti e David Taylor, The Pulsilogium of Santorio: New Light on Technology and Measurement in Early Modern Medicine, in Societate si politica,  Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons Castiglioni A.,: Storia della Medicina, II, Mondadori, Milano, 1948. Pazzini A.,: Storia della Medicina, II, Società Editrice Libraria, Milano, 1Premuda L.,: Storia della Medicina, Cedam, Padova, Premuda L.,: Storia della Fisiologia, Del Bianco Editore, Udine, Voce: Santorio Santorio in Enciclopedia Italiana, XXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1936. Voce Santorio Santorio in Enciclopedia Biografica Universale Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Santorio Santorio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Santorio Santorio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Santorio Santorio, .  Museo Galileo, su catalogo.museogalileo.it. Un importante progetto di ricerca internazionale su Santorio Santorio e la nascita della quantificazione in medicina è attualmente organizzato e promosso dalla Wellcome Trust presso il Centre for Medical History dell'Exeter (UK) Un video in inglese sulla vita e le opere di Santorio.

 

santucci

 

sanzo: Ubaldo Sanzo (Roma), filosofo. Conseguita la laurea in filosofia insegna nei Licei Statali della provincia di Brindisi. Ammesso alla Scuola di Perfezionamento in Filosofia della Scienza dell'Università Statale di Milano, lavora alle dirette dipendenze di Geymonat. Consegue, quindi, tutti i gradi accademici a Salento, dove termina la carriera in qualità di Professore e Coordinatore del Corso di Dottorato in Sociologia. Ha fondato l'Associazione Culturale di Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”.  Ha subito il fascino delle filosofie in auge negli anni della sua giovinezza, esistenzialismo e neorazionalismo. Ha rivolto la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società del periodo a cavallo fra Otto e Novecento. Si è occupato di autori quali BecquerelBoutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, Geymonat, Husserl, Peano, Poincaré, Russell, Vailati.  Università del SalentoArchivio dell'Ufficio Personale DocenteFascicolo: Ubaldo SANZO Matricola Poincaré, Sui fondamenti della geometria, ed. it. Brescia, Editrice La Scuola, Collana "Il Pensiero", L’artificio della lingua, -- Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me the master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo, reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, Franco Angeli, Collana di Epistemologia diretta da Emilio Agazzi,Guido Cimino; Gabriella Sava , Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo Editore, Collana di Filosofia diretta da G. Papuli, Jules-Henri Poincaré, Scritti di fisica-matematica, Torino, UTET, I Classici della Scienza, Collana diretta da Ludovico Geymonat, Poincaré e i filosofi, Lecce, Edizioni Milella, Orso Mario Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/hestia diretta da M. Castellana, Jules-Henri Poincaré, Scritti di fisica-matematica, Ubaldo Sanzo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Collana "I Classici del pensiero", pubblicata su licenza della Unione TipograficoEditrice Torinese di Torino, 2009. Opere di Ubaldo Sanzo, .  SCIENTIARivista internazionale di sintesi scientifica [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Poincaré di Ubaldo Sanzo [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Philosophie et science dans la pensée de Louis Couturatsu apollolicio.it. Associazione Culturale di Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”, su apollolicio.it. Museo Galileo di FirenzeCatalogo della Biblioteca.

 

SarloDe

 

sarno. Antonio Sarno (Napoli), filosofo. Sconosciuto durante la sua vita, interprete originale di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, fu riscoperto da Francesco Flora. Si hanno poche notizie sulla sua vita, riportate da Croce nel volume Pensiero e Poesia. Collaborò al Giornale critico della filosofia italiana con saggi su Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giambattista Vico. Tradusse per la Casa editrice Giuseppe Laterza e figli, l'opera di Georges Sorel, Considerazioni sulla violenza. Si suicidò con un colpo di rivoltella. Si interessò a Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Avrebbe trascorso la sua vita in incognito, se non per l'interesse di Croce e Flora. Croce stesso curò l'edizione di alcuni scritti di Sarno con il titolo Pensiero e poesia, a cui Flora fece seguire una seconda edizione dal titolo Filosofia poetica, aggiungendovi testi esclusi da Croce e con un'antologia critica in appendice.  La riscoperta di Sarno è dovuta a Perniola:  «“Il suo punto di partenzaegli scriveè l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso, essenzialmente interiore (sensus sui) ed un sentire esteriore, che si tramuta nelle cose di cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose, affinché esse vivano in lui”.»  (M. Perniola, Enigmi. Il momento egizio nella società e nell’arte) Una collezione dei testi più significativi che erano già inclusi nell'edizionde sono stati pubblicati sotto il titolo Filosofia del sentire. A. Marroni. Opere: Pensiero e poesia, B. Croce, Laterza, Bari, Filosofia poetica, F. Flora, Laterza, Bari,Filosofia del sentire, A. Marroni, Pescara, Tracce. Traduzioni Giorgio Sorel, Considerazioni sulla violenza, tradotte da Sarno, con introduzione di Benedetto Croce, Bari, Giuseppe Laterza e figli, M. Perniola, Enigmi. Il momento egizio nella società e nell'arte, Costa & Nolan, Genova, A. Marroni, Sarno filosofo del “farsi altro” in A. Sarno, Filosofia del sentire, A. Marroni, Tracce, Pescara P. D'Angelo, L'estetica italiana del Novecento, Laterza, Bari, A. Marroni, Antonio Sarno e la passione per il presente in Filosofie dell'intensità. Quattro maestri occulti del pensiero italiano contemporaneo, Mimesis, Milano, A. Marroni, "Antonio Sarno e i carmina in foliis volitantia" in Agalma, Filosofia del sentire, su lett.unitn.it. Giornale Critico di Filosofia Italiana, su lelettere.it.

 

sarpi: very important Italian philosopher. Paolo Sarpi (Venezia), filosofo. Definito da Girolamo Fabrici d'Acquapendente come «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all'Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all'Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, "agnosco stilum Curiae romanae", che negò tuttavia ogni responsabilità.  L'infanzia «[ ... ] era una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così servò in tutta la sua vita, et all'occasioni diceva non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutriva così poco, che restava meraviglia come stasse vivo»  (F. Micanzio, Vita di padre Paolo)  Istoria del Concilio tridentino, 1935 Nell'anno in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V era in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adottava un Libro di preghiere d'ispirazione luterana, Pietro, questo il nome secolare del Sarpi, nacque a Venezia da Francesco di Pietro Sarpi, di famiglia di lontane origini friulane (precisamente di San Vito al Tagliamento) e mercante a Venezia eppure, scrive il biografo Micanzio, per la sua indole violenta «più dedito all'armi ch'alla mercatura»; la madre, veneziana, «d'aspetto umile e mite», si chiamava Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con Pietro e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello Ambrosio Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora.  Con lo zio, «uomo d'antica severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità [...] addottrinando nella grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà», fece i primi studi, imparando presto e con facilità. A dodici anni, nel 1564, anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, Telesio, Machiavelli ed Erasmopassò alla scuola del padre Giovanni Maria Capella, teologo cremonese dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Giovanni Duns Scoto, il quale gli insegnò logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che «il maestro istesso confessava non aver più che insegnargli». Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica.  «Con la familiarità e co' studii entrò Pietro anco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro», malgrado l'opposizione della madre e dello zio Ambrogio che lo voleva prete nella sua chiesa, il 24 novembre 1566 entrò nel monastero veneziano dei servi di Maria.  A Mantova Qui continuò ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché nel 1567, in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine servita, fu mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni», difendendo «318 delle più difficili proposizioni della sacra teologia e della filosofia naturale. Il qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare».   Convento e chiesa di San Barnaba a Mantova Essersi così distinto a soli quindici anni gli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga«prencipe di grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si discerneva qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica»mentre il vescovo Gregorio Boldrino gli affidò la cattedra di «teologia positiva di casi di coscienza e delli sacri canoni». Stabilito nel convento di San Barnaba, perfezionò la conoscenza della lingua ebraica e iniziò, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi storici.  Fu certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequentò Camillo Olivo, già segretario di Ercole Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagli «inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore», ma che ora, dopo la morte del pontefice, «viveva privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceveva fra Paolo in conversare con lui era perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, aveva avuto gran maneggio in quelle azioni e sapeva tutte le particolarità de' negozii più secreti, et aveva anco molte memorie, nell'intendere le quali fra Paolo riceveva molto piacere».  Erano gli anni in cui in Italia continuava con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V: Pietro Carnesecchi venne decapitato nel 1567, nel 1569 gli ebrei furono espulsi dallo Stato pontificiotranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiederee nel 1570 fu impiccato l'umanista Aonio Paleario; il papa scomunicò Elisabetta d'Inghilterra nel 1570, organizzò la Lega contro i turchi nel 1571, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, la notte del 23 agosto 1572 migliaia di ugonotti furono massacrati: in quest'anno Sarpi fece la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupò per la prima volta nel 1573, a seguito della denuncia di un confratello, un tale Claudio, che lo accusò di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della Trinità: ma, poiché effettivamente di Trinità divina non vi è traccia nel Vecchio Testamento, l'Inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso.  Il ritorno a Venezia Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, nel 1574 fu invitato a Milano da Carlo Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità spagnole, contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, aveva avviato un processo di riforma del clero. L'anno successivo ottenne di essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove fu incaricato dell'insegnamento della filosofia e continuò i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversò a Venezia dal 1575 al 1577, facendo 50.000 vittimetra le quali Tizianofra' Paolo rimase immune dal contagio, ma perdette la madre.  Nel 1578, dopo essersi addottorato in teologia nell'Padova, venne nominato reggente del convento di Venezia e, l'anno dopo, priore della provincia veneta. Quello stesso anno, durante il Capitolo generale tenutosi a Parma, nel quale venne rieletto priore generale Giacomo Tavanti, tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, Alessandro Farnese e Giulio Antonio Santori. Sarpi fu uno dei tre «saggi», insieme con Cirillo Franco e Alessandro Giani, incaricati di preparare una riforma della regola: «il carico suo speziale fu d'accommodare quella parte che toccava i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de' giudizii [...] quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo stato claustrale [...] Lasciò in questo carico in Roma fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conveniva conferire tutte le leggi che si facevano, ma anco fu necessario molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritornò al suo governo».  Nel giugno del 1585 si tenne a Bologna il nuovo Capitolo dell'Ordine servita e Sarpi viene eletto procuratore generale, «la suprema dignità di quell'ordine dopo il generale [...] il carico porta seco di difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la religione» Dovette pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e «prese strettissima familiarità col padre Bellarmino [...] poi cardinale, e durò l'amicizia sin al fine della vita», grazie al quale forse poté prendere visione di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il Concilio di Trento. Conobbe anche il dottor Navarro, teologo spagnolo difensore dell'arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza, accusato di eresia, il gesuita Nicolás Alfonso de Bobadilla e il cardinale Castagna, che fu poi papa Urbano VII. Ebbe occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli e «conversare con quel famoso ingegno Giovanni Battista della Porta, il quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come di non ordinario personaggio».  Scaduto il periodo di carica a procuratore generale dell'Ordine servita, Sarpi ritornò a Venezia nel 1589, frequentandovi i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Bernardo Sechini e nella casa del nobile veneziano Andrea Morosini, dove conobbe anche Giordano Bruno, mentre a Padova frequentava la casa di Gian Vincenzo Pinelli, «il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi», dove poté incontrare Galileo e forse ancora il Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia nel maggio del 1592. Seconda denuncia all'Inquisizione  Ottavio Leoni (?): papa Paolo V Nel 1594 si dovette scegliere il nuovo generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, Lelio Baglioni e Gabriele Dardano, Sarpi si espresse a favore del primo. Il rancore spinse il Dardano a denunciare Paolo Sarpi al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei veneziani e allegando una lettera che fra' Paolo gli scrisse anni prima da Roma, nella quale erano contenute «alcune parole in discredito della corte, come che in quella si venisse alle dignità con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla».  Sarpi, senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, fu subito prosciolto da ogni accusa ma il cardinale di Santa Severina, Giulio Antonio Santori, protettore dell'Ordine e capo del Sant'Uffizio, «mostrò però implacabile indignazione al padre» utilizzando tutta la sua autorità per escludere gli amici del frate «dalli gradi et onori [...] con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo».  Sarpi continuò i suoi studi mentre non cessavano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore, il 1º giugno 1597, Angelo Montorsoli, che morì tre anni dopo, succedendogli così, nel 1601, Gabriele Dardano, accanito avversario del Sarpi. Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva circondato, cercò invano di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in Dalmazia, che però gli vennero rifiutati a causa delle negative informazioni che di lui il Dardano e Ludovico Gagliardi, preposito della casa veneziana dei gesuiti, diedero al papa: essi avrebbero «sentito mormorare alle volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori». Non solo: nel Capitolo, il Dardano accusò padre Paolo di portare «una berretta in capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recitasse lo Salve Regina». Ma Sarpi fu assolto anche da queste accuse.  L'interdetto del papa contro Venezia  Rivendicazioni sulla non validità dell'Interdetto, Venezia, 1606 La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, era ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che avrà la sua sanzione alla fine del Settecento. Alla prudente politica dei vecchi patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero.  Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo 1605 un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini, reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati. Il 10 dicembre 1605 il papa Paolo V emanò due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.  Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare il 14 gennaio 1606 i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Il Sarpi difese le ragioni della Repubblica con numerosi scritti: sono di questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all'appellazione al concilio, la Scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva Istoria dell'interdetto. In quell'opera è contenuta anche la traduzione in italiano, fatta dal Sarpi stesso, del trattato di Jean Gerson sulla validità della scomunica, che fu attaccato dal cardinale Bellarmino, al quale fra' Paolo rispose allora con l'Apologia per le opposizioni del cardinale Bellarmino.  Mentre il frate servita Fulgenzio Micanziosuo futuro biografoiniziava a collaborare con Paolo Sarpi, il 6 maggio, dopo che il 17 aprile Paolo V aveva scomunicato il Consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Stato veneto, Venezia pubblicò il Protesto del monitorio del pontefice, scritto ancora da Sarpi, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito «nullo e di nessun valore», mentre impedì la pubblicazione della bolla pontificia.   Rubens; il cardinale Joyeuse incorona Maria de' Medici. Obbedendo alle disposizioni del papa, il 9 maggio i gesuiti rifiutarono di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reagì espellendoli insieme con cappuccini e teatini: «partirono la sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo partiva con loro. Concorse moltitudine di populo [...] e quando il preposto, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario patriarcale [...] si levò una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana gridò loro dicendo "Andé in malora!" [...]». A Roma si sperava che l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma «li gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine partì, li divini uffizi erano celebrati secondo il consueto [...] il senato era unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservarono quietissimi nell'obbedienza»  Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, il 10 agosto soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcarono a Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione fu facilmente scoperta e i turchi offrirono a Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa e la Spagna. Il 30 ottobre l'Inquisizione intimò a Sarpi di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose «temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche» contenute nei suoi scritti ma il frate naturalmente si rifiutò. Invano il papache il 5 gennaio 1607 aveva scomunicato Sarpi e Micanziosi dichiarava favorevole a portare guerra a Venezia: la sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non poteva sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale francese François de Joyeuse. Il 21 aprile Venezia rilasciò i due ecclesiastici incarcerati e ritirò il suo Protesto al papa in cambio della revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non poterono rientrare nella Repubblica.  Gli attentati In quel tempo Sarpi ricevette la visita dell'ex-luterano ed erudito tedesco Kaspar Schoppe, molto intimo dei segreti affari della Curia romana, il quale gli confidò che «il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui gravemente offeso non poteva succedergli se non male, e che se sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del papa era averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare; asserendo d'aver in carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione».   Monumento a Sarpi a Venezia, in Campo Santa Fosca, presso il luogo dell'attentato Lo Schoppe, ambiguo provocatore, intendeva convincere il frate a mettersi nelle mani dell'Inquisizione come miglior partito che il Sarpi potesse prendere, tanto «parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre», ma i disegni omicidi erano reali: il 5 ottobre 1607, «circa le 23 ore, ritornando il padre al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, fu assaltato da cinque assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e restò l'innocente padre ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto».  I sicari, fuggendo, trovarono rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera s'imbarcarono per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato fu Rodolfo Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato Scipione Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. Fu coadiuvato da tre uomini d'arme, tali Alessandro Parrasio, Giovanni da Firenze e Pasquale da Bitonto, mentre «la spia, o guida, fu un prete, Michiel Viti bergamasco, solito offiziare in Santa Trinità di Venezia, che non lasciò dubitare quanti mesi precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce; poi che questo prete la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro Fulgenzio, andava ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente trattava con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continuò di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima».  Il pugnale non aveva tuttavia leso organi vitali e il Sarpi riuscì a sopravvivere; il noto chirurgo Girolamo Fabrici d'Acquapendente, che l'operò, disse di non aver mai medicato una ferita più strana, rispondendo allora Sarpi con la famosa espressione: «eppure il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae». Le conseguenze furono la rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il 27 ottobre 1607 il Senato, dichiarando il Sarpi «persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù», gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Sarpi rifiutò la casa ma si servì da allora di una barca che gli evitasse i pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane.  Poco più di un anno dopo, nel gennaio del 1609, fu sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato del cardinale Lanfranco Margotti, da due frati serviti, Giovanni Francesco da Perugia e Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave della camera di Sarpi, «volevano secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente padre».[26]  La corrispondenza europea e la morte Sarpi inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana: fra questi ultimi, Jacques Leschassier e Jacques Gillot, che pubblicò nel 1607 gli Actes du concile de Trente en l'an 1562 e 1563, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano Francesco Castrino, i francesi Jean Hotman de Villiers, Isaac Casaubon, Jacques-Auguste de Thou, Philippe Duplessis-Mornay, i tedeschi Achatius e Christoph von Dohna. Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali europei, Sarpi acquisì «quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato moderno», che gli permise di «arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica» e lo condusse «a incidere sulla sua posizione religiosa, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un mondo nuovo, che gli faceva sentire più soffocante, più viziata, la vita italiana».[27]  Incontrò a Venezia nel 1607 l'inglese William Bedell, che riferì di lui e del Micanzio come essi fossero «completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione» e, nel 1608, Cristoph von Dohna, inviato dal principe tedesco Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e il pastore ginevrino Giovanni Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua italiana, fatta da quest'ultimo, del Nuovo Testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo.  Altre polemiche suscitano, nel marzo del 1609, le prediche quaresimali di Fulgenzio Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. Sarpi è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi «che, o prima o dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole», mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia.[28] Sarpi sperava in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia: «Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme; l'Inquisizione cesserà e l'Evangelio avrà corso».[29] E andrà bene anche per le libertà civili di Venezia: qui, anche se «il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata dall'Inquisizione [...] Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio».[30]  Ai primi giorni del 1623 si ammalò gravemente, e morì il 15 gennaio. Secondo la versione ufficiale l'8 gennaio, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. La mattina del 12 gennaio, fatto chiamare il priore del convento, lo pregò che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegnò tutte le cose concesse a suo uso. Si fece vestire, si confessò e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli fu quindi amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. Il 14 mattina fu visitato dal medico che gli disse che aveva poche ore di vita. Egli, sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio! A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione (quella di morire). Fu udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama!. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state: Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, 846340-344). Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più vicino al culto protestante.  Sarpi nella storia della letteratura e della scienza Figura assai complessa di pensatore, Sarpi occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della letteratura e della scienza. Fu uno dei più grandi scrittori del suo secolo.  «La sua prosa (è) una delle più maschie ed efficaci di tutta la letteratura nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere rievocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole»  (Arturo Carlo Jemolo.) Giovanni Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, l'ha definita:  «un modello di lucidità narrativa... e di prosa semplice, esatta e rapida (Scritti filosofici inediti3)»  Nel campo delle scienze poi ha lasciato orme indelebili in vari campi: nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galileo Galilei fu suo grande amico, e non disdegnò di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo avvertimento a Galilei nel 1616, Sarpi (che non visse abbastanza a lungo per assistere alla condanna del 1633) scrisse:  «Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gli uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo.»  Sarpi scoperse, per primo, la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene (Enciclopedia Treccani,  XXX879). I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopiodice Bianchi-Gioviniil Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli dal Sarpi, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni (v. p. 74). Sopra la sua sapienza matematica si citava l'autorevole giudizio di Galileo Galilei (Papini4). Robertson non ha stentato ad appellare Sarpi il più grande dei veneziani. Daniel Georg Morhof ha appellato Sarpi la Fenice del suo tempo.  Galileo Galilei non esitò a dire: Paolo de' Servi... del quale posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Europa in cognizione di queste scienze (matematiche) (contro alle calunnie ed imposture di B. Capra, in ediz. naz., Firenze, 1932, II, 549). La teoria di Galileo delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende idee di Sarpi, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici (in particolare nei pensieri 569 e 571).  Giovanni Battista Della Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da Fra Paolo, lo proclamò splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis, L. VII127). Il cardinale Domenico Passionei definì il Sarpi dottissimo oltre ogni espressione (cfr. Opuscoli, I331-334).   Un busto regalato alla città di Udine nel 1912 dai Mazziniani italiani emigrati in Argentina. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi vissuti tra il 1450 e il 1850, Sarpi si posizionò al quinto posto, al pari del più noto matematico Pascal (cit. "The Early Mental Traits of Three Hundred Geniuses" di Catharine M. Cox, in "Genetic Studies of Genius" di Lewis M. Terman. Copyright 1926, Stanford University Press).  Sarpi e la Chiesa Il Sarpi alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da tuttiun'esemplare integrità di vita. Arturo Carlo Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande intorno alla sua ortodossia, ha dato questa risposta:  «Gli elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che circonda Fra Paolo.Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera...»  (Arturo Carlo Jemolo(10).) Fondamentalmente lo scontro di Paolo Sarpi con la Curia romana fu legato ad un progetto politico volto a contenere il potere della Chiesa in ambito esclusivamente spirituale e a promuovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica antimperiale e fortemente antispagnola. Per questo intrattenne contatti con i riformati (Lettere ai protestanti). Inoltre la sua visione della Chiesa era un vago ritorno verso la chiesa primitiva: egli quindi era indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul Concilio. Nel 1616 il Sarpi strinse amicizia con Marcantonio de Dominis, arcivescovo di Spalato, che tendeva all'apostasia. Quest'ultimo nel 1619 pubblicò a Londra, senza il consenso dell'autore, la sua Istoria del Concilio Tridentino, che costituisce il suo capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. Il 22 novembre 1619 l'opera fu condannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti.  Nel 1611 furono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi mons. Roberto Ubaldini «compromettenti carteggi di Sarpi con l'ambasciatore veneziano Antonio Foscarini e con l'ugonotto Francesco Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si veniva denunciando, che quel frate, che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai responsabili politici veneziani, altri non era che un protestante, al servizio delle forze ereticali europee: dunque infedele e ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non darà tregua alla figura sarpiana lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, dal dotto curiale Girolamo Aleandro, che ricevuta da Nicolas de Peiresc nel 1624 la sarpiana Istoria dell'Interdetto appena edita rispondeva all'illustre erudito francese con fare perentorio che  quel fra Paolo servita [...] era nero ministro del Diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel Diavolo né in Dio[31],  al prelato friulano Giusto Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della vita di Fra Paolo Sarpi servita, al celebre cardinal Domenico Passionei, che credeva di avere le carte per dimostrare che l'idea del frate furfante era di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora ricordava nel secolo scorso il dotto cardinale Angelo Mercati.»[32]  Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della Chiesa di Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, dove Sarpi viene definito: «un ipocrita che fino all'ultimo fece la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa.»[33]  Opere Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato, 1606. Apologia per le opposizioni fatte dal cardinale Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche, 1606. Considerationi sopra le censure della santità del papa Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, 1606. Istoria del Concilio Tridentino, 1619. Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), 1622. Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, 1638. Trattato delle materie beneficiarie, 1676. Opinione del Padre Paolo Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, 1681. La storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo.  Edizioni  Scritti giurisdizionalistici, 1958 Istoria del Concilio Tridentino, 1619. Istoria del Concilio tridentino, In Geneua, Pierre Aubert, 1629. Istoria del Concilio Tridentino, 3 voll., Franco Pagnoni Editore, Milano, 1895. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 151,  1, Bari, Laterza, 1935. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 152,  2, Bari, Laterza, 1935. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 153,  3, Bari, Laterza, Istoria del Concilio Tridentino, 2 voll., testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di Renzo Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, 1966,  1086; II ed. 1982. Lettere inedite di Fra Paolo Sarpi a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, 1615, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Serie 4, Miscellanea 12, Venezia, Fratelli Visentini, 1892. Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, 1924, 71. Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia 136,  1, Bari, Laterza, 1931. Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia 137,  2, Bari, Laterza, 1931. Antologia degli scritti politici e storici. Francesco T. Roffarè, CEDAM, Padova, 1937,  118. Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inediti, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 179,  1, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 180,  2, Bari, Laterza, Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 181,  3, Bari, Laterza, 1940. Romano Amerio , Scritti filosofici e teologici, Scrittori d'Italia 202, Bari, Laterza, 1951. Pensieri naturali, metafisici e matematici. Manoscritto dell'iride e del caloreArte di ben pensarePensieri medico-moraliPensieri sulla religioneFabulaeMassime e altri scritti. Edizione integrale commentata Luisa Cozzi e Libero Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1Scritti giurisdizionalistici, Scrittori d'Italia 216, Bari, Laterza, 1958. Lettere ai Gallicani, Boris Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner, 1961. La Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, 1965. Scritti scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Giovanni Da Pozzo, Collezione di Classici Italiani n.14, UTET, Torino, Storici, Politici, e Moralisti del Seicento, Luisa e Gaetano Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi 35, Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio Tridentino. Seguita dalla «Vita del padre Paolo» di Fulgenzio Micanzio. Corrado Vivanti, 2 voll., Collana NUE n.156, Einaudi, Torino, 1974,  CLX-XV-1472; Collana Piccola Biblioteca. Nuova Serie, Einaudi, Torino, ,  978-88-06-20875-2. Pensieri. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, CXLVI-74. Considerazioni sopra le censure di papa Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto, Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. 1612-1623. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi n.100, Einaudi, Torino, Dai «Consulti», il carteggio con l'ambasciatore inglese sir Dudley Carleston. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1979,   Dal «Trattato di pace et accomodamento» e altri scritti sulla pace d'Italia. 1617-1620. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1979,  XII-138. Consulti, 2 voll., Corrado Pin, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001. Letteratura e vita civile. Paolo Sarpi, Collana I Classici del Pensiero Italiano n. 23, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore, Milano, 2006,  XIII-562. Della potestà de' prencipi, Nina Cannizzaro, Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, 2007. Scritti filosofici inediti. Tratti da un manoscritto della Marciana G. Papini, Collana Cultura dell'anima, Rocco Carabba, Editore Lanciano, 2008 (ristampa anastatica del 1910),  Manoscritti Consulti: incipit III17, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.1. Consulti:  III18 VI99, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.2. Consulti:  VI100explicit, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.3. Note  O. Ceretti, Cinque pugnali non bastarono a troncare la sua parola, in «Historia», 264, febbraio 1980  Touring club italiano, Touring Editore, F. Micanzio, Vita del padre Paolo, in «Istoria del Concilio tridentino», Torino F. Micanzio, cit.1276  F. Micanzio, cit.1278  F. Micanzio, F. Micanzio, cit.1279  Ibidem  F. Micanzio, cit.1280  F. Micanzio, cit.1281  F. Micanzio, cit.1290  F. Micanzio, cit.1295  F. Micanzio, cit.1296  F. Micanzio, cit.1308  F. Micanzio, cit.1296. Scriveva tra l'altro Sarpi nella lettera: «E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura?». I cenedi sono i giovani che si prostituiscono  F. Micanzio, cit.1298  G, Cozzi, in Paolo Sarpi, Opere, 196928  F. Micanzio, cit.1328  P. Sarpi, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, 194051  Ivi52  F. Micanzio, cit.1346  Ivi1347  Ivi1348  Ivi1350  Ivi1351, dove stilo può significare sia stile che stiletto  Ivi1364  G. Cozzi, cit.227  Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», I,  18 e 78  Ivi120  Lettera a Francesco Castrino, 18 agosto 1609, in «Lettere ai protestanti», II,  46-47  Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, 196574.  Corrado Pin, Paolo Sarpi senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto del 1606, in Marie Viallon , Paolo Sarpi. Politique et religion en Europe, Paris, Classiques Garnier, Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, Storia della Chiesa. La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo, Città Nuova, Borgna Romain, Faggion Lucien (dir.), Le Prince de Fra' Paolo. Pratiques politiques et forma mentis du patriciat à Venise au XVII° Siécle, Aix-en-Provence, Université de Provence,   Fulgenzio Micanzio, Vita del padre Paolo, dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, 1646. Ed. moderna in P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, Torino, Einaudi, 1974 F. Griselini, Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto f. Paolo Servita, Losanna, presso M. Mic. Bousquet e Comp., 1760; F. Griselini, Del genio di f. Paolo Sarpi in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita, Venezia, Basaglia, 1785 P. Zerletti, Storia arcana della vita di Fra Paolo Sarpi servita scritta da Monsignor Giusto Fontanini, arcivescovo d'Ancira in partibus e documenti relativi, Venezia, 1803 P. Cassani, Paolo Sarpi e le scienze matematiche naturali, Venezia, 1822 A. Bianchi-Giovini, Biografia di Fra Paolo Sarpi, Basilea, 1847Disponibile on-line R. Morghen, Paolo Sarpi, in «Enciclopedia Treccani»,  XXX879 G. Getto, Paolo Sarpi, Firenze, Olschki 1967 Mario Gliozzi Relazioni scientifiche fra Paolo Sarpi e Giovan Battista Porta Archives Internationales d'Histoire des Sciences 3,  395–433, 1948 Gaetano Cozzi, Paolo Sarpi tra Venezia e l'Europa, Collana Piccola Biblioteca, Torino, Einaudi, 1978. D. Wootton, Paolo Sarpi between Renaissance and Enlightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 1983 V. Frajese, Sarpi scettico. Stato e Chiesa a Venezia tra Cinque e Seicento, Bologna, Il Mulino, 1994 I. Cacciavillani, I consulti di Paolo Sarpi sulla Vangadizza, Padova, CEDAM, Cacciavillani, Paolo Sarpi, Venezia, Fiore, I. Cacciavillani, Paolo Sarpi. La guerre delle scritture del 1606 e la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, 2005  88-7086-123-6 I. Cacciavillani, Sarpi giurista, Padova, CEDAM, 2002  88-13-24252-2 C. Pin, Ripensando Paolo Sarpi, Venezia, Ateneo veneto, 2006  Concilio di Trento Fulgenzio Micanzio. Paolo Sarpi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Paolo Sarpi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Paolo Sarpi, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Paolo Sarpi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Paolo Sarpi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Paolo Sarpi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Paolo Sarpi, su Liber Liber. Opere di Paolo Sarpi, . Paolo Sarpi, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Per l'epistolario di Paolo Sarpi, consultare il : correspondance-sarpi.univ-st-etienne.fr (Marie Viallon, dir.). Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sarpi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

sasso: Gennaro Sasso (Roma), filosofo. Ha studiato a Roma. Ha conseguito la laurea discutendo una tesi sul pensiero di Niccolò Machiavelli avendo come relatore Carlo Antoni e correlatore Federico Chabod. Durante gli anni universitari seguì le lezioni di Pantaleo Carabellese, Guido De Ruggiero, Luigi Scaravelli, Bruno Nardi, Raffaele Pettazzoni, Natalino Sapegno, Giuseppe Gabetti, Gennaro Perrotta e Gaetano De Sanctis.  Borsista all'Istituto italiano per gli Studi Storici, ha insegnato Storia delle dottrine politiche all'Urbino e successivamente Storia delle dottrine politiche, Storia della filosofia,  e Filosofia teoretica all'Università "La Sapienza" di Roma, di cui è stato nominato professore emerito nel 2005.  Direttore dal 1986 al  dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli fondato nel 1946 da Benedetto Croce, dal 1987 lo è anche della storica rivista di filosofia, storia e letteratura "La Cultura" .  I suoi studi hanno riguardato soprattutto l'idealismo italiano (in particolare l'opera di Benedetto Croce), le opere politiche e storiografiche di Niccolò Machiavelli e per quanto riguarda la sua riflessione più propriamente teoretica, le problematiche di ontologia fondamentale. È inoltre autore di sette libri e innumerevoli saggi danteschi. Si è inoltre occupato di Platone, Polibio, Lucrezio, Guicciardini, Shakespeare e Thomas Mann.  È presidente della "Fondazione Giovanni Gentile" , presidente dell'"Edizione nazionale delle Opere di Benedetto Croce" e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei.  Scritti Machiavelli e Cesare Borgia. Storia di un giudizio, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1966. Studi su Machiavelli, Napoli, Morano, 1967. Passato e presente nella storia della filosofia, Bari, Laterza, 1967. Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano,  Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, 1978. L'illusione della dialettica. Profilo di Carlo Antoni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982. Per Francesco Guicciardini. Quattro studi, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 1984. Essere e negazione, Napoli, Morano, 1987. Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 4 voll., Milano-Napoli, Ricciardi, 1987-97. Tramonto di un mito. L'idea di "progresso" fra Otto e Novecento, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 1988 [1ª ed. 1984]. Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. L'essere e le differenze. Sul "Sofista" di Platone, Bologna, Il Mulino, 1991. Variazioni sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura" (1882-1935), Il Mulino, 1992. Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993. Comprende:  I, Il pensiero politico, 3ª ed. ampliata [1ª ed. Napoli, IISS, 1958; 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 1980Premio Viareggio 1981 di Saggistica];  II, La storiografia. La fedeltà e l'esperimento, F. Scarpelli, F.S. Trincia e M. Visentin interrogano Gennaro Sasso, Bologna, Il Mulino,Filosofia e idealismo,  Napoli, Bibliopolis, Comprende: Benedetto Croce,Giovanni Gentile, De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, 1997.  88-7088-338-8. Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, . Tempo, evento, divenire, Bologna, Il Mulino, La potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia,  Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, Ernesto De Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, . Il guardiano della storiografia. Profilo di Federico Chabod e altri saggi, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 2002 [1ª ed. Napoli, Guida, 1985; 1ª ed. del Profilo di Federico Chabod, Bari, Laterza, Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2002. Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis, 2004. Il principio, le cose, Torino, Aragno,  Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, Dante, Guido e Francesca, Roma, Viella, Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, 2008.  9788870885590. Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da M. Herling, premessa di N. Irti, Napoli, IISS, Il logo, la morte, Napoli, Bibliopolis, .  Ulisse e il desiderio. Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella, . La voce dei ricordi, Napoli, Bibliopolis, . Storiografia e decadenza, Roma, Viella, . I corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli, con A. Gnoli, Milano, Bompiani, . Allegoria e simbolo, Torino, Aragno, . La lingua, la Bibbia, la storia. Su "De vulgari eloquentia" I, Roma, Viella, . Su Machiavelli. Ultimi scritti, Roma, Carocci, . Croce. Storia d'Italia e storia d'Europa, Napoli, Bibliopolis,  [raccolto in questo volume: La 'Storia d'Italia' di Bendetto Croce. Cinquant'anni dopo, Napoli, Bibliopolis, 1979]. "Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su Dante, Torino, Aragno, . Purgatorio e Antipurgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella, . Croce e le letterature e altri saggi, Napoli, Bibliopolis, . Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella, . Note  il MulinoRivisteLa Cultura, su mulino.it. 18 gennaio .  Fondazione Gentile | Dipartimento di Filosofia | SapienzaRoma Archiviato il 10 novembre  in .  Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .  Croce in un recente libro di Gennaro Sasso. Dibattito, Il Cannocchiale, 1-2/1978,  93-132 [interventi di: G. Arnaldi, G. Calabrò, A. Jannazzo, G, Sasso, V. Stella, F. Valentini, M. Visentin]. G. Arnaldi, Gennaro Sasso. Uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli , A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello "sguardo" e della "relazione" ne Il logo, la morte di Gennaro Sasso, filosofia-italiana.net, ottobre  . A. Bellocci, Laicismo della verità, della doxa e tolleranza in Gennaro Sasso, Leussein, 3/,  87-91. A. Bellocci, L'impossibilità della differenza e i paradossi dell'identità nel pensiero di Gennaro Sasso, Archivio di filosofia, A. Bellocci, Il problema della 'non' relazione ne Il principio, le cose di Gennaro Sasso, Giornale critico della filosofia italiana, A. Bellocci, La verità, l'opinione di Gennaro Sasso. Lo ''specchio'' della verità e l'''eterna opinione'' metafisica, Filosofia italiana, XIII, 1/,  165-180. R. Berutti, Annotazioni critiche sull'"essere" ovvero sul "non essere essere" del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia nella riflessione di Gennaro Sasso, Pólemos,  M. Capati, Gennaro Sasso, Paragone. Letteratura, M. Cardenas, L'autonoema. Il giudizio tra attualismo e neoeleatismo, Filosofia italiana,  C. Cesa, Gennaro Sasso interprete di Gentile, Archivio di storia della cultura, A. De Vicentiis, Storiografia e pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di Machiavelli: l'interpretazione di Gennaro Sasso, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In margine a un libro di G. Sasso sul Sofista di Platone, Novecento, 5-6, 1992,  69-78. M. HerlingM. Reale , Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore di Gennaro Sasso, Bibliopolis, Napoli 1999. G. Inglese, Machiavelli: una storia del suo pensiero politico, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, G. Inglese, Gennaro Sasso, in Enciclopedia machiavelliana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, . S. Maschietti, Gennaro Sasso, in Enciclopedia filosofica (a cura del Centro Studi Filosofici di Gallarate), Milano, S. Maschietti, Dire l'incontrovertibile. Intorno all'analisi filosofica di Gennaro Sasso, Giornale di filosofia, marzo 2007 , su giornaledifilosofia.net. F. Mignini, Essere e negazione. Per un recente volume di Gennaro Sasso, Giornale critico della filosofia italiana,Marcello Mustè, "Crisi" e "critica" dello storicismo. Filosofia e storiografia nel pensiero di Gennaro Sasso, Novecento, Marcello Mustè, Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Gennaro Sasso, Filosofia italiana, X N. Parise, Sulla relazione. Gennaro Sasso critico della metafisica, Luigi Passerino Editore, Gaeta . N. Parise, Figure della scissione. A proposito di Allegoria e simbolo di Gennaro Sasso, filosofia.it,   N. Parise, Gennaro Sasso e l'aporia del nulla, Filosofia italiana, G. Perazzoli, Il concetto di laicità e la filosofia, in G. PerazzoliG. Miligi , Laicità e filosofia, Mimesis, Milano-Udine ,  9-30. S. Pietroforte, Problema del nulla e principio di non contraddizione. Intorno a "Essere e negazione" di Gennaro Sasso, Novecento, 2, 1991,  41-62. J. Salina, Neoparmenidismo e teorie della verità, Filosofia italiana, F. Scarpelli , Nulla, anamnesi, riflessività. Intervista a Gennaro Sasso su alcuni temi del libro Essere e negazione (raccolta da F. Scarpelli, F.S. Trincia, M. Visentin), Il Cannocchiale, F. Tessitore, Gennaro Sasso interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Studi su Benedetto Croce, il Mulino, IISS-Napoli ,  F. Vander, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova-Milano 2007. M. Visentin, Tempo e giudizio. Spunti da un recente "Profilo di Carlo Antoni", La Cultura,M. Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del volume di Gennaro Sasso "Le due Italie di Giovanni Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, M. Visentin, Il neoparmenidismo italiano. Considerazioni intorno al volume di G. Sasso: 'La verità, l'opinione', in Id., Il neoparmenidismo italiano. II. Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli ,M. Visentin, Aletheia e doxa oltre Parmenide, in Id., Onto-Logica. Scritti sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis, Napoi,M. Zanetti, Critiche al divenire. Tra Sasso e Severino, Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos/KosmosLibri ed eventi, n139.95/ojs/index.php/babelonline/search/authors/view?firstName=Sara&middleName=&lastName=Zurletti&affiliation=&country=.  Gennaro Sasso, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Gennaro Sasso, . Gennaro Sasso, su Goodreads.  Registrazioni di Gennaro Sasso, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Gennaro Sasso, Progresso, in Enciclopedia del Novecento, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975-2004. Gennaro Sasso, Giovanni Gentile, in Dizionario biografico degli italiani,  53, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Gennaro Sasso, «Giambattista Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», sGennaro Sasso, costituzione mista, Benedetto Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, eternità del mondo, Francesco De Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, G. Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma . Gennaro Sasso, Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura italiana e europea, M. Ciliberto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma .

 

sava: Roberto Sava (Belpasso), filosofo. Lavorò per 15 anni come medico e gli venne conferita l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro su proposta del Ministero dell'Agricoltura; collaborò inoltre alla quarta e quinta edizione della Nuova Enciclopedia Popolare Italiana.  Ha scritto circa 95 libri e il suo libro Sui pregi e Doveri dei medici, pubblicato nel 1845, è stato tradotto e pubblicato nello stesso anno in lingua inglese col titolo On the Deserts and Duties of the Physician. Nel 2009 gli è stato dedicato il libro Roberto SavaLa vita e l'opera di Agostino Prezzavento.  Dopo la morte, il paese natale di Belpasso, ha dedicato al suo ricordo la biblioteca comunale, istituita nel 1989; è intitolato al suo nome, inoltre, un premio di laurea.  Note  British and foreign medical review: or quarterly journal of .. su Google Libri  Repertorio di libri e pubblicazioni su adamoli  Biblioteca comunale Roberto Sava su lineaamica  Biblioteca comunale su comunebelpasso  Alba Dicembre Speciale Archiviato il 9 ottobre  in . su l'Alba..

 

satis- satisfactum -- satisfactoriness-condition: a state of affairs or “way things are,” most commonly referred to in relation to something that implies or is implied by it. Let p, q, and r be schematic letters for declarative sentences; and let P, Q, and R be corresponding nominalizations; e.g., if p is ‘snow is white’, then P would be ‘snow’s being white’. P can be a necessary or sufficient condition of Q in any of several senses. In the weakest sense P is a sufficient condition of Q iff if and only if: if p then q or if P is actual then Q is actual  where the conditional is to be read as “material,” as amounting merely to not-p & not-q. At the same time Q is a necessary condition of P iff: if not-q then not-p. It follows that P is a sufficient condition of Q iff Q is a necessary condition of P. Stronger senses of sufficiency and of necessity are definable, in terms of this basic sense, as follows: P is nomologically sufficient necessary for Q iff it follows from the laws of nature, but not without them, that if p then q that if q then p. P is alethically or metaphysically sufficient necessary for Q iff it is alethically or metaphysically necessary that if p then q that if q then p. However, it is perhaps most common of all to interpret conditions in terms of subjunctive conditionals, in such a way that P is a sufficient condition of Q iff P would not occur unless Q occurred, or: if P should occur, Q would; and P is a necessary condition of Q iff Q would not occur unless P occurred, or: if Q should occur, P would.  -- satisfaction, an auxiliary semantic notion introduced by Tarski in order to give a recursive definition of truth for languages containing quantifiers. Intuitively, the satisfaction relation holds between formulas containing free variables such as ‘Buildingx & Tallx’ and objects or sequences of objects such as the Empire State Building if and only if the formula “holds of” or “applies to” the objects. Thus, ‘Buildingx & Tallx’, is satisfied by all and only tall buildings, and ‘-Tallx1 & Tallerx1, x2’ is satisfied by any pair of objects in which the first object corresponding to ‘x1’ is not tall, but nonetheless taller than the second corresponding to ‘x2’. Satisfaction is needed when defining truth for languages with sentences built from formulas containing free variables, because the notions of truth and falsity do not apply to these “open” formulas. Thus, we cannot characterize the truth of the sentences ‘Dx Buildingx & Tallx’ ‘Some building is tall’ in terms of the truth or falsity of the open formula ‘Buildingx & Tallx’, since the latter is neither true nor false. But note that the sentence is true if and only if the formula is satisfied by some object. Since we can give a recursive definition of the notion of satisfaction for possibly open formulas, this enables us to use this auxiliary notion in defining truth.  -- satisfiable, having a common model, a structure in which all the sentences in the set are true; said of a set of sentences. In modern logic, satisfiability is the semantic analogue of the syntactic, proof-theoretic notion of consistency, the unprovability of any explicit contradiction. The completeness theorem for first-order logic, that all valid sentences are provable, can be formulated in terms of satisfiability: syntactic consistency implies satisfiability. This theorem does not necessarily hold for extensions of first-order logic. For any sound proof system for secondorder logic there will be an unsatisfiable set of sentences without there being a formal derivation of a contradiction from the set. This follows from Gödel’s incompleteness theorem. One of the central results of model theory for first-order logic concerns satisfiability: the compactness theorem, due to Gödel in 6, says that if every finite subset of a set of sentences is satisfiable the set itself is satisfiable. It follows immediately from his completeness theorem for first-order logic, and gives a powerful method to prove the consistency of a set of sentences. 

 

satisfice: to choose or do the good enough rather than the most or the best. ‘Satisfice’, an obsolete variant of ‘satisfy’ (“much as ‘implicate’ is an explicated form of ‘imply’”Grice) has been adopted by Simon and others to designate nonoptimizing choice or action. According to some economists, limitations of time or information may make it impossible or inadvisable for an individual, firm, or state body to attempt to maximize pleasure, profits, market share, revenues, or some other desired result, and satisficing with respect to such results is then said to be rational, albeit less than ideally rational. Although many orthodox economists think that choice can and always should be conceived in maximizing or optimizing terms, satisficing models have been proposed in economics, evolutionary biology, and philosophy. Biologists have sometimes conceived evolutionary change as largely consisting of “good enough” or satisficing adaptations to environmental pressures rather than as proceeding through optimal adjustments to such pressures, but in philosophy, the most frequent recent use of the idea of satisficing has been in ethics and rational choice theory. Economists typically regard satisficing as acceptable only where there are unwanted constraints on decision making; but it is also possible to see satisficing as entirely acceptable in itself, and in the field of ethics, it has recently been argued that there may be nothing remiss about moral satisficing, e.g., giving a good amount to charity, but less than one could give. It is possible to formulate satisficing forms of utilitarianism on which actions are morally right even if they contribute merely positively and/or in some large way, rather than maximally, to overall net human happiness. Bentham’s original formulation of the principle of utility and Popper’s negative utilitarianism are both examples of satisficing utilitarianism in this sense  and it should be noted that satisficing utilitarianism has the putative advantage over optimizing forms of allowing for supererogatory degrees of moral excellence. Moreover, any moral view that treats moral satisficing as permissible makes room for moral supererogation in cases where one optimally goes beyond the merely acceptable. But since moral satisficing is less than optimal moral behavior, but may be more meritorious than certain behavior that in the same circumstances would be merely permissible, some moral satisficing may actually count as supererogatory. In recent work on rational individual choice, some philosophers have argued that satisficing may often be acceptable in itself, rather than merely second-best. Even Simon allows that an entrepreneur may simply seek a satisfactory return on investment or share of the market, rather than a maximum under one of these headings. But a number of philosophers have made the further claim that we may sometimes, without irrationality, turn down the readily available better in the light of the goodness and sufficiency of what we already have or are enjoying. Independently of the costs of taking a second dessert, a person may be entirely satisfied with what she has eaten and, though willing to admit she would enjoy that extra dessert, turn it down, saying “I’m just fine as I am.” Whether such examples really involve an acceptable rejection of the momentarily better for the good enough has been disputed. However, some philosophers have gone on to say, even more strongly, that satisficing can sometimes be rationally required and optimizing rationally unacceptable. To keep on seeking pleasure from food or sex without ever being thoroughly satisfied with what one has enjoyed can seem compulsive and as such less than rational. If one is truly rational about such goods, one ’t insatiable: at some point one has had enough and doesn’t want more, even though one could obtain further pleasure. The idea that satisficing is sometimes a requirement of practical reason is reminiscent of Aristotle’s view that moderation is inherently reasonable  rather than just a necessary means to later enjoyments and the avoidance of later pain or illness, which is the way the Epicureans conceived moderation. But perhaps the greatest advocate of satisficing is Plato, who argues in the Philebus that there must be measure or limit to our desire for pleasure in order for pleasure to count as a good thing for us. Insatiably to seek and obtain pleasure from a given source is to gain nothing good from it. And according to such a view, satisficing moderation is a necessary precondition of human good and flourishing, rather than merely being a rational restraint on the accumulation of independently conceived personal good or well-being.

 

Satisgrice: to satisfice in a Griceian fashionafter C. E. L., of the Grice Club.

 

scala: Giuseppe Scala (Noto), filosofo. Insieme a Molet, fu uno dei due studiosi che parteciparono alla commissione dei cinque dotti creata da papa Gregorio XIII per la riforma del calendario . Chiamato da Padova per insegnare matematica, fu costretto a rifiutare per le sue precarie condizioni di salute . Morì, infatti, giovanissimo a soli ventinove anni.  Pubblicazioni L'Efemeridi del mag.co et eccel.te sig. Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall'anno di Christo nostro Sig. 1589. & finiscono nel fine di dicembre dell'anno 1600. ... Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni dell'efemeridi dell'eccell. sig. Gioseppe Moleto matematico et dal detto signor Gioseppe Scala ridotto all'uso delle presenti efemeridi, In Venetia: appresso i Giunti, 1589. (Ephemerides Iosephi Scalae Siculi Noetini art. et med. doc. ad annos duodecim, incipientes ab anno Domini 1589). Vnà cum introductionibus ephemeridum excel. d. Iosephi Moletii mathematici. Ab eodem d. Iosepho Scala, ad vsum suarum, restitutis. Venetiis: Lucantonio Giunta il giovane, 1589) Note  Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo Astrofili di Noto  Santi Correnti, Quello che la Sicilia ha dato all'Italia e al mondo[collegamento interrotto]  Vedi Giuseppe Emanuele Ortolani, Biografia degli uomini illustri di Sicilia ornata de' loro rispettivi ritratti, Tomo II, Napoli, 1818.  Corrado Spataro, L'astronomo netino Giuseppe Scala jr. e la "nuova scienza" del Cinquecento, .  Calendario gregoriano.

 

scalfari: Deputato della Repubblica Italiana Durata mandato 5 giugno 196824 maggio 1972 LegislatureV Gruppo parlamentareSocialista CollegioTorino Incarichi parlamentari Componente della quinta commissione (Bilancio e partecipazioni statali) (10 luglio 196824 maggio 1972) Componente della dodicesima commissione (Industria e commercio) (27 marzo 197024 maggio 1972) Sito istituzionale Dati generali Partito politicoPNF (1942-1943) PLI (1945-1955) PR (1955-1962) PSI (1962-1972) Indipendente (dal 1972) Titolo di studioLaurea in giurisprudenza UniversitàUniversità degli Studi di Genova e Università “La Sapienza” Professionegiornalista. Eugenio Scalfari (Civitavecchia), filosofo. Considerato, anche dai suoi "avversari", uno dei più grandi giornalisti italiani Professorecontribuì, con altri, a fondare il settimanale l'Espresso ed è fondatore del quotidiano la Repubblica. I campi principali dell'analisi di Scalfari sono l'economia e la politica. La sua ispirazione politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la filosofia. Si iscrive al Liceo Mamiani di Roma, ma è a Sanremo (dove la famiglia, di origini calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore artistico del Casinò) che completerà gli studi liceali, al liceo classico G.D. Cassini, avendo come compagno di banco Italo Calvino.  Nel 1950 si sposa con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, morta nel 2006.  Dalla fine degli anni settanta Scalfari è sentimentalmente legato a Serena Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta.  Eugenio Scalfari è ateo.  Esordi giornalistici durante il fascismo Tra le prime esperienze giornalistiche di Scalfari c'è Roma Fascista, organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza. Negli anni successivi Scalfari continua a collaborare con riviste e periodici legati al fascismo, come NuovoOccidente, diretto dall'ex squadrista e fascista cattolico Giuseppe Attilio Fanelli. Nel 1942 Scalfari sarà nominato caporedattore di Roma Fascista.  All'inizio del 1943 scrive una serie di corsivi non firmati sulla prima pagina di Roma Fascista in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell'EUR. Questi articoli portarono alla sua espulsione dai GUF per opera di Carlo Scorza, allora vicesegretario del PNF. Di fronte al gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, il giovane Scalfari aveva ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Il gerarca accusò poi il giovane di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il ero strappandogli le mostrine dalla divisa del partito.  Carriera giornalistica nel dopoguerra Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il neonato Partito Liberale Italiano, conoscendo giornalisti importanti nell'ambiente. Nel 1950, mentre lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro, diventa collaboratore, prima a Il Mondo e poi a L'Europeo, di due personalità che spesso richiama nei suoi scritti: Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti. Ricorderà poi, con orgoglio, di essere stato licenziato dalla BNL per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione.  Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: Scalfari è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.  Nel 1963 somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che Scalfari continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa.   Eugenio Scalfari nella foto da deputato Sempre nel 1967 Scalfari pubblica insieme a Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di Stato chiamato piano Solo. Il generale De Lorenzo li querela e i due giornalisti vengonocondannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato.  Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972. Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso.  Nel 1971 sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel , dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore".  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato.  Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972. Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso.  Nel 1971 sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel , dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore".  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per avereun pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da Giulio Andreotti, grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di Scalfari, "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite".   Scalfari nel  Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita, Scalfari s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale contro cui si scagliava l'anima della sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente", candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, già negli anni ottanta; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier nel 1992; apprezza Guido Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. Il 27 gennaio 1994 incomincia, dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi . Sconfitto Vittorio Sgarbi , il 7 maggio 2008 è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la potenziale pericolosità di Beppe Grillo . Il 13 aprile  è il primo a preconizzare una possibile, futura alleanza fra Matteo Renzi e Matteo Salvini .  Ritiro dalla direzione de la Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascesa editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore nel 1996, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti; gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominatianche per la loro lunghezza"la messa cantata della domenica"[25]. Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato). Il 6 luglio 2007, sul Venerdì di Repubblica (il magazine settimanale che esce dal 1987), annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra.  Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici con Giovanni Floris.  Controversie Nel  e nel , le sue "interviste" con papa Francesco hanno causato per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole attribuite da Scalfari al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni[26][27]. Il 29 marzo  il Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando he il Papa avesse rilasciato un’intervista a Scalfari e sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua ricostruzione.[28][29]  Ciononostante, Papa Francesco continua periodicamente a concedere interviste esclusive a Scalfari [30].  Premi ed onorificenze Scalfari ha ricevuto varie onorificenze. A livello giornalistico ha vinto nel 1988 il Premio Internazionale Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", nel 1996il "Premio Ischia" alla carriera, nel 1998 il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di recente, il Premio Saint-Vincent 2003. L'8 maggio 1996 è stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro mentre nel 1999 ha ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). È cittadino onorario di Velletri, città in cui risiede. Il 5 maggio 2007 ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Vinci e il 23 ottobre 2008 gli è stata conferita la cittadinanza benemerita di Sanremo. Nel  vince il prestigioso Premio Viareggio[31]  Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 2 maggio 1996[32] Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaGrande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana —Ufficiale della Legion d'onorenastrino per uniforme ordinariaUfficiale della Legion d'onore Cittadinanza onoraria di Vibo Valentia (1990), Velletri (1993) e Vinci (2007) Cittadinanza benemerita di Sanremo (2008) Opere: Petrolio in gabbia, con Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, I padroni della città, con Leone Cattani e Angelo Conigliaro, Bari, Laterza, Le baronie elettriche, con Josiah Eccles, Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Bari, Laterza, Il potere economico in URSS, Bari, Laterza, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza, L'autunno della Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass,  Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, con Francesco Rosi, Bologna, Cappelli, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, con Giuseppe Turani, Milano, Feltrinelli, Interviste ai potenti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Come andremo a incominciare?, con Enzo Biagi, Milano, Rizzoli, L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano, Mondadori, La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Collana Super ET, Torino, Einaudi, Incontro con Io, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, , Denis Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa di Eugenio Scalfari, Collana La memoria, Palermo, Sellerio, I ed. accresciuta, nuova Introduzione di E. Scalfari, Palermo, Sellerio, , Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, Il labirinto, Milano, Rizzoli, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Attualità dell'Illuminismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, Articoli,  Roma, la Repubblica,  Dibattito sul laicismo, E. Scalfari, Roma, La Biblioteca di Repubblica,  L'uomo che non credeva in Dio, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Per l'alto mare aperto. La modernità e il pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Scuote l'anima mia Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, ,Enrico Berlinguer, La questione morale. La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti, .ed. ampliata, Prefazione di Luca Telese, Aliberti, . Vito Mancuso-E. Scalfari, Conversazioni con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, La passione dell'etica. Scritti, Angelo Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori, Papa Francesco-E. Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Torino, Einaudi, ,  L'amore, la sfida, il destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, , Racconto autobigrafico, Collana Passaggi, Torino, Einaudi, L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, L'ora del blu, Torino, Einaudi, Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Papa Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini, Torino, Einaudi, liberoquotidiano.it, liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/22261560/vittorio_feltri_eugenio_scalfari_ritratto_fuoriclasse_re_giornalisti_diversi.html. 24 aprile  (archiviato il 28 aprile ).  ilfoglio.it, ilfoglio.it/uffa//11/05/news/benvenuti-al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista-sul-secolo-di-carta-284697/. 5 novembre  (archiviato il 5 novembre ).  la7.it, la7.it/dimartedi/video/da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio-18-02--308153.  Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis, , diviso in quattro capitoli: la Politica, l'Arte, la Religione, la Filosofia.  Scheda sul  storico della Camera dei deputati, su storia.camera.it. 20 marzo  (archiviato il 25 aprile ).  Sull'amicizia tra Scalfari e Calvino leggiamo: "Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi tempi."(...) Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis,  Paolo Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti. Faccia a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti editore,   Cfr. Corriere della Sera,  La Repubblica.it : Gli 80 anni di Eugenio Scalfari, su repubblica.it. 17 aprile  (archiviato il 28 gennaio ).  Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005.  Ero giovane, fascista e felice, intervista a Eugenio Scalfari apparsa su Il Foglio, pasqualericcio.it. 28 marzo 2009 13 dicembre ).  Nel corso dell'inchiesta Scalfari riferisce di un colloquio avuto col generale Aurigo: "Mi disse che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (...) gli ordini dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: Angelo Cannatà, "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 42.  Eugenio Scalfari / Deputati / Camera dei deputati storico, su storia.camera.it. 20 marzo  (archiviato il 25 aprile ).  Il commissario Calabresi e quella firma del 1971, su repubblica.it. 9 giugno  (archiviato l'8 giugno ).  Fabio Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, da ultimo citato da Ferruccio de Bortoli su ((http://corriere.it/politica/09_ottobre_14/debortoli-attacchi-corriere_ Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo,  e Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva,   Nei cui confronti Carlo Caracciolo e Carlo De Benedetti dicono che Scalfari ebbe un "innamoramento", in seguito non più condiviso dallo stesso editore della Repubblica che ormai non lo considerava "un grande politico": intervista alla Stampa del 10 gennaio 200823.  Scrive Scalfari: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? (...) "Belzebù è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di quella inamovibilità". Fonte: Eugenio Scalfari e il suo tempo, di Angelo Cannatà, Mimesis, 61. L'articolo di Scalfari, Caro Craxi tu lo sai chi è Belzebù, è apparso su Repubblica il 5 giugno 1981.  repubblica.it, repubblica.it/2004/a/sezioni/politica/festaforza/coccode/coccode.html. 5 marzo  (archiviato il 21 agosto ).  la7.it, la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-a-eugenio-scalfari Voto Renzi perché l'avversario è Grillo, su youtube.com.  youtube.com, youtube.com/watch?v=5KBNeT6Dr4Y. 5 marzo  (archiviato il 12 marzo ).  Rep, su rep.repubblica.it. 1º marzo  (archiviato il 1º marzo ).  Ezio Mauro dal pulpito di Repubblica officia la democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. 3 gennaio  14 luglio ).  Il Post Archiviato il 25 dicembre  in ., 22 novembre   "Le interviste vanno comunque reinterpretate", su youtube.com.  ll Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, su ilpost.it. 31 marzo  (archiviato il 1º aprile ).  Il Vaticano smentisce Eugenio Scalfari che fa dire al Papa che l'inferno non esiste, su ilmessaggero.it. 31 marzo  (archiviato il 31 marzo ).  Rep, su rep.repubblica.it. 1º marzo .  Premio Viareggio , su repubblica.it (archiviato il 25 agosto ).  Dettaglio Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. 29 giugno  (archiviato il 24 settembre ).  Claudio Mauri, Il cittadino Scalfari, prefazione di Ruggero Guarini, Milano, SugarCo, 1Giancarlo Perna, Eugenio Scalfari, una vita per il potere, Milano, Leonardo Editore, Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, ,  978-88-575-0027-0. Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Giampaolo Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri,  Giovanni Valentini, La Repubblica tradita, Roma, PaperFirst, Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo Editore, .  978-88-6052-740-0. Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, La Repubblica Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Eugenio Scalfari Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Eugenio Scalfari  Eugenio Scalfari, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Eugenio Scalfari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Eugenio Scalfari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Eugenio Scalfari, .  Eugenio Scalfari, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Registrazioni di Eugenio Scalfari, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Dati personali e incarichi nella V legislatura, Camera dei deputati. 27 luglio 2008. PredecessoreDirettore de L'EspressoSuccessore Arrigo Benedetti9 giugno 196324 marzo 1968Gianni Corbi PredecessoreDirettore de la RepubblicaSuccessore nessuno14 gennaio 19766 maggio 1996Ezio Mauro.

 

scarano: Lucio Scarano (Brindisi), filosofo. Studiò all'Bologna, andò poi a Padova e a Venezia. Il Senato della Serenissima lo chiamò alla cattedra di filosofia lasciata da Aldo Manuzio il Giovane.  Molto apprezzato dai contemporanei, fu tra i fondatori dell'Accademia Veneziana, con Giambattista Leoni veneziano, Vincenzo Giliani romano, Pompeo Limpio da Bari, Giovanni Contarini veneziano, Teodoro Angelucci da Belforte, Fabio Paolini udinese, Guido Casoni da Serravalle e Giampaolo Gallucci da Salò.  Scrisse il trattato Scenophylax (Venezia 1601), nel quale tratta della convenienza di restituire alla tragedia e alla commedia la lingua latina.   Pasquale Camassa, Brindisini illustri, Brindisi, Alberto Del Sordo, Ritratti brindisini, presentazione di Aldo Vallone Bari.

 

scaravelli: Luigi Scaravelli (Firenze), filosofo. Iscritto alla facoltà di medicina dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, dopo aver quasi completato gli studi e aver servito come ufficiale medico nella Prima guerra mondiale, cambiò ateneo e facoltà  al scegliendo il corso di laurea in filosofia a Pisa, dove si laureò con lode con Carlini. Insegnò in licei italiani e stranieri e negli Istituti italiani di cultura di Atene, Bruxelles, Zagabria e Lisbona. Ottenuta quell'anno la docenza in Filosofia teoretica a'Pisa, vi insegnò fino al 1957, anno della sua morte, con qualche incarico temporaneo alla Scuola normale superiore e all'Università "La Sapienza" di Roma. Nell'ultimo anno della sua vita ottenne il trasferimento all'Firenze, dove però non insegnerà mai, per una grave depressione che l'avrebbe condotto di lì a poco al suicidio. Era sposato e aveva due figli.  Profondo conoscitore di Kant, approfondì nei suoi studi (pubblicati con molta riluttanza e quasi solo per esigenze concorsuali) in particolare i temi relativi ai rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica moderna, i problemi relativi alla Critica del Giudizio ed anche i temi dell'idealismo.  Biblioteca personale I suoi libri, doll'Università La Sapienza dai suoi eredi, sono oggi conservati in uno specifico fondo alla "Villa Mirafiori", dove ha sede la Biblioteca di filosofia  Opere principali: Critica del capire, Firenze, Sansoni, Saggio sulla categoria kantiana della realta, Firenze, Le Monnier, La prima meditazione di Cartesio, Firenze, La Nuova Italia, Osservazioni sulla Critica del giudizio, Pisa, Scuola Normale Superiore,  Opere, Mario Corsi, 3(Critica del capire e altri scritti, Scritti kantiani, L'analitica trascendentale: scritti inediti su Kant), Firenze, La nuova Italia. La Biblioteca di Luigi Scaravelli, su//bibliotecafilosofia.uniroma1.it. 22 settembre .  L' attualità di Scaravelli, Edoardo Mirri, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Mauro Visentin, Le categorie e la realtà: saggi su Luigi Scaravelli, Firenze, Le lettere, Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo, IDe Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Napoli, Bibliopolis, Il pensiero di Luigi Scaravelli: la storia come problema e come metodo, atti del Convegno svoltosi presso l'Accademia d'Ungheria in Roma  col titolo di Il problema del giudizio storico e Luigi Scaravelli, Mario Corsi, Soveria Mannelli, Rubbettino, Scaravelli pensatore europeo, M. Biscuso e G. Gembillo, Messina, Siciliano, Gennaro Sasso, Scaravelli e il giudizio, in Filosofia e idealismo. Secondi paralipomeni, Napoli, Bibliopolis,  S. Palermo, Tra critica e metafisica. Luigi Scaravelli lettore di Kant, Pisa, Edizioni ETS,   Luigi Scaravelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luigi Scaravelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Massimiliano Biscuso, Profilo di Luigi Scaravelli, su bibliotecafilosofia.uniroma1.it. La  completa dei suoi scritti, su giornaledifilosofia.net.

 

scarpelli: Uberto Scarpelli (Vicenza), filosofo. Studioso di analisi del linguaggio, è stato uno dei fondatori della cosiddetta scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Bobbio. È stato, insieme allo stesso Bobbio e a Giovanni Tarello, uno dei massimi esponenti della filosofia del diritto analitica italiana del Novecento, insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto, dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. Il pensiero filosofico-giuridico scarpelliano può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo giuridico. Scarpelli contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del ragionamento morale, si è impegnato attivamente in relazione a questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Ha compiuto inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica.   Nasce a Vicenza il 9 febbraio 1924 da una famiglia di origine pugliese trasferitasi poi in Lucchesia; il padre è magistrato. Dopo avere frequentato il liceo, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. La formazione di Scarpelli è all'insegna del pensiero filosofico idealistico allora dominante in Italia e fondata, tra gli altri, sui testi di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Durante gli anni universitari, desta l'interesse di Scarpelli in particolare il pensiero di Mario Allara, maestro della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Nell'a.a. 1944-1945 segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto di Norberto Bobbio, che ha l'incarico per quell'anno di ricoprire la cattedra di Gioele Solari. Sotto la guida del filosofo e giurista italiano Solari, Scarpelli si laurea nel 1946 discutendo una tesi sul tema della persona nella filosofia giuridica moderna. Già in questo lavorolo ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievoScarpelli rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge.  Due anni dopo, nel 1948, si laurea anchein Scienze politiche sempre sotto la guida di Solari. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di una breve nota intitolata Scienza giuridica e analisi del linguaggio; in questa nota Scarpelli precorre il celebre saggio di Norberto Bobbio del 1950 che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana di filosofia del diritto. Scarpelli, sino da giovanissimo, prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica.  Appena dopo la laurea, diviene assistente volontario di Bobbio; in seguito, negli a.a. 1948-1949 e 1949-1950, in qualità di assistente incaricato, collabora con Bobbio alla preparazione di due seminari, uno sulla giustizia nel materialismo storico e l'altro sulla interpretazione giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui Scarpelli dedica il primo libro intitolato Esistenzialismo e marxismo, il quale reca come sottotitolo Saggio sulla giustizia. Nonostante alcuni cambiamenti intervenuti nel corso degli anni, nel libro si rintracciano alcuni motivi del pensiero scarpelliano che lo stesso Scarpelli riconosce di non avere mai abbandonato: anzitutto, l'idea che la filosofia debba proporsi come forma di pensiero mondano, legato esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo, e l'idea della scelta e dell'impegno come basi della esistenza di ciascun uomo.  La magistratura Risultato vincitore del concorso per l'accesso in magistratura, lascia la carriera universitaria con qualche rimpianto; ne è testimonianza la corrispondenza epistolare col maestro Norberto Bobbio. Durante gli anni di magistratura, i rapporti con l'università non si interrompono però completamente: nel 1954 consegue la libera docenza in Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano; nei due anni successivi svolge corsi liberi nella stessa disciplina e nell'a.a. 1956-1957 svolge su incarico il corso di dottrina dello Stato al fianco di Renato Treves. Godendo di una borsa Rockefeller, ottenuta soprattutto grazie ad Alessandro Passerin d'Entrèves, per un anno si dedica ininterrottamente allo studio ponendo le basi di una delle sue opere principali: il Contributo alla semantica del linguaggio normativo, pubblicato nel 1959. Scarpelli esercita la professione di magistrato a Milano fino al 1962, anno in cui lascia definitivamente la carica per ritornare a tempo pieno all'insegnamento universitario.  La carriera universitaria Negli a.a. 1960-1961 e 1961-1962 tiene per incarico il corso di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza di Perugia. Dal 1º dicembre 1962 è professore straordinario di Filosofia del diritto presso la medesima Facoltà; al compimentodel triennio, nel 1965, è Professore sempre a Perugia. Dal 1º febbraio 1968 è Professore di Filosofia morale nella Facoltà di Lettere e filosofia del diritto dell'Università degli Studi di Pavia, presso la cui Facoltà di Giurisprudenza tiene anche le lezioni di Filosofia del diritto alla morte di Bruno Leoni avvenuta nel 1967.  Dal 1º marzo 1971, succedendo a Bobbio, è titolare della cattedra di Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Mantiene l'incarico fino al 1982 quando si trasferisce accanto a Treves all'Università degli Studi di Milano ricoprendo la cattedra di Filosofia del diritto di cui è già titolare dal 1974. Nel 1981 promuove il dottorato in Filosofia analitica e teoria generale del diritto; ancora oggi attivo, tale dottorato è uno dei tre curricula che compongono l'attuale dottorato in Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Durante gli anni di docenza, oltre ai corsi di Filosofia del diritto e Filosofia morale, Scarpelli insegna su incarico Teoria generale del diritto, Filosofia della politica e Analisi del linguaggio politico.  L'opera incompiuta Negli ultimi anni Uberto Scarpelli lavora appassionatamente e alacremente a un'opera sistematica rimasta incompiuta: si tratta di un trattato di teoria generale del diritto di cui resta solo la struttura del lavoro, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. A tale opera Scarpelli pensa per lunghi anni, almeno dieci, come dimostra quanto egli scrive nel saggio del 1983 intitolato La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato; eccettuate le anticipazioni presenti in questo lavoro e in altri saggi successivi, tra le carte rimaste di Scarpelli, non v'è alcuna parte di testo scritta di pugno dal filosofo. Come attestano gli allievi, il modo di lavorare di Scarpelli avrebbe portato ad una stesura unitaria a partire dalle citazioni e dai riferimenti raccolti e ordi corso degli anni. Ad oggi, questa mole di documenti resta l'ultima testimonianza del lavoro di Scarpelli, la traccia degli ultimi sviluppi del suo pensiero di filosofo del diritto e studioso di analisi del linguaggio.  Scarpelli muore a Milano il 16 luglio 1993 all'età di sessantanove anni. Tra gli scritti pubblicati postumi e ancora incompiuti, si ricorda soprattutto il testo di una conferenza mai tenuta intitolato La mia meta-etica e la mia esperienza etica in cui Scarpelli esplicita le due problematiche che hanno dominato la sua ricerca meta-etica: quella della razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione.  L'attività scientifica Scarpelli ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. È stato membro del Centro di studi metodologici di Torino e dello Institut international de philosophie politique; è stato socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Dal 1973 è stato direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Nel 1961 entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica dal 1985 al 1989, è stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica negli anni 1990-1991 ed è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica nel 1992.  All'inizio degli anni Cinquanta contribuisce alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di Ludovico Geymonat, del Centro Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford.  Seguendo inizialmente le ricerche del filosofo statunitense Charles W. Morris (1901-1979), negli anni Cinquanta Scarpelli è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Si deve a lui l'introduzione nel nostro Paese del pensiero e delle opere del filosofo della morale Richard M. Hare (1919-2002) e del filosofo della politica Felix E. Oppenheim. Ad ambedue i filosofi, Scarpelli dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due libri di Hare: The Language of Morals (1952) e Freedom and Reason (1963). Con Oppenheim, Bobbio e Passerin d'Entreves, Scarpelli intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore del 1965 ed il volume, curato da Passerin d'Entreves, La libertà politica del 1972.  Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del 1969 Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo (1959) il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico (1965) in cui Scarpelli propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Herbert L. A. Hart.  Fonti Le indicazioni sulla produzione scientifica di Uberto Scarpelli più ampie, seppur non complete, si rintracciano al momento nei seguenti contributi: Riccardo Guastini, Variazioni su temi di Scarpelli. Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica italiana», XII, 1982560 ss.;  degli scritti di Uberto Scarpelli. Nota Bibliografica, in Filosofia analitica 1993, Donatelli e Luciano Floridi, Lithos editrice, Roma, 199317 ss. (con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e degli articoli comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); Mario Jori, Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1994191 ss.; Norberto Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli Editori, Firenze, 2000, nelle pagine dedicate al ritratto di Uberto Scarpelli155 ss.; Uberto Scarpelli. Semantica del linguaggio normativo, in Amedeo Giovanni Conte, Paolo Di Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori, Filosofia del diritto, (Paolo Di Lucia), Raffaello Cortina Editore, Milano, Félix Morales, "La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli. Análisis del lenguaje normativo y positivismo jurídico", Universidad de Alicante. La presente  non è completa e non contempla i numerosissimi scritti e note apparsi sui giornali, quotidiani e periodici. Esistenzialismo e marxismo. Saggio sulla giustizia, Taylor, Torino, Filosofia analitica e giurisprudenza, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Il problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia delle Scienze, Torino, (nuova edizione con introduzione e Anna Pintore, Giuffrè, Milano,  Filosofia analitica, norme e valori, Comunità, Milano, Validità, legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico, Cluep, Perugia, ciclostilato Cos'è il positivismo giuridico, Comunità, Milano, (nuova edizione con introduzione di Alfonso Catania e Mario Jori, ESI, Napoli) Diritto e analisi del linguaggio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici, Uberto Scarpelli, Cisalpino-Goliardica, Milano, Thomas Hobbes. Linguaggio e leggi naturali. Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano, L'etica senza verità, Il Mulino, Bologna, La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Il linguaggio del diritto, Uberto Scarpelli e Paolo Di Lucia, prefazione di Mario Jori, Led, Milano, Bioetica Laica, Maurizio Mori, Baldini e Castoldi, Milano, Saggi Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista del diritto commerciale, Dissertazione (check) per la libera docenza, Giurisprudenza italiana,  L'Unità della scienza nella “International Encyclopedia of Unified Science”, Rivista di filosofia, Il giudice e la legge, Occidente. Rivista mensile (saggio compreso nel fascicolo speciale dedicato a Il potere giurisdizionale nello stato moderno e in particolare nella costituzione italiana, Uberto Scarpelli) Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Elementi di analisi della proposizione giuridica, Jus, (riedito in Atti del congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino, Diritto naturale vigente, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Alcuni problemi della teoria analitica del valore nel libro “Elementi di filosofia analitica” di Arthur Pap, Rivista di filosofia,  Linguaggio valutativo e prescrittivo, Jus, La Filosofia di Giovanni Gentile e le critiche di Gioele Solari, in Studi in memoria di Gioele Solari, Ramella, Torino, Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Behaviourism, positivismo logico e fascismo, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Gli Stati Uniti e “il grande cambiamento”, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Osservazioni sul concetto di segno nel pensiero di Charles Morris, Rivista di filosofia, La natura della analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia giuridica, Rivista internazionale di filosofia del diritto (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e altri, Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Ferruccio Rossi-Landi, Comunità, Milano,Retribuzione (voce), Enciclopedia Filosofica, IV, Sansoni, Firenze, 1958, col. 82 ss. La définition en droit, Logique et Analyse,ss. poi tradotto come La definizione nel diritto, Jus, 4, Imperativi e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali,  Relazione, in Dibattito bolognese sui valori, Augusto Guzzo e Uberto Scarpelli, Edizioni di Filosofia, Torino,  Libertà, ragione e giustizia, Rivista di filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia,  Libertà come fatto e come valore, (coautori Noberto Bobbio, Alessandro Passerin d'Entreves e Felix Oppenheim), Rivista di filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, Le “proposizioni giuridiche” come precetti reiterati, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Risposta di Uberto Scarpelli, in Quaderni della Rivista “Il politico”. Tavola rotonda sul positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, XVI, UTET, Torino, . (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino) Problemi e idee circa l'insegnamento del dirittoGruppo di lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari,  I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. Serie II. La formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista di filosofia,  La «grande divisione» e la filosofia della politica, introduzione a Felix Oppenheim, Etica e filosofia politica, Il Mulino, Bologna,  Il metodo giuridico, Rivista di diritto processuale  (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto 2, Giuliano Crifò, Feltrinelli, Milano.) Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia, ss. (riedito in Studi sassaresi, Giuffrè, Milano) Impegno politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, Il diritto nella società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto processuale. (edito anche in Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Atti del IX Convegno nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia), Giuffrè, Milano, Prefazione a Dagobert D. Runes, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, La facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del diritto, Intervento in Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista trimestrale di diritto pubblico, (riedito in L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia,  Per una sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, 1974266 ss. (riedito in La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, 1974 e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, 1978) La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, in Atti del XXV Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia, 19-23 settembre 1975), Società filosofica italiana, Roma,  Democrazie e competenze, Amministrare, Giuffrè, Milano, 1975189 ss. Introduzione. La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, Uberto Scarpelli, Milano, Comunità, 1Lawrence M. Friedman e il sistema giuridico, Sociologia del diritto, 2, 1976299 ss. Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, 19763 ss. Intervento al convegno del PSI di Milano, 23 gennaio 1976, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica culturale alternativa, Marsilio, Venezia, Le condizioni metagiuridiche della partecipazione, Atti del XXII Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, 23-25 settembre 1976, Giuffrè, Milano245 ss. Le “entità strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, Santi Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Santi Romano, Paolo Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano,  Intervento in La partecipazione popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Atti del convegno di Senigallia (8-10 dicembre 1977), Giustizia e Costituzione, 197882 ss. Intervento nella presentazione di Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, in Milano, Sala del Grechetto, pubblicata in UTETPanorama di Lettere e Scienze, 125, 19783 ss. Thomas Hobbes e l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza, in Studi in onore di Enrico Tullio Liebman, IV, Giuffrè, Milano, 19793147 ss. Idea dell'università e diritto allo studio, in Atti del Convegno su Il diritto allo studio nel quadro dei rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia,  Teoria formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora formalistica, in Studi in onore di C. Grassetti, III, Giuffrè, Milano, 1980 p. 1669 ss. La partecipazione politica, Sociologia del diritto, 2, 19807 ss. La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia,  Intervento in Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni negli anni '80. Atti del I Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia, 9-10-11 novembre 1979), Giustizia e Costituzione, 1980170 ss. La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia, 1981481 ss. 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Studi in onore di Renato Treves, Uberto Scarpelli e Vincenzo Tomeo, Giuffrè, Milano, Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del 28º Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona dal 28 aprile al 1º maggio 1983, Cedam, Padova  (anche in Rivista di filosofia, 198429 ss.) Intervento in Il Welfare State possibile. Saggi e interventi di Francesco Barone, … Uberto Scarpelli …, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 198483 ss. Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, 198465 ss. Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, I, Le discipline e II, I concetti, UTET, Torino, 1985. Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, 3, 1985378 ss. 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Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo, Convegno, Roma, marzo 1990, Bibliotechne, Milano, 199120 ss. I compiti dell'etica laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, 23, 19913 ss. Relazione su Charles L. Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia, Mirella Pasini e Daniele Rolando, Il Saggiatore, Milano, 199164 ss. Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Atti del convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Perugia nei giorni 9-11 novembre 1989, Savino Caprioli e Ferdinando Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare,  Filosofia del diritto, in La Filosofia, I, Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi, Torino, UTET, 1995221 ss. Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano (19 novembre 1991), Paolo Di Lucia, Giuffrè, Milano, La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in Scritti per Uberto Scarpelli, Letizia Gianformaggio e Mario Jori, Giuffrè, Milano,Il linguaggio e la politica dei giuristi, Notizie di Politeia, 71, 20038 ss. Sui compiti della filosofia del diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dattiloscritto inedito. Note a sentenza, note bibliografiche, recensioni e schede libro Nota a sentenza del Tribunale di Milano, 28 aprile 1948, soc. Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su Locazione di coseLocazione di immobili urbaniProroga ecc., in Giurisprudenza,  Nota a sentenzaDegli effetti dell'abolizione del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria, Il Foro Padano, 194950 ss. Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, 195033 ss. Tacita riconduzione e novazione, Rivista del diritto commerciale, 195095 ss. Il cosiddetto conflitto tra diritti personali di godimento e l'art. 1380 del codice civile, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Recensione a Sturzo, I discorsi politici, Roma, 1951 in Quaderni di Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di Giovanni Gentile, Firenze, 1954, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Logic and Language. Studies dedicated to Professor Carnap on the Occasion of His Seventieth Birthday, Dordrecht, 1962; Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, 1962; Morality and the Language of Conduct, (eds. Castaneda e Nakhnikian), Detroit, 1963, in Rivista di filosofia, Recensione a Findlay, Language, Mind and Value, London, 1963, in Rivista di filosofia, 196476 ss. Nuovi libri: Philosophy and Ordinary Language (ed. Caton), Urbana, 1963 e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano, 1963, in Rivista di filosofia, 1964111 ss. e 370 ss. Recensione a Rescher, The logic of commands, London, , in Rivista di filosofia, 1, 196768 ss. Nuovi libri: Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1964, in Rivista di filosofia, 1965212 Recensione a De Mauro, Introduzione alla semantica, Bari, 1965, in Rivista di filosofia, 1966343 ss. Recensione a Chomsky, Cartesian linguistics. A Chapter in the History of Rationalist Thought, London, 1966, in Rivista di filosofia, 196765 ss. Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, Roma, 1966, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia , Milano, 1967, in Rivista di filosofia, 1968245 ss. Recensione a Amato, Logica simbolica e diritto, Milano, 1969, in Rivista di filosofia, 3, 1969356 ss. Nuovi libri: Waxman (ed.), The End of Ideology Debate, New York, 1968, in Rivista di filosofia, 1969228 ss. Recensione a Care and Landesman (eds.), Readings in the Theory of Action, London,  in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Rescher, (ed.), Studies in the Philosophy of Science, Oxford, 1969; Raphael (ed.), British Moralists. 1650-1800, Oxford, Vax, L'empirisme logique, Paris, 1970, in Rivista di filosofia, Recensione a Fann (ed.), Symposium on L. J. Austin, London, 1969, Rivista di filosofia, 197190 ss. Recensione a Gulotta , Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano,  in L'Indice Penale, Note  La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli , rua.ua.es.

 

scettico -- sceptis: Cicero translated as ‘dubitatio.’ For some reason, Grice was irritated by Wood’s sobriquet of Russell as a “passionate sceptic”: ‘an oxymoron.” The most specific essay by Grice on this is an essay he kept after many years, that he delivered back in the day at Oxford, entitled, “Scepticism and common sense.” Both were traditional topics at Oxford at the time. Typically, as in the Oxonian manner, he chose two authors, New-World’s Malcolm’s treatment of Old-World Moore, and brings in Austin’s ‘ordinary-language’ into the bargain. He also brings in his own obsession with what an emissor communicates. In this case, the “p” is the philosopher’s sceptical proposition, such as “That pillar box is red.” Grice thinks ‘dogmatic’ is the opposite of ‘sceptic,’ and he is right! Liddell and Scott have “δόγμα,” from “δοκέω,” and which they render as “that which seems to one, opinion or belief;” Pl.R.538c; “δ. πόλεως κοινόν;” esp. of philosophical doctrines, Epicur.Nat.14.7; “notion,” Pl.Tht.158d; “decision, judgement,” Pl. Lg.926d; (pl.); public decree, ordinance,  esp. of Roman Senatus-consulta, “δ. συγκλήτου”  “δ. τῆς βουλῆς” So note that there is nothing ‘dogmatic’ about ‘dogma,’ as it derives from ‘dokeo,’ and is rendered as ‘that which seems to one.’ So the keyword should be later Grecian, and in the adjectival ‘dogmatic.’ Liddell and Scott have “δογματικός,” which they render as “of or for doctrines, didactic, [διάλογοι] Quint.Inst.2.15.26, and “of persons, δ. ἰατροί,” “physicians who go by general principles,” o “ἐμπειρικοί and μεθοδικοί,” Dsc.Ther.Praef., Gal.1.65; in Philosophy, S.E.M.7.1, D.L.9.70, etc.; “δ. ὑπολήψεις” Id.9.83; “δ. φιλοσοφία” S.E. P.1.4. Adv. “-κῶς” D.L.9.74, S.E.P.1.197: Comp. “-κώτερον” Id.M. 6.4. Why is Grice interested in scepticism. His initial concern, the one that Austin would authorize, relates to ‘ordinary language.’ What if ‘ordinary language’ embraces scepticism? What if it doesn’t? Strawso notes that the world of ordinary language is a world of things, causes, and stuff. None of the good stuff for the sceptic. what is Grice’s answer to the sceptic’s implicaturum? The sceptic’s implicaturum is a topic that always fascinated Girce. While Grice groups two essays as dealing with one single theme, strictly, only this or that philosopher’s paradox (not all) may count as sceptical. This or that philosopher’s paradox may well not be sceptical at all but rather dogmatic. In fact, Grice defines philosophers paradox as anything repugnant to common sense, shocking, or extravagant ‒ to Malcolms ears, that is! While it is, strictly, slightly odd to quote this as a given date just because, by a stroke of the pen, Grice writes that date in the Harvard volume, we will follow his charming practice. This is vintage Grice. Grice always takes the sceptics challenge seriously, as any serious philosopher should. Grices takes both the sceptics explicatum and the scepticss implicaturum as self-defeating, as a very affront to our idea of rationality, conversational or other. V: Conversations with a sceptic: Can he be slightly more conversational helpful? Hume’ sceptical attack is partial, and targeted only towards practical reason, though.  Yet, for Grice, reason is one. You cannot really attack practical or buletic reason without attacking theoretical or doxastic reason. There is such thing as a general rational acceptance, to use Grice’s term, that the sceptic is getting at. Grice likes to play with the idea that ultimately every syllogism is buletic or practical. If, say, a syllogism by Eddington looks doxastic, that is because Eddington cares to omit the practical tail, as Grice puts it. And Eddington is not even a philosopher, they say. Grice is here concerned with a Cantabrigian topic popularised by Moore. As Grice recollects, Some like Witters, but Moore’s my man. Unlike Cambridge analysts such as Moore, Grice sees himself as a linguistic-turn Oxonian analyst. So it is only natural that Grice would connect time-honoured scepticism of Pyrrhos vintage, and common sense with ordinary language, so mis-called, the elephant in Grices room. Lewis and Short have “σκέψις,” f. σκέπτομαι, which they render as “viewing, perception by the senses, ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων ςκέψις, Pl. Phd. 83a; observation of auguries; also as examination, speculation, consideration, τὸ εὕρημα πολλῆς σκέψιος; βραχείας ςκέψις; ϝέμειν ςκέψις take thought of a thing; ἐνθεὶς τῇ τέχνῃ ςκέψις; ςκέψις ποιεῖσθαι; ςκέψις προβέβληκας; ςκέψις λόγων; ςκέψις περί τινος inquiry into, speculation on a thing; περί τι Id. Lg. 636d;ἐπὶ σκέψιν τινὸς ἐλθεῖν; speculation, inquiry,ταῦτα ἐξωτερικωτέρας ἐστὶ σκέψεως; ἔξω τῆς νῦν ςκέψεως; οὐκ οἰκεῖα τῆς παρούσης ςκέψις; also hesitation, doubt, esp. of the Sceptic or Pyrthonic philosophers, AP 7. 576 (Jul.); the Sceptic philosophy, S. E. P. 1.5; οἱ ἀπὸ τῆς ςκέψεως, the Sceptics, ib. 229. in politics, resolution, decree, συνεδρίον Hdn. 4.3.9, cf. Poll. 6.178. If scepticism attacks common sense and fails, Grice seems to be implicating, that ordinary language philosophy is a good antidote to scepticism. Since what language other than ordinary language does common sense speak? Well, strictly, common sense doesnt speak. The man in the street does. Grice addresses this topic in a Mooreian way in a later essay, also repr. in Studies, Moore and philosophers paradoxes, repr. in Studies. As with his earlier Common sense and scepticism, Grice tackles Moores and Malcolms claim that ordinary language, so-called, solves a few of philosophers paradoxes. Philosopher is Grices witty way to generalise over your common-or-garden, any, philosopher, especially of the type he found eccentric, the sceptic included. Grice finds this or that problem in this overarching Cantabrigian manoeuvre, as over-simplifying a pretty convoluted terrain. While he cherishes Austins Some like Witters, but Moores MY man! Grice finds Moore too Cantabrigian to his taste. While an Oxonian thoroughbred, Grice is a bit like Austin, Some like Witters, but Moores my man, with this or that caveat. Again, as with his treatment of Descartes or Locke, Grice is hardly interested in finding out what Moore really means. He is a philosopher, not a historian of philosophy, and he knows it. While Grice agrees with Austins implicaturum that Moore goes well above Witters, if that is the expression (even if some like him), we should find the Oxonian equivalent to Moore. Grice would not Names Ryle, since he sees him, and his followers, almost every day. There is something apostolic about Moore that Grice enjoys, which is just as well, seeing that Moore is one of the twelve. Grice found it amusing that the members of The Conversazione Society would still be nickNamesd apostles when their number exceeded the initial 12. Grice spends some time exploring what Malcolm, a follower of Witters, which does not help, as it were, has to say about Moore in connection with that particularly Oxonian turn of phrase, such as ordinary language is. For Malcolms Moore, a paradox by philosopher [sic], including the sceptic, arises when philosopher [sic], including the sceptic, fails to abide by the dictates of ordinary language. It might merit some exploration if Moore’s defence of common sense is against: the sceptic may be one, but also the idealist. Moore the realist, armed with ordinary language attacks the idealists claim. The idealist is sceptical of the realists claim. But empiricist idealism (Bradley) has at Oxford as good pedigree as empiricist realism (Cook Wilson). Malcolm’s simplifications infuriate Grice, and ordinary language has little to offer in the defense of common sense realism against sceptical empiricist idealism. Surely the ordinary man says ridiculous, or silly, as Russell prefers, things, such as Smith is lucky, Departed spirits walk along this road on their way to Paradise, I know there are infinite stars, and I wish I were Napoleon, or I wish that I had been Napoleon, which does not mean that the utterer wishes that he were like Napoleon, but that he wishes that he had lived not in the his century but in the XVIIIth century. Grice is being specific about this. It is true that an ordinary use of language, as Malcolm suggests, cannot be self-contradictory unless the ordinary use of language is defined by stipulation as not self-contradictory, in which case an appeal to ordinary language becomes useless against this or that paradox by Philosopher. I wish that I had been Napoleon seems to involve nothing but an ordinary use of language by any standard but that of freedom from absurdity. I wish that I had been Napoleon is not, as far as Grice can see, philosophical, but something which may have been said and meant by numbers of ordinary people. Yet, I wish that I had been Napoleon is open to the suspicion of self-contradictoriness, absurdity, or some other kind of meaninglessness. And in this context suspicion is all Grice needs. By uttering I wish that I had been Napoleon U hardly means the same as he would if he uttered I wish I were like Napoleon. I wish that I had been Napoleon is suspiciously self-contradictory, absurd, or meaningless, if, as uttered by an utterer in a century other than the XVIIIth century, say, the utterer is understood as expressing the proposition that the utterer wishes that he had lived in the XVIIIth century, and not in his century, in which case he-1 wishes that he had not been him-1? But blame it on the buletic. That Moore himself is not too happy with Malcolms criticism can be witnessed by a cursory glimpse at hi reply to Malcolm. Grice is totally against this view that Malcolm ascribes to Moore as a view that is too broad to even claim to be true. Grices implicaturum is that Malcolm is appealing to Oxonian turns of phrase, such as ordinary language, but not taking proper Oxonian care in clarifying the nuances and stuff in dealing with, admittedly, a non-Oxonian philosopher such as Moore. When dealing with Moore, Grice is not necessarily concerned with scepticism. Time is unreal, e.g. is hardly a sceptic utterance. Yet Grice lists it as one of Philosophers paradoxes. So, there are various to consider here. Grice would start with common sense. That is what he does when he reprints this essay in WOW, with his attending note in both the preface and the Retrospective epilogue on how he organizes the themes and strands. Common sense is one keyword there, with its attending realism. Scepticism is another, with its attending empiricist idealism. It is intriguing that in the first two essays opening Grices explorations in semantics and metaphysics it seems its Malcolm, rather than the dryer Moore, who interests Grice most. While he would provide exegeses of this or that dictum by Moore, and indeed, Moore’s response to Malcolm, Grice seems to be more concerned with applications of his own views. Notably in Philosophers paradoxes. The fatal objection Grice finds for the paradox propounder (not necessarily a sceptic, although a sceptic may be one of the paradox propounders) significantly rests on Grices reductive analysis of meaning that  as ascribed to this or that utterer U. Grice elaborates on circumstances that hell later take up in the Retrospective epilogue. I find myself not understanding what I mean is dubiously acceptable. If meaning, Grice claims, is about an utterer U intending to get his addressee A to believe that U ψ-s that p, U must think there is a good chance that A will recognise what he is supposed to believe, by, perhaps, being aware of the Us practice or by a supplementary explanation which might come from U. In which case, U should not be meaning what Malcolm claims U might mean. No utterer should intend his addressee to believe what is conceptually impossible, or incoherent, or blatantly false (Charles Is decapitation willed Charles Is death.), unless you are Queen in Through the Looking Glass. I believe five impossible things before breakfast, and I hope youll soon get the proper training to follow suit. Cf. Tertulian, Credo, quia absurdum est. Admittedly, Grice edits the Philosophers paradoxes essay. It is only Grices final objection which is repr. in WOW, even if he provides a good detailed summary of the previous sections. Grice appeals to Moore on later occasions. In Causal theory, Grice lists, as a third philosophical mistake, the opinion by Malcolm that Moore did not know how to use knowin a sentence. Grice brings up the same example again in Prolegomena. The use of factive know of Moore may well be a misuse. While at Madison, Wisconsin, Moore lectures at a hall eccentrically-built with indirect lighting simulating sun rays, Moore infamously utters, I know that there is a window behind that curtain, when there is not. But it is not the factiveness Grice is aiming at, but the otiosity Malcolm misdescribes in the true, if baffling, I know that I have two hands. In Retrospective epilogue, Grice uses M to abbreviate Moore’s fairy godmotheralong with G (Grice), A (Austin), R (Ryle) and Q (Quine)! One simple way to approach Grices quandary with Malcolm’s quandary with Moore is then to focus on know. How can Malcolm claim that Moore is guilty of misusing know? The most extensive exploration by Grice on know is in Grices third James lecture (but cf. his seminar on Knowledge and belief, and his remarks on some of our beliefs needing to be true, in Meaning revisited. The examinee knows that the battle of Waterloo was fought in 1815. Nothing odd about that, nor about Moores uttering I know that these are my hands. Grice is perhaps the only one of the Oxonian philosophers of Austins play group who took common sense realsim so seriously, if only to crticise Malcoms zeal with it. For Grice, common-sense realism = ordinary language, whereas for the typical Austinian, ordinary language = the language of the man in the street. Back at Oxford, Grice uses Malcolm to contest the usual criticism that Oxford ordinary-language philosophers defend common-sense realist assumptions just because the way non-common-sense realist philosopher’s talk is not ordinary language, and even at Oxford. Cf. Flews reference to Joness philosophical verbal rubbish in using self as a noun. Grice is infuriated by all this unclear chatter, and chooses Malcolms mistreatment of Moore as an example. Grice is possibly fearful to consider Austins claims directly! In later essays, such as ‘the learned’ and ‘the lay,’ Grice goes back to the topic criticising now the scientists jargon as an affront to the ordinary language of the layman that Grice qua philosopher defends. scepticism, in the most common sense, the refusal to grant that there is any knowledge or justification. Skepticism can be either partial or total, either practical or theoretical, and, if theoretical, either moderate or radical, and either of knowledge or of justification. Skepticism is partial iff if and only if it is restricted to particular fields of beliefs or propositions, and total iff not thus restricted. And if partial, it may be highly restricted, as is the skepticism for which religion is only opium, or much more general, as when not only is religion called opium, but also history bunk and metaphysics meaningless. Skepticism is practical iff it is an attitude of deliberately withholding both belief and disbelief, accompanied perhaps but not necessarily by commitment to a recommendation for people generally, that they do likewise. Practical skepticism can of course be either total or partial, and if partial it can be more or less general. Skepticism is theoretical iff it is a commitment to the belief that there is no knowledge justified belief of a certain kind or of certain kinds. Such theoretical skepticism comes in several varieties. It is moderate and total iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief whatsoever, not even in logic or mathematics, nor through introspection of one’s present experience. It is radical and total iff it holds that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all. It is moderate and partial, on the other hand, iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief of a certain specific kind K or of certain specific kinds K1, . . . , Kn less than the totality of such kinds. It is radical and partial, finally, iff it holds that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all of that kind K or of those kinds K1, . . . , Kn. Grecian skepticism can be traced back to Socrates’ epistemic modesty. Suppressed by the prolific theoretical virtuosity of Plato and Aristotle, such modesty reasserted itself in the skepticism of the Academy led by Arcesilaus and later by Carneades. In this period began a long controversy pitting Academic Skeptics against the Stoics Zeno and later Chrysippus, and their followers. Prolonged controversy, sometimes heated, softened the competing views, but before agreement congealed Anesidemus broke with the Academy and reclaimed the arguments and tradition of Pyrrho, who wrote nothing, but whose Skeptic teachings had been preserved by a student, Timon in the third century B.C.. After enduring more than two centuries, neoPyrrhonism was summarized, c.200 A.D., by Sextus Empiricus Outlines of Pyrrhonism and Adversus mathematicos. Skepticism thus ended as a school, but as a philosophical tradition it has been influential long after that, and is so even now. It has influenced strongly not only Cicero Academica and De natura deorum, St. Augustine Contra academicos, and Montaigne “Apology for Raimund Sebond”, but also the great historical philosophers of the Western tradition, from Descartes through Hegel. Both on the Continent and in the Anglophone sphere a new wave of skepticism has built for decades, with logical positivism, deconstructionism, historicism, neopragmatism, and relativism, and the writings of Foucault knowledge as a mask of power, Derrida deconstruction, Quine indeterminacy and eliminativism, Kuhn incommensurability, and Rorty solidarity over objectivity, edification over inquiry. At the same time a rising tide of books and articles continues other philosophical traditions in metaphysics, epistemology, ethics, etc. It is interesting to compare the cognitive disengagement recommended by practical skepticism with the affective disengagement dear to stoicism especially in light of the epistemological controversies that long divided Academic Skepticism from the Stoa, giving rise to a rivalry dominant in Hellenistic philosophy. If believing and favoring are positive, with disbelieving and disfavoring their respective negative counterparts, then the magnitude of our happiness positive or unhappiness negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and our favoring/disfavoring with regard to that same matter. The fear of unhappiness may lead one stoically to disengage from affective engagement, on either side of any matter that escapes one’s total control. And this is a kind of practical affective “skepticism.” Similarly, if believing and truth are positive, with disbelieving and falsity their respective negative counterparts, then the magnitude of our correctness positive or error negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and the truth/falsity with regard to that same matter where the positive or negative magnitude of the truth or falsity at issue may be determined by some measure of “theoretical importance,” though alternatively one could just assign all truths a value of !1 and all falsehoods a value of †1. The fear of error may lead one skeptically to disengage from cognitive engagement, on either side of any matter that involves risk of error. And this is “practical cognitive skepticism.” We wish to attain happiness and avoid unhappiness. This leads to the disengagement of the stoic. We wish to attain the truth and avoid error. This leads to the disengagement of the skeptic, the practical skeptic. Each opts for a conservative policy, but one that is surely optional, given just the reasoning indicated. For in avoiding unhappiness the stoic also forfeits a corresponding possibility of happiness. And in avoiding error the skeptic also forfeits a corresponding possibility to grasp a truth. These twin policies appeal to conservatism in our nature, and will reasonably prevail in the lives of those committed to avoiding risk as a paramount objective. For this very desire must then be given its due, if we judge it rational. Skepticism is instrumental in the birth of modern epistemology, and modern philosophy, at the hands of Descartes, whose skepticism is methodological but sophisticated and well informed by that of the ancients. Skepticism is also a main force, perhaps the main force, in the broad sweep of Western philosophy from Descartes through Hegel. Though preeminent in the history of our subject, skepticism since then has suffered decades of neglect, and only in recent years has reclaimed much attention and even applause. Some recent influential discussions go so far as to grant that we do not know we are not dreaming. But they also insist one can still know when there is a fire before one. The key is to analyze knowledge as a kind of appropriate responsiveness to its object truth: what is required is that the subject “track” through his belief the truth of what he believes. S tracks the truth of P iff: S would not believe P if P were false. Such an analysis of tracking, when conjoined with the view of knowledge as tracking, enables one to explain how one can know about the fire even if for all one knows it is just a dream. The crucial fact here is that even if P logically entails Q, one may still be able to track the truth of P though unable to track the truth of Q. Nozick, Philosophical Explanations, 1. Many problems arise in the literature on this approach. One that seems especially troubling is that though it enables us to understand how contingent knowledge of our surroundings is possible, the tracking account falls short of enabling an explanation of how such knowledge on our part is actual. To explain how one knows that there is a fire before one F, according to the tracking account one presumably would invoke one’s tracking the truth of F. But this leads deductively almost immediately to the claim that one is not dreaming: Not D. And this is not something one can know, according to the tracking account. So how is one to explain one’s justification for making that claim? Most troubling of all here is the fact that one is now cornered by the tracking account into making combinations of claims of the following form: I am quite sure that p, but I have no knowledge at all as to whether p. And this seems incoherent. A Cartesian dream argument that has had much play in recent discussions of skepticism is made explicit by Barry Stroud, The Significance of Philosophical Scepticism, 4 as follows. One knows that if one knows F then one is not dreaming, in which case if one really knows F then one must know one is not dreaming. However, one does not know one is not dreaming. So one does not know F. Q.E.D. And why does one fail to know one is not dreaming? Because in order to know it one would need to know that one has passed some test, some empirical procedure to determine whether one is dreaming. But any such supposed test  say, pinching oneself  could just be part of a dream, and dreaming one passes the test would not suffice to show one was not dreaming. However, might one not actually be witnessing the fire, and passing the test  and be doing this in wakeful life, not in a dream  and would that not be compatible with one’s knowing of the fire and of one’s wakefulness? Not so, according to the argument, since in order to know of the fire one needs prior knowledge of one’s wakefulness. But in order to know of one’s wakefulness one needs prior knowledge of the results of the test procedure. But this in turn requires prior knowledge that one is awake and not dreaming. And we have a vicious circle. We might well hold that it is possible to know one is not dreaming even in the absence of any positive test result, or at most in conjunction with coordinate not prior knowledge of such a positive indication. How in that case would one know of one’s wakefulness? Perhaps one would know it by believing it through the exercise of a reliable faculty. Perhaps one would know it through its coherence with the rest of one’s comprehensive and coherent body of beliefs. Perhaps both. But, it may be urged, if these are the ways one might know of one’s wakefulness, does not this answer commit us to a theory of the form of A below? A The proposition that p is something one knows believes justifiably if and only if one satisfies conditions C with respect to it. And if so, are we not caught in a vicious circle by the question as to how we know  what justifies us in believing  A itself? This is far from obvious, since the requirement that we must submit to some test procedure for wakefulness and know ourselves to test positively, before we can know ourselves to be awake, is itself a requirement that seems to lead equally to a principle such as A. At least it is not evident why the proposal of the externalist or of the coherentist as to how we know we are awake should be any more closely related to a general principle like A than is the foundationalist? notion that in order to know we are awake we need epistemically prior knowledge that we test positive in a way that does not presuppose already acquired knowledge of the external world. The problem of how to justify the likes of A is a descendant of the infamous “problem of the criterion,” reclaimed in the sixteenth century and again in this century by Chisholm, Theory of Knowledge, 6, 7, and 8 but much used already by the Skeptics of antiquity under the title of the diallelus. About explanations of our knowledge or justification in general of the form indicated by A, we are told that they are inadequate in a way revealed by examples like the following. Suppose we want to know how we know anything at all about the external world, and part of the answer is that we know the location of our neighbor by knowing the location of her car in her driveway. Surely this would be at best the beginning of an answer that might be satisfactory in the end if recursive, e.g., but as it stands it cannot be satisfactory without supplementation. The objection here is based on a comparison between two appeals: the appeal of a theorist of knowledge to a principle like A in the course of explaining our knowledge or justification in general, on one side; and the appeal to the car’s location in explaining our knowledge of facts about the external world, on the other side. This comparison is said to be fatal to the ambition to explain our knowledge or justification in general. But are the appeals relevantly analogous? One important difference is this. In the example of the car, we explain the presence, in some subject S, of a piece of knowledge of a certain kind of the external world by appeal to the presence in S of some other piece of knowledge of the very same kind. So there is an immediate problem if it is our aim to explain how any knowledge of the sort in question ever comes to be unless the explication is just beginning, and is to turn recursive in due course. Now of course A is theoretically ambitious, and in that respect the theorist who gives an answer of the form of A is doing something similar to what must be done by the protagonist in our car example, someone who is attempting to provide a general explanation of how any knowledge of a certain kind comes about. Nevertheless, there is also an important difference, namely that the theorist whose aim it is to give a general account of the form of A need not attribute any knowledge whatsoever to a subject S in explaining how that subject comes to have a piece of knowledge or justified belief. For there is no need to require that the conditions C appealed to by principle A must be conditions that include attribution of any knowledge at all to the subject in question. It is true that in claiming that A itself meets conditions C, and that it is this which explains how one knows A, we do perhaps take ourselves to know A or at least to be justified in believing it. But if so, this is the inevitable lot of anyone who seriously puts forward any explanation of anything. And it is quite different from a proposal that part of what explains how something is known or justifiably believed includes a claim to knowledge or justified belief of the very same sort. In sum, as in the case of one’s belief that one is awake, the belief in something of the form of A may be said to be known, and in so saying one does not commit oneself to adducing an ulterior reason in favor of A, or even to having such a reason in reserve. One is of course committed to being justified in believing A, perhaps even to having knowledge that A. But it is not at all clear that the only way to be justified in believing A is by way of adduced reasons in favor of A, or that one knows A only if one adduces strong enough reasons in its favor. For we often know things in the absence of such adduced reasons. Thus consider one’s knowledge through memory of which door one used to come into a room that has more than one open door. Returning finally to A, in its case the explanation of how one knows it may, once again, take the form of an appeal to the justifying power of intellectual virtues or of coherence  or both. Recent accounts of the nature of thought and representation undermine a tradition of wholesale doubt about nature, whose momentum is hard to stop, and threatens to leave the subject alone and restricted to a solipsism of the present moment. But there may be a way to stop skepticism early  by questioning the possibility of its being sensibly held, given what is required for meaningful language and thought. Consider our grasp of observable shape and color properties that objects around us might have. Such grasp seems partly constituted by our discriminatory abilities. When we discern a shape or a color we do so presumably in terms of a distinctive impact that such a shape or color has on us. We are put systematically into a certain distinctive state X when we are appropriately related, in good light, with our eyes open, etc., to the presence in our environment of that shape or color. What makes one’s distinctive state one of thinking of sphericity rather than something else, is said to be that it is a state tied by systematic causal relations to skepticism skepticism 849   849 the presence of sphericity in one’s normal environment. A light now flickers at the end of the skeptic’s tunnel. In doubt now is the coherence of traditional skeptical reflection. Indeed, our predecessors in earlier centuries may have moved in the wrong direction when they attempted a reduction of nature to the mind. For there is no way to make sense of one’s mind without its contents, and there is no way to make sense of how one’s mind can have such contents except by appeal to how one is causally related to one’s environment. If the very existence of that environment is put in doubt, that cuts the ground from under one’s ability reasonably to characterize one’s own mind, or to feel any confidence about its contents. Perhaps, then, one could not be a “brain in a vat.” Much contemporary thought about language and the requirements for meaningful language thus suggests that a lot of knowledge must already be in place for us to be able to think meaningfully about a surrounding reality, so as to be able to question its very existence. If so, then radical skepticism answers itself. For if we can so much as understand a radical skepticism about the existence of our surrounding reality, then we must already know a great deal about that reality.  Sceptics, those ancient thinkers who developed sets of arguments to show either that no knowledge is possible Academic Skepticism or that there is not sufficient or adequate evidence to tell if any knowledge is possible. If the latter is the case then these thinkers advocated suspending judgment on all question concerning knowledge Pyrrhonian Skepticism. Academic Skepticism gets its name from the fact that it was formulated in Plato’s Academy in the third century B.C., starting from Socrates’ statement, “All I know is that I know nothing.” It was developed by Arcesilaus c.268241 and Carneades c.213129, into a series of arguments, directed principally against the Stoics, purporting to show that nothing can be known. The Academics posed a series of problems to show that what we think we know by our senses may be unreliable, and that we cannot be sure about the reliability of our reasoning. We do not possess a guaranteed standard or criterion for ascertaining which of our judgments is true or false. Any purported knowledge claim contains some element that goes beyond immediate experience. If this claim constituted knowledge we would have to know something that could not possibly be false. The evidence for the claim would have to be based on our senses and our reason, both of which are to some degree unreliable. So the knowledge claim may be false or doubtful, and hence cannot constitute genuine knowledge. So, the Academics said that nothing is certain. The best we can attain is probable information. Carneades is supposed to have developed a form of verification theory and a kind of probabilism, similar in some ways to that of modern pragmatists and positivists. Academic Skepticism dominated the philosophizing of Plato’s Academy until the first century B.C. While Cicero was a student there, the Academy turned from Skepticism to a kind of eclectic philosophy. Its Skeptical arguments have been preserved in Cicero’s works, Academia and De natura deorum, in Augustine’s refutation in his Contra academicos, as well as in the summary presented by Diogenes Laertius in his lives of the Grecian philosophers. Skeptical thinking found another home in the school of the Pyrrhonian Skeptics, probably connected with the Methodic school of medicine in Alexandria. The Pyrrhonian movement traces its origins to Pyrrho of Elis c.360275 B.C. and his student Timon c.315225 B.C.. The stories about Pyrrho indicate that he was not a theoretician but a practical doubter who would not make any judgments that went beyond immediate experience. He is supposed to have refused to judge if what appeared to be chariots might strike him, and he was often rescued by his students because he would not make any commitments. His concerns were apparently ethical. He sought to avoid unhappiness that might result from accepting any value theory. If the theory was at all doubtful, accepting it might lead to mental anguish. The theoretical formulation of Pyrrhonian Skepticism is attributed to Aenesidemus c.100 40 B.C.. Pyrrhonists regarded dogmatic philosophers and Academic Skeptics as asserting too much, the former saying that something can be known and the latter that nothing can be known. The Pyrrhonists suspended judgments on all questions on which there was any conflicting evidence, including whether or not anything could be known. The Pyrrhonists used some of the same kinds of arguments developed by Arcesilaus and Carneades. Aenesidemus and those who followed after him organized the arguments into sets of “tropes” or ways of leading to suspense of judgment on various questions. Sets of ten, eight, five, and two tropes appear in the only surviving writing of the Pyrrhonists, the works of Sextus Empiricus, a third-century A.D. teacher of Pyrrhonism. Each set of tropes offers suggestions for suspending judgment about any knowledge claims that go beyond appearances. The tropes seek to show that for any claim, evidence for and evidence against it can be offered. The disagreements among human beings, the variety of human experiences, the fluctuation of human judgments under differing conditions, illness, drunkenness, etc., all point to the opposition of evidence for and against each knowledge claim. Any criterion we employ to sift and weigh the evidence can also be opposed by countercriterion claims. Given this situation, the Pyrrhonian Skeptics sought to avoid committing themselves concerning any kind of question. They would not even commit themselves as to whether the arguments they put forth were sound or not. For them Skepticism was not a statable theory, but rather an ability or mental attitude for opposing evidence for and against any knowledge claim that went beyond what was apparent, that dealt with the non-evident. This opposing produced an equipollence, a balancing of the opposing evidences, that would lead to suspending judgment on any question. Suspending judgment led to a state of mind called “ataraxia,” quietude, peace of mind, or unperturbedness. In such a state the Skeptic was no longer concerned or worried or disturbed about matters beyond appearances. The Pyrrhonians averred that Skepticism was a cure for a disease called “dogmatism” or rashness. The dogmatists made assertions about the non-evident, and then became disturbed about whether these assertions were true. The disturbance became a mental disease or disorder. The Pyrrhonians, who apparently were medical doctors, offered relief by showing the patient how and why he should suspend judgment instead of dogmatizing. Then the disease would disappear and the patient would be in a state of tranquillity, the peace of mind sought by Hellenistic dogmatic philosophers. The Pyrrhonists, unlike the Academic Skeptics, were not negative dogmatists. The Pyrrhonists said neither that knowledge is possible nor that it is impossible. They remained seekers, while allowing the Skeptical arguments and the equipollence of evidences to act as a purge of dogmatic assertions. The purge eliminates all dogmas as well as itself. After this the Pyrrhonist lives undogmatically, following natural inclinations, immediate experience, and the laws and customs of his society, without ever judging or committing himself to any view about them. In this state the Pyrrhonist would have no worries, and yet be able to function naturally and according to law and custom. The Pyrrhonian movement disappeared during the third century A.D., possibly because it was not considered an alternative to the powerful religious movements of the time. Only scant traces of it appear before the Renaissance, when the texts of Sextus and Cicero were rediscovered and used to formulate a modern skeptical view by such thinkers as Montaigne and Charron.  Refs.: The obvious source is the essay on scepticism in WoW, but there are allusions in “Prejudices and predilections, and elsewhere, in The H. P. Grice Papers, BANC

 

ozio – scuola -- otium -- schole“ The Grecian term for ‘otium.’” “Not to be confused with ‘studium’ as in ‘studium generale.’ Scholasticism, a set of scholarly and instructional techniques developed in Western European schools of the late medieval period, including the use of commentary and disputed question. ‘Scholasticism’ is derived from Latin scholasticus, which in the twelfth century meant the master of a school. The Scholastic method is usually presented as beginning in the law schools  notably at Bologna  and as being then transported into theology and philosophy by a series of masters including Abelard and Peter Lombard. Within the new universities of the thirteenth century the standardization of the curriculum and the enormous prestige of Aristotle’s work despite the suspicion with which it was initially greeted contributed to the entrenchment of the method and it was not until the educational reforms of the beginning of the sixteenth century that it ceased to be dominant. There is, strictly speaking, no such thing as Scholasticism. As the term was originally used it presupposed that a single philosophy was taught in the universities of late medieval Europe, but there was no such philosophy. The philosophical movements working outside the universities in the late sixteenth and early seventeenth centuries and the “neo-Scholastics” of the late nineteenth and early twentieth centuries all found such a presupposition useful, and their influence led scholars to assume it. At first this generated efforts to find a common core in the philosophies taught in the late medieval schools. More recently it has led to efforts to find methods characteristic of their teaching, and to an extension of the term to the schools of late antiquity and of Byzantium. Both among the opponents of the schools in the seventeenth century and among the “neoScholastics,” ‘Scholasticism’ was supposed to designate a doctrine whose core was the doctrine of substance and accidents. As portrayed by Descartes and Locke, the Scholastics accepted the view that among the components of a thing were a substantial form and a number of real accidental forms, many of which corresponded to perceptible properties of the thing  its color, shape, temperature. They were also supposed to have accepted a sharp distinction between natural and unnatural motion. 

 

sciacca: Giuseppe Maria Sciacca (Messina), filosofo. Allievo e assistente a Palermo di Renda, volse il suo interesse verso la filosofia kantiana, tema a cui dedicò un primo lavoro nel 1945, La funzione della libertà nella formazione del sistema kantiano a cui fece seguito, nel 1963, il saggio L'idea della libertà. Fondamento della coscienza etico-politica, che riproduceva, in appendice, la memoria del 1945.  Professore Emerito di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere dell'Palermo, è stato presidente della Società filosofica italiana Autore di numerosi saggi, il filosofo si è espresso attraverso una ricca . Opere; Filosofi che si confessano, Guido D'Anna editore, Messina,  Il fondamento della sterēsis nella "Filosofia dell'azione", Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo, Il concetto di tiranno, dai greci a Coluccio Salutati, U. Manfredi editore Palermo, 1953; La visione della vita nell'Umanesimo e Coluccio Salutati, Palermo Politica e vita spirituale, ed. Palumbo, Palermo, Gli Dei in Protagora, ed. Palumbo, Esistenza e realtà in Husserl, ed. Palumbo, Palermo, Esistenza e realtà, Palermo, L'Idea della libertà in Kant. Fondamento della coscienza etico-politica, ed. Palumbo, Palermo, Scetticismo cristiano, ed. Palumbo, Palermo, Ritorno alla saggezza, ed. Palumbo, Palermo, L'uomo senza Adamo, ed. Palumbo6; Sapere e alienazione, ed. Palumbo, Palermo, 1 Il Segno, quel Segno, ed. Cappelli, Bologna. Pubblicato l'anno dopo in "Reale accademia di lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica.  Alessandro De Bono, Giuseppe Maria Sciacca. La vita e la filosofia, Alessandria della Rocca, M.K.N.,Caterina Genna, «Antonio Renda e Giuseppe Maria Sciacca: due testimoni della tradizione neokantiana», in Piero di Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo, FrancoAngeli, "Bollettino quadrimestrale della Società Filosofica Italiana", Piero Di Giovanni, L'opera e il pensiero di Giuseppe Maria Sciacca M. , Scritti di Giuseppe Maria Sciacca  Armando Plebe Piero Di Giovanni

 

sciacca: Lapide commemorativa in onore di Sciacca posta all'interno del liceo classico "Michele Amari" di Giarre «La filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla "verità" delle lacrime e dei sorrisi.»  (da Atto ed essere) Michele Federico Sciacca (Giarre), filosofo. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, nella cui università si laureò in filosofia, nel 1930, con Antonio Aliotta. Cominciò quindi, dopo aver conseguito la libera docenza in filosofia, la carriera universitaria a Napoli, come assistente incaricato di storia della filosofia antica e collaborando come condirettore alla rivista Logos fondata e diretta da Aliotta. Fondò la rivista Il Giornale di Metafisica. Molto intenso fu il suo rapporto filosofico e di stima reciproca con Giovanni Gentile, un sodalizio iniziato nel 1933 e testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto Sciacca si allontanò, in particolare dal filone di pensiero idealistico, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo cristiano che quella dello spiritualismo cristiano.  Conseguì l'ordinariato nel 1938, con cattedra all'Pavia, quindi insegnò, dal 1947 alla morte prematura, filosofia teoretica presso l'Genova, che in seguito gli intitolò il proprio Dipartimento di Studi sulla Storia del Pensiero Europeo. Dal 1959 al 1974, ricoprì anche la carica di presidente dell'Accademia di studi italo-tedeschi di Merano. A Genova morì nel 1975.  Storico della filosofia, studioso e profondo conoscitore del pensiero del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, promotore della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di Stresa nel 1966, Sciacca è una delle principali figure dello spiritualismo filosofico del Novecento, a cui pervenne dopo i primi interessi per l'attualismo gentiliano ed i successivi, più impegnativi studi sullo spiritualismo cristiano, anche interpretandolo in modo originale, delineando un particolare percorso di continuità che, connettendo la metafisica classica al pensiero filosofico moderno, perviene a concepire un'apertura del soggetto personalecome creaturaverso l'attualità assoluta dell'Essere («filosofia dell'integralità»). La sua memoria è ricordata principalmente attraverso le opere dei suoi due allievi, Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello, entrambi docenti dell'ateneo genovese.  È sepolto presso il Sacro Monte di Domodossola, casa madre dei rosminiani, dove infatti riposano le spoglie di molti membri appartenuti alla congregazione.  Opere principali S. AgostinoMorcelliana, Brescia. L'Anima Morcelliana, Brescia. La filosofia morale di Antonio Rosmini Fratelli Bocca, Torino. Atto ed essere Fratelli Bocca, Torino. Interpretazioni rosminiane Marzorati, Milano. Come si vince a WaterlooMarzorati, Milano.  La filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei scientificiCremonese, Roma. PlatoneMarzorati, Milano.Filosofia e antifilosofia Marzorati, Milano. La Chiesa e la civiltà moderna Marzorati, Milano. Pagine di critica letteraria Marzorati, Milano. L'oscuramento dell'intelligenza Marzorati, Milano. Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice peloritana, Messina. Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación Universitaria Española, Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo. Atto ed essereL'Epos, Palermo.  Il magnifico oggiL'Epos, Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo.  La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 91, Anno .  Cfr. CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, 1 Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, Michele Schiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianismo, Stresa (VB), Edizioni Rosminiane Sodalitas, Antimo Negri, Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Forlì, Edizioni di Ethica,  Emilio Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo nel pensiero di Michele F. Sciacca, Milano, Marzorati, La filosofia di M.F. Sciacca, Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, Michele Federico Sciacca, Stresa (VB), Estratti della Rivista Rosminiana, Maria Adelaide Raschini, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio Editori, Pier Paolo Ottonello, Sciacca. L'anticonformismo costruttivo, Venezia, Marsilio Editori, 2000. Alessandra Modugno, Heidegger e Sciacca. Essere, persona, libertà, tempo, Venezia, Marsilio Editori, H.M. Ortiz, "Muerte e inmortalidad" de Sciacca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, . Michele Shiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianesimo , Collana di studi filosofici rosminiani (n. 14), Domodossola (NO) ; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Michele Federico Sciacca  Michele Federico Sciacca, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Michele Federico Sciacca, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.   Pubblicazioni di Michele Federico Sciacca, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Sito dedicato alla vita ed alle opere di M.F. Sciacca, su fondazionesciacca.it. Profilo biografico, su pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org. F

 

scitum: Grice: “The Italians are witty. They have ‘sciente,’ and ‘consciente.’ The etymology is fascinating: and analogous to Greek ‘criterion.’ To ‘know’ is to be able to separate, to analyse.’” scire -- sapio -- sapientia: wisdom, an understanding of the highest principles of things that functions as a guide for living a truly exemplary human life. From the preSocratics through Plato this was a unified notion. But Aristotle introduced a distinction between theoretical wisdom sophia and practical wisdom phronesis, the former being the intellectual virtue that disposed one to grasp the nature of reality in terms of its ultimate causes metaphysics, the latter being the ultimate practical virtue that disposed one to make sound judgments bearing on the conduct of life. The former invoked a contrast between deep understanding versus wide information, whereas the latter invoked a contrast between sound judgment and mere technical facility. This distinction between theoretical and practical wisdom persisted through the Middle Ages and continues to our own day, as is evident in our use of the term ‘wisdom’ to designate both knowledge of the highest kind and the capacity for sound judgment in matters of conduct. Grice: “The etymology of ‘sapientia’ is excellentit’s like taste!” săpĭo , īvi or ĭi (sapui, Aug. Civ. Dei, 1, 10; id. Ep. 102, 10; but sapivi, Nov. ap. Prisc. p. 879 P.; id. ap. Non. 508, 21: I.“saPisti,” Mart. 9, 6, 7: “sapisset,” Plaut. Rud. 4, 1, 8), 3, v. n. and a. [kindr. with ὀπός, σαφής, and σοφός], to taste, savor; to taste, smack, or savor of, to have a taste or flavor of a thing (cf. gusto). I. Lit. (so only in a few examples). 1. Of things eaten or drunk: “oleum male sapiet,” Cato, R. R. 66, 1: “occisam saepe sapere plus multo suem,” Plaut. Mil. 2, 6, 104: “quin caseus jucundissime sapiat,” Col. 7, 8, 2: “nil rhombus nil dama sapit,” Juv. 11, 121.—With an acc. of that of or like which a thing tastes: “quis (piscis) saperet ipsum mare,” Sen. Q. N. 3, 18, 2: “cum in Hispaniā multa mella herbam eam sapiunt,” Plin. 11, 8, 8, § 18: “ipsum aprum (ursina),” Petr. 66, 6.—Poet.: anas plebeium sapit, has a vulgar taste, Petr. poët. 93, 2: “quaesivit quidnam saperet simius,” Phaedr. 3, 4, 3.—* 2. Of that which tastes, to have a taste or a sense of taste (perh. so used for the sake of the play upon signif. II.): “nec sequitur, ut, cui cor sapiat, ei non sapiat palatus,” Cic. Fin. 2, 8, 24.— 3. Transf., of smell, to smell of or like a thing (syn.: oleo, redoleo; very rare): Cicero, Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram quam crocum sapiunt. Hoc enim maluit dixisse quam redolent. Ita est profecto; “illa erit optima, quae unguenta sapiat,” Plin. 17, 5, 3, § 38: “invenitur unguenta gratiosiora esse, quae terram, quam quae crocum sapiunt,” id. 13, 3, 4, § 21.—In a lusus verbb. with signif. II.: istic servus quid sapit? Ch. Hircum ab alis, Plaut. Ps. 2, 4, 47.— II. Trop. 1. To taste or smell of, savor of, i. e., a. To resemble (late Lat.): “patruos,” Pers. 1, 11.— b. To suggest, be inspired by: “quia non sapis ea quae Dei sunt,” Vulg. Matt. 16, 23; id. Marc. 8, 33.— c. Altum or alta sapere, to be high-minded or proud: “noli altum sapere,” Vulg. Rom. 11, 20: “non alta sapientes,” id. ib. 12, 16.— 2. To have good taste, i.e. to have sense or discernment; to be sensible, discreet, prudent, wise, etc. (the predominant signif. in prose and poetry; most freq. in the P. a.). (α). Neutr., Plaut. Ps. 2, 3, 14: “si aequum siet Me plus sapere quam vos, dederim vobis consilium catum, etc.,” id. Ep. 2, 2, 73 sq.: “jam diu edepol sapientiam tuam abusa est haec quidem. Nunc hinc sapit, hinc sentit,” id. Poen. 5, 4, 30; cf.: “populus est moderatior, quoad sentit et sapit tuerique vult per se constitutam rem publicam,” Cic. Rep. 1, 42, 65; “so (with sentire),” Plaut. Am. 1, 1, 292; id. Bacch. 4, 7, 19; id. Merc. 2, 2, 24; id. Trin. 3, 2, 10 sq.; cf.: “qui sapere et fari possit quae sentiat,” Hor. Ep. 1, 4, 9; Plaut. Bacch. 1, 2, 14: “magna est admiratio copiose sapienterque dicentis, quem qui audiunt intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur,” Cic. Off. 2, 14, 48: “veluti mater Plus quam se sapere Vult (filium),” Hor. Ep. 1, 18, 27: “qui (puer) cum primum sapere coepit,” Cic. Fam. 14, 1, 1; Poët. ap. Cic. Fam. 7, 16, 1: “malo, si sapis, cavebis,” if you are prudent, wise, Plaut. Cas. 4, 4, 17; so, “si sapis,” id. Eun. 1, 1, 31; id. Men. 1, 2, 13; id. Am. 1, 1, 155; id. Aul. 2, 9, 5; id. Curc. 1, 1, 28 et saep.; Ter. Eun. 4, 4, 53; id. Heaut. 2, 3, 138: “si sapias,” Plaut. Merc. 2, 3, 39; 4, 4, 61; id. Poen. 1, 2, 138; Ter. Heaut. 3, 3, 33; Ov. H. 5, 99; 20, 174: “si sapies,” Plaut. Bacch. 4, 9, 78; id. Rud. 5, 3, 35; Ter. Heaut. 4, 4, 26; Ov. M. 14, 675: “si sapiam,” Plaut. Men. 4, 2, 38; id. Rud. 1, 2, 8: “si sapiet,” id. Bacch. 4, 9, 74: “si saperet,” Cic. Quint. 4, 16: hi sapient, * Caes. B. G. 5, 30: Ph. Ibo. Pl. Sapis, you show your good sense, Plaut. Mil. 4, 8, 9; id. Merc. 5, 2, 40: “hic homo sapienter sapit,” id. Poen. 3, 2, 26: “quae (meretrix) sapit in vino ad rem suam,” id. Truc. 4, 4, 1; cf. id. Pers. 1, 3, 28: “ad omnia alia aetate sapimus rectius,” Ter. Ad. 5, 3, 46: “haud stulte sapis,” id. Heaut. 2, 3, 82: “te aliis consilium dare, Foris sapere,” id. ib. 5, 1, 50: “pectus quoi sapit,” Plaut. Bacch. 4, 4, 12; id. Mil. 3, 1, 191; id. Trin. 1, 2, 53; cf.: “cui cor sapiat,” Cic. Fin. 2, 8, 24: “id (sc. animus mensque) sibi solum per se sapit, id sibi gaudet,” Lucr. 3, 145.— (β). Act., to know, understand a thing (in good prose usually only with general objects): “recte ego rem meam sapio,” Plaut. Ps. 1, 5, 81: “nullam rem,” id. Most. 5, 1, 45: qui sibi semitam non sapiunt, alteri monstrant viam, Poët. ap. Cic. Div. 1, 58, 132; Cic. Att. 14, 5, 1; Plaut. Mil. 2, 3, 65; cf.: “quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus potest?” Cic. Fam. 7, 28, 1: “quantum ego sapio,” Plin. Ep. 3, 6, 1: “jam nihil sapit nec sentit,” Plaut. Bacch. 4, 7, 22: “nihil,” Cic. Tusc. 2, 19, 45: “plane nihil,” id. Div. in Caecil. 17, 55: nihil parvum, i. e. to occupy one's mind with nothing trivial (with sublimia cures), Hor. Ep. 1, 12, 15; cf.: cum sapimus patruos, i.e. resemble them, imitate them in severity, Pers. 1, 11. — 3. Prov.: sero sapiunt Phryges, are wise behind the time; or, as the Engl. saying is, are troubled with afterwit: “sero sapiunt Phryges proverbium est natum a Trojanis, qui decimo denique anno velle coeperant Helenam quaeque cum eā erant rapta reddere Achivis,” Fest. p. 343 Müll.: “in Equo Trojano (a tragedy of Livius Andronicus or of Naevius) scis esse in extremo, Sero sapiunt. Tu tamen, mi vetule, non sero,” Cic. Fam. 7, 16, 1.—Hence, să-pĭens , entis (abl. sing. sapiente, Ov. M. 10, 622; gen. plur. sapientum, Lucr. 2, 8; Hor. S. 2, 3, 296; “but sapientium,” id. C. 3, 21, 14)a. (acc. to II.), wise, knowing, sensible, well-advised, discreet, judicious (cf. prudens). A. In gen.: “ut quisque maxime perspicit, quid in re quāque verissimum sit, quique acutissime et celerrime potest et videre et explicare rationem, is prudentissimus et sapientissimus rite haberi solet,” Cic. Off. 1, 5, 16; cf.: “sapientissimum esse dicunt eum, cui quod opus sit ipsi veniat in mentem: proxume acceder illum, qui alterius bene inventis obtemperet,” id. Clu. 31, 84: “M. Bucculeius, homo neque meo judicio stultus et suo valde sapiens,” id. de Or. 1, 39, 179: “rex aequus ac sapiens,” id. Rep. 1, 26, 42; cf.: “Cyrus justissimus sapientissimusque rex,” id. ib. 1, 27, 43: “bonus et sapiens et peritus utilitatis civilis,” id. ib. 2, 29, 52: “o, Neptune lepide, salve, Neque te aleator ullus est sapientior,” Plaut. Rud. 2, 3, 29: “quae tibi mulier videtur multo sapientissima?” id. Stich. 1, 2, 66: “(Aurora) ibat ad hunc (Cephalum) sapiens a sene diva viro,” wise, discreet, Ov. H. 4, 96 Ruhnk.; so, “puella,” id. M. 10, 622: “mus pusillus quam sit sapiens bestia,” Plaut. Truc. 4, 4, 15; id. As. 3, 3, 114 et saep.—With gen. (analogous to gnarus, peritus, etc.): “qui sapiens rerum esse humanarum velit,” Gell. 13, 8, 2.—Subst.: săpĭens , entis, m., a sensible, shrewd, knowing, discreet, or judicious person: “semper cavere hoc sapientes aequissimumst,” Plaut. Rud. 4, 7, 20; cf.: “omnes sapientes suom officium aequom est colere et facere,” id. Stich. 1, 1, 38; id. Trin. 2, 2, 84: “dictum sapienti sat est,” id. Pers. 4, 7, 19; Ter. Phorm. 3, 3, 8; Plaut. Rud. 2, 4, 15 sq.: “insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,” Hor. Ep. 1, 6, 15: “sapiens causas reddet,” id. S. 1, 4, 115: “quali victu sapiens utetur,” id. ib. 2, 2, 63; 1, 3, 132.—In a lusus verbb. with the signif. of sapio, I., a person of nice taste: “qui utuntur vino vetere sapientes puto Et qui libenter veteres spectant fabulas,” good judges, connoisseurs, Plaut. Cas. prol. 5: fecundae leporis sapiens sectabitur armos, Hor. S. 2, 4, 44.—As a surname of the jurists Atilius, C. Fabricius, M'. Curius, Ti. Coruncanius, Cato al., v. under B. fin.— b. Of abstract things: “opera,” Plaut. Pers. 4, 5, 2: “excusatio,” Cic. Att. 8, 12, 2: “modica et sapiens temperatio,” id. Leg. 3, 7, 17: “mores,” Plaut. Rud. 4, 7, 25: “verba,” Ter. Ad. 5, 1, 7: “consilium,” Ov. M. 13, 433: “Ulixes, vir sapienti facundiā praeditus,” Gell. 1, 15, 3: “morus, quae novissima urbanarum germinat, nec nisi exacto frigore, ob id dicta sapientissima arborum,” Plin. 16, 25, 41, § 102.— B. After the predominance of Grecian civilization and literature, particularly of the Grecian philosophy, like σοφός, well acquainted with the true value of things, wise; and subst., a wise man, a sage (in Cic. saepiss.): ergo hic, quisquis est, qui moderatione et constantiā quietus animo est sibique ipse placatus ut nec tabescat molestiis nec frangatur timore nec sitienter quid expetens ardeat desiderio nec alacritate futili gestiens deliquescat; “is est sapiens quem quaerimus, is est beatus,” Cic. Tusc. 4, 17, 37: “sapientium praecepta,” id. Rep. 3, 4, 7: “si quod raro fit, id portentum putandum est: sapientem esse portentum est. Saepius enim mulam peperisse arbitror, quam sapientem fuisse,” id. Div. 2, 28, 61: “statuere quid sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis,” id. Ac. 2, 3, 9; cf. id. Rep. 1, 29, 45.—So esp. of the seven wise men of Greece: “ut ad Graecos referam orationem ... septem fuisse dicuntur uno tempore, qui sapientes et haberentur et vocarentur,” Cic. de Or. 3, 34, 137: “eos vero septem quos Graeci sapientes nominaverunt,” id. Rep. 1, 7, 12: “sapienti assentiri ... se sapientem profiteri,” id. Fin. 2,3, 7.—Ironically: “sapientum octavus,” Hor. S. 2, 3, 296.—With the Romans, an appellation of Lœlius: te, Laeli, sapientem et appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni: scimus L. Atilium apud patres nostros appellatum esse sapientem, sed uterque alio quodam modo: Atilius, qui prudens esse in jure civili putabatur; “Cato quia multarum rerum usum habebat ... propterea quasi cognomen jam habebat in senectute sapientis ... Athenis unum accepimus et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum judicatum,” Cic. Lael. 2, 6; cf.: “numquam ego dicam C. Fabricium, M'. Curium, Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri majores judicabant, ad istorum normam fuisse sapientes,” id. ib. 5, 18: “ii, qui sapientes sunt habiti, M. Cato et C. Laelius,” id. Off. 3, 4, 16; Val. Max. 4, 1, ext. 7; Lact. 4, 1.—Hence, adv.: săpĭen-ter , sensibly, discreetly, prudently, judiciously, wisely: “recte et sapienter facere,” Plaut. Am. 1, 1, 133; id. Mil. 3, 3, 34: “consulere,” id. ib. 3, 1, 90: “insipienter factum sapienter ferre,” id. Truc. 4, 3, 33: “factum,” id. Aul. 3, 5, 3: “dicta,” id. Rud. 4, 7, 24: “quam sapienter jam reges hoc nostri viderint,” Cic. Rep. 2, 17, 31: “provisa,” id. ib. 4, 3, 3: “a majoribus prodita fama,” id. ib. 2, 2, 4: “considerate etiam sapienterque fecerunt,” id. Phil. 4, 2, 6; 13, 6, 13: “vives sapienter,” Hor. Ep. 1, 10, 44: “agendum,” Ov. M. 13, 377: “temporibus uti,” Nep. Epam. 3, 1; Hor. C. 4, 9, 48.—Comp.: “facis sapientius Quam pars latronum, etc.,” Plaut. Curc. 4, 3, 15; id. Poen. prol. 7: “nemo est, qui tibi sapientius suadere possit te ipso,” Cic. Fam. 2, 7, 1: “sapientius fecisse,” id. Brut. 42, 155.—Sup.: “quod majores nostros et proisse maxime et retinuisse sapientissime judico,” Cic. Rep. 2, 37, 63. Vide H. P. Grice, “Philosophy: love of wisdom, love of taste,” BANC.

 

res: reale: Grice: “Possibly the philosophically most important Roman neuter expression,” -- is res! "Unfortunately, the etymology is dubious." "Perhaps "res" comes from a root ra- of reor, ratus."- to reckon, calculate, believe, think, suppose, imagine, judge, deem, as in English 'ratify,' and 'reason.'  "I am reminded of German "ding;" English "thing," from "denken," to think; prop., that which is thought of." "I am also reminded of "λόγος," Lid. and Scott, 9, a thing, object, being; a matter, affair, event, fact, circumstance, occurrence, deed, condition, case, etc.; and sometimes merely = something (cf.: causa, ratio, negotium)." realism, the view that the subject matter of common sense or scientific research and scientific theories exists independently of our knowledge of it, and that the goal of science is the description and explanation of both observable and unobservable aspects of the world. Scientific realism is contrasted with logical empiricism and social constructivism. Early arguments for scientific realism simply stated that, in light of the impressive products and methods of science, realism is the only philosophy that does not make the success of science a miracle. Formulations of scientific realism focus on the objects of theoretical knowledge: theories, laws, and entities. One especially robust argument for scientific realism due to Putnam and Richard Boyd is that the instrumental reliability of scientific methodology in the mature sciences such as physics, chemistry, and some areas of biology can be explained adequately only if we suppose that theories in the mature sciences are at least approximately true and their central theoretical terms are at least partially referential Putnam no longer holds this view. More timid versions of scientific realism do not infer approximate truth of mature theories. For example, Ian Hacking’s “entity realism” 3 asserts that the instrumental manipulation of postulated entities to produce further effects gives us legitimate grounds for ontological commitment to theoretical entities, but not to laws or theories. Paul Humphreys’s “austere realism” 9 states that only theoretical commitment to unobserved structures or dispositions could explain the stability of observed outcomes of scientific inquiry. Distinctive versions of scientific realism can be found in works by Richard Boyd 3, Philip Kitcher 3, Richard Miller 7, William Newton-Smith 1, and J. D. Trout 8. Despite their differences, all of these versions of realism are distinguished  against logical empiricism  by their commitment that knowledge of unobservable phenomena is not only possible but actual. As well, all of the arguments for scientific realism are abductive; they argue that either the approximate truth of background theories or the existence of theoretical entities and laws provides the best explanation for some significant fact about the scientific theory or practice. Scientific realists address the difference between real entities and merely useful constructs, arguing that realism offers a better explanation for the success of science. In addition, scientific realism recruits evidence from the history and practice of science, and offers explanations for the success of science that are designed to honor the dynamic and uneven character of that evidence. Most arguments for scientific realism cohabit with versions of naturalism. Anti-realist opponents argue that the realist move from instrumental reliability to truth is question-begging. However, realists reply that such formal criticisms are irrelevant; the structure of explanationist arguments is inductive and their principles are a posteriori. 

 

applicatum, extensum -- extensio: scope, the “part” of the sentence or proposition to which a given term “applies” under a given interpretation of the sentence. If the sentence ‘Abe does not believe Ben died’ is interpreted as expressing the proposition that Abe believes that it is not the case that Ben died, the scope of ‘not’ is ‘Ben died’; interpreted as “It is not the case that Abe believes that Ben died,” the scope is the rest of the sentence, i.e., ‘Abe believes Ben died’. In the first case we have narrow scope, in the second wide scope. If ‘Every number is not even’ is interpreted with narrow scope, it expresses the false proposition that every number is non-even, which is logically equivalent to the proposition that no number is even. Taken with wide scope it expresses the truth that not every number is even, which is equivalent to the truth that some number is non-even. Under normal interpretations of the sentences, ‘hardened’ has narrow scope in ‘Carl is a hardened recidivist’, whereas ‘alleged’ has wide scope in ‘Dan is an alleged criminal’. Accordingly, ‘Carl is a hardened recidivist’ logically implies ‘Carl is a recidivist’, whereas ‘Dan is an alleged criminal’, being equivalent to ‘Allegedly, Dan is a criminal’, does not imply ‘Dan is a criminal’. Scope considerations are useful in analyzing structural ambiguity and in understanding the difference between the grammatical form of a sentence and the logical form of a proposition it expresses. In a logically perfect language grammatical form mirrors logical form, there is no scope ambiguity, and the scope of a given term is uniquely determined by its context. 

 

scupoli: very important Italian philosopher. Lorenzo Scupoli (Laurentius Scupulus) (Otranto), filosofo. Ricevette come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini quasi quarantenne, nel 1569, per ricevere gli ordini sacri in soli otto anni. Fu discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine.  Al 1585 risale l'accusa di violazione della regola, per cui fu arrestato per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dovette attendere quasi la morte; intanto, sopportò l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e umanità.  Il combattimento spirituale  «"Con l’orazione porrai la spada in mano a Dio, perché combatta e vinca per te." La preghiera è dunque l’arma di tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli.»  (Padre Lino Pedron. Opere:  Il combattimento spirituale, come afferma V. Gambi nell'introduzione all'opera delle ed. Paoline del 1960, è un trattato di strategia spirituale che come altre opere e vicino alla spiritualità ignaziana conduce l'anima a una perfezione tutta interiore. L'opera indica cinque mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: 1. Sfiducia in sé 2. pienissima confidenza in Dio 3. combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù 4. preghiera e meditazione 5. comunione.   Spiritualità Imitazione di Cristo A Testo del Combattimento spirituale, su monasterovirtuale.it. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

stabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo.  Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia dei valori, divenne ricercatore a Salerno. Pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò inoltre, con Schiera, alla direzione della collana di testi e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron".  Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca di Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia a Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno.  Pubblicazioni Monografie  Valore morale e società nel pensiero di Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di magistero, Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia,  Monografie in collaborazione e  Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, Articoli di riviste  Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno  Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno. Most likely a replica from now on: sttabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia europea dei valori, divenne ricercatore di Storia della Filosofia all'Salerno. Già in giovanissima età pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò inoltre, con Pierangelo Schiera, alla direzione della collana di testi e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Nel 1985 l'Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron".  Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca privata di Giampiero Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia dell'Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di Giampiero Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno.  Pubblicazioni Monografie  Valore morale e società nel pensiero di Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di magistero, 1976, 116 p. Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia, Monografie in collaborazione e  Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori,  Pierre Charron, Piccolo trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, 1985, 130 p. Articoli di riviste  Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1987437.  Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno  Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno Filosofia Università  Università.

 

stefanini: Grice: “Italians are obsessed with personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli. --  è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche.  Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919 consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento nelle scuole.  Nel 1920 è eletto consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano.  Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia nel 1940 che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nel 1933 per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Nel 1956 ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.  Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre.  Attività e pensiero Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e Personalismo sociale, o interpersonalismo. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: “L'esistenzialismo di M. Heidegger,” “Spiritualismo Cristiano,” Gioberti (1947), Il dramma filosofico della Germania (1948), Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (1952), Personalismo sociale (1952), Estetica (1953), Trattato di estetica (1955); viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano, 2002.  Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova, 1914).  Cfr. Laura Corrieri, cit.  Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principal: Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, 1926. Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1931. Platone, 2 voll., Padova, Cedam, 1932-35 (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova, 1991). Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo come problema filosofico,  I, Padova, Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, 1La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca,  Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, 1Itinéraires métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di Estetica,  I: L'arte nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, 1960 (prima edizione del 1955). Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, 1955. Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini".  Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, 1991. Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, 2006. Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), ,  XXI. Matteo De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it. Most likely a replica as from now: s“L’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di comunicazione tra le persone»  (Luigi Stefanini, da La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli.  Fin da giovane, è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova nel 1910, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche.  Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919 consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento nelle scuole.  Nel 1920 è eletto consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo, dimettendosi nel 1922 e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano.  Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nper le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.  Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della persona  e Personalismo sociale. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: L'esistenzialismo di M. Heidegger, Spiritualismo Cristiano, Gioberti, Il dramma filosofico della Germania, Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico; Personalismo sociale; Estetica; Trattato di estetica; viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano, Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova,  Cfr. Laura Corrieri, cit.  Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principali Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1Platone, 2 voll., Padova, Cedam,  (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova,  Il problema estetico in Platone, Torino, Sei,  Imaginismo come problema filosofico,  I, Padova, Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, Itinéraires métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di Estetica,  I: L'arte nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca,  Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini". Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), ,  XXI. Matteo De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Numero 2, Anno 1952.  Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it.

 

stella: Grice: “What is it with Italian philosoophers that they are all into what at Oxford we would call jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian versions of H. L. A. Hart!” --. Federico Stella (Sernaglia della Battaglia), filosofo. Dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio di Treviso si iscrisse a Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu allievo di Crespi. Divenne professore, dapprima a Catania, e, successivamente, a Milano. I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” monografia in cui  ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.  Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale. Propose che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della dottrina processual penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite. Oggi è norma codicistica. ADiresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.  Nei successivi decenni gli interessi scientifici  si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto. Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.  Principali pubblicazioni: “L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, “ La descrizione dell'evento,”Milano, “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” Milano, “Giustizia e modernità, Milano,”  “I saperi del giudice,” Milano, “ll giudice corpuscolariano,” Milano, “La giustizia e le ingiustizie,” Bologna. Note  Addio A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, 1Archivio storico.  Il centro di ricerca Federico Stella biografia e . Università Cattolica del Sacro Cuore. Most likely a replica from now on: stella: Federico Stella (Sernaglia della Battaglia), filosofo. È stato inoltre Professore di Diritto penale e filosofo del diritto. Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio Vescovile Pio X di Treviso si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu allievo di Alberto Crespi. Divenne professore di diritto penale nel 1970, dapprima nell'Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso l'Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa, avvenuta nel 2006.  Causalità e leggi scientifiche I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,  monografia in cui Stella ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi: solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.  Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale.  Propose, attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della Dottrina processual penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla Corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite; oggi è norma codicistica.  Attività ulteriori Diresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.  Nei successivi decenni gli interessi scientifici di Stella si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto.  Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.  Principali pubblicazioni L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, La descrizione dell'evento, Milano. Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, seconda edizione Giustizia e modernità, Milano, 3ª ed. I saperi del giudice, Milano, ll giudice corpuscolariano, Milano, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, Addio A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, Archivio storico.  Il centro di ricerca Federico Stella biografia.

 

stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. La sua fama è dovuta soprattutto al saggio “De ortu et progressu morum.”  La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Most likely a replica from now on: stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. Nato a Cividale (e non, come appare su altre fonti basatesi sull'errata lettura dell'atto di battesimo di un Jacopo Stulin, a Tribil di Sopra) nel 1699, si interessò di medicina, matematica e critica letteraria. Sebbene autore di svariate poesie, la sua fama è dovuta soprattutto al saggio in latino De ortu et progressu morum stampato nel 1740.  La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologyia.  A lui è stato dedicato l'omonimo liceo classico di Udine, fondato nel 1808 e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini.   Enciclopedia Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net.

 

sterlich: Romualdo De Sterlich (Chieti), filosofo. Figlio del marchese Rinaldo De Sterlich (di famiglia originaria dei paesi di lingua tedesca) e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studiò a Napoli nel Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. Fu proprio questa esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti, che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. All'età di vent'anni tornò a Chieti e sposò Giuditta Castiglione (di famiglia aristocratica di Penne) da cui ebbe una numerosa prole (una ventina di figli di cui solo una decina sopravvissero ai primi anni mentre gli altri si spensero in tenera età). La cura della famiglia e dei beni ereditati dal padre (di cui era l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e, alla metà del secolo XVIII, per superare l'isolamento culturale che gli veniva imposto dal dover vivere a Chieti, cominciò a costituire la sua personale biblioteca. Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che nel 1776 contava 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno. L'intento di de Sterlich era di mettere la stessa a disposizione della città di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella Biblioteca Provinciale «G. D'Annunzio» di Pescara, nella Biblioteca Provinciale «A.C. De Meis» di Chieti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, etc. Sarebbe molto riduttivo considerare de Sterlich come solo un collezionista di libri. Egli li raccoglieva per elaborarli e per creare le sue riflessioni e i suoi pensieri. De Sterlich si rivela così aggiornatissimo sui dibattiti culturali europei del Settecento ed è tra i primi italiani a leggere e commentare le opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi europei. Di questa partecipazione alla cultura illuministica europea ne è testimonianza un copioso scambio di lettere con altri intellettuali (Antonio Genovesi, Giovanni Antonio Battarra, Giovanni Lami, Giovanni Bianchi, Gaspare de Torres) dell'epoca. Questo ricco carteggio è un documento prezioso per delineare il passaggio in Italia alla cultura illuministica e rappresenta l'impronta da lui lasciata nel panorama culturale del Settecento Italiano. Romualdo de Sterlich lasciò anche alcune testimonianze scritte del suo pensiero: due Dialoghi di Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Giovanni Lami, de Sterlich entrò a far parte dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Georgofili. Romualdo de Sterlich si spense a Chieti e fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco di Paola. Cepparrone Luigi, L'illuminismo europeo nell'epistolario di Romualdo De Sterlich, Sestante Ed., Collana Bergamo University Press.  Il sito dell'Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Programmatori “R. de Sterlich”Chieti Scalo, su desterlich.ch.it.

 

steuco: vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop -- Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos   Nato1497 a Gubbio Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento.  Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino.  Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola.  Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico.  Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V.  Quantunque mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte  Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale.  Come umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma.  Steuco fu mandato da papa Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. .e sue ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio. De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco  Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco, . Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm , Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press. Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it. Most likely a replica from now on: steuco: vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop.svg   Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos. Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino.  Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Nel 1529 fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola.  Negli anni successive Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico.  Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Nel 1541 si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V.  Quantunque mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte nel 1548.  Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale.  Come umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma.  Fu mandato da papa Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì nel 1548, all'età di cinquantatré anni, mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. Lle sue ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio.   Agostino Steuco, De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, 1542.  Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco  Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco, . Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm , Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press, Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it.

 

Primus, secundus, tertius -- first-order predicate calculus with time-relative identity:second-order logic, the logic of languages that contain, in addition to variables ranging over objects, variables ranging over properties, relations, functions, or classes of those objects. A model, or interpretation, of a formal language usually contains a domain of discourse. This domain is what the language is about, in the model in question. Variables that range over this domain are called first-order variables. If the language contains only first-order variables, it is called a first-order language, and it is within the purview of first-order logic. Some languages also contain variables that range over properties, relations, functions, or classes of members of the domain of discourse. These are second-order variables. A language that contains first-order and second-order variables, and no others, is a secondorder language. The sentence ‘There is a property shared by all and only prime numbers’ is straightforwardly rendered in a second-order language, because of the bound variable ranging over properties. There are also properties of properties, relations of properties, and the like. Consider, e.g., the property of properties expressed by ‘P has an infinite extension’ or the relation expressed by ‘P has a smaller extension than Q’. A language with variables ranging over such items is called thirdorder. This construction can be continued, producing fourth-order languages, etc. A language is called higher-order if it is at least second-order. Deductive systems for second-order languages are obtained from those for first-order languages by adding straightforward extensions of the axioms and rules concerning quantifiers that bind first-order variables. There may also be an axiom scheme of comprehension: DPExPx S Fx, one instance for each formula F that does not contain P free. The scheme “asserts” that every formula determines the extension of a property. If the language has variables ranging over functions, there may also be a version of the axiom of choice: ERExDyRxy P DfExRxfx. In standard semantics for second-order logic, a model of a given language is the same as a model for the corresponding first-order language. The relation variables range over every relation over the domain-of-discourse, the function variables range over every function from the domain to the domain, etc. In non-standard, or Henkin semantics, each model consists of a domain-ofdiscourse and a specified collection of relations, functions, etc., on the domain. The latter may not include every relation or function. The specified collections are the range of the second-order variables in the model in question. In effect, Henkin semantics regards second-order languages as multi-sorted, first-order languages. 

 

secundum quid: in a certain respect, or with a qualification. Fallacies can arise from confusing what is true only secundum quid with what is true simpliciter ‘without qualification’, ‘absolutely’, ‘on the whole’, or conversely. Thus a strawberry is red simpliciter on the whole. But it is black, not red, with respect to its seeds, secundum quid. By ignoring the distinction, one might mistakenly infer that the strawberry is both red and not red. Again, a certain thief is a good cook, secundum quid; but it does not follow that he is good simpliciter without qualification. Aristotle was the first to recognize the fallacy secundum quid et simpliciter explicitly, in his Sophistical Refutations. On the basis of some exceptionally enigmatic remarks in the same work, the liar paradox was often regarded in the Middle Ages as an instance of this fallacy. 

 

De-ceptum – per-ceptum – trans-ceptum – in-ceptum, prae-ceptum – post-ceptum: deceptum sui: Auto-deceptionD. F. Pears -- self-deception, 1 purposeful action to avoid unpleasant truths and painful topics about oneself or the world; 2 unintentional processes of denial, avoidance, or biased perception; 3 mental states resulting from such action or processes, such as ignorance, false belief, wishful thinking, unjustified opinions, or lack of clear awareness. Thus, parents tend to exaggerate the virtues of their children; lovers disregard clear signs of unreciprocated affection; overeaters rationalize away the need to diet; patients dying of cancer pretend to themselves that their health is improving. In some contexts ‘self-deception’ is neutral and implies no criticism. Deceiving oneself can even be desirable, generating a vital lie that promotes happiness or the ability to cope with difficulties. In other contexts ‘self-deception’ has negative connotations, suggesting bad faith, false consciousness, or what Joseph Butler called “inner hypocrisy”  the refusal to acknowledge our wrongdoing, character flaws, or onerous responsibilities. Existentialist philosophers, like Kierkegaard, Heidegger, and most notably Sartre Being and Nothingness, 3, denounced self-deception as an inauthentic dishonest, cowardly refusal to confront painful though significant truths, especially about freedom, responsibility, and death. Herbert Fingarette, however, argued that self-deception is morally ambiguous  neither clearly blameworthy nor clearly faultless  because of how it erodes capacities for acting rationally Self-Deception, 9. The idea of intentionally deceiving oneself seems paradoxical. In deceiving other people I usually know a truth that guides me as I state the opposite falsehood, intending thereby to mislead them into believing the falsehood. Five difficulties seem to prevent me from doing anything like that to myself. 1 With interpersonal deception, one person knows something that another person does not. Yet self-deceivers know the truth all along, and so it seems they cannot use it to make themselves ignorant. One solution is that self-deception occurs over time, with the initial knowledge becoming gradually eroded. Or perhaps selfdeceivers only suspect rather than know the truth, and then disregard relevant evidence. 2 If consciousness implies awareness of one’s own conscious acts, then a conscious intention to deceive myself would be self-defeating, for I would remain conscious of the truth I wish to flee. Sartre’s solution was to view self-deception as spontaneous and not explicitly reflected upon. Freud’s solution was to conceive of self-deception as unconscious repression. 3 It seems that self-deceivers believe a truth that they simultaneously get themselves not to believe, but how is that possible? Perhaps they keep one of two conflicting beliefs unconscious or not fully conscious. 4 Self-deception suggests willfully creating beliefs, but that seems impossible since beliefs cannot voluntarily be chosen. Perhaps beliefs can be indirectly manipulated by selectively ignoring and attending to evidence. 5 It seems that one part of a person the deceiver manipulates another part the victim, but such extreme splits suggest multiple personality disorders rather than self-deception. Perhaps we are composed of “subselves”  relatively unified clusters of elements in the personality. Or perhaps at this point we should jettison interpersonal deception as a model for understanding self-deception.  .

 

terminatum – de-terminatum -- determinatum sui: auto-determination -- self-determination, the autonomy possessed by a community when it is politically independent; in a strict sense, territorial sovereignty. Within international law, the principle of self-determination appears to grant every people a right to be self-determining, but there is controversy over its interpretation. Applied to established states, the principle calls for recognition of state sovereignty and non-intervention in internal affairs. By providing for the self-determination of subordinate communities, however, it can generate demands for secession that conflict with existing claims of sovereignty. Also, what non-self-governing groups qualify as beneficiaries? The national interpretation of the principle treats cultural or national units as the proper claimants, whereas the regional interpretation confers the right of self-determination upon the populations of well-defined regions regardless of cultural or national affiliations. This difference reflects the roots of the principle in the doctrines of nationalism and popular sovereignty, respectively, but complicates its application. 

 

evidens sui: (after ‘causa sui’), self-evidence, the property of being self-evident. Only true propositions or truths are self-evident, though false propositions can appear to be self-evident. It is widely held that a true proposition is self-evident if and only if one would be justified in believing it if one adequately understood it. Some would also require that self-evident propositions are known if believed on the basis of such an understanding. Some self-evident propositions are obvious, such as the proposition that all stags are male, but others are not, since it may take considerable reflection to achieve an adequate understanding of them. That slavery is wrong and that there is no knowledge of falsehoods are perhaps examples of the latter. Not all obvious propositions are self-evident, e.g., it is obvious that a stone will fall if dropped, but adequate understanding of that claim does not by itself justify one in believing it. An obvious proposition is one that immediately seems true for anyone who adequately understands it, but its obviousness may rest on wellknown and commonly accepted empirical facts, not on understanding. All analytic propositions are self-evident but not all self-evident propositions are analytic. The propositions that if A is older than B, then B is younger than A, and that no object can be red and green all over at the same time and in the same respects, are arguably self-evident but not analytic. All self-evident propositions are necessary, for one could not be justified in believing a contingent proposition simply in virtue of understanding it. However, not all necessary propositions are self-evident, e.g., that water is H2O and that temperature is the measure of the molecular activity in substances are necessary but not self-evident. A proposition can appear to be selfevident even though it is not. For instance, the proposition that all unmarried adult males are bachelors will appear self-evident to many until they consider that the pope is such a male. A proposition may appear self-evident to some but not to others, even though it must either have or lack the property of being self-evident. Self-evident propositions are knowable non-empirically, or a priori, but some propositions knowable a priori are not self-evident, e.g., certain conclusions of long and difficult chains of mathematical reasoning. 

 

auto-present: self-presenting, in the philosophy of Meinong, having the ability  common to all mental states  to be immediately present to our thought. “Meinong was too German to be Englishtake ‘wahrnehmen,’ to perceive, to take notice, to ‘verum’-sit.!” Warhnehmungvorstellung is perceptual representationChisholm, alas, never gives, typically in a second-tier varsity, to give the correct citation, when he claims, to impress, that he is ‘borrowing’ from Meinong, never to return! (“also typical of a second-tier!” -- Grice). In Meinong’s view, no mental state can be presented to our thought in any other way  e.g., indirectly, via a Lockean “idea of reflection.” The only way to apprehend a mental state is to experience or “live through” it. The experience involved in the apprehension of an external object has thus a double presentational function: 1 via its “content” it presents the object to our thought; 2 as its own “quasi-content” it presents itself immediately to our thought. In the contemporary era, Roderick Chisholm has based his account of empirical knowledge in part on a related concept of the self-presenting. In Chisholm’s sense  the definition of which we omit here  all self-presenting states are mental, but not conversely; for instance, being depressed because of the death of one’s spouse would not be self-presenting. In Chisholm’s epistemology, self-presenting states are a source of certainty in the following way: if F is a self-presenting state, then to be certain that one is in state F it is sufficient that one is, and believes oneself to be in state F. Cf. untranslatable, ‘sui,’ ‘ipse,’ ‘idem’. Presentatum de se.

 

auto- self-reproducing automaton: a formal model of self-reproduction of a kind introduced by von Neumann. He worked with an intuitive robot model and then with a well-defined cellular automaton model. Imagine a class of robotic automata made of robot parts and operating in an environment of such parts. There are computer parts switches, memory elements, wires, input-output parts sensing elements, display elements, action parts grasping and moving elements, joining and cutting elements, and straight bars to maintain structure and to employ in a storage tape. There are also energy sources that enable the robots to operate and move around. These five categories of parts are sufficient for the construction of robots that can make objects of various kinds, including other robots. These parts also clearly suffice for making a robot version of any finite automaton. Sensing and acting parts can then be added to this robot so that it can make an indefinitely expandable storage tape from straight bars. A “blank tape” consists of bars joined in sequence, and the robot stores information on this tape by attaching bars or not at the junctions. If its finite automaton part can execute programs and is sufficiently powerful, such a robot is a universal computing robot cf. a universal Turing machine. A universal computing robot can be augmented to form a universal constructing robot  a robot that can construct any robot, given its description. Let r be any robot with an indefinitely expandable tape, let Fr be the description of its finite part, and let Tr be the information on its tape. Now take a universal computing robot and augment it with sensing and acting devices and with programs so that when Fr followed by Tr is written on its tape, this augmented universal computer performs as follows. First, it reads the description Fr, finds the needed parts, and constructs the finite part of r. Second, it makes a blank tape, attaches it to the finite part of r, and then copies the information Tr from its own tape onto the new tape. This augmentation of a universal computing robot is a universal constructor. For when it starts with the information Fr,Tr written on its tape, it will construct a copy of r with Tr on its tape. Robot self-reproduction results from applying the universal constructor to itself. Modify the universal constructor slightly so that when only a description Fr is written on its tape, it constructs the finite part of r and then attaches a tape with Fr written on it. Call this version of the universal constructor Cu. Now place Cu’s description FCu on its own tape and start it up. Cu first reads this description and constructs a copy of the finite part of itself in an empty region of the cellular space. Then it adds a blank tape to the new construction and copies FCu onto it. Hence Cu with FCu on its tape has produced another copy of Cu with FCu on its tape. This is automaton self-reproduction. This robot model of self-reproduction is very general. To develop the logic of self-reproduction further, von Neumann first extended the concept of a finite automaton to that of an infinite cellular automaton consisting of an array or “space” of cells, each cell containing the same finite automaton. He chose an infinite checkerboard array for modeling self-reproduction, and he specified a particular twenty-nine-state automaton for each square cell. Each automaton is connected directly to its four contiguous neighbors, and communication between neighbors takes one or two time-steps. The twenty-nine states of a cell fall into three categories. There is a blank state to represent the passivity of an empty area. There are twelve states for switching, storage, and communication, from which any finite automaton can be constructed in a sufficiently large region of cells. And there are sixteen states for simulating the activities of construction and destruction. Von Neumann chose these twenty-nine states in such a way that an area of non-blank cells could compute and grow, i.e., activate a path of cells out to a blank region and convert the cells of that region into a cellular automaton. A specific cellular automaton is embedded in this space by the selection of the initial states of a finite area of cells, all other cells being left blank. A universal computer consists of a sufficiently powerful finite automaton with a tape. The tape is an indefinitely long row of cells in which bits are represented by two different cell states. The finite automaton accesses these cells by means of a construction arm that it extends back and forth in rows of cells contiguous to the tape. When activated, this finite automaton will execute programs stored on its tape. A universal constructor results from augmenting the universal computer cf. the robot model. Another construction arm is added, together with a finite automaton controller to operate it. The controller sends signals into the arm to extend it out to a blank region of the cellular space, to move around that region, and to change the states of cells in that region. After the universal constructor has converted the region into a cellular automaton, it directs the construction arm to activate the new automaton and then withdraw from it. Cellular automaton selfreproduction results from applying the universal constructor to itself, as in the robot model. Cellular automata are now studied extensively by humans working interactively with computers as abstract models of both physical and organic systems. See Arthur W. Burks, “Von Neumann’s Self-Reproducing Automata,” in Papers of John von Neumann on Computers and Computer Theory, edited by William Aspray and Arthur Burks, 7. The study of artificial life is an outgrowth of computer simulations of cellular automata and related automata. Cellular automata organizations are sometimes used in highly parallel computers. 

 

semantic: semanticGrice saw ‘semantics’ (he detested the pretentious ‘pragmatics’) as a branch of philosophy. “Surely we cannot expect someone whose training includes phonetics, a totally physical science, to have any saying on the nuances of the communicatum, which is all semantics is about!” -- H. P. Grice, “Logic and conversation”“Meaning,” in P. F. Strawson, “Philosophical Logic,” Oxford -- the arena of philosophy devoted to examining the scope and nature of logic. Aristotle considered logic an organon, or foundation, of knowledge. Certainly, inference is the source of much human knowledge. Logic judges inferences good or bad and tries to justify those that are good. One need not agree with Aristotle, therefore, to see logic as essential to epistemology. Philosophers such as Vitters, additionally, have held that the structure of language reflects the structure of the world. Because inferences have elements that are themselves linguistic or are at least expressible in language, logic reveals general features of the structure of language. This makes it essential to linguistics, and, on a Vittersian view, to metaphysics. Moreover, many philosophical battles have been fought with logical weaponry. For all these reasons, philosophers have tried to understand what logic is, what justifies it, and what it tells us about reason, language, and the world. The nature of logic. Logic might be defined as the science of inference; inference, in turn, as the drawing of a conclusion from premises. A simple argument is a sequence, one element of which, the conclusion, the others are thought to support. A complex argument is a series of simple arguments. Logic, then, is primarily concerned with arguments. Already, however, several questions arise. 1 Who thinks that the premises support the conclusion? The speaker? The audience? Any competent speaker of the language? 2 What are the elements of arguments? Thoughts? Propositions? Philosophers following Quine have found these answers unappealing for lack of clear identity criteria. Sentences are more concrete and more sharply individuated. But should we consider sentence tokens or sentence types? Context often affects interpretation, so it appears that we must consider tokens or types-in-context. Moreover, many sentences, even with contextual information supplied, are ambiguous. Is a sequence with an ambiguous sentence one argument which may be good on some readings and bad on others or several? For reasons that will become clear, the elements of arguments should be the primary bearers of truth and falsehood in one’s general theory of language. 3 Finally, and perhaps most importantly, what does ‘support’ mean? Logic evaluates inferences by distinguishing good from bad arguments. This raises issues about the status of logic, for many of its pronouncements are explicitly normative. The philosophy of logic thus includes problems of the nature and justification of norms akin to those arising in metaethics. The solutions, moreover, may vary with the logical system at hand. Some logicians attempt to characterize reasoning in natural language; others try to systematize reasoning in mathematics or other sciences. Still others try to devise an ideal system of reasoning that does not fully correspond to any of these. Logicians concerned with inference in natural, mathematical, or scientific languages tend to justify their norms by describing inferential practices in that language as actually used by those competent in it. These descriptions justify norms partly because the practices they describe include evaluations of inferences as well as inferences themselves. The scope of logic. Logical systems meant to account for natural language inference raise issues of the scope of logic. How does logic differ from semantics, the science of meaning in general? Logicians have often treated only inferences turning on certain commonly used words, such as ‘not’, ‘if’, ‘and’, ‘or’, ‘all’, and ‘some’, taking them, or items in a symbolic language that correspond to them, as logical constants. They have neglected inferences that do not turn on them, such as My brother is married. Therefore, I have a sister-in-law. Increasingly, however, semanticists have used ‘logic’ more broadly, speaking of the logic of belief, perception, abstraction, or even kinship.  Such uses seem to treat logic and semantics as coextensive. Philosophers who have sought to maintain a distinction between the semantics and logic of natural language have tried to develop non-arbitrary criteria of logical constancy. An argument is valid provided the truth of its premises guarantees the truth of its conclusion. This definition relies on the notion of truth, which raises philosophical puzzles of its own. Furthermore, it is natural to ask what kind of connection must hold between the premises and conclusion. One answer specifies that an argument is valid provided replacing its simple constituents with items of similar categories while leaving logical constants intact could never produce true premises and a false conclusion. On this view, validity is a matter of form: an argument is valid if it instantiates a valid form. Logic thus becomes the theory of logical form. On another view, an argument is valid if its conclusion is true in every possible world or model in which its premises are true. This conception need not rely on the notion of a logical constant and so is compatible with the view that logic and semantics are coextensive. Many issues in the philosophy of logic arise from the plethora of systems logicians have devised. Some of these are deviant logics, i.e., logics that differ from classical or standard logic while seeming to treat the same subject matter. Intuitionistic logic, for example, which interprets the connectives and quantifiers non-classically, rejecting the law of excluded middle and the interdefinability of the quantifiers, has been supported with both semantic and ontological arguments. Brouwer, Heyting, and others have defended it as the proper logic of the infinite; Dummett has defended it as the correct logic of natural language. Free logic allows non-denoting referring expressions but interprets the quantifiers as ranging only over existing objects. Many-valued logics use at least three truthvalues, rejecting the classical assumption of bivalence  that every formula is either true or false. Many logical systems attempt to extend classical logic to incorporate tense, modality, abstraction, higher-order quantification, propositional quantification, complement constructions, or the truth predicate. These projects raise important philosophical questions. Modal and tense logics. Tense is a pervasive feature of natural language, and has become important to computer scientists interested in concurrent programs. Modalities of several sorts  alethic possibility, necessity and deontic obligation, permission, for example  appear in natural language in various grammatical guises. Provability, treated as a modality, allows for revealing formalizations of metamathematics. Logicians have usually treated modalities and tenses as sentential operators. C. I. Lewis and Langford pioneered such approaches for alethic modalities; von Wright, for deontic modalities; and Prior, for tense. In each area, many competing systems developed; by the late 0s, there were over two hundred axiom systems in the literature for propositional alethic modal logic alone. How might competing systems be evaluated? Kripke’s semantics for modal logic has proved very helpful. Kripke semantics in effect treats modal operators as quantifiers over possible worlds. Necessarily A, e.g., is true at a world if and only if A is true in all worlds accessible from that world. Kripke showed that certain popular axiom systems result from imposing simple conditions on the accessibility relation. His work spawned a field, known as correspondence theory, devoted to studying the relations between modal axioms and conditions on models. It has helped philosophers and logicians to understand the issues at stake in choosing a modal logic and has raised the question of whether there is one true modal logic. Modal idioms may be ambiguous or indeterminate with respect to some properties of the accessibility relation. Possible worlds raise additional ontological and epistemological questions. Modalities and tenses seem to be linked in natural language, but attempts to bring tense and modal logic together remain young. The sensitivity of tense to intra- and extralinguistic context has cast doubt on the project of using operators to represent tenses. Kamp, e.g., has represented tense and aspect in terms of event structure, building on earlier work by Reichenbach. Truth. Tarski’s theory of truth shows that it is possible to define truth recursively for certain languages. Languages that can refer to their own sentences, however, permit no such definition given Tarski’s assumptions  for they allow the formulation of the liar and similar paradoxes. Tarski concluded that, in giving the semantics for such a language, we must ascend to a more powerful metalanguage. Kripke and others, however, have shown that it is possible for a language permitting self-reference to contain its own truth    680 predicate by surrendering bivalence or taking the truth predicate indexically. Higher-order logic. First-order predicate logic allows quantification only over individuals. Higher-order logics also permit quantification over predicate positions. Natural language seems to permit such quantification: ‘Mary has every quality that John admires’. Mathematics, moreover, may be expressed elegantly in higher-order logic. Peano arithmetic and Zermelo-Fraenkel set theory, e.g., require infinite axiom sets in firstorder logic but are finitely axiomatizable  and categorical, determining their models up to isomorphism  in second-order logic. Because they quantify over properties and relations, higher-order logics seem committed to Platonism. Mathematics reduces to higher-order logic; Quine concludes that the latter is not logic. Its most natural semantics seems to presuppose a prior understanding of properties and relations. Also, on this semantics, it differs greatly from first-order logic. Like set theory, it is incomplete; it is not compact. This raises questions about the boundaries of logic. Must logic be axiomatizable? Must it be possible, i.e., to develop a logical system powerful enough to prove every valid argument valid? Could there be valid arguments with infinitely many premises, any finite fragment of which would be invalid? With an operator for forming abstract terms from predicates, higher-order logics easily allow the formulation of paradoxes. Russell and Whitehead for this reason adopted type theory, which, like Tarski’s theory of truth, uses an infinite hierarchy and corresponding syntactic restrictions to avoid paradox. Type-free theories avoid both the restrictions and the paradoxes, as with truth, by rejecting bivalence or by understanding abstraction indexically. Refs.: H. P. Grice, “Why I don’t use ‘logic,’ but I use ‘semantic.’”Grice was careful with what he felt was an abuse of ‘semantic’v. Evans: “Meaning and truth: essayis in semantics.” “Well, that’s what ‘meaning’ means, right?” The semantics is more reated to the signatum than to the significatum. The Grecians did not have anything remotely similar to the significatum, which is all about the making (facere) of a sign (as in Grice’s example of the handwave). This is the meaning Grice gives to ‘semantics.’ There is no need for the handwave to be part of a system of communication, or have syntactic structure, or be ‘arbitrary.’ Still, one thing is communicated from the emissor to his recipient, and that is all count. “I know the route” is the message, or “I will leave you soon.” The handwave may be ambiguous. Grice is aware that formalists like Hilbert and Gentzen think that they can do without semanticsbut as long as there is something ‘transmitted,’ or ‘messaged,’ it cannot. In the one-off predicament, Emissor E emits x and communicates that p. Since an intention with a content involving a psychological state is involved and attached, even in a one-off, to ‘x,’ we can legitimately say the scenario may be said to describe a ‘semantic’ phenomenon. Grice would freely use ‘semantic,’ and the root for ‘semantics,’ that Grice does use, involves the richest root of all Grecian roots: the ‘semion.’ Liddell and Scott have “τό σημεῖον,” Ion. σημήϊον , Dor. σα_μήϊον IG12(3).452 (Thera, iv B.C.), σα_μεῖον IPE12.352.25 (Chersonesus, ii B.C.), IG5(1).1390.16 (Andania, i B.C.), σα_μᾶον CIG5168 (Cyrene); = σῆμα in all senses, and more common in Prose, but never in Hom. or Hes.; and which they render as “mark by which a thing is known,” Hdt.2.38;” they also have “τό σῆμα,” Dor. σᾶμα Berl.Sitzb.1927.161 (Cyrene), etc.; which they render as “sign, mark, token,” “ Il.10.466, 23.326, Od.19.250, etc.” Grice lectured not only on Cat. But the next, De Int. As Arsitotle puts it, an expression is a symbol (symbolon) or sign (semeion) of an affections or impression (pathematon) of the soul (psyche). An affection of the soul, of which a word is  primarily a sign, are the same for the whole of mankind, as is also objects (pragmaton) of which the affections is a representation or likenes, image, or copiy (homoiomaton).  [De Int., 1.16a4]  while Grice is NOT concerned about the semantics of utterers meaning (how could he, when he analyses  means  in terms of  intends , he is about the semantics of  expression-meaning. Grices second stage (expression meaing) of his programme about meaning begins with specifications of means as applied to x, a token of X. He is having Tarski and Davidson in their elaborations of schemata like ‘p’ ‘means’ that p. ‘Snow is white’ ‘means’ that snow is white, and stuff! Grice was especially concerned with combinatories, for both unary and dyadic operators, and with multiple quantifications within a first-order predicate calculus with identity. Since in Grice’s initial elaboration on meaning he relies on Stevenson, it is worth exploring how ‘semantics’ and ‘semiotics’ were interpreted by Peirce and the emotivists. Stevenson’s main source is however in the other place, though, under Stevenson. SemanticscommunicationH. P. Grice, “Implicaturum and Explicature: The basis of communication”“Communication and Intention” -- philosophy of language, the philosophical study of natural language and its workings, particularly of linguistic meaning and the use of language. A natural language is any one of the thousands of various tongues that have developed historically among populations of human beings and have been used for everyday purposes  including English, , Swahili, and Latin  as opposed to the formal and other artificial “languages” invented by mathematicians, logicians, and computer scientists, such as arithmetic, the predicate calculus, and LISP or COBOL. There are intermediate cases, e.g., Esperanto, Pig Latin, and the sort of “philosophese” that mixes English words with logical symbols. Contemporary philosophy of language centers on the theory of meaning, but also includes the theory of reference, the theory of truth, philosophical pragmatics, and the philosophy of linguistics. The main question addressed by the theory of meaning is: In virtue of what are certain physical marks or noises meaningful linguistic expressions, and in virtue of what does any particular set of marks or noises have the distinctive meaning it does? A theory of meaning should also give a comprehensive account of the “meaning phenomena,” or general semantic properties of sentences: synonymy, ambiguity, entailment, and the like. Some theorists have thought to express these questions and issues in terms of languageneutral items called propositions: ‘In virtue of what does a particular set of marks or noises express the proposition it does?’; cf. ‘ “La neige est blanche” expresses the proposition that snow is white’, and ‘Synonymous sentences express the same proposition’. On this view, to understand a sentence is to “grasp” the proposition expressed by that sentence. But the explanatory role and even the existence of such entities are disputed. It has often been maintained that certain special sentences are true solely in virtue of their meanings and/or the meanings of their component expressions, without regard to what the nonlinguistic world is like ‘No bachelor is married’; ‘If a thing is blue it is colored’. Such vacuously true sentences are called analytic. However, Quine and others have disputed whether there really is such a thing as analyticity. Philosophers have offered a number of sharply competing hypotheses as to the nature of meaning, including: 1 the referential view that words mean by standing for things, and that a sentence means what it does because its parts correspond referentially to the elements of an actual or possible state of affairs in the world; 2 ideational or mentalist theories, according to which meanings are ideas or other psychological phenomena in people’s minds; 3 “use” theories, inspired by Vitters and to a lesser extent by J. L. Austin: a linguistic expression’s “meaning” is its conventionally assigned role as a game-piece-like token used in one or more existing social practices; 4 H. P. Grice’s hypothesis that a sentence’s or word’s meaning is a function of what audience response a typical utterer would intend to elicit in uttering it. 5 inferential role theories, as developed by Wilfrid Sellars out of Carnap’s and Vitters’s views: a sentence’s meaning is specified by the set of sentences from which it can correctly be inferred and the set of those which can be inferred from it Sellars himself provided for “language-entry” and “language-exit” moves as partly constitutive of meaning, in addition to inferences; 6 verificationism, the view that a sentence’s meaning is the set of possible experiences that would confirm it or provide evidence for its truth; 7 the truth-conditional theory: a sentence’s meaning is the distinctive condition under which it is true, the situation or state of affairs that, if it obtained, would make the sentence true; 8 the null hypothesis, or eliminativist view, that “meaning” is a myth and there is no such thing  a radical claim that can stem either from Quine’s doctrine of the indeterminacy of translation or from eliminative materialism in the philosophy of mind. Following the original work of Carnap, Alonzo Church, Hintikka, and Richard Montague in the 0s, the theory of meaning has made increasing use of “possible worlds”based intensional logic as an analytical apparatus. Propositions sentence meanings considered as entities, and truth conditions as in 7 above, are now commonly taken to be structured sets of possible worlds  e.g., the set of worlds in which Aristotle’s maternal grandmother hates broccoli. And the structure imposed on such a set, corresponding to the intuitive constituent structure of a proposition as the concepts ‘grandmother’ and ‘hate’ are constituents of the foregoing proposition, accounts for the meaning-properties of sentences that express the proposition. Theories of meaning can also be called semantics, as in “Gricean semantics” or “Verificationist semantics,” though the term is sometimes restricted to referential and/or truth-conditional theories, which posit meaning-constitutive relations between words and the nonlinguistic world. Semantics is often contrasted with syntax, the structure of grammatically permissible ordering relations between words and other words in well-formed sentences, and with pragmatics, the rules governing the use of meaningful expressions in particular speech contexts; but linguists have found that semantic phenomena cannot be kept purely separate either from syntactic or from pragmatic phenomena. In a still more specialized usage, linguistic semantics is the detailed study typically within the truth-conditional format of particular types of construction in particular natural languages, e.g., belief-clauses in English or adverbial phrases in Kwakiutl. Linguistic semantics in that sense is practiced by some philosophers of language, by some linguists, and occasionally by both working together. Montague grammar and situation semantics are common formats for such work, both based on intensional logic. The theory of referenceis pursued whether or not one accepts either the referential or the truthconditional theory of meaning. Its main question is: In virtue of what does a linguistic expression designate one or more things in the world? Prior to theorizing and defining of technical uses, ‘designate’, ‘denote’, and ‘refer’ are used interchangeably. Denoting expressions are divided into singular terms, which purport to designate particular individual things, and general terms, which can apply to more than one thing at once. Singular terms include proper names ‘Cindy’, ‘Bangladesh’, definite descriptions ‘my brother’, ‘the first baby born in the New World’, and singular pronouns of various types ‘this’, ‘you’, ‘she’. General terms include common nouns ‘horse’, ‘trash can’, mass terms ‘water’, ‘graphite’, and plural pronouns ‘they’, ‘those’. The twentieth century’s dominant theory of reference has been the description theory, the view that linguistic terms refer by expressing descriptive features or properties, the referent being the item or items that in fact possess those properties. For example, a definite description does that directly: ‘My brother’ denotes whatever person does have the property of being my brother. According to the description theory of proper names, defended most articulately by Russell, such names express identifying properties indirectly by abbreviating definite descriptions. A general term such as ‘horse’ was thought of as expressing a cluster of properties distinctive of horses; and so forth. But the description theory came under heavy attack in the late 0s, from Keith Donnellan, Kripke, and Putnam, and was generally abandoned on each of several grounds, in favor of the causal-historical theory of reference. The causal-historical idea is that a particular use of a linguistic expression denotes by being etiologically grounded in the thing or group that is its referent; a historical causal chain of a certain shape leads backward in time from the act of referring to the referents. More recently, problems with the causal-historical theory as originally formulated have led researchers to backpedal somewhat and incorporate some features of the description theory. Other views of reference have been advocated as well, particularly analogues of some of the theories of meaning listed above  chiefly 26 and 8. Modal and propositional-attitude contexts create special problems in the theory of reference, for referring expressions seem to alter their normal semantic behavior when they occur within such contexts. Much ink has been spilled over the question of why and how the substitution of a term for another term having exactly the same referent can change the truth-value of a containing modal or propositional-attitude sentence. Interestingly, the theory of truth historically predates articulate study of meaning or of reference, for philosophers have always sought the nature of truth. It has often been thought that a sentence is true in virtue of expressing a true belief, truth being primarily a property of beliefs rather than of linguistic entities; but the main theories of truth have also been applied to sentences directly. The correspondence theory maintains that a sentence is true in virtue of its elements’ mirroring a fact or actual state of affairs. The coherence theory instead identifies truth as a relation of the true sentence to other sentences, usually an epistemic relation. Pragmatic theories have it that truth is a matter either of practical utility or of idealized epistemic warrant. Deflationary views, such as the traditional redundancy theory and D. Grover, J. Camp, and N. D. Belnap’s prosentential theory, deny that truth comes to anything more important or substantive than what is already codified in a recursive Tarskian truth-definition for a language. Pragmatics studies the use of language in context, and the context-dependence of various aspects of linguistic interpretation. First, one and the same sentence can express different meanings or propositions from context to context, owing to ambiguity or to indexicality or both. An ambiguous sentence has more than one meaning, either because one of its component words has more than one meaning as ‘bank’ has or because the sentence admits of more than one possible syntactic analysis ‘Visiting doctors can be tedious’, ‘The mouse tore up the street’. An indexical sentence can change in truth-value from context to context owing to the presence of an element whose reference fluctuates, such as a demonstrative pronoun ‘She told him off yesterday’, ‘It’s time for that meeting now’. One branch of pragmatics investigates how context determines a single propositional meaning for a sentence on a particular occasion of that sentence’s use. Speech act theory is a second branch of pragmatics that presumes the propositional or “locutionary” meanings of utterances and studies what J. L. Austin called the illocutionary forces of those utterances, the distinctive types of linguistic act that are performed by the speaker in making them. E.g., in uttering ‘I will be there tonight’, a speaker might be issuing a warning, uttering a threat, making a promise, or merely offering a prediction, depending on conventional and other social features of the situation. A crude test of illocutionary force is the “hereby” criterion: one’s utterance has the force of, say, a warning, if it could fairly have been paraphrased by the corresponding “explicitly performative” sentence beginning ‘I hereby warn you that . . .’..Speech act theory interacts to some extent with semantics, especially in the case of explicit performatives, and it has some fairly dramatic syntactic effects as well. A third branch of pragmatics not altogether separate from the second is the theory of conversation or theory of implicaturum, founded by H. P. Grice. Grice notes that sentences, when uttered in particular contexts, often generate “implications” that are not logical consequences of those sentences ‘Is Jones a good philosopher?’  ’He has very neat handwriting’. Such implications can usually be identified as what the speaker meant in uttering her sentence; thus for that reason and others, what Grice calls utterer’s meaning can diverge sharply from sentence-meaning or “timeless” meaning. To explain those non-logical implications, Grice offered a now widely accepted theory of conversational implicaturum. Conversational implicaturums arise from the interaction of the sentence uttered with mutually shared background assumptions and certain principles of efficient and cooperative conversation. The philosophy of linguistics studies the academic discipline of linguistics, particularly theoretical linguistics considered as a science or purported science; it examines methodology and fundamental assumptions, and also tries to incorporate linguists’ findings into the rest of philosophy of language. Theoretical linguistics concentrates on syntax, and took its contemporary form in the 0s under Zellig Harris and Chomsky: it seeks to describe each natural language in terms of a generative grammar for that language, i.e., a set of recursive rules for combining words that will generate all and only the “well-formed strings” or grammatical sentences of that language. The set must be finite and the rules recursive because, while our informationprocessing resources for recognizing grammatical strings as such are necessarily finite being subagencies of our brains, there is no limit in any natural language either to the length of a single grammatical sentence or to the number of grammatical sentences; a small device must have infinite generative and parsing capacity. Many grammars work by generating simple “deep structures” a kind of tree diagram, and then producing multiple “surface structures” as variants of those deep structures, by means of rules that rearrange their parts. The surface structures are syntactic parsings of natural-language sentences, and the deep structures from which they derive encode both basic grammatical relations between the sentences’ major constituents and, on some theories, the sentences’ main semantic properties as well; thus, sentences that share a deep structure will share some fundamental grammatical properties and all or most of their semantics. As Paul Ziff and Davidson saw in the 0s, the foregoing syntactic problem and its solution had semantic analogues. From small resources, human speakers understand  compute the meanings of  arbitrarily long and novel sentences without limit, and almost instantaneously. This ability seems to require semantic compositionality, the thesis that the meaning of a sentence is a function of the meanings of its semantic primitives or smallest meaningful parts, built up by way of syntactic compounding. Compositionality also seems to be required by learnability, since a normal child can learn an infinitely complex dialect in at most two years, but must learn semantic primitives one at a time. A grammar for a natural language is commonly taken to be a piece of psychology, part of an explanation of speakers’ verbal abilities and behavior. As such, however, it is a considerable idealization: it is a theory of speakers’ linguistic “competence” rather than of their actual verbal performance. The latter distinction is required by the fact that speakers’ considered, reflective judgments of grammatical correctness do not line up very well with the class of expressions that actually are uttered and understood unreflectively by those same speakers. Some grammatical sentences are too hard for speakers to parse quickly; some are too long to finish parsing at all; speakers commonly utter what they know to be formally ungrammatical strings; and real speech is usually fragmentary, interspersed with vocalizations, false starts, and the like. Actual departures from formal grammaticality are ascribed by linguists to “performance limitations,” i.e., psychological factors such as memory failure, weak computational capacity, or heedlessness; thus, actual verbal behavior is to be explained as resulting from the perturbation of competence by performance limitations.  Refs.: The main sources are his lectures on language and realitypart of them repr. in WOW. The keywords under ‘communication,’ and ‘signification,’ that Grice occasionally uses ‘the total signification’ of a remark, above, BANC. -- semantic holism, a metaphysical thesis about the nature of representation on which the meaning of a symbol is relative to the entire system of representations containing it. Thus, a linguistic expression can have meaning only in the context of a language; a hypothesis can have significance only in the context of a theory; a concept can have intentionality only in the context of the belief system. Holism about content has profoundly influenced virtually every aspect of contemporary theorizing about language and mind, not only in philosophy, but in linguistics, literary theory, artificial intelligence, psychology, and cognitive science. Contemporary semantic holists include Davidson, Quine, Gilbert Harman, Hartry Field, and Searle. Because semantic holism is a metaphysical and not a semantic thesis, two theorists might agree about the semantic facts but disagree about semantic holism. So, e.g., nothing in Tarski’s writings determines whether the semantic facts expressed by the theorems of an absolute truth semantic atomism semantic holism 829    829 theory are holistic or not. Yet Davidson, a semantic holist, argued that the correct form for a semantic theory for a natural language L is an absolute truth theory for L. Semantic theories, like other theories, need not wear their metaphysical commitments on their sleeves. Holism has some startling consequences. Consider this. Franklin D. Roosevelt who died when the United States still had just forty-eight states did not believe there were fifty states, but I do; semantic holism says that what ‘state’ means in our mouths depends on the totality of our beliefs about states, including, therefore, our beliefs about how many states there are. It seems to follow that he and I must mean different things by ‘state’; hence, if he says “Alaska is not a state” and I say “Alaska is a state” we are not disagreeing. This line of argument leads to such surprising declarations as that natural langauges are not, in general, intertranslatable Quine, Saussure; that there may be no fact of the matter about the meanings of texts Putnam, Derrida; and that scientific theories that differ in their basic postulates are “empirically incommensurable” Paul Feyerabend, Kuhn. For those who find these consequences of semantic holism unpalatable, there are three mutually exclusive responses: semantic atomism, semantic molecularism, or semantic nihilism. Semantic atomists hold that the meaning of any representation linguistic, mental, or otherwise is not determined by the meaning of any other representation. Historically, Anglo- philosophers in the eighteenth and nineteenth centuries thought that an idea of an X was about X’s in virtue of this idea’s physically resembling X’s. Resemblance theories are no longer thought viable, but a number of contemporary semantic atomists still believe that the basic semantic relation is between a concept and the things to which it applies, and not one among concepts themselves. These philosophers include Dretske, Dennis Stampe, Fodor, and Ruth Millikan. Semantic molecularism, like semantic holism, holds that the meaning of a representation in a language L is determined by its relationships to the meanings of other expressions in L, but, unlike holism, not by its relationships to every other expression in L. Semantic molecularists are committed to the view, contrary to Quine, that for any expression e in a language L there is an in-principle way of distinguishing between those representations in L the meanings of which determine the meaning of e and those representations in L the meanings of which do not determine the meaning of e. Traditionally, this inprinciple delimitation is supported by an analytic/synthetic distinction. Those representations in L that are meaning-constituting of e are analytically connected to e and those that are not meaning-constituting are synthetically connected to e. Meaning molecularism seems to be the most common position among those philosophers who reject holism. Contemporary meaning molecularists include Michael Devitt, Dummett, Ned Block, and John Perry. Semantic nihilism is perhaps the most radical response to the consequences of holism. It is the view that, strictly speaking, there are no semantic properties. Strictly speaking, there are no mental states; words lack meanings. At least for scientific purposes and perhaps for other purposes as well we must abandon the notion that people are moral or rational agents and that they act out of their beliefs and desires. Semantic nihilists include among their ranks Patricia and Paul Churchland, Stephen Stich, Dennett, and, sometimes, Quine.  -- semantic paradoxes, a collection of paradoxes involving the semantic notions of truth, predication, and definability. The liar paradox is the oldest and most widely known of these, having been formulated by Eubulides as an objection to Aristotle’s correspondence theory of truth. In its simplest form, the liar paradox arises when we try to assess the truth of a sentence or proposition that asserts its own falsity, e.g.: A Sentence A is not true. It would seem that sentence A cannot be true, since it can be true only if what it says is the case, i.e., if it is not true. Thus sentence A is not true. But then, since this is precisely what it claims, it would seem to be true. Several alternative forms of the liar paradox have been given their own names. The postcard paradox, also known as a liar cycle, envisions a postcard with sentence B on one side and sentence C on the other: B The sentence on the other side of this card is true. semantic molecularism semantic paradoxes 830    830 C The sentence on the other side of this card is false. Here, no consistent assignment of truth-values to the pair of sentences is possible. In the preface paradox, it is imagined that a book begins with the claim that at least one sentence in the book is false. This claim is unproblematically true if some later sentence is false, but if the remainder of the book contains only truths, the initial sentence appears to be true if and only if false. The preface paradox is one of many examples of contingent liars, claims that can either have an unproblematic truth-value or be paradoxical, depending on the truth-values of various other claims in this case, the remaining sentences in the book. Related to the preface paradox is Epimenedes’ paradox: Epimenedes, himself from Crete, is said to have claimed that all Cretans are liars. This claim is paradoxical if interpreted to mean that Cretans always lie, or if interpreted to mean they sometimes lie and if no other claim made by Epimenedes was a lie. On the former interpretation, this is a simple variation of the liar paradox; on the latter, it is a form of contingent liar. Other semantic paradoxes include Berry’s paradox, Richard’s paradox, and Grelling’s paradox. The first two involve the notion of definability of numbers. Berry’s paradox begins by noting that names or descriptions of integers consist of finite sequences of syllables. Thus the three-syllable sequence ‘twenty-five’ names 25, and the seven-syllable sequence ‘the sum of three and seven’ names ten. Now consider the collection of all sequences of English syllables that are less than nineteen syllables long. Of these, many are nonsensical ‘bababa’ and some make sense but do not name integers ‘artichoke’, but some do ‘the sum of three and seven’. Since there are only finitely many English syllables, there are only finitely many of these sequences, and only finitely many integers named by them. Berry’s paradox arises when we consider the eighteen-syllable sequence ‘the smallest integer not nameable in less than nineteen syllables’. This phrase appears to be a perfectly well-defined description of an integer. But if the phrase names an integer n, then n is nameable in less than nineteen syllables, and hence is not described by the phrase. Richard’s paradox constructs a similarly paradoxical description using what is known as a diagonal construction. Imagine a list of all finite sequences of letters of the alphabet plus spaces and punctuation, ordered as in a dictionary. Prune this list so that it contains only English definitions of real numbers between 0 and 1. Then consider the definition: “Let r be the real number between 0 and 1 whose kth decimal place is  if the kth decimal place of the number named by the kth member of this list is 1, and 0 otherwise’. This description seems to define a real number that must be different from any number defined on the list. For example, r cannot be defined by the 237th member of the list, because r will differ from that number in at least its 237th decimal place. But if it indeed defines a real number between 0 and 1, then this description should itself be on the list. Yet clearly, it cannot define a number different from the number defined by itself. Apparently, the definition defines a real number between 0 and 1 if and only if it does not appear on the list of such definitions. Grelling’s paradox, also known as the paradox of heterologicality, involves two predicates defined as follows. Say that a predicate is “autological” if it applies to itself. Thus ‘polysyllabic’ and ‘short’ are autological, since ‘polysyllabic’ is polysyllabic, and ‘short’ is short. In contrast, a predicate is “heterological” if and only if it is not autological. The question is whether the predicate ‘heterological’ is heterological. If our answer is yes, then ‘heterological’ applies to itself  and so is autological, not heterological. But if our answer is no, then it does not apply to itself  and so is heterological, once again contradicting our answer. The semantic paradoxes have led to important work in both logic and the philosophy of language, most notably by Russell and Tarski. Russell developed the ramified theory of types as a unified treatment of all the semantic paradoxes. Russell’s theory of types avoids the paradoxes by introducing complex syntactic conditions on formulas and on the definition of new predicates. In the resulting language, definitions like those used in formulating Berry’s and Richard’s paradoxes turn out to be ill-formed, since they quantify over collections of expressions that include themselves, violating what Russell called the vicious circle principle. The theory of types also rules out, on syntactic grounds, predicates that apply to themselves, or to larger expressions containing those very same predicates. In this way, the liar paradox and Grelling’s paradox cannot be constructed within a language conforming to the theory of types. Tarski’s attention to the liar paradox made two fundamental contributions to logic: his development of semantic techniques for defining the truth predicate for formalized languages and his proof of Tarski’s theorem. Tarskian semantics avoids the liar paradox by starting with a formal language, call it L, in which no semantic notions are expressible, and hence in which the liar paradox cannot be formulated. Then using another language, known as the metalanguage, Tarski applies recursive techniques to define the predicate true-in-L, which applies to exactly the true sentences of the original language L. The liar paradox does not arise in the metalanguage, because the sentence D Sentence D is not true-in-L. is, if expressible in the metalanguage, simply true. It is true because D is not a sentence of L, and so a fortiori not a true sentence of L. A truth predicate for the metalanguage can then be defined in yet another language, the metametalanguage, and so forth, resulting in a sequence of consistent truth predicates. Tarski’s theorem uses the liar paradox to prove a significant result in logic. The theorem states that the truth predicate for the first-order language of arithmetic is not definable in arithmetic. That is, if we devise a systematic way of representing sentences of arithmetic by numbers, then it is impossible to define an arithmetical predicate that applies to all and only those numbers that represent true sentences of arithmetic. The theorem is proven by showing that if such a predicate were definable, we could construct a sentence of arithmetic that is true if and only if it is not true: an arithmetical version of sentence A, the liar paradox. Both Russell’s and Tarski’s solutions to the semantic paradoxes have left many philosophers dissatisfied, since the solutions are basically prescriptions for constructing languages in which the paradoxes do not arise. But the fact that paradoxes can be avoided in artificially constructed languages does not itself give a satisfying explanation of what is going wrong when the paradoxes are encountered in natural language, or in an artificial language in which they can be formulated. Most recent work on the liar paradox, following Kripke’s “Outline of a Theory of Truth” 5, looks at languages in which the paradox can be formulated, and tries to provide a consistent account of truth that preserves as much as possible of the intuitive notion.

 

semeiotics: semiological: or is it semiotics? Cf. semiological, semotic. Since Grice uses ‘philosophical psychology’ and ‘philosopical biology,’ it may do to use ‘semiology,’ indeed ‘philosophical semiology,’ here.  Oxonian semiotics is unique. Holloway published his “Language and Intelligence” and everyone was excited. It is best to see this as Grices psychologism. Grice would rarely use ‘intelligent,’ less so the more pretentious, ‘intelligence,’ as a keyword. If he is doing it, it is because what he saw as the misuse of it by Ryle and Holloway. Holloway, a PPE, is a tutorial fellow in philosophy at All Souls. He acknowledges Ryle as his mentor. (Holloway also quotes from Austin). Grice was amused that J. N. Findlay, in his review of Holloway’s essay in “Mind,” compares Holloway to C. W. Morris, and cares to cite the two relevant essay by Morris: The Foundation in the theory of signs, and Signs, Language, and Behaviour. Enough for Grice to feel warmly justified in having chosen another New-World author, Peirce, for his earlier Oxford seminar. Morris studied under G. H. Mead. But is ‘intelligence’ part of The Griceian Lexicon?Well, Lewis and Short have ‘interlegere,’ to chose between. Lewis and Short have ‘interlĕgo , lēgi, lectum, 3, v. a., I’.which they render it as “to cull or pluck off here and there (poet. and postclass.).in tmesi) uncis Carpendae manibus frondes, interque legendae, Verg. G. 2, 366: “poma,” Pall. Febr. 25, 16; id. Jun. 5, 1.intellĕgo (less correctly intellĭgo), exi, ectum (intellexti for intellexisti, Ter. Eun. 4, 6, 30; Cic. Att. 13, 32, 3: I.“intellexes for intellexisses,” Plaut. Cist. 2, 3, 81; subj. perf.: “intellegerint,” Sall. H. Fragm. 1, 41, 23 Dietsch); “inter-lego,” “to see into, perceive, understand.” I. Lit. A. Lewis and Short render as “to perceive, understand, comprehend.” Cf. Grice on his handwriting being legible to few. And The child is an adult as being UNintelligible until the creature is produced. In “Aspects,” he mentions flat rationality, and certain other talents that are more difficult for the philosopher to conceptualise, such as nose (i.e. intuitiveness), acumen, tenacity, and such. Grices approach is Pological. If Locke had used intelligent to refer to Prince Maurices parrot, Grice wants to find criteria for intelligent as applied to his favourite type of P, rather (intelligent, indeed rational.). semiosis from Grecian semeiosis, ‘observation of signs’, the relation of signification involving the three relata of sign, object, and mind. Semiotic is the science or study of semiosis. The semiotic of John of Saint Thomas and of Peirce includes two distinct components: the relation of signification and the classification of signs. The relation of signification is genuinely triadic and cannot be reduced to the sum of its three subordinate dyads: sign-object, sign-mind, object-mind. A sign represents an object to a mind just as A gives a gift to B. Semiosis is not, as it is often taken to be, a mere compound of a sign-object dyad and a sign-mind dyad because these dyads lack the essential intentionality that unites mind with object; similarly, the gift relation involves not just A giving and B receiving but, crucially, the intention uniting A and B. In the Scholastic logic of John of Saint Thomas, the sign-object dyad is a categorial relation secundum esse, that is, an essential relation, falling in Aristotle’s category of relation, while the sign-mind dyad is a transcendental relation secundum dici, that is, a relation only in an analogical sense, in a manner of speaking; thus the formal rationale of semiosis is constituted by the sign-object dyad. By contrast, in Peirce’s logic, the sign-object dyad and the sign-mind dyad are each only potential semiosis: thus, the hieroglyphs of ancient Egypt were merely potential signs until the discovery of the Rosetta Stone, just as a road-marking was a merely potential sign to the driver who overlooked it. Classifications of signs typically follow from the logic of semiosis. Thus John of Saint Thomas divides signs according to their relations to their objects into natural signs smoke as a sign of fire, customary signs napkins on the table as a sign that dinner is imminent, and stipulated signs as when a neologism is coined; he also divides signs according to their relations to a mind. An instrumental sign must first be cognized as an object before it can signify e.g., a written word or a symptom; a formal sign, by contrast, directs the mind to its object without having first been cognized e.g., percepts and concepts. Formal signs are not that which we cognize but that by which we cognize. All instrumental signs presuppose the action of formal signs in the semiosis of cognition. Peirce similarly classified signs into three trichotomies according to their relations with 1 themselves, 2 their objects, and 3 their interpretants usually minds; and Charles Morris, who followed Peirce closely, called the relationship of signs to one another the syntactical dimension of semiosis, the relationship of signs to their objects the semantical dimension of semiosis, and the relationship of signs to their interpreters the pragmatic dimension of semiosis.  Refs.: The most specific essay is his lecture on Peirce, listed under ‘communication, above. A reference to ‘criteria of intelligence relates. The H. P. Grice Papers, BANC.

 

mittente – trasmittente – destinatario – ricevente --. sender: Grice: “Italian has it easy: there’s the mittente – from the Latin, of course – and there’s the destinatario --; but even if it is not “linguaggio filosofico,” Italian philosophers like to play: so there’s also the “trasmittente” and the “ricevente.” My theory exactly.” Grice: “Surely, if there is a ‘recipient,’ there must be a ‘sender.’” Grice: “I prefer ‘sender’ as correlative for ‘recipient,’ since there is an embedded intentionality about it.” Cf. Sting, “Message in a bottlesending out an S. O. S.”Grice: “Addresser and addressee sound otiose.”Grice: “Then there’s this jargon of the ‘target’ addressee’while we are in the metaphorical mode!” -- emissor: utterer: cf. emissum, emissor. Usually Homo sapiens sapiensand usually Oxonian, the Homo sapiens sapiens Grice interactes with. Sometimes tutees, sometimes tutor. There is something dualistic about the ‘utterer.’ It is a vernacularism from English ‘out.’ So the French impressionists were into IM-pressing, out to in; the German expressionists were into EX-pressing, in to out. Or ‘man’. The important thing is for Grice to avoid ‘speaker.’ He notes that ‘utterance’ has a nice fuzziness about it. He still notes that he is using ‘utter’ in a ‘perhaps artificial’ way. He was already wedded to ‘utter’ in  his talk for the Oxford Philosopical Society. Grice does not elaborate much on general gestures or signals. His main example is a sort of handwave by which the emissor communicates that either he knows the route or that he is about to leave the addressee. Even this is complex. Let’s try to apply his final version of communication to the hand-wave. The question of “Homo sapiens sapiens” is an interesting one. Grice is all for ascribing predicates regarding the soul to what he calls the ‘lower animals’. He is not ready to ascribe emissor’s meaning to them. Why? Because of Schiffer! I mean, when it comes to the conditions of necessity of the reductive analysis, he seems okay. When it comes to the sufficiency, there are two types of objection. One by Urmson, easily dismissed. The second, first by Stampe and Strawson, not so easily. But Grice agrees to add a clause limiting intentions to be ‘in the open.’ Those who do not have a philosophical background usually wonder about this. So for their sake, it may be worth considering Grice’s synthetic a posteriori argument to refuse an emissor other than a Homo sapiens sapiens to be able to ‘mean,’ if not ‘communicate,’ or ‘signify.’ There is an objection which is not mentioned by his editors, which seems to Grice to be one to which Grice must respond. The objection may be stated thus. One of the leading strands in Grice’s reductive analysis of an emissor communicating that p is that communication is not to be regarded exclusively, or even primarily, as a ‘feature’ of emissors who use what philosophers of language call ‘language’ (Sprache, Taal, Langage, Linguaggioto restrict to the philosophical lexicon, cf. Plato’s Cratylus), and a fortiori of an emissor who emits this or that “linguistic” ‘utterance.’ There are many instances of NOTABLY NON-“linguistic” vehicles or devices of communication, within a communication-system, which fulfil this or that communication-function; these vehicles or devices are mostly syntactically un-structured or amorphous. Sometimes, a device may exhibit at least some rudimentary syntactic structure, in that we may distinguish a totum from a pars and identify a ‘simplex’ within a ‘complexum.’ Grice’s intention-based reductive analysis of a communicatum, based on Aristotle, Locke, and Peirce, is designed to allow for the possibility that a non-“linguistic,” and, further, indeed a non-“conventional” 'utterance' token, perhaps even manifesting some degree of syntactic structure, and not just a block of an amorphous signal, may be within the ‘repertoire’ of ‘procedures’ of this or that organism, or creature, or agent, which, even if not relying on any apparatus for communication of the kind that that we may label ‘linguistic’ or otherwise ‘conventional,’  ‘do’ this or that ‘thing’ thereby ‘communicating’ that p, or q. To provide for this possibility, it is plainly necessary that the key ingredient in any representation of ‘communicating,’ viz. intending that p, should be a ‘state’ of the emissor’s soul the capacity for which does not require what we may label the ‘possession’ of, shall we say, a ‘faculty,’ of what philosophers call ‘a’ ‘language’ (Sprache, Taal, langue, linguanote that in German we do not distinguish between ‘die Deutsche Sprache’ and ‘Sprache’ as ‘ein Facultat.’). Now a philosopher, relying on this or that neo-Prichardian reductive analysis of ‘intending that p,’ may not be willing to allow the possibility of such, shall we call it, pre-linguistic intending that p, or non-linguistic intending that p. Surely if the emissor realizes that his addressee does not share what the Germans call ‘die Deutsche Sprache,” the emissor may still communicate with his addresse this or that by doing this or that. E. g. he may simulate that he wants to smoke a cigarette and wonders if his addressee has one to spare. Against that objection, Grice surely wins the day. But Grice grants that winning the day on THAT front may not be enough. And that is because, as far as Grice’s Oxonian explorations on communication go, in a succession of increasingly elaborate movesending with a ‘closure’ clause which cut this succession of increasingly elaborate moves -- designed to thwart this or that scenario, later deemed illegitimate, involving two rational agents where the emissor relies on an ‘inference-element’ that it is not the case that he intends his addressee will recogiseGrice is led to restrict the ‘intending’ which is to constitute a case of an emissor communicating that p to C-intending. Grice suspects that whatever may be the case in general with regard to ‘intending,’ C-intending seems for some reason to Grice to be unsophisticatedly, viz. plainly, too sophisticated a ‘state’ of a soul to be found in an organism, ‘pirot,’ creature, that we may not want to deem ‘rational,’ or as the Germans would say, a creature that is destitute of “Die Deutsche Sprache.” We need the pirot to be “very intelligent, indeed rational.”Grice regrets that some may think that what he thought were unavoidable rear-guard actions (ending with a complex reductive analysis of C-intending) seem to have undermined the raison d'etre of the Griciean campaign.”Unfortunately, Grice provides what he admittedly labels “a brief reply” which “will have to suffice.” Why? Because “a full treatment would require delving deep into crucial problems concerning the boundaries between vicious and virtuous circularity.” Which is promising. It is not something totally UNATTAINABLE. It reduces to the philosopher being virtuously circular, only! Why is the ‘virtuous circle’ so crucialvide ‘circulus virtuosus.’ virtŭōsus , a, um, adj. virtus, I.virtuousgood (late Lat.), Aug. c. Sec. Man. 10. A circle is virtuous if it is not that bad. In this case, we need the ‘virtuous circle’ because we are dealing with ‘a loop.’ This is exactly Schiffer’s way of putting it in his ‘Introduction’ to Meaning (second edition). There is a ‘conceptual loop.’ Schiffer is not interested in ‘communicating;’ only ‘meaning.’ But his point can be transferred. He is saying that ‘U means that p,’ may rely on ‘U intends that p,’ where ‘U intends that p’ relies on ‘U means that p.’ There is a loop. In more generic terms:We have a creature, call it a pirot P1 that, by doing thing T, communicates that p. Are we talking of the OBSERVER? I hope so, because Grice’s favourite pirot is the parrot. So we have Prince Maurice’s Parrot. Locke: Since I think I may be confident, that, whoever should see a CREATURE of his own shape or make, though it had no more reason all its life than a cat or a PARROT, would call him still A MAN; or whoever should hear a cat or a parrot discourse, reason, and philosophize, would call or think it nothing but a cat or a PARROT; and say, the one was A DULL IRRATIONAL MAN, and the other A VERY INTELLIGENT RATIONAL PARROT. A relation we have in an author of great note, is sufficient to countenance the supposition of A RATIONAL PARROT. The author’s words are: I had a mind to know, from Prince Maurice's own mouth, the account of a common, but much credited story, that I had heard so often from many others, of an old parrot he has, that speaks, and asks, and answers common questions, like A REASONABLE CREATURE. So that those of his train there generally conclude it to be witchery or possession; and one of his chaplains, would never from that time endure A PARROT, but says all PARROTS have a devil in them. I had heard many particulars of this story, and as severed by people hard to be discredited, which made me ask Prince Maurice what there is of it. Prince Maurice says, with his usual plainness and dryness in talk, there is something true, but a great deal false of what is reported. I desired to know of him what there was of the first. Prince Maurice tells me short and coldly, that he had HEARD of such A PARROT; and though he believes nothing of it, and it was a good way off, yet he had so much curiosity as to send for the parrot: that it was a very great parrot; and when the parrot comes first into the room where Prince Maurice is, with a great many men about him, the parrot says presently, What a nice company is here. One of the men asks the parrot, ‘What thinkest thou that man is?,’ ostending his finger, and pointing to Prince Maurice. The parrot answers, ‘Some general -- or other.’ When the man brings the parrot close to Prince Maurice, Prince Maurice asks the parrot., “D'ou venez-vous?” The parrot answers, “De Marinnan.” Then Prince Maurice goes on, and poses a second question to the parrot. “A qui estes-vous?” The Parrot answers: “A un Portugais.” Prince Maurice asks a third question. “Que fais-tu la?” The parrot answers: “Je garde les poulles.”Prince Maurice smiles, which pleases the Parrot. Prince Maurice, violating a Griceian maxim, and being just informed that p, asks whether p. This is his fourth question. “Vous gardez les poulles?” The Parrot answers, “Oui, moi; et je scai bien faire.” The Parrott appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck four or five times that a man uses to make to chickens when a man calls them. I set down the words of this worthy dialogue in French, just as Prince Maurice said them to me. I ask Prince Maurice in what ‘language’ the parrot speaks. Prince Maurice says that the parrot speaks in Brazilian. I ask Prince William whether he understands the Brazilian language. Prince Maurice says: No, but he has taken care to have TWO interpreters by him, the one a Dutchman that spoke Brazilian, and the other a Brazilian that spoke Dutch; that Prince Maurice asked them separatelyand privately, and both of them AGREED in telling Prince Maurice just the same thing that the parrot had said. I could not but tell this ODD story, because it is so much out of the way, and from the first hand, and what may pass for a good one; for I dare say Prince Maurice at least believed himself in all he told me, having ever passed for a very honest and pious man. I leave it to naturalists to reason, and to other men to believe, as they please upon it. However, it is not, perhaps, amiss to relieve or enliven a busy scene sometimes with such digressions, whether to the purpose or no.Locke takes care that the reader should have the story at large in the author's own words, because he seems to me not to have thought it incredible.For it cannot be imagined that so able a man as he, who had sufficiency enough to warrant all the testimonies he gives of himself, should take so much pains, in a place where it had nothing to do, to pin so close, not only on a man whom he mentions as his friend, but on a prince in whom he acknowledges very great honesty and piety, a story which, if he himself thought incredible, he could not but also think RIDICULOUS. Prince Maurice, it is plain, who vouches this story, and our author, who relates it from him, both of them call this talker A PARROT. And Locke asks any one else who thinks such a story fit to be told, whether, if this PARROT, and all of its kind, had always talked, as we have a prince's word for it this one did,- whether, I say, they would not have passed for a race of RATIONAL ANIMALS; but yet, whether, for all that, they would have been allowed to be MEN, and not PARROTS? For I presume it is not the idea of A THINKING OR RATIONAL BEING alone that makes the idea of A MAN in most people's sense: but of A BODY, so and so shaped, joined to it: and if that be the idea of a MAN, the same successive body not shifted all at once, must, as well as  THE SAME IMMATERIAL SPIRIT, go to the making of the same MAN. So back to Grice’s pirotology.But first a precis of the conversation, or languaging:PARROT: What a nice company is here.MAN (pointing to Prince Maurice): What thinkest thou that man is?PARROT: Some general -- or other. (i. e. the parrot displays what Grice calls ‘up-take.’ The parrot recognizes the man’s c-intention. So far is ability to display uptake.PRINCE MAURICE: D'ou venez-vous?PARROT: De Marinnan.PRINCE MAURICE: A qui estes-vous?PARROT: A un Portugais.PRINCE MAURICE: Que fais-tu la?PARROT: Je garde les poulles.PRINCE MAURICE SMILES and flouts a Griceian maxim: Vous gardez les poulles?PARROT (losing patience, and grasping the Prince’s implicaturum that he doubts it): Oui, moi. Et je scai bien faire.(The Parrott then appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck five times that a man uses to make to chickens when a man calls them.)So back to Grice:“According to my most recent speculations about communication, one should distinguish between what I call the ‘factual’ or ‘de facto’ character of behind the state of affairs that one might describe as ‘rational agent A communicates that p,’ for those communication-relevant features which obtain or are present in the circumstances) the ‘titular’ or ‘de jure’ character, viz. the nested C-intending which is only deemed to be present. And the reason Grice calls it ‘nested’ is that it involves three sub-intentions:(C) Emissor E communicates that (psi*) p iff Emissor E c-intends that A recognises that E psi-s that p iffC1: Emissor E intends A to recognise that A psi-s that p.C2: Emissor intends that A recognise C1 by A recognising C2C3: There is no inference-element which is C-constitutive such that Emissor relies on it and yet does not intend A to recognise.Grice:“The titular or de jure character of the state of affairs that is described as “Emissor communicates that p,” involves self-reference in the closure clause regarding the third intention, C3, may be thought as being ‘regressive,’ or involving what mathematicians mean when they use “, …;” and the translators of Aristotle, ‘eis apeiron,’ translated as ‘ad infinitum.’There may be ways of UNDEEMING this, i. e. of stating that self-reference and closure are meant to BLOCK an infinite regress. Hence the circle, if there is oneone feature of a virtuous circle is that it doesn’t look like a circle simpliciter --  would be virtuous. The ‘de jure’ character stands for a situation which, in Grice’s words, is “infinitely complex,” and so cannot be actually present in totoonly DEEMED to be.”“In which case,” Grice concludes pointing to the otiosity or rendering inoperative, “to point out that THE INCONCEIVABLE actual presence of the ‘de jure’ character of ‘Emissor communicates that p’ WOULD, still, be possible, or would be detectable, only via the ‘use’ of something like ‘die Deutsche Sprache’ seem to serve little, if any, purpose.”“At its most meagre, the factual or ‘de facto’ character consists merely in the pre-rational ‘counterpart’ of the state of affairs describable by “Emissor E communicates that p,” which might amount to no more than making a certain sort of utterance in order thereby to get some creature to think or want some particular thing.This meagre condition does not involve a reference to any expertise regarding anything like ‘die Deutsche Sprache.’Let’s reformulate the condition.It’s just a pirot, at a ‘pre-rational’ level. The pirot does a thing T IN ORDER THEREBY to get some other pirot to think or do some particular thing. To echo Hare,Die Tur ist geschlossen, ja.Die Tur ist geschlossen, bitte.Grice continues as a corollary: “Maybe in a less straightforward instance of “Emissor E communicates that p” there is actually present the C-intention whose feasibility as an ‘intention’ suggests some ability to use ‘die Deutsche Sprache.’But vide “non-verbal communication,” pre-verbal communication, languaging, pre-conventional communication, gestural communicationas in What Grice has as “a gesture (a signal).” Not necessary ‘conventional,’ and MAYBE ‘established’is one-off sufficient for ‘established’? I think so. By waving his hand in a particular way (“a particular sort of hand wave”), the emissor communicates that he knows the route (or is about to leave the addressee).  Grice concludes about the less straightforward instances, that there can be no advance guarantee when this will be so, i. e. that there is actually present the C-intention whose feasibility as an intention points to some capacity to use ‘die Deutsche Sprache.’Grice adds: “It is in any case arguable that the use of ‘die Deutsche Sprache’ would here be an indispensable aid to philosophising about communication, rather than it being an element in the PHILOSOPHISING about communication!  Philosophers of Grice’s generation use ‘man’ on purpose to mean ‘mankind’. What a man means. What a man utters. The utterer is the man. In semiotics one can use something more Latinate, like gesturer, or emitteror profferer. The distinction is between what an utterer means and what the logical and necessary implication. He doesn’t need to say this since ‘imply’ in the logical usage does not take utterer as subject. It’s what the utterer SAYS that implies this or that. (Strawson and Wiggins519). The utterer is possibly the ‘expresser.’ sender and sendee: Emissee: this is crucial. There’s loads of references on this. Apparently, some philosopher cannot think of communication without the emissee. But surely Grice loved Virginia Woolf. “And when she was writing ‘The Hours,’ I’m pretty sure she cared a damn whether the rest of the world existed!” Let's explore the issue of the UTTERER'S OCCASION-MEANING IN THE ABSENCE OF A (so-called) AUDIENCE -- or sender without sendee, as it were. There are various scenarios of utterances by which the utterer or sender is correctly said to have communicated that so-and-so, such that there is no actual person or set of persons (or sentient beings) whom the utterer or sender is addressing and in whom the sender intends to induce a response. The range of these scenarios includes, or might be thought to include, such items as -- the posting of a notice, like "Keep out" or "This bridge is dangerous," -- an entry in a diary, -- the writing of a note to clarify one's thoughts when working on some problem, -- soliloquizing, -- rehearsing a part in a projected conversation, and -- silent thinking. At least some of these scenarios are unprovided for in the reductive analysis so far proposed. The examples which Grice's account should cover fall into three groups: (a) Utterances for which the utterer or sender thinks there may (now or later) be an audience or sendee (as when Grice's son sent a letter to Santa). U may think that some particular person, e. g. himself at a future date in the case of a diary entry, may (but also may not) encounter U's utterance.Or U may think that there may or may not be some person or other who is or will be an auditor or sendee or recipient of his utterance. (b) An utterances which the utterer knows that it is not to be addressed to any actual sendee, but which the utterer PRETENDS to address or send to some particular person or type of person, OR which he thinks of as being addressed (or sent) to some imagined sendee or type of sendee (as in the rehearsal of a speech or of his part in a projected conversation, or Demosthenes or Noel Coward talking to the gulls.(c) An utterances (including what Occam calls an "internal" utterance) with respect to which the utterer NEITHER thinks it possible that there may be an actual sendee nor imagines himself as addressing sending so-and-so to a sendee, but nevertheless intends his utterance to be such that it would induce a certain sort of response in a certain perhaps fairly indefinite kind of sendee were it the case that such a sendee *were* present.In the case of silent thinking the idea of the presence of a sendee will have to be interpreted 'liberally,' as being the idea of there being a sendee for a public counter-part of the utterer's internal, private speech, if there is one. Austin refused to discuss Vitters's private-language argument.In this connection it is perhaps worth noting that some cases of verbal thinking (especially the type that Vitters engages in) do fall outside the scope of Grice's account. When a verbal though  merely passes through Vitters's head (or brain) as distinct from being "framed" by Vitters, it is utterly inappropriate (even in Viennese) to talk of Vitters as having communicated so-and-so by "the very thought of you," to echo Noble. Vitters is, perhaps, in such a case, more like a sendee than a sender -- and wondering who such an intelligent sender might (or then might not) be. In any case, to calm the neo-Wittgensteinians, Grice propose a reductive analysis which surely accounts for the examples which need to be accounted for, and which will allow as SPECIAL (if paradigmatic) cases (now) the range of examples in which there is, and it is known by the utterer that there is, an actual sendee. A soul-to-soul transfer. This redefinition is relatively informal. Surely Grice could present a more formal version which would gain in precision at the cost of ease of comprehension. Let "p" (and k') range over properties of persons (possible sendees); appropriate substituends for "O" (and i') will include such diverse expressions as "is a passer-by," "is a passer-by who sees this notice," "understands the Viennese cant," "is identical with Vitters." As will be seen, for Grice to communicate that so-and-so it will have to be possible to identify the value of "/" (which may be fairly indeterminate) which U has in mind; but we do not have to determine the range from which U makes a selection. "U means by uttering x that *iP" is true iff (30) (3f (3c):  I. U utters x intending x to be such that anyone who has q would think that (i) x has f (2) f is correlated in way c with M-ing that p (3) (3 0'): U intends x to be such that anyone who has b' would think, via thinking (i) and (2), that U4's that p (4) in view of (3), U O's that p; and II. (operative only for certain substituends for "*4") U utters x intending that, should there actually be anyone who has 0, he would via thinking (4), himself a that p; ' and III. It is not the case that, for some inference-element E, U intends x to be such that anyone who has 0 will both (i') rely on E in coming to O+ that p and (2') think that (3k'): Uintends x to be such that anyone who has O' will come to /+ that p without relying on E. Notes: (1) "i+" is to be read as "p" if Clause II is operative, and as "think that UO's" if Clause II is non-operative. (2) We need to use both "i" and "i'," since we do not wish to require that U should intend his possible audience to think of U's possible audience under the same description as U does himself. Explanatory comments: (i) It is essential that the intention which is specified in Clause II should be specified as U's intention "that should there be anyone who has 0, he would (will) . . ." rather than, analogously with Clauses I and II, as U's intention "that x should be such that, should anyone be 0, he would ... ." If we adopt the latter specification, we shall be open to an objection, as can be shown with the aid of an example.Suppose that, Vitters is married, and further, suppose he married an Englishwoman. Infuriated by an afternoon with his mother-in-law, when he is alone after her departure, Vitters relieves his feelings by saying, aloud and passionately, in German:"Do not ye ever comest near me again!"It will no doubt be essential to Vitters's momentary well-being that Vitters should speak with the intention that his remark be such that were his mother-in-law present, assuming as we say, that he married and does have one who, being an Englishwoman, will most likely not catch the Viennese cant that Vitters is purposively using, she should however, in a very Griceian sort of way, form the intention not to come near Vitters again. It would, however, be pretty unacceptable if it were represented as following from Vitters's having THIS intention (that his remark be such that, were his mother-in-law be present, she should form the intnetion to to come near Vitters again) that what Vitters is communicating (who knows to who) that the denotatum of 'Sie' is never to come near Vitters again.For it is false that, in the circumstances, Vitters is communicating that by his remark. Grice's reductive analysis is formulated to avoid that difficulty. (2) Suppose that in accordance with the definiens o U intends x to be such that anyone who is f will think ... , and suppose that the value of "O" which U has in mind is the property of being identical with a particular person A. Then it will follow that U intends A to think . . . ; and given the further condition, fulfilled in any normal (paradigmatic, standard, typical, default) case, that U intends the sendee to think that the sendee is the intended sendee, we are assured of the truth of a statement from which the definiens is inferrible by the rule of existential generalisation (assuming the legitimacy of this application of existential generalisation to a statement the expression of which contains such "intensional" verbs as "intend" and "think"). It can also be shown that, for any case in which there is an actual sendee who knows that he is the intended sendee, if the definiens in the standard version is true then the definiens in the adapted version will be true. If that is so, given the definition is correct, for any normal case in which there IS an actual sendee the fulfillment of the definiens will constitute a necessary and sufficient condition for U's having communicated that *1p. sendeeless: ‘audienceless’ “One good example of a sendeeless implicaturum is Sting’s “Message in a bottle.”Grice. Grice: “When Sting says, “I’m sending out an ‘s.o.s’ he is being Peirceian.” Latin sensus "perception, feeling, undertaking, meaning," from sentire "perceive, feel, know," probably a figurative use of a literally meaning "to find one's way," or "to go mentally," from PIE root *sent- "to go" (source also of Old High German sinnan "to go, travel, strive after, have in mind, perceive," German Sinn "sense, mind," Old English sið "way, journey." Refs.: Grice, “The utterer as the sender.” Grice: “This is jargon, as used by the postal service, and it should be translatable to any language spoken in a country with postal service!”

 

senone: cf. senofane, parmenide -- Velia -- (or as Strawson would prefer, Zeno). "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?”that is the question!”Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zeno of Elea fifth century B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zeno’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The racetrack paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is  it could be a foot or an inch or a micron away  this argument, if sound, shows that all motion is impossible. Moving to any point will involve an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles can run much faster than the tortoise, so when a race is arranged between them the tortoise is given a lead. Zeno argued that Achilles can never catch up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging: while Achilles was occupied in making up his handicap, the tortoise has advanced a little farther. So the next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While he is doing this, the tortoise will have gone a little farther still. However small the gap that remains, it will take Achilles some time to cross it, and in that time the tortoise will have created another gap. So however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in Aristotle’s words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its double” Physics 259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow “occupies a space equal to itself.” That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his paradoxes to show. There is no evidence that he offered any “solutions” to them. One view is that they were part of a program to establish that multiplicity is an illusion, and that reality is a seamless whole. The argument could be reconstructed like this: if you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these insupportable paradoxes; so you must think of reality as a single indivisible One.  Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Senso – Grice: “Austin would say that ‘sense’ belongs to ‘philosophical’ and not ‘ordinary’ language; but Visconti – and all the Italian philosoophers behind him, would disagree!” -- “sensus: Grice: “The Italians are directd: there is ‘sensismo’ as a movement in Italia – due to Condillac, of course!” -- sensationalism, the belief that all mental states  particularly cognitive states  are derived, by composition or association, from sensation. It is often joined to the view that sensations provide the only evidence for our beliefs, or more rarely to the view that statements about the world can be reduced, without loss, to statements about sensation. Hobbes was the first important sensationalist in modern times. “There is no conception in man’s mind,” he wrote, “which hath not at first, totally, or by parts, been begotten upon the organs of sense. The rest are derived from that original.” But the belief gained prominence in the eighteenth century, due largely to the influence of Locke. Locke himself was not a sensationalist, because he took the mind’s reflection on its own operations to be an independent source of ideas. But his distinction between simple and complex ideas was used by eighteenthcentury sensationalists such as Condillac and Hartley to explain how conceptions that seem distant from sense might nonetheless be derived from it. And to account for the particular ways in which simple ideas are in fact combined, Condillac and Hartley appealed to a second device described by Locke: the association of ideas. “Elementary” sensations  the building blocks of our mental life  were held by the sensationalists to be non-voluntary, independent of judgment, free of interpretation, discrete or atomic, and infallibly known. Nineteenth-century sensationalists tried to account for perception in terms of such building blocks; they struggled particularly with the perception of space and time. Late nineteenth-century critics such as Ward and James advanced powerful arguments against the reduction of perception to sensation. Perception, they claimed, involves more than the passive reception or recombination and association of discrete pellets of incorrigible information. They urged a change in perspective  to a functionalist viewpoint more closely allied with prevailing trends in biology  from which sensationalism never fully recovered.  sensibile: Austin, “Sense and sensibile,” as used by Russell, those entities that no one is at the moment perceptually aware of, but that are, in every other respect, just like the objects of perceptual awareness. If one is a direct realist and believes that the objects one is aware of in sense perception are ordinary physical objects, then sensibilia are, of course, just physical objects of which no one is at the moment aware. Assuming with common sense that ordinary objects continue to exist when no one is aware of them, it follows that sensibilia exist. If, however, one believes as Russell did that what one is aware of in ordinary sense perception is some kind of idea in the mind, a so-called sense-datum, then sensibilia have a problematic status. A sensibile then turns out to be an unsensed sense-datum. On some the usual conceptions of sense-data, this is like an unfelt pain, since a sense-datum’s existence not as a sense-datum, but as anything at all depends on our someone’s perception of it. To exist for such things is to be perceived see Berkeley’s “esse est percipii“. If, however, one extends the notion of sense-datum as Moore was inclined to do to whatever it is of which one is directly aware in sense perception, then sensibilia may or may not exist. It depends on what  physical objects or ideas in the mind  we are directly aware of in sense perception and, of course, on the empirical facts about whether objects continue to exist when they are not being perceived. If direct realists are right, horses and trees, when unobserved, are sensibilia. So are the front surfaces of horses and trees things Moore once considered to be sensedata. If the direct realists are wrong, and what we are perceptually aware of are “ideas in the mind,” then whether or not sensibilia exist depends on whether or not such ideas can exist apart from any mind.  sensorium, the seat and cause of sensation in the brain of humans and other animals. The term is not part of contemporary psychological parlance; it belongs to prebehavioral, prescientific psychology, especially of the seventeenth and eighteenth centuries. Only creatures possessed of a sensorium were thought capable of bodily and perceptual sensations. Some thinkers believed that the sensorium, when excited, also produced muscular activity and motion. sensus communis, a cognitive faculty to which the five senses report. It was first argued for in Aristotle’s On the Soul II.12, though the term ‘common sense’ was first introduced in Scholastic thought. Aristotle refers to properties such as magnitude that are perceived by more than one sense as common sensibles. To recognize common sensibles, he claims, we must possess a single cognitive power to compare such qualities, received from the different senses, to one another. Augustine says the “inner sense” judges whether the senses are working properly, and perceives whether the animal perceives De libero arbitrio II.35. Aquinas In De anima II, 13.370 held that it is also by the common sense that we perceive we live. He says the common sense uses the external senses to know sensible forms, preparing the sensible species it receives for the operation of the cognitive power, which recognizes the real thing causing the sensible species.  sentential connective, also called sentential operator, propositional connective, propositional operator, a word or phrase, such as ‘and’, ‘or’, or ‘if . . . then’, that is used to construct compound sentences from atomic  i.e., non-compound  sentences. A sentential connective can be defined formally as an expression containing blanks, such that when the blanks are replaced with sentences the result is a compound sentence. Thus, ‘if ——— then ———’ and ‘——— or ———’ are sentential connectives, since we can replace the blanks with sentences to get the compound sentences ‘If the sky is clear then we can go swimming’ and ‘We can go swimming or we can stay home’. Classical logic makes use of truth-functional connectives only, for which the truth-value of the compound sentence can be determined uniquely by the truth-value of the sentences that replace the blanks. The standard truth-functional sensibilia sentential connective 834    834 connectives are ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if . . . then’, and ‘if and only if’. There are many non-truth-functional connectives as well, such as ‘it is possible that ———’ and ‘——— because ———’.  sentimentalism, the theory, prominent in the eighteenth century, that epistemological or moral relations are derived from feelings. Although sentimentalism and sensationalism are both empiricist positions, the latter view has all knowledge built up from sensations, experiences impinging on the senses. Sentimentalists may allow that ideas derive from sensations, but hold that some relations between them are derived internally, that is, from sentiments arising upon reflection. Moral sentimentalists, such as Shaftesbury, Hutcheson, and Hume, argued that the virtue or vice of a character trait is established by approving or disapproving sentiments. Hume, the most thoroughgoing sentimentalist, also argued that all beliefs about the world depend on sentiments. On his analysis, when we form a belief, we rely on the mind’s causally connecting two experiences, e.g., fire and heat. But, he notes, such causal connections depend on the notion of necessity  that the two perceptions will always be so conjoined  and there is nothing in the perceptions themselves that supplies that notion. The idea of necessary connection is instead derived from a sentiment: our feeling of expectation of the one experience upon the other. Likewise, our notions of substance the unity of experiences in an object and of self the unity of experiences in a subject are sentimentbased. But whereas moral sentiments do not purport to represent the external world, these metaphysical notions of necessity, substance, and self are “fictions,” creations of the imagination purporting to represent something in the outside world. -- sententia: For some reason, perhaps of his eccentricity, J. L. Austin was in love with Chomsky. He would read “Syntactic Structures” aloud to the Play Group. And Grice was listening. This stuck with Grice, who started to use ‘sentence,’ even in Polish, when translating Tarski. Hardie had taught him that ‘sententia’ was a Roman transliteration of ‘dia-noia,’ which helped. Since “Not when the the of dog” is NOT a sentence, not even an ‘ill-formed sentence,’ Grice concludes that like ‘reason,’ and ‘cabbage,’ sentence is a value-paradeigmatic concept. His favourite sentence was “Fido is shaggy,” uttered to communicate that Smith’s dog is hairy coated. One of Grice’s favourite sentences was Carnap’s “Pirots karulise elatically,” which Carnap borrowed from (but never returned to) Baron Russell. (“I later found out a ‘pirot’ is an extinct fish, which destroyed my whole implicaturumtalk of ichthyological necessity!” (Carnap contrasted, “Pirots karulise elatically,” with “The not not if not the dog the.”

 

shaggy-dog story, v. Grice’s shaggy-dog story.

 

shared experience: WoW: 286. Grice was fascinated by the etymology of ‘share,’“which is so difficult to translate to Grecian!”“Co-operation can be regarded as a shared experience. You cooperate not just when you help, but, as the name indicates, when you operate along with anotherwhen you SHARE some taskin this case influencing the other in the dyad, and being influenced by him.”

 

ensieme – Grice: “Few like Rigamononti have explored the sorry story of set theory --.” Grice: “Rigamonti uses ‘insieme,’ which is of course cognate with ‘ensemble,’ – why some at Oxford use ‘set,’ as in the ‘jet set’ escapes me!” --  rclasse -- set: “Is the idea of a one-member set implicatural?”Grice. “I distinguish between a class and a set, but Strawson does not.”Grice --  the study of collections, ranging from familiar examples like a set of encyclopedias or a deck of cards to mathematical examples like the set of natural numbers or the set of points on a line or the set of functions from a set A to another set B. Sets can be specified in two basic ways: by a list e.g., {0, 2, 4, 6, 8} and as the extension of a property e.g., {x _ x is an even natural number less than 10}, where this is read ‘the set of all x such that x is an even natural number less than 10’. The most fundamental relation in set theory is membership, as in ‘2 is a member of the set of even natural numbers’ in symbols: 2 1 {x _ x is an even natural number}. Membership is determinate, i.e., any candidate for membership in a given set is either in the set or not in the set, with no room for vagueness or ambiguity. A set’s identity is completely determined by its members or elements i.e., sets are extensional rather than intensional. Thus {x _ x is human} is the same set as {x _ x is a featherless biped} because they have the same members. The smallest set possible is the empty or null set, the set with no members. There cannot be more than one empty set, by extensionality. It can be specified, e.g., as {x _ x & x}, but it is most often symbolized as / or { }. A set A is called a subset of a set B and B a superset of A if every member of A is also a member of B; in symbols, A 0 B. So, the set of even natural numbers is a subset of the set of all natural numbers, and any set is a superset of the empty set. The union of two sets A and B is the set whose members are the members of A and the members of B  in symbols, A 4 B % {x _ x 1 A or x 1 B}  so the union of the set of even natural numbers and the set of odd natural numbers is the set of all natural numbers. The intersection of two sets A and B is the set whose members are common to both A and B  in symbols, A 3 B % {x _ x 1 A and x 1 B}  so the intersection of the set of even natural numbers and the set of prime natural numbers is the singleton set {2}, whose only member is the number 2. Two sets whose intersection is empty are called disjoint, e.g., the set of even natural numbers and the set of odd natural numbers. Finally, the difference between a set A and a set B is the set whose members are members of A but not members of B  in symbols, A  B % {x _ x 1 A and x 2 B}  so the set of odd numbers between 5 and 20 minus the set of prime natural numbers is {9, 15}. By extensionality, the order in which the members of a set are listed is unimportant, i.e., {1, 2, 3} % {2, 3, 1}. To introduce the concept of ordering, we need the notion of the ordered pair of a and b  in symbols, a, b or . All that is essential to ordered pairs is that two of them are equal only when their first entries are equal and their second entries are equal. Various sets can be used to simulate this behavior, but the version most commonly used is the Kuratowski ordered pair: a, b is defined to be {{a}, {a, b}}. On this definition, it can indeed be proved that a, b % c, d if and only if a % c and b % d. The Cartesian product of two sets A and B is the set of all ordered pairs whose first entry is in A and whose second entry is B  in symbols, A $ B % {x _ x % a, b for some a 1 A and some b 1 B}. This set-theoretic reflection principles set theory 836    836 same technique can be used to form ordered triples  a, b, c % a, b, c; ordered fourtuples  a, b, c, d % a, b, c, d; and by extension, ordered n-tuples for all finite n. Using only these simple building blocks, substitutes for all the objects of classical mathematics can be constructed inside set theory. For example, a relation is defined as a set of ordered pairs  so the successor relation among natural numbers becomes {0, 1, 1, 2, 2, 3 . . . }  and a function is a relation containing no distinct ordered pairs of the form a, b and a, c  so the successor relation is a function. The natural numbers themselves can be identified with various sequences of sets, the most common of which are finite von Neumann ordinal numbers: /, {/}, {/, {/}, {/}, {/}, {/, {/}}}, . . . . On this definition, 0 % /, 1 % {/}, 2 % {/, {/}}, etc., each number n has n members, the successor of n is n 4 {n}, and n ‹ m if and only if n 1 m. Addition and multiplication can be defined for these numbers, and the Peano axioms proved from the axioms of set theory; see below. Negative, rational, real, and complex numbers, geometric spaces, and more esoteric mathematical objects can all be identified with sets, and the standard theorems about them proved. In this sense, set theory provides a foundation for mathematics. Historically, the theory of sets arose in the late nineteenth century. In his work on the foundations of arithmetic, Frege identified the natural numbers with the extensions of certain concepts; e.g., the number two is the set of all concepts C under which two things fall  in symbols, 2 % {x _ x is a concept, and there are distinct things a and b which fall under x, and anything that falls under x is either a or b}. Cantor was led to consider complex sets of points in the pursuit of a question in the theory of trigonometric series. To describe the properties of these sets, Cantor introduced infinite ordinal numbers after the finite ordinals described above. The first of these, w, is {0, 1, 2, . . .}, now understood in von Neumann’s terms as the set of all finite ordinals. After w, the successor function yields w ! 1 % w 4 {w} % {0, 1, 2, . . . n, n + 1, . . . , w}, then w ! 2 % w ! 1 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w , w ! 1}, w ! 3 % w ! 2 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2}, and so on; after all these comes w ! w % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2, . . . , w ! n, w ! n ! 1, . . .}, and the process begins again. The ordinal numbers are designed to label the positions in an ordering. Consider, e.g., a reordering of the natural numbers in which the odd numbers are placed after the evens: 0, 2, 4, 6, . . . 1, 3, 5, 7, . . . . The number 4 is in the third position of this sequence, and the number 5 is in the w + 2nd. But finite numbers also perform a cardinal function; they tell us how many so-andso’s there are. Here the infinite ordinals are less effective. The natural numbers in their usual order have the same structure as w, but when they are ordered as above, with the evens before the odds, they take on the structure of a much larger ordinal, w ! w. But the answer to the question, How many natural numbers are there? should be the same no matter how they are arranged. Thus, the transfinite ordinals do not provide a stable measure of the size of an infinite set. When are two infinite sets of the same size? On the one hand, the infinite set of even natural numbers seems clearly smaller than the set of all natural numbers; on the other hand, these two sets can be brought into one-to-one correspondence via the mapping that matches 0 to 0, 1 to 2, 2 to 4, 3 to 6, and in general, n to 2n. This puzzle had troubled mathematicians as far back as Galileo, but Cantor took the existence of a oneto-one correspondence between two sets A and B as the definition of ‘A is the same size as B’. This coincides with our usual understanding for finite sets, and it implies that the set of even natural numbers and the set of all natural numbers and w ! 1 and w! 2 and w ! w and w ! w and many more all have the same size. Such infinite sets are called countable, and the number of their elements, the first infinite cardinal number, is F0. Cantor also showed that the set of all subsets of a set A has a size larger than A itself, so there are infinite cardinals greater than F0, namely F1, F2, and so on. Unfortunately, the early set theories were prone to paradoxes. The most famous of these, Russell’s paradox, arises from consideration of the set R of all sets that are not members of themselves: is R 1 R? If it is, it ’t, and if it ’t, it is. The Burali-Forti paradox involves the set W of all ordinals: W itself qualifies as an ordinal, so W 1 W, i.e., W ‹ W. Similar difficulties surface with the set of all cardinal numbers and the set of all sets. At fault in all these cases is a seemingly innocuous principle of unlimited comprehension: for any property P, there is a set {x _ x has P}. Just after the turn of the century, Zermelo undertook to systematize set theory by codifying its practice in a series of axioms from which the known derivations of the paradoxes could not be carried out. He proposed the axioms of extensionality two sets with the same members are the same; pairing for any a and b, there is a set {a, b}; separation for any set A and property P, there is a set {x _ x 1 A and x has P}; power set for any set A, there is a set {x _ x0 A}; union for any set of sets F, there is a set {x _ x 1 A for some A 1 F}  this yields A 4 B, when F % {A, B} and {A, B} comes from A and B by pairing; infinity w exists; and choice for any set of non-empty sets, there is a set that contains exactly one member from each. The axiom of choice has a vast number of equivalents, including the well-ordering theorem  every set can be well-ordered  and Zorn’s lemma  if every chain in a partially ordered set has an upper bound, then the set has a maximal element. The axiom of separation limits that of unlimited comprehension by requiring a previously given set A from which members are separated by the property P; thus troublesome sets like Russell’s that attempt to collect absolutely all things with P cannot be formed. The most controversial of Zermelo’s axioms at the time was that of choice, because it posits the existence of a choice set  a set that “chooses” one from each of possibly infinitely many non-empty sets  without giving any rule for making the choices. For various philosophical and practical reasons, it is now accepted without much debate. Fraenkel and Skolem later formalized the axiom of replacement if A is a set, and every member a of A is replaced by some b, then there is a set containing all the b’s, and Skolem made both replacement and separation more precise by expressing them as schemata of first-order logic. The final axiom of the contemporary theory is foundation, which guarantees that sets are formed in a series of stages called the iterative hierarchy begin with some non-sets, then form all possible sets of these, then form all possible sets of the things formed so far, then form all possible sets of these, and so on. This iterative picture of sets built up in stages contrasts with the older notion of the extension of a concept; these are sometimes called the mathematical and the logical notions of collection, respectively. The early controversy over the paradoxes and the axiom of choice can be traced to the lack of a clear distinction between these at the time. Zermelo’s first five axioms all but choice plus foundation form a system usually called Z; ZC is Z with choice added. Z plus replacement is ZF, for Zermelo-Fraenkel, and adding choice makes ZFC, the theory of sets in most widespread use today. The consistency of ZFC cannot be proved by standard mathematical means, but decades of experience with the system and the strong intuitive picture provided by the iterative conception suggest that it is. Though ZFC is strong enough for all standard mathematics, it is not enough to answer some natural set-theoretic questions e.g., the continuum problem. This has led to a search for new axioms, such as large cardinal assumptions, but no consensus on these additional principles has yet been reached. Then there are the set-theoretica paradoxes, a collection of paradoxes that reveal difficulties in certain central notions of set theory. The best-known of these are Russell’s paradox, Burali-Forti’s paradox, and Cantor’s paradox. Russell’s paradox, discovered in 1 by Bertrand Russell, is the simplest and so most problematic of the set-theoretic paradoxes. Using it, we can derive a contradiction directly from Cantor’s unrestricted comprehension schema. This schema asserts that for any formula Px containing x as a free variable, there is a set {x _ Px} whose members are exactly those objects that satisfy Px. To derive the contradiction, take Px to be the formula x 1 x, and let z be the set {x _ x 2 x} whose existence is guaranteed by the comprehension schema. Thus z is the set whose members are exactly those objects that are not members of themselves. We now ask whether z is, itself, a member of z. If the answer is yes, then we can conclude that z must satisfy the criterion of membership in z, i.e., z must not be a member of z. But if the answer is no, then since z is not a member of itself, it satisfies the criterion for membership in z, and so z is a member of z. All modern axiomatizations of set theory avoid Russell’s paradox by restricting the principles that assert the existence of sets. The simplest restriction replaces unrestricted comprehension with the separation schema. Separation asserts that, given any set A and formula Px, there is a set {x 1 A _ Px}, whose members are exactly those members of A that satisfy Px. If we now take Px to be the formula x 2 x, then separation guarantees the existence of a set zA % {x 1 A _ x 2 x}. We can then use Russell’s reasoning to prove the result that zA cannot be a member of the original set A. If it were a member of A, then we could prove that it is a member of itself if and only if it is not a member of itself. Hence it is not a member of A. But this result is not problematic, and so the paradox is avoided. The Burali-Forte paradox and Cantor’s paradox are sometimes known as paradoxes of size, since they show that some collections are too large to be considered sets. The Burali-Forte paradox, discovered by Cesare Burali-Forte, is concerned with the set of all ordinal numbers. In Cantor’s set theory, an ordinal number can be assigned to any well-ordered set. A set is wellordered if every subset of the set has a least element. But Cantor’s set theory also guarantees the existence of the set of all ordinals, again due to the unrestricted comprehension schema. This set of ordinals is well-ordered, and so can be associated with an ordinal number. But it can be shown that the associated ordinal is greater than any ordinal in the set, hence greater than any ordinal number. Cantor’s paradox involves the cardinality of the set of all sets. Cardinality is another notion of size used in set theory: a set A is said to have greater cardinality than a set B if and only if B can be mapped one-to-one onto a subset of A but A cannot be so mapped onto B or any of its subsets. One of Cantor’s fundamental results was that the set of all subsets of a set A known as the power set of A has greater cardinality than the set A. Applying this result to the set V of all sets, we can conclude that the power set of V has greater cardinality than V. But every set in the power set of V is also in V since V contains all sets, and so the power set of V cannot have greater cardinality than V. We thus have a contradiction. Like Russell’s paradox, both of these paradoxes result from the unrestricted comprehension schema, and are avoided by replacing it with weaker set-existence principles. Various principles stronger than the separation schema are needed to get a reasonable set theory, and many alternative axiomatizations have been proposed. But the lesson of these paradoxes is that no setexistence principle can entail the existence of the Russell set, the set of all ordinals, or the set of all sets, on pain of contradiction. 

 

Selvatico-Estense?

 

semerari: Grice: “Wheereas it would be considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on Calabellse than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His ‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on “Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself, belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!” -- Giuseppe Semerari (Taranto), filosofo. Laureato aa Roma, dove fu allievo di Carabellese, fu poi professore di filosofia a Bari --(a lui è dedicata la biblioteca del dipartimento).  Con Paci ha collaborato «aut aut», di cui era in redazione. Collaborò anche a «Critica storica», «Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», « Rivista internazionale di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il pensiero», «Archivio di filosofia» e altre riviste specialistiche. Fondò la rivista «Paradigmi», e ne fu il direttore.  Si è dedicato per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx.  Opere: “I problemi dello spinozismo,” Vecchi, Trani, “Storia e storicismo: saggio sul problema della storia nella filosofia Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo e ontologismo critico,” Lacaita, Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia.” Ciranna, Siracusa;  Interpretazione di Schelling, Libreria scientifica, Napoli;  “L'esistenzialismo italiano,” (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English philosophy,” or Sorley for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di etica contemporanea,” Adriatica, Bari; Responsabilità e comunità umana. Ricerche etiche, Lacaita, Manduria; La filosofia come relazione, Quaderni di cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini e Associati, Milano Scienza nuova e ragione, Lacaita, Manduria; Furio Semerari, premessa di Carlo Sini, Guerini e Associati, Milano Da Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea, Cappelli, Bologna;  La lotta per la scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa di Fulvio Papi, Guerini e Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze del pensiero moderno, Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bar;  Introduzione a Schelling, Laterza, Bari Filosofia e potere, Dedalo, Bari Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo filosofico-politico, Bertani, Verona;  La scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie, De Donato, Bari; Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali, Milano; La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di Pantaleo Carabellése, Dedalo, Bar; Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica, Dedalo, Bari  (a cura di, con Vito Carofiglio) Jean-Paul Sartre. Teoria, scrittura, impegno, Edizioni del Sud, Bari; Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli; Skepsis. Studi husserliani (con Ferruccio De Natale), Dedalo, Bari; Filosofia. Lezioni preliminari, Guerini e Associati, Milano Confronti con Heidegger, Dedalo, Bari prefazione a Edmund Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La cosa stessa.” Seminari fenomenologici, Dedalo, Bari; Schelling, Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo e Nuova deduzione del diritto naturale , Laterza, Bari. Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica, Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano; Fenomenologia delle relazioni, Palomar, Bari; Ragione e storia. Studi in memoria di Giuseppe Semerari, Francesco Tateo, Schena, Fasano;  Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La certezza incerta” Scritti su Giuseppe Semerari con due inediti dell'autore, Furio Semerari, Guerini, Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia per Giuseppe Semerari, in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe Semerari. Il problema morale, Atheneum, Firenze, Julia Ponzio e Filippo Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Giuseppe Semerari, Mimesis, Milano Giuseppe Semerari, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

semmola: Grice: “I find it difficult to sea if Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice: “While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola, “Istituzione di Filosofia.” Mariano Semmola (Napoli), filosofo. Fu senatore del Regno d'Italia nella XVI legislature. (check). Figlio di Giovanni Semmola uno dei più grandi esponenti della scuola napoletana, Mariano fu docente e poi Segretario del Parlamento del Regno d'Italia; partecipò ai moti di Marigliano. Ha scritto, tra l'altro, “Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica” (presso la Biblioteca Nazionale di Napoli).  Questo è l'epitaffio sul monumento a lui dedicato e sito nel Recinto o Quadrilatero degli Uomini Illustri del Cimitero Monumentale di Napoli-Poggioreale:  «Mente divinatrice ardente spirito investigatore Che nello studio della natura morbosa dell'uomo Produsse miracoli di arte e di scienza Scolare e presto emulo del suo gran più ai giovann Conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica Procacciandosi fama in patria e fuori Di sommo maestro in medicina Ne rifulse lo ingegno incomparabile Dalla cattedra nell'università napoletana Nelle accademie e negli ospedali Nei consessi legislativi e nei congressi scientifici Nella parola negli scritti Membro della commissione legislativa riunita in Firenze. Principale autore di un codice sanitario italiano Inviato unico plenipotenziario Alla conferenza sanitaria internazionale di Vienna il 1874 Fu deputato e poi senatore nel patrio parlamento Onorato due volte di medaglia d'oro Dal proprio governo per le cure ai colerosi Da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i maggiori gradi cavallereschi. Morì  nella fede catolica avita  Questo marmo per voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina Le spoglie mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia Ove le vollero la vedova ed i figliuoli A rendere vieppiù paghi La loro pietà ed il riconoscente affetto.Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Onorificenze straniere Gran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna) Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo )nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo) Commendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna) Commendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare (Svezia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare (Svezia) Grand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia)nastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia) Commendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico) Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) Opere di Mariano Semmola, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Mariano Semmola, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Mariano Semmola, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.

 

senòfane: Velia. Grice: “There is Athenian dialectic, but there is a prior Veliaian dialectic, at Velia, in Italy.” Senòfane (Colofone), filosofo. Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata la patria, dimorò a Zancle (l'odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte alla colonia diretta a Velia e qui insegnò. Abitò anche a Catania. Secondo alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell'ateniese Betone o di Archelao. Sozione il Peripatetico dice che fu contemporaneo di Anassimandro. Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto Omero ed Esiodo hanno detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età. cantò anche La fondazione di Colofone e La deduzione di colonia a Elea in duemila versi. Fiorì nella 60ª olimpiade. Demetrio Falereo in Sulla vecchiaia e lo stoico Panezio in Sulla tranquillità dell'animo dicono che abbia sepolto i figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade. Restano frammenti di elegie e di silli, versi satirici. Critica l'antropomorfismo religioso, quale si trova nei poemi di Omero e di Esiodo e quale, del resto, era comune patrimonio delle credenze religiose del suo tempo:  «Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi. I mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro. Gli Etiopi credono che gli dei siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare,  i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi.In realtà, uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza. Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente. Snza fatica tutto scuote con la forza del pensiero. Sempre nell'identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.  Da tutto questo si ricava la concezione di un dio-universo e nient'altro si può dire della sua concezione della divinità e dell'essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di Senofane un precursore della scuola di Velia e il maestro di Parmenide. Egli è legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene, a cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di critica alle concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano il meglio".  In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la consapevolezza che non da interventi soprannaturali l'uomo può acquisire conoscenza o costruire la propria cultura.  Oltre a schierarsi contro i valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Difatti, che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella lotta, non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città. Sulla sua concezione della natura restano pochi frammenti. Achilles, nell’Isagoge in Aratum, riporta che "questo limite della terra lo vediamo ai nostri piedi che viene a contatto con l'aria, l'estremo inferiore si stende invece indefinitamente"; da Aezio deriva che "il mare è fonte dell'acqua e del vento. Infatti il vento né dalle nubi né dall'interno spira, senza il grande mare, né le correnti dei fiumi, né nell'atmosfera l'acqua piovana. Il grande mare genera nubi, venti e fiumi"; Ippolito, nella Refutatio contra omnes haereses, riassume che, per Senofane, nella terra ferma e nei monti si trovano conchiglie, a Siracusa, nelle latomie, si sono trovate impronte di pesci e di foche, a Paro l'impronta di una sarda nella pietra viva e a Malta impronte di ogni sorta di pesci. Questo è avvenuto quando anticamente tutto fu ridotto a fango e l'impronta del fango si è disseccata. La specie umana scompare quando la terra, sprofondatasi nel mare, diventa fango e poi di nuovo la terra ricomincia a formarsi e a tale trasformazione sono soggetti tutti i mondi". E, citato da Aezio, Teodoreto e Sesto Empirico, tutti siamo nati dalla terra e dall'acqua. Moderni commentatori hanno tacciato queste ultime considerazioni di grossolano materialismo che non si collegherebbero con un suo presunto principio fondamentale dell'unità e dell'immobilità dell'universo, avendo essi consideratolo attendibile, relativamente a Senofane, lo PseudoAristotele del De Melisso Xenophane Gorgia, che è un trattato neoplatonico con nessuna attendibilità storica, e pertanto inserendo erroneamente Senofane nella scuola eleatica. In realtà, anche da queste poche citazioni, si conferma filosofo ionico, interessato all'osservazione diretta della natura, lontano da problematiche ontologiche e dall'ipotizzare un mondo trascendente l'esperienza e quindi non vicino alla dottrina eleatica erratamente attribuitagli.  Diels-Kranz, Presocratici  I, Gabriele Giannantoni, Bari, Laterza, Testi I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, Giovanni Reale, Milano: Bompiani, Mario Untersteiner, Senofane. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte, Milano, Bompiani 2008. Mario Untersteiner, Giovanni Reale, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte, Milano, Bompiani . Angelo Tonelli, Le parole dei sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Testo greco a fronte, Milano, Feltrinelli, Studi Maurizio Bugno , Senofane ed Elea tra Ionia e Magna Grecia, Napoli, Luciano Editore, Renzo Vitali, Senofane di Colofone e la scuola eleatica, Cesena, Società Editrice "Il Ponte Vecchio.” A Senofane è stato intitolato il cratere Senofane, sulla superficie della Luna. Wikibooks contiene un approfondimento su Il dio di Senofane e la critica alle credenze tradizionali  Senofane, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Senofane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Senofane, su sapere.it, De Agostini. Senofane, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Senofane.  James Lesher, Xenophanes, su Stanford Encyclopedia of Philosophy.

 

serra: Antonio Serra (Dipignano), filosofo.-- è considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».   Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, nel 1613 Serra fu imprigionato nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Il 6 settembre 1617 riuscì a farsi ricevere dal nuovo viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì.  Essendo molto gravi all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.  Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto Croce la definì "lampada di vita".  Sua influenza nella storia del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera, tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta. "Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza economica.  Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik Reinert.  Note Friedrich List, National system of political economy, J.B. Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter (1959)236.  Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, 2001105,  88-498-0127-0.  Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.».  Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su eumed.net, Theodore A. Sumberg.  Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista moderno, , Ecra,  978-88-6558-082-0.  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert , Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S. Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs, Erik S. Reinert, Giovanni Botero (1588) and Antonio Serra (1613): Italy and the birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli 1780,  409 s.; Francesco Saverio Salfi, Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile, in Luca Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009,  133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di economia politica, Parte antica, I, Milano, Giuseppe Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco Zazzera (1616-1620), in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato di economia politica, I, Napoli, Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani del secolo XVIII, Torino, Lodovico Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869,  284, 363 s.; Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza; Tommaso Fornari, Studii sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra Tommaso Antonio Serra (economista)  Antonio Serra (Dipignano, metà XVI secoloNapoli, primi anni XVII secolo) economista e filosofo italiano della scuola mercantilista. Serra è considerato il primo scrittore di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».   Indice 1Biografia 2Sua influenza nella storia del pensiero economico 3Note 4 5 6Altri progetti 7 Biografia  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, fu imprigionato nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Riuscì a farsi ricevere dal nuovo viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì.  Essendo molto gravi all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.  Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto Croce la definì "lampada di vita".  Sua influenza nella storia del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera, tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta. "Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza economica.  Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik Reinert.  Note Friedrich List, National system of political economy, J.B. Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter, Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.».  Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su eumed.net, Theodore A. Sumberg (1991).  Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista moderno, , Ecra,  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis,  Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert , Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S. Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs, 2008,  978-1586486686. Erik S. Reinert, Giovanni Botero  and Antonio Serra: Italy and the birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli,  Francesco Saverio Salfi, Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile  in Luca Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009,  133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di economia politica, Parte antica, I, Milano Giuseppe Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco Zazzera in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato di economia politica, I, Napoli; Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani del secolo XVIII, Torino; Lodovico Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli, Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza, Tommaso Fornari, Studii sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra Tommaso ampanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, INapoli, Antonio De Viti de Marco, Le teorie economiche di Antonio Serra, in Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, Rodolfo Benini, Sulle dottrine economiche di Antonio Serra Appunti critici, in Giornale degli economisti,  Economisti del Cinque e Seicento, A. Graziani, Bari, G. Arias, Il pensiero economico di Antonio Serra, in Politica, B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Economisti napoletani dei sec. XVII e XVIII, Giorgio Tagliacozzo, Bologna, Luigi Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Joseph Alois Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, Luigi De Rosa, Antonio Serra e i suoi critici, in Atti del 3º Congresso storico calabrese, Napoli, Giuseppe Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Guida Editori, Oscar Nuccio, Sul significato storico del «Breve trattato» di Antonio Serra, in Rivista storica del Mezzogiorno, Raffaele Colapietra, Introduzione, in Problemi monetari negli scrittori napoletani del Seicento, R. Colapietra, Roma Antonio Aquino, Antonio Serra e l'approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici,  Raffaele Colapietra, Genovesi in Calabria nel Cinque e Seicento, in Rivista storica calabrese, Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, Giulia Belgioioso, I, Galatina,  Tullio Toscano, Il "Breve trattato" di Antonio Serra e la disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, in Rivista di politica economica, Clemente Secondo Rije, Notizie biografiche su Antonio Serra, in A. Serra, Breve trattato, ed. anast., introduzione di Sergio Ricossa, Napoli, Peter Groenewegen, Serra, Antonio in The New Palgrave: a dictionary of economics, John Eatwell, Murray Milgate, Peter Kenneth Newman, IV, London; Sergio Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, Theodore A. Sumberg, Antonio Serra: A Neglected Herald of the Acquisitive System, in American Journal of Economics and Sociology,  Oscar Nuccio, Il pensiero economico italiano, II, 2, Sassari, Antonio Serra und sein Breve trattato: Vademecum zu einem Unbekannten Klassiker, Bertram Schefold, Düssendorlf,  Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, L. De Rosa, Roma-Bari , Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani dei secoli XVII-XVIII, A. Roncaglia, Bologna 1995 (in partic. E. Zagari, Moneta e sviluppo nel «Breve trattato» di Antonio Serra, A. Rosselli, Antonio Serra e la teoria dei cambi,  Antonio Landolfi, Domenico Luciano, Prefazione, in A. Serra, Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento..., Antonio Landolfi, Domenico Luciano, Vibo Valentia, Augusto Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Roma, Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Rivista italiana degli economisti, Luca Addante, Repubblicanesimo e mito di Venezia nel Breve trattato di Antonio Serra, in Clio, Erik S. Reinert, Sophus A. Reinert, An early national innovation system: the case of Antonio Serra's Breve trattato, in Institutions and economic development / Istituzioni e sviluppo economico, Alessandro Roncaglia, La ricchezza delle idee. Storia del pensiero economico, Roma-Bari, Enzo Grilli, Serra visto da Enzo Grilli, Roma 2006; Rosario Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma-Bari , Sophus A. Reinert, Introduction, in A. Serra, A short treatise on the wealth and poverty of nations, Sophus A. 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settala: Lodovico Settala (Milano), filosofo. Nacque dal medico Francesco Settala e da Giulia Ripa, figlia del giureconsulto pavese Giovanni Francesco Ripa.  Studiò nel collegio dei Gesuiti di Brera e si laureò a Pavia. Due anni dopo ottenne la prima cattedra straordinaria di Medicina a Pavia; ma vi rinunciò poco tempo dopo per svolgere l'attività medica a Milano. Ebbe tuttavia le cattedre di politica e di morale nelle Scuole canobiane di Milano e l'incarico di protofisico generale dello stato di Milano. Si prodigò in occasione delle epidemie di peste che si svilupparono a Milano e la famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina ne I promessi sposi, una prima volta  quando parla del figlio, Senatore Settala, medico, membro, insieme ad Alessandro Tadino del tribunale della sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e una seconda volta nel capitolo XXXI, allorché è tra i primi ad accorgersi che la "strana malattia" che si stava diffondendo nella zona lecchese, era la peste.  Opere Lodovico Settala scrisse numerose opere, di medicina, filosofia e di storia naturale, altre di morale e di politica. Fra le sue opere si ricordano la traduzione latina, con commento, dei libri ippocratici De aëribus, aquis et locis (In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis, commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus, ... Cum indice rerum et verborum locupletissimo, Coloniae: Ioan. Baptistae Ciotti Senensis aere, 1590) e dei Problemata di Aristotele (Commentariorum in Aristotelis problemata Tomus I-II, Francoforte sul Meno: apud haeredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium, & Ioannem Aubrium, 1602).   Ludovico Settala, In Librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis Commentarii V. appositus est graecus Hippocratis contextus ... restitutus et ... emendatus, una cum nova eiusdem in Latinum versione, Colonia, Giovanni Battista Ciotti, 1590. 3 marzo .  Ludovico Settala, Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, septem primas sectiones continens, ab eodem Latine factas,  1, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii, 1602. 3 marzo .  Ludovico Settala, Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, secundam heptadem continens, ab eodem Latine factam,  2, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii, 1607. 3 marzo . Animaduersionum, & cautionum medicarum libri septem. Quorum materiam sequens pagina indicabit, Mediolani: apud Io. Bapt. Bidell., 1614 De peste, & pestiferis affectibus. Libri quinque., Mediolani: apud Ioannem Baptistam Bidellium, De peste et pestiferis affectibus, Ludouici Septalij patrici et medici Mediolanensis, De ratione instituendae, & gubernandae familiae. Libri quinque. Senator F. edidit, & Iulio Aresio Senatus Mediolanensis principi dicauit, Mediolani: apud Io. Baptistam Bidellium, 1626 Della ragion di stato libri sette. Di Lodouico Settala. All'illustrissimo, & eccellentissimo signore Don Emanuelle de Fonseca e Zugniga, Milano: appresso Gio. Battista Bidelli, Cura locale de' tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, & i furoncoli. Contenente tutto quello, che si ha da fare esteriormente nellquesti mali. Tolta dal libro della cura della peste. Del signor profisico Lodouico Settala, Milano: per Giouan Battista Bidelli, 1629 Preseruatione dalla peste scritta dal sig. protomedico Lodouico Settala, Brescia: per Bartholomeo Fontana, Commentaria in Aristotelis Problemata, Lugduni, Sumptibus Claudi Landry, Antidotario romano latino, et volgare tradotto da Hippolito Cesarelli romano. Con l'aggionta dell'elettione de semplici, e prattica delle compositioni. E di due trattati, vno della teriaca romana, ... l'altro della teriaca egittia. Aggiontoui in questa vltima impressione le auertenze, & osseruationi appartenenti alla compositione de medicamenti del sig. Lodovico Settala, Milano: per Gio. Battista Bidelli, Auertenze, et osseruationi appartenenti al curar le ferite, tradotte dall'ottavo libro delle osseruationi del signor Ludouico Settala, da Alessandro Tadino, Milano: per Gio. Pietro Cardi, Breue compendio per curare ogni sorte de tumori esterni, & cutanee turpitudini, raccolto dalle osseruationi fisice, & chirurgice nelli vltimi anni fatte dal sig. Lodouico Settala medico collegiato ,,, d'Alessandro Tadino medico collegiato, Milano: per Lodouico Monza: ad instan. di Altobello Pisani, 1646 Ludovici Septalii mediolanensis, Opera de ratione familiae cum instituendae, tum gubernandae libri V et De ratione status libris VII, Editio nova, Ulmae: prostat apud Jo. Frid. Gaum, 1755 Note  CERL Thesaurus, «Ripa, Giovanni Francesco (1480-1535)»  Giuseppe Ferrario, Statistica medica di Milano: dal secolo XV fino ai nostri giorni,  2, Milano, Guglielmini e Redaelli, Luigi Belloni, Carlo Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo tempo: atti del convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano). Edizioni di Storia e Letteratura,  Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano 1718,  137-146. Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, II, Mediolani, Paolo Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno 1816. Opera postuma, F. Longhena, Milano 1831,  258-272. Salvatore De Renzi, Storia della medicina italiana, III, Napoli 1845,  509 s., passim. Ercole Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche di Ludovico Settala. Cenni, Milano, Pietro Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Angelo Francesco La Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Silvia Rota Ghibaudi, Ricerche su Ludovico Settala, Firenze 1959 (con elenco delle opere e delle loro edizioni a stampa). Filippo Maria Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano, Giorgio Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze, Presso Molini, Landi, e Company, Laura Facchin, Ludovico Settala: un intellettuale barocco fra scienza e arte, su enbach.eu. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Capparoni, Ludovico Settala, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giorgio Giacomo Mellerio, Ludovico Settala, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.

 

severino: Emanuele Severino (Brescia), filosofo.  È considerato da parte della critica come uno dei più grandi filosofi italiani del '900 e uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Il suo pensiero filosofico intende collocarsi oltre tutta la storia della filosofia occidentale che secondo Severino è permeata dal Nichilismo. Il padre era un militare di carriera siciliano originario di Mineo trasferitosi a Brescia, mentre la madre era una bresciana di Bovegno in alta Val Trompia. Si laureò a Pavia  come alunno dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica, sotto la supervisione di Bontadini. L'anno successivo ottenne la libera docenza in filosofia teoretica. Insegnò a Milano. I libri pubblicati in quegli anni entrarono in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, suscitando vivaci discussioni all'interno dell'Università Cattolica e nella Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio). Dopo un lungo e accurato esame (condotto da Cornelio Fabro) la Chiesa proclamò ufficialmente nel 1969 l'insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e il cristianesimo.  Lasciata l'Università Cattolica, Severino venne chiamato all'Università Ca' Foscari Venezia, dove fu tra i fondatori della Facoltà di lettere e filosofia, nella quale hanno insegnato o insegnano alcuni dei suoi allievi (Umberto Galimberti, Carmelo Vigna, Luigi Ruggiu, Salvatore Natoli, Italo Valent). Dal 1970 fu Professore di Filosofia teoretica, diresse l'Istituto di filosofia (diventato poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle scienze e, oggi, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali) fino al 1989 e insegnò anche logica, storia della filosofia moderna e contemporanea e sociologia. Cominciò una serie di pubblici colloqui col teologo tomista Giuseppe Barzaghi in cui pareva aprirsi lo spiraglio di una riconsiderazione della possibilità cristiana.  Nel 2005 l'Università Ca' Foscari Venezia lo proclamò Professore emerito; insegnò Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; fu Accademico dei Lincei e Cavaliere di gran croce, inoltre collaborò per alcuni decenni[senza fonte] con il Corriere della Sera e dal 1974 per pochi anni[senza fonte] con Bresciaoggi.  Il 23 dicembre  il Consiglio comunale di Bovegno gli conferì la cittadinanza onoraria con la seguente motivazione: "Discendente per parte di madre da antica famiglia bovegnese, ha contribuito con la sua opera in maniera rilevante al pensiero filosofico occidentale contemporaneo, sulle orme degli antichi filosofi greci. Nella sua autobiografia ha espresso il suo legame con la terra avìta di Bòvegno che onorata, lo vuole annoverare tra i suoi concittadini più illustri".  È morto a Brescia il 17 gennaio  dopo una lunga malattia.  Politica e società Severino ha spesso criticato sia il capitalismo sia il comunismo, fonti dell'heideggeriana "vita inautentica" in quanto espressioni di "dominio della tecnica" (come d'altronde il fascismo), ma anche la sinistra in quanto "non è più socialdemocrazia", rilasciando anche dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia: «Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe innanzitutto Dio.(...) Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo Stato moderno, che detienedice Weber"il monopolio legittimo della violenza". Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica modernaed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di Stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia).»  e criticando "l'assolutismo cattolico e comunista", oltre che tacciando la magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della guerra fredda e, secondo  Severino, impossibile da debellare integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli problemi.  «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale: Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto "giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente.»  Critiche Oltre alle citate critiche cattoliche, Martin Heidegger parlando con Cornelio Fabro a Roma ebbe a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide rmenide" di Severino: "Severino ha immobilizzato il mio Dasein!" Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Martin Heidegger seguisse il giovanissimo Severino (da uno studio di Francesco Alfieri e Friedrich von Herrmann). Severino è stato criticato dal matematico e logico Piergiorgio Odifreddi, in risposta a un giudizio critico dello stesso Severino su un'opera di Odifreddi, ovvero l'introduzione scritta per l'edizione italiana di L'ABC della relatività di Bertrand Russell, dove venivano citati alcuni filosofi (tra cui Severino stesso, Heidegger, Croce e Deleuze), secondo Severino in maniera non congrua e "alla rinfusa"; il matematico ha accusato invece Severino di non considerare l'importanza della scienza (come già fecero i neoidealisti, come Croce e Gentile), a differenza di grandi filosofi del passato che avevano studiato a fondo alcune teorie (facendo l'esempio di Kant, Nietzsche e Cartesio, matematico lui stesso). Nel dialogo tra Severino e Alessandro Di Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio (2002) la filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà.  Pensiero Nei suoi scritti fa spesso riferimento a pensatori come Parmenide, Eraclito, Aristotele, Hegel, Nietzsche, Leopardi, Heidegger e Gentile. Secondo Severino il pensiero di Giacomo Leopardi, Nietzsche e di Giovanni Gentile è l'apice della follia del nichilismo. Severino considera questi tre filosofi come i tre più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione greca del Nulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal Nulla.  L'eternità di tutti gli essenti Severino affronta l'antico problema radicalizzato da Platone e Aristotele e ripreso poi in epoca moderna da Heidegger: il problema dell'essere. Per Severino, tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la  fede nel senso greco del divenire. Sin dagli antichi greci, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) viene considerato come proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.  Rifacendosi al pensiero di Parmenide, Severino è stato definito come fondatore di un neoparmenidismo, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da Gennaro Sasso e da Mauro Visentin, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in Parmenide esista invece un deciso rifiuto della metafisica..  Severino, riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi, tutta  la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi, come Schopenhauer, abbiano tentato di negare tale assunto.  Ma, mentre Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), Severino sceglie una via differente, portando il suo pensiero a delle tesi estreme.  Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, «ogni essente è eterno». Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo sono eterni. Il divenire temporale non può, quindi, che rappresentare l'apparire successivo degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che Severino chiama "cerchio dell'apparire". Ciò significa che, quando un ente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche quando scompaiono ovvero non si vedono ("vedere senza vedere", dice Donato Sperduto in una tragicommedia sul pensiero severiniano). Riprendendo la metafora di Plotino, afferma che il divenire degli enti è come lo scorrere degli oggetti sulla superficie di uno specchio. Le cose, infatti, esistono prima di entrare nel campo visivo dello specchio e ovviamente continuano ad esistere anche dopo esserne uscite. Non solo Plotino, ma anche Agostino di Ippona, con un'immagine simile, definì il tempo come immagine mobile dell'Eterno. Nel pensiero di Severino, tuttavia, l'eternità non è limitata a un Dio che dà e toglie la vita agli Enti, facendoli entrare e uscire dallo specchio (senza che nulla esista prima e dopo), ma si estende anche a tutti gli enti che nel divenire si manifestano.  Dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti Magnifying glass icon mgx2.svg  Divenire § Severino. La dimostrazione severiniana dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi "il discorso del tramonto del senso dell'essere...trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita".  Bisogna invece "ritornare a Parmenide", correggernecon Platonel'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come Platone lo pensa, come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto "evidente".  Di qui si potrà proseguire su una via (quella indicata da Parmenide, il "sentiero del giorno") ben diversa da quella imboccata con Platone dal pensiero occidentale.  Consideriamo la proposizione parmenidea: "...è infatti l'essere, il nulla non è": tale proposizione esprime l'opposizione "assoluta" tra i termini "essere" e "non essere"; pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere né un tempo né uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione aristotelico: "è necessario che l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di un tempo, una condizione, in cui l'ente è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce la "follia essenziale" in cui cresce e sta, senza esserne consapevole, tutto il pensiero occidentale.  Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'ente come essere, ma insieme come diveniente (pensa cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla). Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia, della scienza e della tecnica.  La differenza ontologica Per Heidegger, l'essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Severino rigetta la concezione heideggeriana, affermando che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi per Severino quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.  L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.  Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero credere nel divenire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza.  Nichilismo, morte e destino Severino ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème come quelle di Aristotele ed Hegel, che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.  L'intera storia dell'Occidente è quindi per Severino storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia contemporanea e la rapida ascesa della scienza moderna ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Secondo la logica severiniana, tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo dell'Occidente. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il "mortale" come noi lo conosciamo.  Ma, per Severino, l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del Destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.  Dio e il Superdio Da quanto detto precedentemente appare chiaro come nel pensiero di Severino non ci sia posto per il Dio comunemente inteso; da qui il contrasto insanabile con la Chiesa Cattolica.  Nel corso della storia della filosofia, e nel pensiero della Chiesa cattolica in particolare, l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il divenire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un "rimedio" per l'"angoscia" che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un Dio come è stato pensato dalla religione e dalla filosofia. A maggior ragione è impossibile per Severino che esista il Dio del cristianesimo, che è tradizionalmente concepito come dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, per Dio, l'"annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).  Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del "Destino della verità", ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del superuomo e della volontà di potenza: l'uomo è un "superdio", ben più grande del Dio della tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere di Severino e il Tomismo è stata sostenuta da Cornelio Fabro.[26]  Il teologo e frate domenicano tomista Giuseppe Barzaghi, con cui Severino ha più volte dialogato pubblicamente dal 1995, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni severiniane sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta Gustavo Bontadini). Severino, pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza di Dio, ha apprezzato ed elogiato la proposta di padre Barzaghi.  Necessità dell'oltrepassamento Nessuna nota a piè di pagina Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Sebbene vi siano una  e/o dei , manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più precisamente. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Con il libro La Gloria, Severino giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell'"esperienza", e cioè da parte della "presenza certa a me" da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me "visibili". I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso dell'"oltrepassamento"."L'oltrepassamento dell'attualità nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del Destino" è necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.  Nella Gloria, Severino perviene alla fondazione del senso autentico dell'"oltrepassamento", dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno.  Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni svolte dallo stesso Severino in Destino della Necessità (1980) che le cose della "terra" (termine con il quale Severino designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo contenuto.  È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al Tutto eternoche è, con Parmenide, appunto "non incompiuto" [ouk ateleuteton], "non manchevole" [oulon achineton] (Parmenide, fr. 8, vv 38, 33, 38). Anche l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio.  Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo "Sfondo" (e Severino intende, con questo termine, quel complesso di significati, o "costanti persintattiche"costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati «essere» e «nulla»[27]. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra.  La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?  Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria è, per Severino, proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile.  Poiché la terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:  (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per utilizzare il lessico severiniano, lungo la Gloria del dispiegamento infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale.  (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè, alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire. L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere, nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La gloria è l'unità di queste due dimensioni.  La dimensione dell'essente, che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che (per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così all'infinito.  In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi del Destino.  L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico "Io".  Il nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la "Gloria" (cioè la manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare gli essenti.  Opere: “La struttura originaria,” Brescia, La Scuola; Nuova ediz. riveduta, Introduzione del Milano, Adelphi, Per un rinnovamento nella interpretazione della filosofia fichtiana, Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della contraddizione, Collezione Scritti di E. Severino n.5, Milano, Adelphi, Studi di filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero,  nuova ediz. ampliata, Collezione Scritti di E. Severino, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia,  13–66; nuova edizione ampliata, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, nuova edizione ampliata, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, II ediz. ampliata, Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma, Armando,  nuova edizione ampliata, Téchne. Le radici della violenza, Milano, Rusconi, II ediz., ivi, nuova edizione ampliata, Milano, Rizzoli, Legge e caso, Piccola Biblioteca n.89, Milano, Adelphi, Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica n.1, Milano, Adelphi, A Cesare e a Dio, Milano, Rizzoli, nuova edizione, La strada, Milano, Rizzoli, nuova edizione,  La filosofia antica, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, La filosofia moderna, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, Il parricidio mancato, Collana Saggi n.31, Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli,  La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, 1nuova edizione,  Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi, Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1989; nuova edizione ampliata, La filosofia futura, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, . Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova edizione, Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, 3 voll., Firenze, Sansoni, Oltre il linguaggio, Collana Saggi. Nuova serie n.7, Milano, Adelphi, La guerra, Milano, Rizzoli, La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, Rizzoli,  Il declino del capitalismo, Milano, Rizzoli,  nuova edizione, Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano, Rizzoli,  Heidegger e la metafisica, Collezione Scritti di E. Severino n.4, Milano, Adelphi, Pensieri sul Cristianesimo, Milano, Rizzoli,  nuov edizione, . Tautótēs, Biblioteca Filosofica n.13, Milano, Adelphi,  La filosofia dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, La follia dell'angelo: conversazioni intorno alla filosofia. Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 1997; nuova edizione, Milano, Mimesis, 2006. Cosa arcana e stupenda. L'Occidente e Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova edizione,  Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli,  nuova edizione, 2009. La buona fede, Milano, Rizzoli,  L'anello del ritorno, Biblioteca Filosofica n.18, Milano, Adelphi, Crisi della tradizione occidentale, Milano, Marinotti, 1999. La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell'esistenza, Milano, Rizzoli, 2000. Il mio scontro con la Chiesa, Milano, Rizzoli, 2001. La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di «destino della necessità», Biblioteca Filosofica n.20, Milano, Adelphi, Oltre l'uomo e oltre Dio,con Alessandro Di Chiara (interventi di Carlo Angelino), Genova, il melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Marinotti, Tecnica e architettura, Milano, Raffaello Cortina Editore,  Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli, Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi, . Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa, Milano, Rizzoli,  Milano, BUR, . Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli, 2Ricordati di santificare le feste, con Vincenzo Vitiello, Milano, AlboVersorio,  (con CD audio). L'identità della follia. Lezioni veneziane, Giorgio Brianese, Giulio Goggi, Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 2007. Oltrepassare, Biblioteca Filosofica n.25, Milano, Adelphi, Dialogo su Etica e Scienza, con Edoardo Boncinelli, Milano, Editrice San Raffaele,  Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, 2008. Volontà, fede e destino, Davide Grossi, con un saggio di Massimo Donà, Milano-Udine, Mimesis,  (con due CD audio). L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica, con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio,  L'identità del destino. Lezioni veneziane, Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri,  Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia, Morcelliana,  Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, Edizioni ETS, La guerra e il mortale, Luca Taddio, con un saggio di G. Brianese, Milano-Udine, Mimesis,  (con due CD audio). Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli, . L'intima mano, Biblioteca Filosofica n.28, Milano, Adelphi, . Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, Ugo Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana. [dispense del corso tenuto nel 1968 all'Università Cattolica di Milano] Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli, ; Milano, BUR, . La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis, ,  La morte e la terra, Biblioteca Filosofica n.30, Milano, Adelphi, . Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano, . Educare al pensiero, Sara Bignotti, Brescia, Editrice La Scuola, . Pòlemos, Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Saggi. Nuova serie n.70, Milano, Adelphi, . L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. Con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, . La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli, . Il morire tra ragione e fede, con Angelo Scola, Venezia, Marcianum Press, . Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, con Raimon Panikkar, Milano, Jaca Book, . Sul divenire. Dialogo con Biagio De Giovanni, Modena, Mucchi, . Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana, . In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli, . Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi, . Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica n.36, Milano, Adelphi, .Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli, L'essere e l'apparire. Una disputa, con Gustavo Bontadini, Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, con Vincenzo Vitiello, Milano, Mimesis, .  Dispute sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica n.39, Milano, Adelphi,  Ontologia e violenza. Lezioni milanesi (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis,  Curatele Aristotele, I principi del divenire. Libro primo della Fisica, trad., introd. e commento di E. Severino, Brescia, La Scuola, Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte — Roma, Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana «Di iniziativa del Presidente della Repubblica» — Roma, 1º giugno 2001[29] immagine del nastrino non ancora presente Cittadinanza onoraria del Comune di Bovegno — Bovegno. Mauro Bonazzi, Morto il filosofo Emanuele Severino, su Corriere della Sera, Addio Severino, filosofo dell'eternoMorto a Brescia il 17 gennaio, solo il 21 la notizia, su ansa.it E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,  È morto Emanuele Severino, l'ultimo filosofo parmenideo, su la Repubblica, 21 gennaio . 4 agosto .  Adriano Scianca, Addio a Emanuele Severino: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,  Bovegno, il filosofo Severino cittadino onorario, su giornaledibrescia.it  «L'esperimento di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. [...] Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso, [...] il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa).  «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più triste», in Bresciaoggi, 22 gennaio . 14 luglio .  Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a Palazzo Loggia, in Bresciaoggi, 11 febbraio . 14 luglio .  Silvia Truzzi, Emanuele Severino, l'intervista: "Ecco perché la giovane Italia va in malora", su il Fatto Quotidiano, Piergiorgio Odifreddi, LA SCIENZA SOTTO TIRO, su la Repubblica.it, Diego Fusaro e Daniele Didero, Emanuele Severino, su Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su Emanuele Severino" , su filosofia.it.).  il cui "pensiero poetante", titolo di un saggio di Antonio Prete, che riprende la metafora di Heidegger su Friedrich Hölderlin, è stato analizzato da Severino  cf. La Guerra ,  « [...] occorre riconoscere che le sue posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin, Il neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli, Bibliopolis)  Neoparmenidismo, su filosofia.it.  «Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer)  D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Schena ed., Fasano di Brindisi 2007.  E. Severino, "Ritornare a Parmenide", in Essenza del Nichilismo, Brescia, DK B 6, 1-2  Aristotele, Liber de Interpretatione, 19 a 23  "...essenza del nichilismo" ... follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli esse nti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente."La morte e la terra21  E. Severino, Pensieri sul cristianesimo, su books.google.it. 7 settembre  (archiviato il 17 settembre ).  E. Severino, Destino della necessità, Milano, Adelphi, 198093.  L'alienazione dell'Occidente: osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino, ed. Quadrivium, Genova, Cfr. Severino E., La struttura originaria, Milano, Adelphi, 1981,  444–449.  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.  Amadori F., Il libero arbitrio: Schopenhauer e Severino, in "Filosofia" Antonelli A., Verità, nichilismo, prassi. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma, Armando, 2003. Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Il Poligrafo, Crapanzano G.E., L'immutabilità del diveniente. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma, Gruppo Albatros Il Filo, 2008. Cusano N., Capire Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Prefazione di Emanuele Severino, Milano, Mimesis Edizioni, . Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Prefazione di Emanuele Severino, Brescia, Morcelliana, . Dal Sasso A., Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica nel pensiero di Emanuele Severino, Prefazione di Giorgio Brianese, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. 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sforza: Widar Cesarini Sforza (Forlì), filosofo. Direttore del Resto del Carlino e docente alla SapienzaRoma dal 1939, fu autore di importanti opere di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Widar Cesarini Sforza, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  PredecessoreDirettore de il Resto del CarlinoSuccessore Tomaso Monicelli

 

sgalambro: important Italian philosopherManlio Sgalambro  Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione sugli argomenti filosofia e musica non è ancora formattata secondo gli standard. Commento: Gli elenchi a fine voce (Collaborazioni) sono fuori standard, didascalici, pieni di informazioni non enciclopedici. Vanno riordile rispettive sezioni (, Discografia, Filmografia). In particolare per la discografia indicare solo * ANNO[[Autore]] ''[[Titolo]]'', come da linee guida. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di . Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1, 2. Manlio Sgalambro Manlio Sgalambro.jpg Nazionalità Italia Italia Genere Musica d'autore Pop Periodo di attività musicale 1993 Album pubblicati 1 Sito ufficiale Modifica dati su Wikidata Manuale Manlio Sgalambro (Lentini, 9 dicembre 1924Catania, 6 marzo ) filosofo, scrittore, poeta, aforista, paroliere e cantautore italiano.  La sua opera filosofica è stata definita di orientamento nichilista, definizione spesso respinta da Sgalambro stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Arthur Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di Giuseppe Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Emil Cioran, di alcuni temi della scolastica e della "teologia empia" e naturalistica di Vanini e Mauthner.  Sgalambro è noto anche per la collaborazione con il cantautore Franco Battiato, delle cui canzoni fu autore dei testi tra il 1995 e il .  Manlio Sgalambro nacque a Lentini nel 1924, da una famiglia benestante (il padre era un farmacista). Ha sempre osservato un riserbo quasi "conventuale" nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania, dove rimane per tutta la vita. Nel 1947 si iscrive all'Università degli studi di Catania:  «All'università decisi di non iscrivermi in Filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piaceva il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di Giurisprudenza.»  (Manlio Sgalambro) Inoltre non si trovava d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di Croce e Gentile:  «Erano loro che occupavano tutto lo spazio culturale, ma io non mi ritrovavo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me pensare era una destructio piuttosto che una costructio: ero uno che notava le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo era un po' scomodo, e non certamente accademico.»  Nel 1963, a 39 anni, si sposa, e dal matrimonio nascono cinque figli (Elena, Simona, Riccardo, Irene, Elisa). Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole:  «Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui «la realtà determinata entra in un individuo». Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata: ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio.»  (Manlio Sgalambro) Muore il 6 marzo  a Catania, all'età di 89 anni. Sgalambro era dichiaratamente ateo anche se credeva nella reincarnazione, come ricordato anche dall'amico Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Da molti anni viveva da solo nella sua casa catanese.  La produzione filosofica «Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare.»  (La conoscenza del peggio) Sgalambro ripeteva spesso che non possedeva titoli né lauree «per i biglietti da visita» e quindi come sia riuscito a diventare uno scrittore di filosofiai cui libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnoloera «un mistero» che egli stesso stentava a spiegarsi.  Il suo primo contatto con un'opera filosofica avviene nel periodo dell'adolescenza, quando legge La formazione naturale nel fatto del sistema solare di Roberto Ardigò nella biblioteca di un parente. Seguono i Principi di psicologia di William James, le Ricerche logiche di Husserl (un'opera che ritornerà più volte nella sua riflessione), e, soprattutto, Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. L'incontro con il pensatore tedesco spinge Sgalambro ad un interesse sempre crescente per la cultura nordeuropea, che sfocerà poi nella scoperta di Kant, Hegel, Friedrich Nietzsche, e Kierkegaard, a cui dedica i suoi primi saggi.  Nel 1945 inizia a collaborare alla rivista catanese Prisma (diretta da Leonardo Grassi): il primo scritto è Paralipomeni all'irrazionalismo, dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. Egli si ispira anche all'ironia di Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico ("Se Karl Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe").  Dal 1959, assieme a Sebastiano Addamo, scrive per il periodico Incidenze (fondato da Antonio Corsano): il primo articolo è Crepuscolo e notte (che viene ristampato nel ), un breve saggio di "esistenzialismo negativo", ispirato ad Heidegger e Céline. Frattanto inizia a scrivere anche per la rivista Tempo presente (diretta da Nicola Chiaromonte ed Ignazio Silone).  Alla fine degli anni settanta decide di organizzare il suo pensiero in un'opera sistematica: a 55 anni Sgalambro manda il suo primo libro, La morte del sole, con un biglietto di due righe alla casa editrice Adelphi; al proposito dirà:  «E lì è rimasto due anni. Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata a mia moglie. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore. Roberto Calasso mi disse che quel libro non era maturo, era marcio: ed era esattamente così”.»  (Manlio Sgalambro) Negli anni seguenti, con lo stesso editore, pubblica anche: Trattato dell'empietà (1987), Anatol (1990), Del pensare breve (1991), Dialogo teologico (1993), Dell'indifferenza in materia di società (1994), La consolazione (1995), Trattato dell'età (1999), De mundo pessimo (2004), La conoscenza del peggio (2007), Del delitto (2009) e Della misantropia ().  Spesso viene avvicinato alla corrente nichilista; talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso: «Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le coseil Papa, Mussolini, un vaso di terracottasi equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale: significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare.»  Intanto, all'inizio degli anni novanta, con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania: nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, Sgalambro si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi (Dialogo sul comunismo e Contro la musica) e ristampando alcune opere di Giulio Cesare Vanini e di Julien Benda.  Nel 2005 suscita polemiche una sua intervista a Francesco Battistini sulla mafia, dove critica anche Leonardo Sciascia e il mito dell'antimafia "militante" (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso negli ultimi anni di vita): «L'immagine della Sicilia… C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza... Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gli astratti si distruggono con la logica, non con la polizia... La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile... La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Leonardo Sciascia era lo scrittore sociale, un maestro di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione si è esaurita... La mafia è l'unica economia reale di quest'isola... Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti... La ricchezza è per sua natura sporca... Basta col gioco della spartizione: è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose: è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna.»  Definisce poi Claudio Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, «erano l'unica economia possibile» per la città. Nel  è tornato in maniera sarcastica sull'argomento: «Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso…». Già nel 1995 era stato attaccato dal sociologo Franco Ferrarotti che lo definì "un neo-reazionario" e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia".  Alla sua isola ha dedicato l'opera Teoria della Sicilia:  «Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio.»  Oltre ai saggi per Adelphi, ha pubblicato per Bompiani Teoria della canzone (1997), Variazioni e capricci morali () e due raccolte di poesie, Nietzsche (frammenti di una biografia per versi e voce) (1998) e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema) (), dedicato all'ultima mezz'ora di vita di Immanuel Kant, nonché L'impiegato di Filosofia (), nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita.  Infine, ha pubblicato con Il Girasole: Del metodo ipocondriaco (1989), Quaternario (racconto parigino) (2006), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro (), la pièce teatrale L'illusion comique () e Dal ciclo della vita (, postumo).  Le collaborazioni con Franco Battiato ed altri «La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva»  (M. Sgalambro, La morte del sole, frasi recitate da Franco Battiato in 23 coppie di cromosomi) Nel 1993 avviene l'incontro con Franco Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Angelo Scandurra. Dopo pochi giorni da quell'incontro, Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto dell'opera Il cavaliere dell'intelletto:  «Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui sarà anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile, oggi, tornare a scrivere i testi delle mie cose.»  (Franco Battiato) «In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Franco Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto: la questione starebbe nel vedere se sia possibile recuperarlo…»   Sgalambro a Conegliano nel 2007 Sgalambro accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra Sgalambro e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile: «Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone: io non accettavo le esigenze della musica e per lui questo era costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso.»  A partire dal 1994 collabora a quasi tutti i progetti di Franco Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto (su Federico II di Svevia), Socrate impazzito, Gli Schopenhauer e Telesio (su Bernardino Telesio), e del balletto Campi magnetici; i testi di svariati album musicali (L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesamo) e vari inediti, presenti ad esempio nell'album Fleurs; le sceneggiature dei film Perduto amor, Musikanten (sugli ultimi anni della vita di Beethoven) e Niente è come sembra, del programma televisivo Bitte, keine Réclame e del documentario Auguri don Gesualdo (su Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", dal 1998 scrive testi di canzoni anche per Patty Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Fiorella Mannoia (Il movimento del dare), Carmen Consoli (Marie ti amiamo), Milva (Non conosco nessun Patrizio), Adriano Celentano (Facciamo finta che sia vero) e Ornella Vanoni (Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, nel 2000 si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo La mer, contenente la cover del celebre brano di Charles Trenet.  In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Igor' Stravinskij (2000) interpretò la voce narrante, con Franco Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Nel 2001 pubblica l'album Fun club, prodotto da Franco Battiato e Saro Cosentino, che contiene «evergreen» del calibro di La vie en rose (di Édith Piaf) e Moon river (di Henry Mancini), ma anche l'ironica Me gustas tú (di Manu Chao):  «Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.»  (Manlio Sgalambro) Nel 2007 dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage di Ustica.  Nel 2009 pubblica il singolo La canzone della galassia, contenente la cover di The galaxy song (tratto da Il senso della vita dei Monty Python), cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Nel 2009 torna dopo 40 anni ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al filosofo Salvatore Massimo Fazio e il curatore del suo sito Alessio Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Pippo Russo e Franco Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Lisa Masia e Marina Cristofalo), band che si era esibita con Battiato nella canzone Il vuoto, su testo di Sgalambro.  Partecipazioni dirette alle opere di Battiato Canzoni In Di passaggio (da L'imboscata) recita in greco antico: (EL) «Ταὐτὸ τενὶ ζῶν καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον καὶ γηραιόν' τάδε γὰρ μεταπεσόντα ἐκεινά ἐστι κἀκεῖνα πάλιν ταῦτα.» «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.»  (Eraclito, Frammenti, 88) Interviene recitando in Shakleton, dall'album Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri.»  (Charles Baudelaire, I fiori del male) In Corpi in movimento (da Campi magnetici) recita: «Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino… e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose.»  (David Hilbert, Lettera a Frege del 29 dicembre 1899) Dal 1996 partecipa a quasi tutti i tour di Franco Battiato:  Nel tour del '97 recita versi in latino sul brano di Battiato Areknames (da Pollution), ribattezzato per l'occasione Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus…»  (Manlio Sgalambro, Canzone chimica) Nel tour del 2002 esegue una nuova versionecon il testo riadattato in chiave filosoficadi Accetta il consiglio (tratto da The Big Kahuna), che viene pubblicato l'anno dopo nell'album live Last Summer Dance. Nel 2004 canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, dall'album Dieci stratagemmi di Battiato: «Quello che c'è / ciò che verrà / ciò che siamo stati / e comunque andrà /tutto si dissolverà (...) Sulle scogliere fissavo il mare / che biancheggiava nell'oscurità / tutto si dissolverà.»  (La porta dello spavento supremo/Il sogno, testo di Manlio Sgalambro e Carlotta Wieck) Opere Libri Manlio Sgalambro, La morte del sole, Milano, Adelphi, 1982 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Vom Tod der Sonne (edizione tedesca de La morte del sole), traduzione di Dora Winkler, Monaco (Germania), Hanser, 1988 Manlio Sgalambro, Del metodo ipocondriaco, Valverde (CT), Il Girasole, 1989 Manlio Sgalambro, Anatol, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Anatol (edizione francese), traduzione di Dominique Bouveret, Saulxures (Francia), Circé, 1991 Manlio Sgalambro, Del pensare breve, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Dialogo teologico, Milano, Adelphi, 1993 Manlio Sgalambro, Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto), Catania, De Martinis, 1994 Manlio Sgalambro, Dell'indifferenza in materia di società, Milano, Adelphi, 1994 Manlio Sgalambro, De la pensée brève (edizione francese di Del pensare breve), traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé, 1995 Manlio Sgalambro, Dialogo sul comunismo, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, La consolazione, Milano, Adelphi, 1995 Manlio Sgalambro, La morte del sole (seconda edizione), Milano, Adelphi, 1996 Manlio Sgalambro, Teoria della canzone, Milano, Bompiani, 1997 Manlio Sgalambro-Jacques Robaud, Deux dialogues philosophiques (contiene l'edizione francese di Dialogo teologico), traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé, Manlio Sgalambro, Nietzsche. (Frammenti di una biografia per versi e voce), Bompiani, Milano, 1998 Manlio Sgalambro, Poesie (edizione a tiratura limitata di 72 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 1999 Manlio Sgalambro, Trattato dell'età. Una lezione di metafisica, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro-Davide Benati, Segrete (edizione a tiratura limitata di 30 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2001 Manlio Sgalambro, Traité de l'âge. Une leçon de métaphysique (edizione francese di Trattato dell'età), traduzione di Dominique Férault, Parigi (Francia), Payot, 2001 Manlio Sgalambro, Opus postumissimum. (Frammento di un poema), Silvia BatistiRossella Lisi, Firenze, Giubbe Rosse, 2002 Manlio Sgalambro, Dolore e poesia (edizione a tiratura limitata di 32 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2003 Manlio Sgalambro, De mundo pessimo (contiene Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Milano, Adelphi, 2004 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà (seconda edizione), Milano, Adelphi, 2005 Manlio Sgalambro, Quaternario. Racconto parigino, Valverde (CT), Il Girasole, 2006 Manlio Sgalambro, Nietzsche. Frammenti di una biografia per versi e voce (seconda edizione), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, La conoscenza del peggio, Milano, Adelphi, 2007 Manlio Sgalambro, Del delitto, Milano, Adelphi, 2009 Manlio Sgalambro, La consolación (edizione spagnola de La consolazione), traduzione di Martín López-Vega, Valencia (Spagna), Pre-Textos, 2009 Manlio Sgalambro, L'impiegato di filosofia (edizione a tiratura limitata di 100 esemplari numerati), Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Manlio Sgalambro, Crepuscolo e notte, Messina, Mesogea,  Manlio Sgalambro, Nell'anno della pecora di ferro, Valverde (CT), Il Girasole,  Manlio Sgalambro, Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema (seconda edizione di Opus postumissimum. (Frammento di un poema)), Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, Della misantropia, Milano, Adelphi,  Manlio Sgalambro, Teoria della canzone (seconda edizione con una nuova introduzione dell'autore), Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, L'illusion comique, Valverde (CT), Il Girasole,  Manlio Sgalambro, Variazioni e capricci morali, Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, Dal ciclo della vita, Valverde (CT), Il Girasole,  (postumo) Saggi Manlio Sgalambro, Devozione allo spazio in Giuseppe Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Manlio Sgalambro, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Manlio Sgalambro, Carpe veritatem in Arthur Schopenhauer, La filosofia delle università, Milano, Adelphi,  Manlio Sgalambro, Empedocle o della fine del ciclo cosmico in Antonio Di Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà, v. 1, Catania, Maimone,  29–31 Manlio Sgalambro, Gentile o del pensare in Antonio Di Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà, v. 2, Catania, Maimone, Manlio Sgalambro, Post scriptum in Pietro Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia, Roma, Riuniti, Manlio Sgalambro, postfazione in Julien Benda, Saggio di un discorso coerente sui rapporti tra Dio e il mondo, Catania, De Martinis, 1993,  185–190 Manlio Sgalambro, Rensi in Giuseppe Rensi, La filosofia dell'autorità, Catania, De Martinis, 1993, quarta di copertina Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, Manlio Sgalambro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa & Nolan, Manlio Sgalambro, Vanini e l'empietà in Giulio Cesare Vanini, Confutazione delle religioni, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Breve introduzione in Giuseppe Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Jacques Bénigne Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, postfazione in Ernst JüngerKlaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis, 1995, quarta di copertina Manlio Sgalambro, Gentile e il tedio del pensare in Giovanni Gentile, L'atto del pensare come atto puro, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Carlo Maria MartiniUmberto Eco, In cosa crede chi non crede?, Roma, Liberal, Manlio Sgalambro, Sciascia e le aporie del fare in Leonardo Sciascia. La memoria, il futuro, Matteo Collura, Milano, Bompiani, 1998,  69–72 Manlio Sgalambro, prefazione in Tommaso Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, 1998V Manlio Sgalambro, La morale di un cavallo in Ottavio Cappellani, La morale del cavallo, Scordia (CT), Nadir, Manlio Sgalambro, Prefazione in Maurizio Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, 19987 Manlio Sgalambro, postfazione in Domenico Trischitta, Daniela Rocca. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Manlio Sgalambro, Piccole note in margine a Salvo Basso in Salvo Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, 19995 Manlio Sgalambro, Il fabbricante di chiavi in Mariacatena De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro, postfazione in Alessandro Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Manlio Sgalambro, Sodalizio in Franco Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a Franco Battiato. Parole e canzoni), Vincenzo Mollica, Torino, Einaudi, 2004V Manlio Sgalambro, Del vecchio in Riccardo MondoLuigi Turinese, Caro Hillman… Venticinque scambi epistolari con James Hillman, Torino, Bollati Boringhieri, Manlio Sgalambro, prefazione in Anna Vasta, I malnati, Porretta Terme (BO), I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina Manlio Sgalambro, Lettera a un giovane poeta in Luca Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, Manlio Sgalambro, prefazione in Toni Contiero, Galleria Buenos Aires, Reggio Emilia, Aliberti, Manlio Sgalambro, Teoria della Sicilia in Guido Guidi Guerrera, Battiato. Another link, Baiso (RE), Verdechiaro, Manlio Sgalambro, Nota introduttiva in Michele Falzone, Franco Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio,  Manlio Sgalambro, Una nota in Franco Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, Nadia Boulanger e l'ethos della musica in Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, rueBallu, Manlio Sgalambro, prefazione in Arnold de Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, 2009, seconda di copertina Manlio Sgalambro, Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Manlio Sgalambro, Dicerie in Franco Battiato, Don Gesualdo (allegato a Auguri don Gesualdo), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, postfazione in Carlo Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Manlio Sgalambro, Nota critica in Anna Vasta, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, ,  Manlio Sgalambro, Nota in Georges Bataille, W.C., Antonio Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, Manlio Sgalambro, prefazione in Giampaolo Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana (MS), Cicorivolta, Manlio Sgalambro, prefazione in Selenia Bellavia, Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro, Apologia del teologo in Fabio Presutti, Deleuze e Sgalambro: dell'espressione avversa, Catania, Prova d'Autore, ,  ??? Manlio Sgalambro, Breve riflessione in Massimiliano Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Manlio Sgalambro, Presentazione in Armando Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno (BA), Arti Grafiche Favia, Manlio Sgalambro, Il senso della bellezza in Franco Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, 168 Manlio Sgalambro, Moralità plutarchee in Domenico Trischitta, Catania, Il Garufi, 109 Manlio Sgalambro, La città dei morti in Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, Manlio Sgalambro, prefazione in Ghesia Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, ,  ??? Manlio Sgalambro, Sulla mia morte in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani, Album Manlio Sgalambro, Fun club, Milano, Sony, 2001 Singoli Manlio Sgalambro, La mer, Milano, Sony,Manlio Sgalambro, Me gustas tú, Milano, Sony, 2001 Manlio Sgalambro feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, Collaborazioni Album testi (L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio) in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, 1995 testi (Di passaggio, Strani giorni, La cura, Ein Tag aus dem Leben des kleinen Johannes, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Segunda-feira, Memorie di Giulia, Serial killer) e voce (Di passaggio) in Franco Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram, 1996 voce (Canzone chimica) in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, 1997 testo (Emma Bovary) in Patty Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, testi (Shock in my town, Auto da fé, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton) e voce (Shackleton) in Franco Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, 1998 testi (Medievale, Invito al viaggio) e voce (Invito al viaggio) in Franco Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, 1999 testi (Running against the grain, Bist du bei mir, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto) e voce (Personalità empirica) in Franco Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, 2001 testo (Invasione di campo) in  Invasioni, ???, New Scientist, 2001 testo (Come un sigillo) in Franco Battiato, Fleurs 3 (album), Milano, Sony, 2002 voce (Non dimenticar le mie parole) in Franco Battiato, Colonna sonora di Perduto amor (colonna sonora del film), Milano, Sony, 2003 voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in Franco Battiato, Last summer dance (registrazione audio di un concerto), Milano, Sony, testi (Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, I'm that, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo) e voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, 2004 voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, testi (Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, The game is over, Io chi sono?, Stati di gioia) e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Aleksej Nikolaevič Tolstoj, It was in the early days of spring) in Franco Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, testo (Maori legend) in Lilies on Mars, Lilies on Mars, testo (Il movimento del dare) in Fiorella Mannoia, Il movimento del dare, Milano, Sony, 2008 testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Tibet) e dell'adattamento in italiano di Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Franco Battiato, Fleurs 2, Universal, 2008 testo (Marie ti amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 2009 testi (Inneres Auge, 'U cuntu) e voce ('U cuntu) in Franco Battiato, Inneres Auge. Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano, Universal,  testo (Facciamo finta che sia vero) in Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  testo (Eri con me) in Alice, Samsara, ???, Arecibo,  testi (Un irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in Franco Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Singoli testi (Strani giorni, Decline and fall of the Roman empire) in Franco Battiato, Strani giorni, Milano, Polygram, testo in Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, 1998 testi (Shock in my town, Stage door) in Franco Battiato, Shock in my town, Milano, Polygram, 1998 testi (Il ballo del potere, Stage door, Emma, L'incantesimo) in Franco Battiato, Il ballo del potere, Milano, Polygram, testi (Running against the grain, Sarcofagia, In trance) in Franco Battiato, Running against the grain, Milano, Sony, 2001 testo in Franco Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, 2007 testo in Franco Battiato feat. Carmen Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, 2008 testo in Franco Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, 2009 testo in Franco Battiato, Passacaglia, Milano, Universal,  Opere teatrali testi in Franco Battiato, Il cavaliere dell'intelletto, inedito (prima rappresentazione: Palermo, testi e attore in Martin Kleist, Socrate impazzito, inedito (prima rappresentazione: Catania) testi e attore in Franco Battiato, Gli Schopenhauer, inedito (prima rappresentazione: Fano (PU), 8 agosto 1998) attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, 1999 (prima rappresentazione: Roma,  libretto e voce (Corpi in movimento, La mer) in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, 2000 (prima rappresentazione: Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in Pippo Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, 2007 (prima rappresentazione: Bologna) attore in Manlio SgalambroRosalba BentivoglioCarlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, inedito (prima rappresentazione: Catania, testi in Franco Battiato, Telesio. Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  (prima rappresentazione: Cosenza, 7 maggio ) Film sceneggiatura e attore (Martino Alliata) in Franco Battiato, Perduto amor, Giarre (CT), L'Ottava, sceneggiatura e attore (nobile senese) in Franco Battiato, Musikanten, Giarre (CT), L'Ottava, 2005 sceneggiatura in Franco Battiato, Niente è come sembra, Milano, Bompiani, Documentari intervento in Daniele Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in Franco Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in Massimiliano Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, 1995 attore in Franco Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, 1996 attore in Franco Battiato, Shock in my town, 1998 attore in Franco Battiato, Running against the grain, attore in Franco Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco Battiato, Ermeneutica, attore in Franco Battiato, La porta dello spavento supremo, 2004 attore in Franco Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato, Inneres Auge, Programmi televisivi Franco Battiato, Bitte, keine Réclame,  Libri Francesco Saverio Niso, Comunità dello sguardo. Halbwachs, Sgalambro, Cordero, Torino, Giappichelli, 2001 Mariacatena De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro, Catania, Prova d'Autore, Lina Passione, La notte e il tempo. Divagazioni su Franco Battiato, Manlio Sgalambro e… altro, Catania, CUECM, Alessandro Max Cantello, Sgalambro speaks. Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club,  Manlio Sgalambro. L'ultimo chierico, Rita Fulco, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze per Manlio Sgalambro, Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora,  Salvatore Massimo Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro, Barrafranca , Bonfirraro,  Manlio Sgalambro. Breve invito all'opera, Davide Miccione, Caltagirone (CT), Lettere da Qalat,  Antonio Carulli, Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo,  Patrizia TrovatoAntonio CarulliPiercarlo NecchiManuel Pérez Cornejo, La piccola verità. Quattro saggi su Manlio Sgalambro, Milano, Mimesis,  Saggi Sergio Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, Calogero Rizzo, De consolatione theologie in Massimo Iiritano, Sergio Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Armando Matteo, Manlio Sgalambro: il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Stefano Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia, Napoli, Guida, Leonor Sáez Méndez, Zwischen der kritischen Bedingung der praktischen Erfahrung und der Doktrin: Dechiffrierung der Perversion (Zwei Beispiele) in Kant ein illusionist? Das retorsive und kompositive Verfahren der kantischen Urteilskraft nach dem philosophischen Empirismus, Murcia (Spagna), Universidad de Murcia, Pino Aprile, La morte del sole in Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate (MI), Piemme, Marco Risadelli, Note su “Dell'indifferenza in materia di società” di Manlio Sgalambro in Alessandra MallamoAngelo Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, ,  Giuseppe Raciti, Until the end of the world. Sgalambro lettore di Spengler in Per la critica della notte. Saggio sul “Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler, Milano, Mimesis, Articoli Enrico Arosio, Ora Sgalambro il mondo in L'Espresso, Stefano Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi. Manlio Sgalambro und der Weltuntergang in Der Pfahl. Jahrbuch aus dem Niemandsland zwischen Kunst und Wissenschaft, Alberto Corda, Profilo di Manlio Sgalambro, filosofo “irregolare” in Arenaria, Giuseppe Raciti, Sgalambro maestro “cattivo” per elezione in Ideazione, Ferdinando Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con il filosofo Manlio Sgalambro in Parolalibera, Francesco Saverio Nisio, Sgalambro, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Marcello Faletra, Dialogo con Manlio Sgalambro, Cyberzone Fabio Presutti, Manlio Sgalambro, Giorgio Agamben: on metaphysical suspension of language and the destiny of its inorganic re-absorption in Italica, Concetta Bonini, Manlio Sgalambro. Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia,  Marcello Faletra, La pistola di Sgalambro,  in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=2115 Marcello Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Manlio Sgalambro. Cyberzone Marcello Faletra, In ricordo di Manlio Sgalambro, Artribune, Manuel Pérez Cornejo, En la estela de Schopenhauer y Mainländer: la filosofía «peorista» de Manlio Sgalambro in Schopenhaueriana. Revista española de estudios sobre Schopenhauer, Tesi di laurea Salvatore Massimo Fazio, Cioran e Sgalambro: un confronto, Università degli Studi di Catania, Fatima Scaglione, BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Università degli Studi di Palermo, Cecilia Comparoni, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico di Manlio Sgalambro, Università degli Studi di Genova, a.a. - Filmografia Guido Cionini, Manlio Sgalambro. Il consolatore, inedito (2006) Guido Cionini, Another side of Sgalambro, inedito (2008) Marcello Faletra, Mario Bellone, Manlio Sgalambro. Del pensare breve, inedito () Note  Franco Battiato su Storia della musica.it  Articolo su Repubblica, Manlio Sgalambro: adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e SgalambroYouTube  Intervista a Manlio Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia.it | elena giordano  Manlio Sgalambro, l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi  Sgalambro, il ricordo commosso di Cacciari: “Con lui incontro straordinario”Video Il Fatto Quotidiano TV, su tv.ilfattoquotidiano.it. 30 maggio  31 maggio ).  “A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a Sgalambro. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Manlio SgalambroUn viaggio oltre il luogo comuneRai Scuola  Mariacatena De Leo & Luigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Franco Battiato, radiomusik.it, 6 marzo .  Franco Battiato choc a Napoli: «Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno». Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo  Giovanni Tesio, "In ginocchio davanti a Nietzsche", TuttoLibri,  "La conoscenza del peggio", pag.58, Adelphi  La scrittura aforistica di Manlio Sgalambro |  Intervista a Manlio Sgalambro:: LaRecherche.it  Paralipomeni all'irrazionalismo Archiviato il 7 marzo  in .  Giorgio Calcagno, Sgalambro: il filosofo è uno spione (da La Stampa Francesco Battistini, Sgalambro: Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera. Carlo Formenti, Ferrarotti accusa: «Sgalambro neoreazionario», in “Corriere della Sera”,   Liliana Madeo, Battiato: note per un filosofo (da La Stampa del 19 settembre 1994).  Marinella Venegoni, Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La Stampa del 20 ottobre Sito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. Manlio Sgalambro, su AllMusic, All Media Network. Manlio Sgalambro, su Discogs, Zink Media. Manlio Sgalambro, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation. Manlio Sgalambro, su Internet Movie Database, IMDb.com.  Manlio Sgalambro. Il filosofo cantante maestro dell'ironia: "Sono un uomo felice di stare su quest'Isola", in la Repubblica, 20 febbraio . Incontro con Sgalambro , in Le conversazioni di Perelandra. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

shaftesbury, Lord, in full, Third Earl of Shaftesbury, title of Anthony Ashley Cooper, English philosopher and politician who originated the moral sense theory. He was born at Wimborne St. Giles, Dorsetshire. As a Country Whig he served in the House of Commons for three years and later, as earl, monitored meetings of the House of Lords. Shaftesbury introduced into British moral philosophy the notion of a moral sense, a mental faculty unique to human beings, involving reflection and feeling and constituting their ability to discern right and wrong. He sometimes represents the moral sense as analogous to a purported aesthetic sense, a special capacity by which we perceive, through our emotions, the proportions and harmonies of which, on his Platonic view, beauty is composed. For Shaftesbury, every creature has a “private good or interest,” an end to which it is naturally disposed by its constitution. But there are other goods as well  notably, the public good and the good without qualification of a sentient being. An individual creature’s goodness is defined by the tendency of its “natural affections” to contribute to the “universal system” of nature of which it is a part  i.e., their tendency to promote the public good. Because human beings can reflect on actions and affections, including their own and others’, they experience emotional responses not only to physical stimuli but to these mental objects as well e.g., to the thought of one’s compassion or kindness. Thus, they are capable of perceiving  and acquiring through their actions  a particular species of goodness, namely, virtue. In the virtuous person, the person of integrity, natural appetites and affections are in harmony with each other wherein lies her private good and in harmony with the public interest. Shaftesbury’s attempted reconciliation of selflove and benevolence is in part a response to the egoism of Hobbes, who argued that everyone is in fact motivated by self-interest. His defining morality in terms of psychological and public harmony is also a reaction to the divine voluntarism of his former tutor, Locke, who held that the laws of nature and morality issue from the will of God. On Shaftesbury’s view, morality exists independently of religion, but belief in God serves to produce the highest degree of virtue by nurturing a love for the universal system. Shaftesbury’s theory led to a general refinement of eighteenth-century ideas about moral feelings; a theory of the moral sense emerged, whereby sentiments are  under certain conditions  perceptions of, or constitutive of, right and wrong. In addition to several essays collected in three volumes under the title Characteristics of Men, Manners, Opinions, Times second edition, 1714, Shaftesbury also wrote stoical moral and religious meditations reminiscent of Epictetus and Marcus Aurelius. His ideas on moral sentiments exercised considerable influence on the ethical theories of Hutcheson and Hume, who later worked out in detail their own accounts of the moral sense.  H. P. Grice, “My favourite Cooper.”

 

shyreswood: “I prefer the spelling shyreswood, since it SAYS what ‘sherwood’ merely implicates.” -- Sherwood, William, also called William Shyreswood, English logician who taught logic at Oxford and at Paris between 1235 and 1250. He was the earliest of the three great “summulist” writers, the other two whom he influenced strongly being Peter of Spain and Lambert of Auxerre. His main works are “Introductiones in Logicam,” “Syncategoremata,” “De insolubilibus,” and “Obligationes.” Some serious doubts have recently arisen about the authorship of the latter work. Since M. Grabmann published Sherwood’s Introductiones, philosophers have paid considerable attention to this seminal Griceian. While the first part of Introductiones offer the basic ideas of Aristotle’s Organon, and the latter part neatly lays out the Sophistical Refutations, the final tract expounds the doctrine of the four properties of a term. First, signification. Second, supposition. Third, conjunction, Fourth, appellation -- hence the label ‘terminist’ for this sort of logic. These logico-semantic discussions, together with the discussions of syncategorematic words, constitute the “logica moderna,” (Grice’s ‘mdoernism’) as opposed to the more strictly Aristotelian contents of the earlier logica vetus (Grice’s neo-traditionalism) and logica nova (“It took me quite a while to explain to Strawson the distinction between ‘logica nova’ and ‘logica moderna,’ only to have him tell me, “worry not, GriceI’ll be into ‘logica vetus’ anyways!””. The doctrine of properties of terms and the analysis of syncategorematic terms, especially those of ‘all’ (or every) ‘no’ (or not or it is not the case) and ‘nothing’, ‘only’, ‘not’, ‘begins’ and ‘ceases (to eat iron) ‘necessarily’, ‘if’ (Latin ‘si,’ Grecian ‘ei’), ‘and’ (Latin ‘et’, Grecian ‘kai’) and ‘or’ (Latin ‘vel’)  may be said to constitute Sherwood’s or Shyrewood’s philosophy of logic. Shyrewood not only distinguishes categorematic descriptive and syncategorematic logical words but also shows how some terms are used categorematically in some contexts and syncategorematically in others“he doesn’t explain which, and that’s one big map in his opus.”– Grice. He recognizes the importance of the order of words (hence Grice, ‘be orderly’) and of the scope of logical functors; he also anticipates the variety of composite and divided senses of propositions. Obligationes, if indeed his, attempts to state conditions under which a formal disputation may take place. De Insolubilibus deals with paradoxes of self-reference and with ways of solving them. Understanding Sherwood’s logic is important for understanding the later medieval developments of logica moderna down to Occam whom Grice laughed at (“modified Occam’s razor.”). Refs.: Grice, “Shyreswood at Oxford.”

 

All figures of rhetoric

 

All fallaciesargumentum ad:

 

ship of Theseus: the ship of the Grecian hero Theseus, which, according to Plutarch “Life of Theseus,” 23, the Athenians preserved by gradually replacing its timbers. A classic debate ensued concerning identity over time. Suppose a ship’s timbers are replaced one by one over a period of time; at what point, if any, does it cease to be the same ship? What if the ship’s timbers, on removal, are used to build a new ship, identical in structure with the first: which ship has the best claim to be the original ship?

 

shpet: phenomenologist and highly regarded friend of Husserl. Shpet plays a major role in the development of phenomenology. Graduating from Kiev  in 6, Shpet accompanied his mentor Chelpanov to Moscow, ommencing graduate studies at Moscow  M.A., 0; Ph.D., 6. He attends Husserl’s seminars at Göttingen during 213, out of which developed a continuing friendship between the two, recorded in correspondence extending through 8. In 4 Shpet published a meditation, “Iavlenie i smysl,” nspired by Husserl’s Logical Investigations and, especially, Ideas I, which had appeared in 3. Between 4 and 7 he published six additional books on such disparate topics as the concept of history, Herzen, philosophy, aesthetics, ethnic psychology, and language. He founds and edited the philosophical yearbook Mysl’ i slovo Thought and Word between 8 and 1, publishing an important article on skepticism in it. He was arrested and sentenced to internal exile. Under these conditions he made a running commentary of Hegel’s Phenomenology. He was executed.

 

sidgwick:  English philosopher. Best known for “The Methods of Ethics,” he also wrote “Outlines of the History of Ethics.” In the “Methods,” Sidgwick tries to assess the rationality of the main ways in which ordinary people go about making this or that moral decision. Sidgwick thinks that our common “methods of ethics” fall into three main patterns. The first pattern is articulated by the philosophical theory known as intuitionism. This is the view that we can just see straight off either what particular act is right or what binding rule or general principle we ought to follow. A second pattern is spelled out by what self-love or egoism, the view that we ought in each act to get as much good as we can for ourselves.vide: H. P. Grice, “The principle of conversational self-love and the principle of conversational benevolence,” H. P.  Grice, “Conversational benevolence, not conversational self-love.” The third widely used method is represented by utilitarianism, the view that we ought in each case to bring about as much good as possible for everyone affected. Can any or all of the methods prescribed by these views be rationally defended? And how are they related to one another? By framing his philosophical questions in these terms, Sidgwick makes it centrally important to examine the chief philosophical theories of morality in the light of the common-sense morals of his time. Sidgwick thinks that no theory wildly at odds with common-sense morality would be acceptable. Intuitionism, a theory originating with Butler (of ‘self-love and benevolence’ fame), transmitted by Reid, and most systematically expounded during the Victorian era by Whewell, is widely held to be the best available defense of Christian morals. Egoism (Self-love) was thought by many to be the clearest pattern of practical (or means-end) rationality and is frequently said to be compatible with Christianity. And J. S. Mill had argues that utilitarianism is both rational and in accord with common sense. But whatever their relation to ordinary morality, the three methods or patterns seem to be seriously at odds with one another. Examining all the chief commonsense precepts and rules of morality, such as that promises ought to be kept, Sidgwick argues that none is truly self-evident or intuitively certain. Each fails to guide us at certain points where we expect it to answer our practical questions. Utilitarianism, he found, could provide a complicated method for filling these gaps. But what ultimately justifies utilitarianism is certain very general axioms seen intuitively to be true. Among them are the principles that what is right in one case must be right in any similar case, and that we ought to aim at good generally, not just at some particular part of it. Thus intuitionism and utilitarianism can be reconciled. When taken together they yield a complete and justifiable method of ethics that is in accord with common sense. What then of egoism and self-love? Self love and egoirm can provide as complete a method as utilitarianism, and it also involves a self-evident axiom. But  the results of egoism and self-love often contradict those of utilitarianism. Hence there is a serious problem. The method that instructs us to act always for the good generally and the method that tells one to act solely for one’s own good are equally rational. Since the two methods give contradictory directions, while each method rests on self-evident axioms, it seems that practical reason is fundamentally incoherent. Sidgwick could see no way to solve the problem. Sidgwick’s bleak conclusion is not generally accepted (especially at Oxford), but his Methods is widely viewed as one of the best works of moral philosophy ever written in what Grice calls ‘insular’ philosophy (as opposed to mainland philosophy).  Sidgwick’s account of classical utilitarianism is unsurpassed. Sidwick’s discussions of the general status of morality and of particular moral concepts are enduring models of clarity and acumen. His insights about the relations between egoism (self-love) and utilitarianism have stimulated much valuable research. And his way of framing moral problems, by asking about the relations between commonsense beliefs and the best available theories, has set much of the agenda for ethics. 

 

sì/no -- “sic” et “ne”modus interrogativus. Grice: “Oddly that the Italians call themselves as speaking the ‘lingua del si,’ contra the Gallics, who speak the ‘lingua del’oc,” or worse, the ‘lingua d’oil”!! -- Grice: Or yes/no question. “Cicero has this as ‘sic’ and ‘non.’ For Grice, tertium non datur. Grice’s example is “Have you stopped beating  your wife, Smith?” “Smith is tricked into having to say ‘yes,’ which makes him a criminal, or “no,” which doesn’t but *implicates* him in a crime.” “The explicit cancellation would be, “No, because I never started it.”“But usually Smith is never so intelligently Griceian like *that*! Vide: modus interrogatives.  Grice finds the formalisation of a yes-no question more complicated than that of an x-question. Like Carnap, he concludes that the distinction is otiose, because a yes/no question also is after a variable to be filled by a definite value, regarding the truth-value of the proposition as a whole rather than a part thereof. Grice: “While I’ll casually use ‘yes,’ I’m well aware that the ‘s,’ as every German schoolboy knows, is otioseit’s ‘yeah’ which is the correct form!” -- Refs.: H. P. Grice, “Cicero on ‘sic’ and ‘ne’.” BANC, Speranza, “First time in Corpus?”

 

segno -- signum -- Grice: “I prefer token, so Anglo-Saxon! Plus I’m a ‘teacher’“to teach philosophy” --” whose explorations on the Nicomachean Ethics, in one of their earlier incarnations, as a set of lecture notes, sees me through terms of teaching Aristotle's moral theory.” “My own philosophical life in this period involves two especially important aspects.” ROBBING PETER TO PAY PAUL.. “The first is my prolonged collaboration with my tutee at St. John’sF. Strawson.”“Strawson’s and my efforts are partly directed towards the giving of joint seminars.”“Strawson and I stage a number of joint seminars on topics related to the notions of meaning, categories, and logical form.” “But my association with P. F. Strawson is much more than an alliance for the purpose of teaching.” -- theory of signs, the philosophical and scientific theory of information-carrying entities, communication, and information transmission. The term ‘semiotic’ was introduced by Locke for the science of signs and signification. The term became more widely used as a result of the influential work of Peirce and Charles Morris. With regard to linguistic signs, three areas of semiotic were distinguished: pragmatics  the study of the way people, animals, or machines such as computers use signs; semantics  the study of the relations between signs and their meanings, abstracting from their use; and syntax  the study of the relations among signs themselves, abstracting both from use and from meaning. In Europe, the near-equivalent term ‘semiology’ was introduced by Ferdinand de Saussure, the Swiss linguist. Broadly, a sign is any information-carrying entity, including linguistic and animal signaling tokens, maps, road signs, diagrams, pictures, models, etc. Examples include smoke as a sign of fire, and a red light at a highway intersection as a sign to stop. Linguistically, vocal aspects of speech such as prosodic features intonation, stress and paralinguistic features loudness and tone, gestures, facial expressions, etc., as well as words and sentences, are signs in the most general sense. Peirce defined a sign as “something that stands for something in some respect or capacity.” Among signs, he distinguished symbols, icons, and indices. A symbol, or conventional sign, is a sign, typical of natural language forms, that lacks any significant relevant physical correspondence with or resemblance to the entities to which the form refers manifested by the fact that quite different forms may refer to the same class of objects, and for which there is no correlation between the occurrence of the sign and its referent. An index, or natural sign, is a sign whose occurrence is causally or statistically correlated with occurrences of its referent, and whose production is not intentional. Thus, yawning is a natural sign of sleepiness; a bird call may be a natural sign of alarm. Linguistically, loudness with a rising pitch is a sign of anger. An icon is a sign whose form corresponds to or resembles its referent or a characteristic of its referent. For instance, a tailor’s swatch is an icon by being a sign that resembles a fabric in color, pattern, and texture. A linguistic example is onomatopoeia  as with ‘buzz’. In general, there are conventional and cultural aspects to a sign being an icon.  signatum: Cf. “to sign” as a verbfrom French. Grice uses designatum, toobut more specifically within the ‘propositio’ as a compound of a subjectum and a predicatum. The subject-item indicates a thing; and the predicate-item designates a property. As Grice notes, there is a distinction between Aristotle’s use, in De Int., of ‘sumbolon,’ for which Aristotle sometimes means ‘semeion,’ and their Roman counterparts, ‘signum’ sounds otiose enough. But ‘significo’ does not. There is this –fico thing that sounds obtrusive. The Romans, however, were able to distinguish between ‘make a sign,’ and just ‘signal.’ The point is important when Grice tries to apply the Graeco-Roman philosophical terminology to a lexeme which does not belong in there: “mean.” His example is someone in pain, uttering “Oh.” If he later gains voluntary control, by uttering “Oh” he means that he is in pain, and even at a later stage, provided he learns ‘lupe,’ he may utter the expression which is somewhat correlated in a non-iconic fashion with something which iconically is a vehicle for U to mean that he is in pain. In this way, in a communication-system, a communication-device, such as “Oh” does for the state of affairs something that the state of affairs cannot do for itself, govern the addresee’s thoughts and behaviour (very much as the Oxfordshire cricket team does for Oxfordshire what Oxfordshire cannot do for herself, viz. to engage in a game of cricket. There’s rae-presentatum, for you! Short and Lewis have ‘signare,’ from ‘signum,’ and which they render as ‘to set a mark upon, to mark, mark out, designate (syn.: noto, designo),’ Lit. A. In gen. (mostly poet. and in post-Aug. prose): discrimen non facit neque signat linea alba, Lucil. ap. Non. 405, 17: “signata sanguine pluma est,” Ov. M. 6, 670: “ne signare quidem aut partiri limite campum Fas erat,” Verg. G. 1, 126: “humum limite mensor,” Ov. M. 1, 136; id. Am. 3, 8, 42: “moenia aratro,” id. F. 4, 819: “pede certo humum,” to print, press, Hor. A. P. 159; cf.: “vestigia summo pulvere,” to mark, imprint, Verg. G. 3, 171: auratā cyclade humum, Prop. 4 (5), 7, 40. “haec nostro signabitur area curru,” Ov. A. A. 1, 39: “locum, ubi ea (cistella) excidit,” Plaut. Cist. 4, 2, 28: “caeli regionem in cortice signant,” mark, cut, Verg. G. 2, 269: “nomina saxo,” Ov. M. 8, 539: “rem stilo,” Vell. 1, 16, 1: “rem carmine,” Verg. A. 3, 287; “for which: carmine saxum,” Ov. M. 2, 326: “cubitum longis litteris,” Plaut. Rud. 5, 2, 7: “ceram figuris,” to imprint, Ov. M. 15, 169: “cruor signaverat herbam,” had stained, id. ib. 10, 210; cf. id. ib. 12, 125: “signatum sanguine pectus,” id. A. A. 2, 384: “dubiā lanugine malas,” id. M. 13, 754: “signata in stirpe cicatrix,” Verg. G. 2, 379: “manibus Procne pectus signata cruentis,” id. ib. 4, 15: “vocis infinitios sonos paucis notis,” Cic. Rep. 3, 2, 3: “visum objectum imprimet et quasi signabit in animo suam speciem,” id. Fat. 19, 43.— B. In partic. 1. To mark with a seal; to seal, seal up, affix a seal to a thing (usually obsignare): “accepi a te signatum libellum,” Cic. Att. 11, 1, 1: “volumina,” Hor. Ep. 1, 13, 2: locellum tibi signatum remisi, Caes. ap. Charis. p. 60 P.: “epistula,” Nep. Pel. 3, 2: “arcanas tabellas,” Ov. Am. 2, 15, 15: “signatis quicquam mandare tabellis,” Tib. 4, 7, 7: “lagenam (anulus),” Mart. 9, 88, 7: “testamentum,” Plin. Ep. 2, 20, 8 sq.; cf. Mart. 5, 39, 2: “nec nisi signata venumdabatur (terra),” Plin. 35, 4, 14, § 33.—Absol., Mart. 10, 70, 7; Quint. 5, 7, 32; Suet. Ner. 17.— 2. To mark with a stamp; hence, a. Of money, to stamp, to coin: “aes argentum aurumve publice signanto,” Cic. Leg. 3, 3, 6; cf.: “qui primus ex auro denarium signavit ... Servius rex primus signavit aes ... Signatum est nota pecudum, unde et pecunia appellata ... Argentum signatum est anno, etc.,” Plin. 33, 3, 13, § 44: “argentum signatum,” Cic. Verr. 2, 5, 25, § 63; Quint. 5, 10, 62; 5, 14, 26: “pecunia signata Illyriorum signo,” Liv. 44, 27, 9: “denarius signatus Victoriā,” Plin. 33, 3, 13, § 46: “sed cur navalis in aere Altera signata est,” Ov. F. 1, 230: “milia talentūm argenti non signati formā, sed rudi pondere,” Curt. 5, 2, 11.— Hence, b. Poet.: “signatum memori pectore nomen habe,” imprinted, impressed, Ov. H. 13, 66: “(filia) quae patriā signatur imagine vultus,” i. e. closely resembles her father, Mart. 6, 27, 3.— c. To stamp, i. e. to license, invest with official authority (late Lat.): “quidam per ampla spatia urbis ... equos velut publicos signatis, quod dicitur, calceis agitant,” Amm. 14, 6, 16.— 3. Pregn., to distinguish, adorn, decorate (poet.): “pater ipse suo superūm jam signat honore,” Verg. A. 6, 781 Heyne: caelum corona, Claud. Nupt. Hon. et Mar. 273. to point out, signify, indicate, designate, express (rare; more usually significo, designo; in Cic. only Or. 19, 64, where dignata is given by Non. 281, 10; “v. Meyer ad loc.): translatio plerumque signandis rebus ac sub oculos subiciendis reperta est,” Quint. 8, 6, 19: “quotiens suis verbis signare nostra voluerunt (Graeci),” id. 2, 14, 1; cf.: “appellatione signare,” id. 4, 1, 2: “utrius differentiam,” id. 6, 2, 20; cf. id. 9, 1, 4; 12, 10, 16: “nomen (Caieta) ossa signat,” Verg. A. 7, 4: “fama signata loco est,” Ov. M. 14, 433: “miratrixque sui signavit nomine terras,” designated, Luc. 4, 655; cf.: “(Earinus) Nomine qui signat tempora verna suo,” Mart. 9, 17, 4: “Turnus ut videt ... So signari oculis,” singled out, looked to, Verg. A. 12, 3: signare responsum, to give a definite or distinct answer, Sen. Ben. 7, 16, 1.—With rel.-clause: “memoria signat in quā regione quali adjutore legatoque fratre meo usus sit,” Vell. 2, 115.— B. To distinguish, recognize: “primi clipeos mentitaque tela Adgnoscunt, atque ora sono discordia signant,” Verg. A. 2, 423; cf.: “sonis homines dignoscere,” Quint. 11, 3, 31: “animo signa quodcumque in corpore mendum est,” Ov. R. Am. 417.— C. To seal, settle, establish, confirm, prescribe (mostly poet.): “signanda sunt jura,” Prop. 3 (4), 20, 15. “signata jura,” Luc. 3, 302: jura Suevis, Claud. ap. Eutr. 1, 380; cf.: “precati deos ut velint ea (vota) semper solvi semperque signari,” Plin. Ep. 10, 35 (44). To close, end: “qui prima novo signat quinquennia lustro,” Mart. 4, 45, 3.—Hence, A. signan-ter , adv. (acc. to II. A.), expressly, clearly, distinctly (late Lat. for the class. significanter): “signanter et breviter omnia indicare,” Aus. Grat. Act. 4: “signanter et proprie dixerat,” Hier. adv. Jovin. 1, 13 fin. signātus, a, uma. 1. (Acc. to I. B. 1. sealed; hence) Shut up, guarded, preserved (mostly ante- and post-class.): signata sacra, Varr. ap. Non. 397, 32: limina. Prop. 4 (5), 1, 145. Chrysidem negat signatam reddere, i. e. unharmed, intact, pure, Lucil. ap. Non. 171, 6; cf.: “assume de viduis fide pulchram, aetate signatam,” Tert. Exhort. 12.— 2. (Acc. to II. A.) Plain, clear, manifest (post-class. for “significans”a back formation!): “quid expressius atque signatius in hanc causam?” Tert. Res. Carn.Adv.: signātē , clearly, distinctly (post-class.): “qui (veteres) proprie atque signate locuti sunt,” Gell. 2, 6, 6; Macr. S. 6, 7 Comp.: “signatius explicare aliquid,” Amm. 23, 6, 1. Refs.: H. P. Grice, “Sign and sign-makingthe Roman signi-ficare, and beyond.” significatum: or better ‘signatum.’ Grice knew that in old Roman, signatum was intransitive, as originally ‘significatum’ was“He is signifying,” i. e. making signs. In the Middle Ages it was applied to ‘utens’ of this or that expression, as was an actum, ‘agitur,’ Thus an expression was not said to ‘signify’ in the same way. Grice plays with the expression-communication distinction. When dealing with a lexeme that does NOT belong in the Graeco-Roman tradition, that of “mean,” he is never sure. His doubts were hightlighted in essays on “Grice without an audience.” While Grice explicitly says that a ‘word’ is not a sign, he would use ‘signify’ at a later stage, including the implicaturum as part of the significatum. There is indeed an entry for signĭfĭcātĭo, f. significare. L and S render it, unhelpfully, as “a pointing out, indicating, denoting, signifying; an expression, indication, mark, sign, token, = indicium, signum, ἐπισημασία, etc., freq. and class. As with Stevenson’s ‘communico,’ Grice goes sraight to ‘signĭfĭco,’ also dep. “signĭfĭcor,” f. ‘significare,’ from signum-facere, to make sign, signum-facio, I make sign, which L and S render as to signify, which is perhaps not too helpful. Grice, if not the Grecians, knew that. Strictly, L and S render significare as to show by signs; to show, point out, express, publish, make known, indicate; to intimate, notify, signify, etc. Note that the cognate signify almost comes last, but not least, if not first. Enough to want to coin a word to do duty for them all. Which is what Grice (and the Grecians) can, but the old Romans cannot, with mean. If that above were not enough, L and S go on, also, to betoken, prognosticate, foreshow, portend, mean (syn. praedico), as in to betoken a change of weather (post-Aug.): “ventus Africus tempestatem significat, etc.,”cf. Grice on those dark clouds mean a storm is coming.  Short and Lewis go on, to say that significare may be rendered as to call, name; to mean, import, signify. Hence, ‘signĭfĭcans,’ in rhet. lang., of speech, full of meaning, expressive, significant; graphic, distinct, clear: adv.: signĭfĭcanter, clearly, distinctly, expressly, significantly, graphically: “breviter ac significanter ordinem rei protulisse;” “rem indicare (with proprie),”  “dicere (with ornate),”  “apertius, significantius dignitatem alicujus defendere,” “narrare,”“disponere,” “appellare aliquid (with consignatius);” “dicere (with probabilius).” -- signifier, a vocal sound or a written symbol. The concept owes its modern formulation to the Swiss linguist Saussure. Rather than using the older conception of sign and referent, he divided the sign itself into two interrelated parts, a signifier and a signified. The signified is the concept and the signifier is either a vocal sound or writing. The relation between the two, according to Saussure, is entirely arbitrary, in that signifiers tend to vary with different languages. We can utter or write ‘vache’, ‘cow’, or ‘vaca’, depending on our native language, and still come up with the same signified i.e., concept. H. P. Grice, “Significatum and English ‘meaning.’”

 

simulatum: Grice: “If x simulates y, x is not yor is this an implicatureif x is x, is x LIKE x?” -- simulation theory: Grice: “How does one simulate an implicature? I challenge AI, so-called, to do it!” --  the view that one represents the mental activities and processes of others by mentally simulating them, i.e., generating similar activities and processes in oneself. By simulating them, one can anticipate their product or outcome; or, where this is already known, test hypotheses about their starting point. For example, one anticipates the product of another’s theoretical or practical inferences from given premises by making inferences from the same premises oneself; or, knowing what the product is, one retroduces the premises. In the case of practical reasoning, to reason from the same premises would typically require indexical adjustments, such as shifts in spatial, temporal, and personal “point of view,” to place oneself in the other’s physical and epistemic situation insofar as it differs from one’s own. One may also compensate for the other’s reasoning capacity and level of expertise, if possible, or modify one’s character and outlook as an actor might, to fit the other’s background. Such adjustments, even when insufficient for making decisions in the role of the other, allow one to discriminate between action options likely to be attractive or unattractive to the agent. One would be prepared for the former actions and surprised by the latter. The simulation theory is usually considered an alternative to an assumption sometimes called the “theory theory” that underlies much recent philosophy of mind: that our commonsense understanding of people rests on a speculative theory, a “folk psychology” that posits mental states, events, and processes as unobservables that explain behavior. Some hold that the simulation theory undercuts the debate between philosophers who consider folk psychology a respectable theory and those the eliminative materialists who reject it. Unlike earlier writing on empathic understanding and historical reenactment, discussions of the simulation theory often appeal to empirical findings, particularly experimental results in developmental psychology. They also theorize about the mechanism that would accomplish simulation: presumably one that calls up computational resources ordinarily used for engagement with the world, but runs them off-line, so that their output is not “endorsed” or acted upon and their inputs are not limited to those that would regulate one’s own behavior. Although simulation theorists agree that the ascription of mental states to others relies chiefly on simulation, they differ on the nature of selfascription. Some especially Robert Gordon and simple supposition simulation theory 845   845 Jane Heal, who independently proposed the theory give a non-introspectionist account, while others especially Goldman lean toward a more traditional introspectionist account. The simulation theory has affected developmental psychology as well as branches of philosophy outside the philosophy of mind, especially aesthetics and philosophy of the social sciences. Some philosophers believe it sheds light on traditional topics such as the problem of other minds, referential opacity, broad and narrow content, and the peculiarities of self-knowledge. 

 

Singolare, singulare: Grice: “I use ‘singular’ in triadic opposition to plural and singular, and reject Urquart’s bi-dual -- singular term -- singŭlāris , e, adj. singuli. I. Lit. A. In gen., one by one, one at a time, alone, single, solitary; alone of its kind, singular (class.; “syn.: unus, unicus): non singulare nec solivagum genus (sc. homines),” i. e. solitary, Cic. Rep. 1, 25, 39: “hostes ubi ex litore aliquos singulares ex navi egredientes conspexerant,” Caes. B. G. 4, 26: “homo,” id. ib. 7, 8, 3; so, “homo (with privatus, and o isti conquisiti coloni),” Cic. Agr. 2, 35, 97: “singularis mundus atque unigena,” id. Univ. 4 med.: “praeconium Dei singularis facere,” Lact. 4, 4, 8; cf. Cic. Ac. 1, 7, 26: “natus,” Plin. 28, 10, 42, § 153: “herba (o fruticosa),” id. 27, 9, 55, § 78: singularis ferus, a wild boar (hence, Fr. sanglier), Vulg. Psa. 79, 14: “hominem dominandi cupidum aut imperii singularis,” sole command, exclusive dominion, Cic. Rep. 1, 33, 50; so, “singulare imperium et potestas regia,” id. ib. 2, 9, 15: “sunt quaedam in te singularia ... quaedam tibi cum multis communia,” Cic. Verr. 2, 3, 88, § 206: “singulare beneficium (o commune officium civium),” id. Fam. 1, 9, 4: “odium (o communis invidia),” id. Sull. 1, 1: “quam invisa sit singularis potentia et miseranda vita,” Nep. Dion, 9, 5: “pugna,” Macr. S. 5, 2: “si quando quid secreto agere proposuisset, erat illi locus in edito singularis,” particular, separate, Suet. Aug. 72.— B. In partic. 1. In gram., of or belonging to unity, singular: “singularis casus,” Varr. L. L. 7, § 33 Müll.; “10, § 54 ib.: numerus,” Quint. 1, 5, 42; 1, 6, 25; 8, 3, 20; Gell. 19, 8, 13: “nominativus,” Quint. 1, 6, 14: “genitivus,” id. 1, 6, 26 et saep. —Also absol., the singular number: “alii dicunt in singulari hac ovi et avi, alii hac ove et ave,” Varr. L. L. 8, § 66 Müll.; Quint. 8, 6, 28; 4, 5, 25 al.— 2. In milit lang., subst.: singŭlāris , is, m. a. In gen., an orderly man (ordonance), assigned to officers of all kinds and ranks for executing their orders (called apparitor, Lampr. Alex. Sev. 52): “SINGVLARIS COS (consulis),” Inscr. Orell. 2003; cf. ib. 3529 sq.; 3591; 6771 al.— b. Esp., under the emperors, equites singulares Augusti, or only equites singulares, a select horse body-guard (selected from barbarous nations, as Bessi, Thraces, Bæti, etc.), Tac. H. 4, 70; Hyg. m. c. §§ 23 and 30; Inscr. Grut. 1041, 12 al.; cf. on the Singulares, Henzen, Sugli Equiti Singolari, Roma, 1850; Becker, Antiq. tom. 3, pass. 2387 sq.— 3. In the time of the later emperors, singulares, a kind of imperial clerks, sent into the provinces, Cod. Just. 1, 27, 1, § 8; cf. Lyd. Meg. 3, 7.— II. Trop., singular, unique, matchless, unparalleled, extraordinary, remarkable (syn.: unicus, eximius, praestans; “very freq. both in a good and in a bad sense): Aristoteles meo judicio in philosophiā prope singularis,” Cic. Ac. 2, 43, 132: “Cato, summus et singularis vir,” id. Brut. 85, 293: “vir ingenii naturā praestans, singularis perfectusque undique,” Quint. 12, 1, 25; so, “homines ingenio atque animo,” Cic. Div. 2, 47, 97: “adulescens,” Plin. Ep. 7, 24, 2.—Of things: “Antonii incredibilis quaedam et prope singularis et divina vis ingenii videtur,” Cic. de Or. 1, 38, 172: “singularis eximiaque virtus,” id. Imp. Pomp. 1, 3; so, “singularis et incredibilis virtus,” id. Att. 14, 15, 3; cf. id. Fam. 1, 9, 4: “integritas atque innocentia singularis,” id. Div. in Caecil. 9, 27: “Treviri, quorum inter Gallos virtutis opinio est singularis,” Caes. B. G. 2, 24: “Pompeius gratias tibi agit singulares,” Cic. Fam. 13, 41, 1; cf.: “mihi gratias egistis singularibus verbis,” id. Cat. 4, 3: “fides,” Nep. Att. 4: “singulare omnium saeculorum exemplum,” Just. 2, 4, 6.—In a bad sense: “nequitia ac turpitudo singularis,” Cic. Verr. 2, 3, 44, § 106; so, “nequitia,” id. ib. 2, 2, 54, § 134; id. Fin. 5, 20, 56: “impudentia,” Cic. Verr. 2, 2, 7, § 18: audacia (with scelus incredibile), id. Fragm. ap. Quint. 4, 2, 105: “singularis et nefaria crudelitas,” Caes. B. G. 7, 77.— Hence, adv.: singŭlārĭter (singlā-rĭter , Lucr. 6, 1067). 1. One by one, singly, separately. a. In gen. (ante- and post-class.): “quae memorare queam inter se singlariter apta, Lucr. l. l. Munro (Lachm. singillariter): a juventā singulariter sedens,” apart, separately, Paul. Nol. Carm. 21, 727.— b. In partic. (acc. to I. B. 1.), in the singular number: “quod pluralia singulariter et singularia pluraliter efferuntur,” Quint. 1, 5, 16; 1, 7, 18; 9, 3, 20: “dici,” Gell. 19, 8, 12; Dig. 27, 6, 1 al.— 2. (Acc. to II.) Particularly, exceedingly: “aliquem diligere,” Cic. Verr. 2, 2, 47, § 117: “et miror et diligo,” Plin. Ep. 1, 22, 1: “amo,” id. ib. 4, 15, 1. Grice: “I would define a ‘singular implicaturum’ as any vehicle of communicatum such as an expression, like ‘Zeus’, ‘Pegasus,’ ‘the President’, ‘Strawson’s dog,’ ‘Fido,’ or ‘my favorite chair’, that can be the grammatical subject of what is semantically a subject-predicate sentence.” Grice: “By contrast, what one might call a ‘general,’ or ‘non-singular term, such as ‘horse,’ ‘dog,’‘table’ or ‘swam’ is one that can serve in predicative position.” It is also often said that a singular term (‘nomen singularis,’ ‘expressio singularis’) is a word or phrase that could refer or ostensibly refer, on a given occasion of use, only to a single (or ‘singular’) objectunless you show me a ‘general’ object --, whereas a general term is predicable of *more than one* singular object, if not a ‘general’ object, which does not exist. A singular term is thus the expression that replace, or are replaced by, an individual variable (x, y, z, …) in applications of such quantifier rules as universal instantiation and existential generalization or flank ‘%’ in identity statements.” H. P. Grice, “System G: the rudiments.”

 

situazione -- situation ethics: what Grice calls the ‘particularised’prior obviously to the ‘generalised.’ --  a kind of anti-theoretical, case-by-case applied ethics in vogue largely in some European and  religious circles for twenty years or so following World War II. It is characterized by the insistence that each moral choice must be determined by one’s particular context or situation  i.e., by a consideration of the outcomes that various possible courses of action might have, given one’s situation. To that degree, situation ethics has affinities to both act utilitarianism and traditional casuistry. But in contrast to utilitarianism, situation ethics rejects the idea that there are universal or even fixed moral principles beyond various indeterminate commitments or ideals e.g., to Christian love or humanism. In contrast to traditional casuistry, it rejects the effort to construct general guidelines from a case or to classify the salient features of a case so that it can be used as a precedent. The anti-theoretical stance of situation ethics is so thoroughgoing that writers identified with the position have not carefully described its connections to consequentialism, existentialism, intuitionism, personalism, pragmatism, relativism, or any other developed philosophical view to which it appears to have some affinity. 

 

Giiovanni – san Giovanni – Grice: “I often wondered why my college was called “St John’s.””  st. john’s: st. john’s keeps a record of all of H. P. Grice’s tutees. It is fascinating that Strawson’s closest collaboration, as Plato with Socrates, and Aristotle with Plato, was with his tutee Strawsonwhom Grice calls a ‘pupil,’ finding ‘tutee’ too French to his taste. G. J. Warnock recalls that, of all the venues that the play group held, their favourite one was the room overlooking the garden at st. john’s. “It’s one of the best gardens in England, you know. Very peripathetic.” In alphabetical order, some of his English ‘gentlemanly’ tutees include: London-born J. L. Ackrill, London-born David Bostock, London-born A. G. N. Flew, Leeds-born T. C. Potts, London-born P. F. Strawson. They were happy to have Grice as a tutorial fellow, since he, unlike Mabbot, was English, and did not instill on the tutees a vernacular furrin to the area.

 

Grice, “philosophical semanticist.”

 

smart and place: Cambridge-born Australian philosopher whose name is associated with three very non-Oxonian doctrines in particular: the mind-body identity theory, scientific realism, and utilitarianism. A student of Ryle’s at Oxford, from the other place, he rejected logical behaviorism in favor of what came to be known as Australian or ‘colonial’ or “Dominion” materialism. This is the view that mental processes  and, as, -- “the other colonial,”Grice -- Armstrong brought Smart to see, mental states  cannot be explained simply in terms of behavioristic dispositions. In order to make good sense of how the ordinary person talks of them we have to see them as brain processes  and states  under other names. Smart developed this identity theory of mind and brain, under the stimulus of his colleague, Yorkshire-born, Rugby and Corpus-Christi (via Open Scholarship), tutee of Ryle, U. T. Place, in “Sensations and Brain Processes” Philosophical Review. It became a mainstay of twentieth-century philosophy. Smart endorsed the materialist analysis of mind on the grounds that it gave a simple picture that was consistent with the findings of science. He took a realist view of the claims of science, rejecting phenomenalism, instrumentalism, and the like, and he argued that commonsense beliefs should be maintained only so far as they are plausible in the light of total science. Philosophy and Scientific Realism 3 gave forceful expression to this physicalist picture of the world, as did some later works. He attracted attention in particular for his argument that if we take science seriously then we have to endorse the four-dimensional picture of the universe and recognize as an illusion the experience of the passing of time. He published a number of defenses of utilitarianism, the best known being his contribution to J. J. C. Smart and Bernard Williams, Utilitarianism, For and Against 3. He gave new life to act utilitarianism at a time when utilitarians were few and most were attached to rule utilitarianism or other restricted forms of the doctrine. Refs.: H. P. Grice, “Ryle and the devil of scientism,” H. P. Grice, “What Smart learned from Ryle.”

 

saggio: Grice: “’saggio’ is tricky; one can say that Grice is an essayist, but Grice is a philosopher. To be a philousopher involves more than writing a philosophical essay. Indeed, the mastery in philosophy, as in lecturing, involves keeping away from your written copy of your essay, and, well, philosophise. Note that a philosophical dialogue, or a tutorial, for that matter, is not an ‘essay.’”. Grice: “This is the best proof that philosophy is above ‘letters,’ and why Oxford needed a sub-faculty of PHILOSOPHY, even if it provided the Lit. Hum. degree. philosophical essay: ‘saggio filosofico.’a subgenre of the prose genre of ‘essay.’ Grice seems to prefer ‘study’ (“Studies in the way of words”) but surely each piece is an essay. Austin preferred “papers” (vide his “Philosophical Papers.”). “The implicature,” Grice says, “seems to be that an essay is too sketchy!” --. “Storia del saggio filosofico in Italia” --. Grice: “It is strictly not true that a philosopher needs to engage in the subgenre of the ‘philosophical essay;’ after all, at Oxford, we always thought Jowett’s dialogues were the epitome of philosophyand they are!”

 

società italiana per lo studio del pensiero medievale: Grice: “It always amazed me that the mediaevals at Bologna and Oxford ‘knew’ that they were in the middle of it!” -- the title of this Society is telling. For the Italians, they do not want to distinguish Politics, Economics, Theology, and PhilosophyIt is all covered under ‘thought,’ ‘pensiero.’ This is in accordance with de Sanctis’s view of philosophy as one of the belles lettres (“if perhaps less ‘belle’ than the rest). The subgenre of the essay‘philosophical essay.’ Grice: “While it is easy to take ‘mediaeval’ in a boring chronological fashion, the mediaevals themselves saw themselves to be in the ‘middle’ of it, of the ‘aevus,’ that is.”

 

siciliani: Pietro Siciliani (Galatina), filosofo. Figlio di un commerciante di pelli, dopo gli studi nel seminario di Otranto frequentò il Collegio gesuitico di Lecce e, il Collegio medico-cerusico di Napoli, dal quale fuggì dopo essere stato segnalato alla polizia borbonica a causa delle sue simpatie liberali.  A Pisa si laureò sotto la guida di Studiati, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con lo iatrofilosofo Puccinotti (1794-1872), che influì molto sui suoi studi filosofici. Sempre in Toscana strinse rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura dell'Ottocento, quali: Silvestro Centofanti, Filippo Pacini, Gino Capponi, Maurizio Bufalini e altri.  Seguendo la sua vocazione, orientò i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne, nel 1862, la cattedra di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo "Dante Alighieri" di Firenze, dove insegnò fino al 1867. A Firenze sposò, nel 1864, la letterata e filantropa Cesira Pozzolini,  nipote del senatore Vincenzo Malenchini e appartenente a una famiglia di forte fede unitaria e liberale (la madre, Gesualda Malenchini, ispettrice nelle scuole femminili di Firenze e fondatrice di una scuola rurale gratuita per i figli dei contadini del piccolo centro di Bivigliano, era stata la prima donna ad aver portato a Firenze il tricolore nei moti del 1848 e il fratello Giorgio Pozzolini aveva combattuto nelle maggiori battaglie risorgimentali affiancando Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio). Da questa unione nacque il console Vito Siciliani conte di Morreale. In questo periodo fu iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Fu nominato professore straordinario di filosofia teoretica a Bologna dal ministro Cesare Correnti e incaricato dell'insegnamento di pedagogia. Nel 1879, poi, divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche il secondo corso italiano di sociologia teoretica. Qui, inoltre, strinse amicizia col poeta Giosuè Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed entrò in contatto con Francesco Fiorentino e Bertrando Spaventa.  Dal 1868 al 1869 fu co-direttore della "Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole" con Francesco Fiorentino, Cesare Albicini ed Enrico Panzacchi. Ne abbandonò la direzione per divergenze maturate in seno alla direzione generate, probabilmente, dall'impostazione (eclettica) che Siciliani intendeva dare alla Rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da Fiorentino.  A Bologna istituì un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Fu un convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro suo pensiero fondamentale fu il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Alla sua morte, avvenuta nel 1885, ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Giovanni Gentile che vedeva in lui un'espressione (benché autonoma) della scuola positivistica . Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero.  A lui è dedicata la Biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo Siciliani" la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al pensatore e dolla biblioteca dalla moglie Cesira Pozzolini. A Pietro Siciliani è dedicato anche il Liceo Socio-Psicopedagogico di Lecce. È sepolto nel Cimitero delle Porte Sante di Firenze.  Il pensiero filosofico Di formazione giobertiana, Siciliani si accostò al pensiero di Vico già negli anni fiorentini, tentando di inaugurare una filosofia mediana (detta della "terza via") che individuasse una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni pensiero contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo del pensiero "mediano" sarà, dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono di una scuola di pensiero per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con lo scritto La Critica nella filosofia zoologica del XIX secolo, approdò nel più ampio dibattito europeo, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfondì e diede il suo contributo speculativo alle nuove discipline che in quegli anni muovevano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (Socialismo, darwinismo e sociologia moderna; Teorie sociali e socialismo) e la psicologia (Prolegomeni alla moderna psicogenia, tradotta in francese da Alessandro Herzen con il titolo Prolègoménes a la psychogénie moderne).  I Congressi Pedagogici. Il ministro Francesco De Sanctis conferì a Siciliani la presidenza di vari congressi pedagogici che si tennero a Firenze, Venezia, Genova, Milano,  e Siciliani presiedette la prima sezione dell'XI Congresso pedagogico romano. Queste esperienze lo portarono a un approfondimento sempre maggiore della pedagogia, alla quale egli contribuì a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (si vedano le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione).  Opere: “Introduzione alla filosofia delle scienze naturali e storiche (Firenze1); Il metodo numerico e la statistica in medicina (Firenze); Della legge storica e dell'odierno momento filosofico e politico del pensiero italiano (Firenze); Della libertà ed unità organica dell'insegnamento filosofico nei licei e nelle università (Firenze); Della fisiologia e delle lezioni fisiologiche sperimentali del prof. Maurizio Schiff (Pisa); Su la storia della medicina di Francesco Puccinotti (Firenze); Sommario delle conferenze di filosofia secondo i principi metafisici di G. B. Vico (Firenze); Il triumvirato nella storia del pensiero italiano, ossia Dante, Galileo e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); Del criterio filosofico nell'arte di scrivere e negli studi critici storici e bibliografici (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Sulle fonti storiche della filosofia positiva in Italia; 1-Galileo Galilei (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia positiva e della scienza dell'educazione in Italia (Bologna); Su la scienza dell'educazione (Bologna, 1870); Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia (Firenze); La critica sulla filosofia zoologica del sec. XIX (Napoli); Prolegomeni alla moderna psicogenia (Bologna); Socialismo, darwinismo e sociologia moderna (Bologna); La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia ortodossa (Bologna); Teorie sociali e socialismo (Firenze); Dei massimi problemi della pedagogia moderna (Roma); Su l'insegnamento religioso ai bambini secondo i dettami della filosofia scientifica (Firenze); Riforma nello insegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica in Italia (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie pedagogiche e sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); La scienza nell'educazione secondo i principi della sociologia moderna (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). G. Calogero, nella Enciclopedia Italiana, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma,Giovanni Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia Guido Calogero, «SICILIANI, Pietro» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giovanni Invitto e Nicola Paparella , Rileggere Pietro Siciliani, Lecce, Capone Editore, 1988.  Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, TorGraf Galatina, Pietro Siciliani, Carteggio familiar, Francesco Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  Pietro Siciliani e Cesira Pozzolini. Filosofia e Letteratura (Atti del Convegno Nazionale. Galatina, Francesco Luceri con prefazione di Fulvio Tessitore, Centro Studi Salentini, Lecce. Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". «http://aspi.unimib.it/index.php?id=1591», la voce in Archivio Storico della Psicologia Italiana.

 

signa: Boncompagno (Signa), filosofo. Fu professore di retorica (ars dictaminis) a Bologna e Padova. Visse in varie città, spostandosi ad Ancona, Venezia, Bologna e Padova, per poi finire la sua vita a Firenze.  Tra le opere più significative si ricordano una storia dell'assedio di Ancona (unico suo lavoro di tipo storico), il Boncompagnus, e diviso in sei parti, un trattato di retorica, Rethorica novissima, composto da tredici libri, un trattato di scacchi e il Libellus de malo senectutis et senis nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la vecchiaia.  Il suo Liber de obsidione Ancone, pubblicato nel 1937 dall'editore Zanichelli, è stato ristampato in edizione italiana (L'assedio di Ancona) nel 1999 dall'editore Viella di Roma.  Il breve trattato di epistolografia amorosa, la Rota Veneris, è stato pubblicato nel 1996 dalla Salerno Editrice. Opere: “Liber de amicitia Ysagoge Boncompagnus Tractatus virtutum Rhetorica novissima Libellus de malo senectutis et senis Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum Rota veneris Liber de obsidione Ancone Bonus Socius e Civis Bononiae (disputed authorship) Fonti (LA, DE) Boncompagno da Signa, Rota Veneris. Ein Liebesbriefsteller des 13. Jahrhunderts, Friedrich Baethgen, Roma, Walter Regenberg, Boncompagno da Signa, Rota Veneris. A facsimile reproduction of the Strassburg Incunabulum, traduzione di Josef Purkart, Delmar, NY (United States), Scholars' Facsimiles & Reprints, Boncompagno da Signa, Rota Veneris, Paolo Garbini, Roma, Salerno Editrice, Carl Sutter, Aus Leben und Schriften des Magisters Boncompagnus, Friburgo, Akademische Verlagsbuchhandlung von J. C. B. Mohr Annibale Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia medievale, in Archivio della Società romana di storia patria, Augusto Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno a Bene da Lucca, in Bullettino dell'Istituto storico italiano, Giuseppe Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, Palermo Francesco Tateo, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Boncompagno da Signa, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Di Capua, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Boncompagno da Signa, su sapere.it, De Agostini. Virgilio Pini, Boncompagno da Signa, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno da Signa, su ALCUIN, Ratisbona.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl., su Les Archives de littérature du Moyen Âge.  Steven M. Wight: Boncompagno's charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum.

 

simioni: Corrado Simioni (Venezia), filosofo. Tra i principali studiosi di Luigi Pirandello, iniziò la sua attività politica militando nelle file del Movimento giovanile socialista con Bettino Craxi. Tuttavia venne espulso dal partito per indegnità morale (circostanza questa che sarà da lui negata successivamente). Secondo alcune fonti collaborò con l'USIS (United States Information Service). In seguito si trasferì a Monaco di iera per approfondire gli studi di latino e teologia, per poi ritornare a Milano all'inizio del Sessantotto. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavorava alla Arnoldo Mondadori Editore, l'8 settembre 1969 fondò insieme a Renato Curcio il "collettivo politico metropolitano" milanese.  Il gruppo, che teorizzava lo scontro aperto, viene considerato il progenitore delle Brigate Rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo (quali Renato Curcio, Margherita Cagol, Giorgio Semeria, e Vanni Mulinaris) ed elementi cattolici del dissenso, partecipò al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione "Stella Maris", nel quale un gruppo di partecipanti guidati da Curcio dichiarò la propria adesione ad una visione di lotta armata ed il successivo passaggio alla clandestinità. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle Brigate Rosse; altri, come Alberto Franceschini, affermano che la formazione di lotta armata sia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia) nell'agosto 1970.  L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità sul territorio italiano, Simioni la compì all'inizio degli anni settanta come redattore (assieme a Mulinaris e Curcio) di alcuni numeri della rivista "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di quattordici mitra. Trasferitosi in Francia, fondò a Parigiassieme a Duccio Berio e Vanni Mulinarisla scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ebbe la funzione di una vera centrale internazionale del terrorismo. Si afferma che fu anche il capo del Superclan, organizzazione nata da una costola delle BR.  A Parigi Simioni si inserì nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli ambienti cattolici progressisti e divenendo vicepresidente della "Fondazione Abbé Pierre". E proprio quale accompagnatore dell'Abbé Pierre, venne ricevuto da papa Giovanni Paolo II in udienza privata. Successivamente si avvicinò al buddhismo tibetano. Qui inoltre conobbe una donna da cui in seguito ebbe un figlio che si trasferì in Italia. Simioni si appartò nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B insieme alla sua compagna fino alla morte, avvenuta nell'ottobre  all'età di 74 anni.  Il grande vecchio Nell'aprile 1980 Bettino Craxi, alludendo alla esistenza di un "grande vecchio" delle Brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni terroristiche sul suolo italiano), dichiarò che costui poteva essere cercato «tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato», frase che venne da molti ritenuto indicasse come "grande vecchio" proprio Simioni. L'organizzazione di sinistra extraparlamentare Lotta Continua lo accusò di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti..  All'inizio degli anni novanta, durante la fase iniziale di Mani pulite, Simioni fu nuovamente accusato da Silvano Larini di essere il "grande vecchio", accuse respinte da Simioni che le ritenne parte di un'azione contro Bettino Craxi, vista la comune militanza nel Movimento giovanile socialista. Valerio Lucarelli L'istituto francese Hyperion era realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  Antonio Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai terroristi italiani? Corriere della Sera 26 aprile 1979  Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in AnnidiPiombo.wordpress  Il "nucleo storico" delle BR   Sylviane Stein L'abbé Pierre: un sacré destin L'Express E morto Simioni, il misterioso grande vecchio, in la Tribuna di Treviso,  Stefano Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, -ANSA, //repubblica.it/cronaca//10/27/news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_riduttivo_si_sentiva_lenin_- Corrado Simioni, Dalla lotta armata al buddhismo , in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi)VeneziaAnni di piombo

 

simone: Simone Pietro Simoni (Lucca), filosofo. La formazione  Girolamo Cardano Simone Simoni. Nacque da Polissena, donna di una famiglia originaria di Vimercate, e da Giovanni Simoni, un modesto mercante lucchese di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana. Ebbe anche due fratelli, Cesare e Lodovico, che intrapresero il mestiere delle armi.  A Lucca studiò umanità con Antonio Bendinelli e Aonio Paleario, due umanisti in «odore di eresia»il Paleario finì sul rogo a Roma iniziò gli studi universitari. Sostenuto economicamente dal padre, che per farlo studiare dovette vendere alcune proprietà, e poi anche dal patrizio veneziano Lazzaro Mocenigo, peregrinò nei maggiori Studi d'Italia: prima a Bologna, poi a Pavia, a Ferrara, a Padova, a Napoli, ancora a Bologna e finalmente si laureò a Padova in filosofia. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Vincenzo Maggi a Girolamo Cardano, da Niccolò Boldoni ad Antonio Musa Brasavola. La sua formazione era di stampo aristotelico-averroistico, come s'insegnava nello Studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università. Con questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori del Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i suoi primi saggi di argomento filosofico.  Nall'infanzia del Simoni, Lucca aveva vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere Francesco Burlamacchi e dal circolo di intellettuali riuniti intorno a Pietro Martire Vermigli, priore di San Frediano. Quando Simoni era ritornato a Lucca, quella fervida attività era già stata spenta dalla reazione cattolica guidata dal vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo quelle idee di Riforma circolavano ancora sotterraneamente in città, e forse lo stesso Simoni le aveva già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse Università da lui frequentate.  Sta di fatto che Simoni fu chiamato dalle autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni religiose: per tutta risposta il nostro medico, «non fidandosi troppo delle sue forze», cercò la salvezza con la fuga: «munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fuggì, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra». Negli atti ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia risulta formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si era formata da decenni una numerosa colonia di emigrati italiani per motivi religiosi, e tra questi non pochi erano i lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa e Simoni vi ebbe l'incarico di catechista; ottenuta la cittadinza ginevrina, sposò Angela Cattani, figlia di Francesco, un concittadino da tempo stabilitosi a Ginevra, e ne ebbe una figlia. Preso a benvolere dall'influente teologo Teodoro di Beza, ottenne di insegnare filosofia all'Accademia di Ginevra: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a Professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nel successivo febbraio, nell'Accademia fu istituita appositamente per lui la cattedra di medicina.  A Ginevrà pubblicò i primi libri. Presso l'editore Jean Crespin apparve il suo In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus: è il commento al De sensu et sensibilibus di Aristotele. In esso Simoni distingue dapprima le verità di fede dalle verità filosoficheuna premessa tipica dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere a Dio, rivelando le verità di fede. In tal modo, Simoni sostiene che anche le questioni teologiche hanno natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita nel commento del Simoni, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogmaespressione della tradizionale subordinazione della ragione alla fedenon ha motivo di esistere.   La sede del Concistoro di Ginevra Il suo aristotelismo che poco concede alla teologia cristiana si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre dal 1567 Simoni condusse una lunga e dura polemica contro il medico e filosofo Jacob Schegk. Questi, proprio all'opposto del Simoni, usava argomenti tratti dalla teologia scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni rispondeva con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto: un solo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato e anche Cristo, in vita, fu soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, egli aveva mantenuto soltanto una natura divina, e non è sostenibile l'idea che Dio possa mutare le leggi naturali: ente perfetto e primo motore immobilecome l'aveva delineato AristoteleDio agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gli esseri naturali.  Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che egli aveva di sé lo portò a una lite clamorosa con Niccolò Balbani, un altro lucchese, catechista della comunità italiana. Durante il matrimonio della figlia di questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo espulsero dall'Accademia. A nulla valsero le scuse presentate dal Simoni: è del resto probabile che la severità del Consiglio e del Concistoro ginevrino fosse motivata anche dalla freddezza e dallo spirito d'indipendenza dimostrato dal medico lucchese, che pure si dichiarava calvinista, in materia di religione. Tuttavia Teodoro di Beza gli mantenne ancora la sua amicizia e lo fornì di una lettera di raccomandazione con la quale, Simone Simoni lasciò temporaneamente a Ginevra la moglie e la figlia per dirigersi alla volta di Parigi.  A Parigi  Parigi: cortile del Collège Royal, oggi Collège de France Nella capitale francese Simoni ottenne una buona accoglienza: i calvinistiqui chiamati ugonottierano ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere una cattedra di filosofia al Collège Royal, dove le sue lezioni ottennero subito un grande concorso di pubblico. Come scrisse al Beza il 22 settembre 1567, alle sue lezioni assistevano sei o settecento «huomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini». Si ebbe le congratulazioni di Pietro Ramo, che volle incontrarlo e lo chiamò «felicissimum et praestantissimum ingenium italicum», non però quelle del collega Jacques Charpentier, che temeva che il Simoni fosse stato mandato da Ginevra «per turbare questa scuola».  Sapeva che la sua permanenza a Parigi era precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto», né poteva valere molto la protezione del cardinale Odet de Coligny, passato al calvinismo. Simoni riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci fu, emanato da Carlo IX alla fine dell'anno, con il quale si proibiva ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi libri che gli furono sequestrati, Simoni fu costretto ad abbandonare la Francia.  In Germania  Cranach: Augusto di Sassonia Si apriva un nuovo periodo di difficoltà per il Simoni, cui morirono la moglie Angela e il fratello Lodovico. Non potendo insegnare a Ginevra, cercò di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altri emigrati italiani come l'editore Perna e l'umanista Celio Curione, ma invano. I sospetti di antitrinitarismo che gravavano sul suo conto, da quando, aveva fatto visita nel carcere di Berna all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite intellettuali delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'antitrinitario Thomas Erastus, il suo aristotelismo senza compromessidal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio Padree il suo carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e Simoni dovette riprendere la via di Basilea.  Finalmente, nel 1569, ottenne una cattedra straordinaria di filosofia all'Lipsia. Se Simoni poteva fregiarsi della stima dell'elettore di Sassonia Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fecero gruppo a sé e lo isolarono. Simoni non si perse d'animo: molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva negli allievi, fondò, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola «Academia Acutorum», Accademia degli Acuti.  Di questa istituzione entrò a far parte un gruppo di suoi studenti: «Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi aristotelici. Notevole la mancanza di ogni precetto di osservanza religiosa in senso specifico. I giovani così raggruppati intorno al Simoni dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agli altri, che il vivace professore aveva finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il Simoni, iniziarono una serie di incidenti che ebbero termine con la soppressione dell'Accademia».  La soppressione dell'Accademia, decisa dal Senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'Università e il Simoni, che per altro in città era reputato «ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che godeva della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassavala frontiera del paese che gli dava ospitalità». Egli, infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come i prìncipi lituani Radziwiłł, esercitava la professione medica, vantando clienti di riguardo, e si era risposato con una nobile del luogo, Magdalena von Hülsen.  La «De vera nobilitate» Pubblicò il suo scritto filosofico più originale, la De vera nobilitate, dedicata all'Elettore di Sassonia. La vera nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa aristotelicamente come forma del corpo: la virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del genitore, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da «genere» deriva «generoso», e se pure «non tutti i nobili sono generosi, chi è generoso è considerato nobile».  Le differenze sociali tra gli individui e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale, secondo Simoni: «la natura vuole infatti fare diversamente i corpi dei liberi da quelli dei servi, questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo, quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile», anche se non mancano eccezioni alla regola.  Certamente l'educazione ricevuta svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale: di due giovani, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulterà alla fine meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una «materia» superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina: fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura.  Viene da sé che le famiglie nobili diano lustro alla nazione, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo però non avviene in tutte le nazioni, ma soltanto in quelle di antica civiltàin sostanza, in gran parte delle società europeementre presso i barbari non può esistere nobiltà: «essi sono giustamente detti servi per natura e in quanto servi, non portano in loro nessuna virtù, essendo nati per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo».  Le virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma esse sono ugualmente attive e pratiche: sono le virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degli individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti: «queste cose sono irrise dai politici, tra i quali (non tra gli angeli) si discute di nobiltà». Nel frattempo, è opportuno «dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degli uomini: si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltivò quella sola che era più adatta ai costumi degli uomini e alle istituzioni civili».  Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte dal Simoni: «la nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine», e le virtù spirituali, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non sono virtù nobili proprie dell'essere umano. Queste virtù tipicamente cristiane discendono direttamente da Dio e perciò non derivano da generazione naturale, non sono frutto della carne e del sangueil fondamento della vera nobiltàe non essendo ereditarie non possono essere considerate virtù nobili.  Naturalmente, ai non nobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi da un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre «quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati». Conflitti accademici e religiosi  Lipsia: l'attuale Accademia delle Scienze Dopo questa applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e al governo dello Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degli ottimati, Simoni si dedicò a trattare temi propriamente medici. Apparve a Lipsia il suo De partibus animalium, ove descrive la conformazione del feto, la De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium,  l'Artificiosa curandae pestis methodus, cui seguì l'anno dopo una Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura: temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste.  Simoni aveva ottenuto il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'Università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presentò all'Elettore una proposta di riforma universitaria. S'indicava la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezionis'imponevano multe ai professori inadempientimentre la durata dell'anno accademico veniva prolungata.  Particolare cura dedicava il Simoni all'insegnamento della medicina. Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico andava migliorata: Simoni riteneva che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito egli opinava che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere di Aristotele.  Non mancavano poi critiche severe sull'attuale andamento dell'Lipsia: i rettori erano scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa pulizia, la farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembrava preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva immutata, se nel 1579 lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni, ottenendone un netto rifiuto.  Racconta lo stesso Simoni che, avendo «rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni». A Praga: la conversione al cattolicesimo  Praga: portici medievali Si trasferì a Praga, dove venne assunto quale medico personale dell'imperatore Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. Simoni si adeguò facilmente alla nuova situazione e nel febbraio del 1582 abiurò pubblicamente le passate convinzioni, ritrattò quanto nei suoi scritti poteva esservi di «eretico» e abbracciò formalmente il cattolicesimo. Si trattò di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso all'amico Nicolas Selnecker, un teologo luterano: «Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato all'agguato di sicari». E ricordò la sorte di chi non si era piegato a compromessi: «io che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare?». Questa lettera non venne agli occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del Simoni, se lo storico gesuita Francesco Sacchini già nel 1620 poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti il Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato convinto che l'unico Dio di Simoni fosse in realtà Aristotele. e Jakob Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi«da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di nuovo papista»lo tratteggiò da «uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita». Forse Simoni stesso sentì di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché solo dopo poco più di un anno, alla fine del 1582, prese la risoluzione di lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia.  In Polonia Sembra che sia stato un altro italiano, Nicola Buccella, medico personale del re István Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. Buccella, di fede anabattista, godeva di notevole considerazione, né la sua fama di eretico gli aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo godeva aprì al Simoni le porte della migliore società polacca, e egli sposava Magdalena Krzyźanowska, giovane figlia di Joachim Krzyźanowski, nobile borgomastro della capitale.   Il castello reale di Grodno Riprese a pubblicare alcuni libri: la Disputatio de putredine è una confutazione, sulla scorta di Aristotele, delle teorie del medico svizzero, nonché teologo, Thomas Erastus, mentre la Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta è una relazione sulla morte del borgomastro di Varsavia Jerzy Niemsta, che era stato suo paziente. Sulla malattia di quest'ultimo tornò nel Simonius supplex, insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Piombino Marcello Squarcialupi.  Una nuova svolta nella vita del Simoni si verificò con la malattia e la morte del re Stefano. Il 7 dicembre 1586 il Báthory si sentì male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e dal Simoni emersero serie divergenze: il primo giudicò molto grave le condizioni del re, mentre Simoni ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni di Stefano Báthory si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta: Simoni era favorevole a fargli bere del vino, che il Buccella intendeva invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo: per il Buccella, il sovrano soffriva di asma, per Simoni, di epilessia.  L'11 dicembre sopravvenne una nuova grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, Simoni rassicurò i circostanti, perché, a suo dire, non c'era ancora pericolo di morte: aveva appena pronunziato queste parole che il re spirava. Simoni lasciò il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che fosse inutile, poiché l'epilessia «ab infernis partibus ducit originem» e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata dal Buccella, l'autopsia fu effettuata il 14 dicembre dal chirurgo tedesco Johann Zigulitz, che accertò una grave alterazione dei due reni. La ricognizione dello scheletro di Stefano Báthory, confermò che la morte avvenne per degenerazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco Simoni pubblicò a sua difesa lo Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors, che fu violentemente contestato dal De morbo et obitu serenissimi magni Stephani, scritto dal segretario reale Giorgio Chiakor su ispirazione del Buccella. La polemica proseguì a lungo, coinvolgendo altri amici del Buccella, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni religiose dei due protagonisti: contro Simoni, tra gli altri, fu indirizzato l'opuscolo Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio. Alla fine, il nuovo re Sigismondo III, nell'aprile del 1588, riconfermò Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da ogni incarico di corte.  Da allora, le notizie su Simoni si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette della considerazione dello stesso imperatore Rodolfo, dei principi Radziwiłł, del vescovo di Olomouc Jan Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fece rilasciare nel 1600 un salvacondotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore fu però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ebbe così fine a Cracovia nel 1602, vecchio di settant'anni, come lo ricordava la lapide posta dalla moglie Magdalena sulla sua tomba nella chiesa cattolica di San Francesco. Quella lapide, e la sua tomba, non esistono più. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di San Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III non. aprilis A. D. 1602» all'età di 70 anni. Il testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono dallo scritto del Simoni, Scopae, quibus verritur confutatio, ..., G1b-G3b. Per secoli gli storici locali discussero del luogo di nascita del medico toscano.  M. Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500,  C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, C. Lucchesini, Opere edite e inedite, XVII, Come scrive egli stesso: S. Simoni, Synopsis brevissima ..., C. Madonia, Simone Simoni da Lucca,  G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, in M. Verdigi, Simone Simoni, A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, S. Simoni a Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in M. Verdigi, Simone Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi, Simone Simoni, c D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia,  C. Madonia, Simone Simoni, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate,  S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate,   S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, cit., ivi.  S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, F. Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, S. Simoni, Simonius supplex ..., in C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni ,Il Paleologo fu decapitato in carcere  e il cadavere fu arso pubblicamente a Roma, in Campo de' Fiori.  M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni,  F. Sacchini, Historia Societatis Jesu, citato in M. Verdigi, Simone Simoni, T. di Beza, lettera a Rudolph Gwalther, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, J. Monau, lettera a Johannes Crato, in D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania . Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, Cfr. n. 1. Opere In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus, Genevae, apud Joannem Crispinum, Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus, Genevae, apud Ioannem Crispinum, Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. & Phil. cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c., Genevae, apud Ioannem Crispinum, Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri tres, Lipsiae, Ernst Võgelin, Antischegkianorum liber unus, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla, dialectica & phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa & excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae, apud Petrum Pernam, Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Jacobi Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii, Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, & multis erroribus refertus Iacobi Schegkij doctoris & professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit, Parisiis, in vico Jacobaeo De vera nobilitate, Lipsiae, Ioannes Rhamba excudebat, De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione, Lipsiae, Iohannes Rhamba excudebat, De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium, Lipsiae, apud haeredes Jacobi Bervaldi, Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa, Lipsiae, apud Ioannes Steinmann  Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, signis, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit, Basileae, per Petrum Pernam, Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta, Cracoviae, in officina Lazari, Disputatio de putredine, Cracoviae, in officina typographica Lazari Commentariola medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc medicum agentis in Transilvania, Vilnae, per Iohannem Kartzanum Velicef, Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa Republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem: pars prima. Pars altera: in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur, Cracoviae, Alexiius Rodecius, D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors, Nyssae, Reinheckelii, Responsum ad epistolam cuiusdam Georgij Chiakor Ungari, de morte Stephani primi,  Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis Friderice Milichtaler, Appendix scoparum in Nicolaum Buccellam, Francesco Sacchini, Historiae Societatis Iesu Pars Secunda, Antverpiae, Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano Ciampi, Viaggio in Polonia, Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini, Opere edite e inedite, Lucca, tipografia Giusti, Girolamo Tommasi, Sommario della storia di Lucca, Firenze, G. P. Vieusseaux, Frank Ludwig, Dr. Simon Simonius in Leipzig. Ein Beitrag zur Geschichte der Universität in «Neues Archiv für Sächsische Geschichte», Arturo Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, in «Rivista storica italiana», Delio Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, in «Studi Germanici», Francesco Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, in «Minerva Medica», Torino, Domenico Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania, Firenze, Sansoni Massimo Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni, in «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Claudio Madonia, Simone Simoni da Lucca, in «Rinascimento»,Firenze, Sansoni, Claudio Madonia, Il soggiorno di Simone Simoni in Polonia, in «Studi e ricerche II», Mariano Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, G. Tiraboschi su Simone Simoni, in «Biblioteca modenese», Modena, su books.google.it. S. Ciampi, Viaggio in Polonia, su books.google.it. C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, su books.google.it. G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su books.google.it. S. Simoni, Antischegkianorum liber unus, su books.google.it. S. Simoni, De vera nobilitate, su books.google.it. S. Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus, su books.google.it.

 

sini: Grice: “I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” -- Carlo Sini (Bologna), filosofo. Ha studiato a Milano con Barié e Paci, con il quale si è laureato in Filosofia, diventandone in seguito assistente. Dopo aver conseguito la libera docenza, ha insegnato Filosofia ad Aquila. -- è stato chiamato a ricoprire la cattedra di Filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Milano, dove ha anche svolto per un triennio la funzione di Preside di facoltà. Membro per molti anni del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, del Direttivo Nazionale della Società Filosofica Italiana e dell'Institut International de Philosophie di Parigi, è socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere e dell'Archivio Husserl di Lovanio. Insignito nel 1985 per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio dello Stato italiano, ha ricevuto nel 2002 la Croce d'onore di I Classe per la Scienza e l'Arte dallo Stato austriaco.  Ha tenuto corsi, seminari e conferenze negli Stati Uniti, in Canada, Argentina, Spagna, Svizzera e altri paesi europei. Ha collaborato per oltre un decennio alle pagine culturali del Corriere della Sera e collabora tuttora con la Rai, con la Radiotelevisione svizzera, con vari settimanali e testate giornalistiche. Dirige per AlboVersorio la collana "Pragmata" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Il 7 dicembre  viene premiato dal Comune di Milano con l'Ambrogino d'oro.  Pensiero Ermeneutica Sini è stato tra i primi a segnalare all'attenzione del pubblico italiano l'importanza dell'opera di Charles Sanders Peirce, e ha proposto un filone di ricerca sulla convergenza teoretica dei percorsi filosofici di Peirce e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico.  Il tema della scrittura e successivi sviluppi La sua proposta teoretica si è in seguito concentrata sul tema della scrittura e sulla centralità dell'alfabeto greco come forma logica del pensiero occidentale. In particolare, in Figure dell'enciclopedia filosofica, Sini rende conto della radicalità del gesto istitutivo platonico e della nascita della filosofia in modo da illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino. Questa pubblicazione si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura. Viene mostrata la verità del gesto filosofico di Platone nel tratto tecnologico della parola alfabetica che trasforma la relazione al mondo in "cosità". La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività e traduce le “sterminate antichità” dell'umano all'interno dell'ambito cronotopico della visione logica elaborata dalla scansione alfabetica del mondo (con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico).  All'educazione mitologica dell'uomo si sostituisce l'educazione psichica dell'anima nella rimozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico (come Nietzsche aveva intuito) sia il conseguente destino nichilista rivelato dall'epoca contemporanea intesa come “epoca del disincanto”, secondo la nota definizione di Max Weber. Ma l'intreccio, che dalla preistoria conduce ai nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure della sessualità e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel “desiderio di vita eterna”. Platone e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza dionisiaca.  E così, dagli ominidi alla società dell'informazione (sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie) la trama del senso transita dai “signa” ai “segni”, disegnando le coordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza oggettuale dell'oggettività, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire (e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando nuove occasioni di senso, le Figure dell'enciclopedia invitano a “sognare più vero”, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita eterna.  Recentemente Sini ha approfondito la questione del logos e della tecnica facendo, sulla scia dei lavori precedenti, del primo (ragione e parola) il fondamento ultimo, della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia contemporanea.  Opere: “I Greci e noi,” con Giovanni Emanuele Barié (NABANuova Accademia di Belle Arti Editrice, Milano), “Whitehead e la funzione della filosofia” (Marsilio Editore, Padova) Introduzione alla fenomenologia come scienza (Lampugnani Nigri, Milano) Storia della filosofa (Morano editore, Napoli 1 Il pragmatismo (Laterza, Roma-Bari) Semiotica e filosofia: segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault (Il Mulino, Bologna, “Passare il segno” (Il Saggiatore, Milano) Kinesis. Saggio d'interpretazione (Spirali, Milano) Metodo e filosofia (Unicopli, Milano 1986) Il silenzio e la parola (Marietti, Genova) I Segni dell'anima (Laterza, Bari) Immagini di verità. Dal segno al simbolo[collegamento interrotto] (Spirali, Milano Il simbolo e l'uomo (Egea, Milano) L'espressione e il profondo (Lanfranchi, Milano 1991) Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano) (Mimesis, Milano) Pensare il progetto (Tranchida, Milano) Filosofia teoretica (Jaca Book, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, con Rossella Fabbrichesi Leo (Hestia, Como) L'incanto del ritmo (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma-Bari) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Egea, Milano) Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli 1999) Ragione (Clueb, Bologna 2000) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza, la comunicazione[collegamento interrotto] (Spirali, Milano) La scrittura e il debito: conflitto tra culture e antropologia (Jaca Book, Milano) Il comico e la vita (Jaca book, Milano) Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità (Jaca Book, Milano) in 6 volumi: 1: L'analogia della parola: filosofia e metafisica; 2: La mente e il corpo: filosofia e psicologia; 3: Origine del significato: filosofia ed etologia; 4: La virtù politica: filosofia e antropologia; 5: Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; 6: Le arti dinamiche: filosofia e pedagogia La materia delle cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano) Archivio Spinoza. La verità e la vita (Edizioni Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano) Distanza un segno: filosofia e semiotica (Cuem, Milano) Il gioco del silenzio (Mondadori, Milano,  Il segreto di Alice e altri saggi (AlboVersorio, Milano) Eracle al bivio. Semiotica e filosofia (Bollati Boringhieri, Torino) Da parte a parte. Apologia del relativo (Edizioni ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Bollati Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (AlboVersorio, Milano, ) Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (con Massimo Donà e Salvatore Natoli, introduzione di Ersamo Silvio Storace)( AlboVersorio, Milano ) La nascita di Eros (AlboVersorio, Milano, ) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Castelvecchi, Roma ) Spinoza (Book Time, Milano ) Critica Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa  Il filosofo e le pratiche. In dialogo con Carlo Sini (E.Redaelli, con scritti di L. BrovelliCrippa, E. Della Valle, E. Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di Carlo Sini, Milano, Mimesis, . Luciano Cristiano, La filosofia di Carlo Sini. Semiotica, ermeneutica e pensiero delle pratiche, Milano, Mimesis, . Note  Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi.it).  Logos e techne, tecnologia e filosofia, su youtube.com. CarloSiniNoema (canale ufficiale), su YouTube.  Carlo Sini, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Carlo Sini / Carlo Sini (altra versione) / Carlo Sini (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Carlo Sini, .  Registrazioni di Carlo Sini, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Nòema la rivista online di filosofia diretta da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, su riviste.unimi.it. Archivio Carlo Sini il luogo ove i materiali relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini ed altro ancora, su archiviocarlosini.it. Lectio Magistralis di Carlo Sini su La Différance di Jacques Derrida, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista a Carlo Sini, di Ivo Nardi, giugno , sito Riflessioni.it Collana PragmataAlboVersorio, su alboversorio.wordpress.com.

 

siracusa: Alcadino  (Siracusa), filosofo. Vissuto vicino alla corte degli Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno di nascita di Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a Siracusa attorno all'anno 1160. Suo padre, Garsino Siracusano, lo mandò a studiare a Salerno, presso la celebre Scuola Medica Salernitana. Dopo gli studi in lettere, Alcadino si cimentò in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli studi, il siracusano fu scelto per fare da insegnante in medicina e filosofia presso la stessa scuola salernitana.  Divenuto uno dei più stimati medici della scuola, Alcadino fu chiamato alla corte di Enrico VI di Svevia, che nel frattempo era entrato in possesso del Regno di Sicilia, e fu assunto come medico ordinario del sovrano. Dopo la morte di Enrico, il medico siracusano servì il di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Oltre alle ordinarie attività legate alla sua professione, Alcadino si occupò anche di poesia. Scrisse forse un trattato in versi sui bagni minerali di Pozzuoli, il De Balneis Puteolanis (che però alcuni autori attribuiscono a Pietro da Eboli). In quest'opera vengono descritti con precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Alcadino scrisse inoltre due opere nelle quali celebrava le gesta di Enrico VI e Federico II.  Secondo lo storico Antonio Mongitore, Alcadino di Siracusa morì all'età di 52 anni, quindi si presume verso il 1212 circa.  Opere: De Balneis Puteolanis, De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt Note  Pasquale Panvini di S. Caterina Salvatore De Renzi405.  Pasquale Panvini di S. Caterina, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe Emanuele Ortolani, Tomo I, Napoli, Salvatore De Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli.

 

sirenio: Giulio Sirenio (Brescia), filosofo. Professore di metafisica a Bologna. Opere: De fato, Venetiis, Giordano Ziletti. Anthony Ossa-Richardson, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early Modern Thought, Princeton.

 

soave: Francesco Soave (Lugano), filosofo. Per qualche tempo maestro di Manzoni, fu il più efficace divulgatore del sensismo italiano. Lapide commemorativa di Soave all'Pavia.  Nacque da Giuseppe Soave e Clara Herrik. La sua numerosa famiglia versava in ristrettezze economiche, ma egli riuscì ad iniziare gli studi presso l'istituto di S. Antonio e, a soli sedici anni, lasciò Lugano per recarsi a Milano dove, nel 1760, prese i voti nella congregazione dei padri Somaschi. Trasferitosi a Pavia, presso il collegio di San Majolo, iniziò gli studi filosofici e nel 1761 fu inviato a Roma al collegio Clementino, che era il più importante della congregazione dei padri Somaschi, per completare gli studi teologici. In questo periodo si dedicò anche allo studio delle lingue greca, inglese, francese, tedesca e spagnola.  Nel 1765 pubblicò le sue traduzioni delle Bucoliche e delle Georgiche di Virgilio, cui aggiunse un poemetto sul modo di tradurre e il volgarizzamento di un sermone di San Basilio Magno. Fu richiamato in seguito alla Scuola dei Paggi di Parma, dal direttore Francesco Venini, a leggere Belle lettere ed a insegnare Poesia latina. Qui rimase fino al 1768 quando Guillaume du Tillot promosse la riforma dell'Università, affidandogli la cattedra di Poesia.  Nel 1770 preparò l'Antologia Latina, per dare agli allievi i migliori esempi di oratoria e di poetica. Ed è proprio in questo momento che prese corpo nel Soave l'idea della Gramatica ragionata, in seguito stampata a Parma nel 1771. L'attività del Soave a Parma finì nel 1772. Tornò così a Milano, dove il conte Carlo Firmian, governatore austriaco della Lombardia, gli affidò, la cattedra di Filosofia a Brera. Oubblicò la versione italiana delle Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra su le umani cognizioni, dissertazione presentata per rispondere al quesito, posto dall'Accademia Reale delle Scienze e delle Lettere di Berlino: "Supponendo degli esseri umani lasciati alle loro facoltà naturali, sarebbero essi in grado di inventare il linguaggio? E con quali mezzi potrebbero giungere a questa invenzione?".  Seguendo una delle classiche questioni filosofiche dibattute nel Sei-Settecento, pubblicò le Riflessioni intorno all'istituzione di una lingua universale, nelle quali Soave teorizzava la formazione di un linguaggio che consentisse a tutti gli uomini di comunicare tra loro, anche se alla fine si dichiarava scettico circa la possibilità di introdurre ex novo una lingua universalmente valida, preferendo l'adozione del francese, che a suo dire svolgeva il ruolo di lingua colta universale, un tempo esclusiva del latino.  Nel 1775 tradusse in italiano il compendio dei saggi di John Locke Saggio filosofico sull'umano intelletto e la Guida dell'intelletto alla ricerca della verità. A quest'ultimo saggio Soave aggiunse, oltre alle consuete annotazioni, anche un'appendice didascalica, sul Metodo che dee tenersi per trovare la verità e per insegnarla ad altrui. Questo commento è ricco di implicazioni, per cogliere il carattere del suo approccio pedagogico. Infatti Soave era soprattutto interessato a dare un'immediata traduzione del pensiero di Locke, nei termini di un discorso didattico ed in particolare a trarre indicazioni per la soluzione del problema di come comporre "buoni libri elementari".  Inoltre, sempre nell'appendice, Soave riprende, da un punto di vista prevalentemente didattico, la questione, per lui fondamentale, di come introdurre i giovani ai primi principi della scienza, suggerendo che il rigore del metodo analitico, il solo valido sul piano conoscitivo, venga attenuato ne' libri elementari. Avvertendo la necessità di superare tutti quegli ostacoli, che si frapponevano in Europa alla libera circolazione delle idee e al continuo e fecondo scambio su un terreno scientifico, letterario e filosofico, Soave fondò nel 1775, con la collaborazione di Carlo Amoretti, il periodico Scelta di opuscoli interessanti tradotti da varie lingue che sarebbe durato fino al 1803, anche se con il nome di Opuscoli scelti. In essi Soave, oltre all'opera di traduzione, pubblicò anche alcuni saggi che testimoniavano il suo eclettismo, tipico dell'epoca. Collaborò con altri studiosi alla realizzazione di una serie di opuscoli (trentasei in tutto), di vario argomento (soprattutto traduzioni), nei quali inserì alcune sue opere.  Nel 1782 scrisse le Novelle morali, alle quali se ne aggiunsero altre, tra il 1784 e il 1786. La loro edizione definitiva risulterà una delle opere più apprezzate ed utilizzata a lungo nelle scuole per l'educazione dei giovani. Ottenne la cattedra di Logica e Metafisica a Brera, alla quale venne incorporata in seguito quella di Etica. Gli anni dal 1786 al 1792 segnarono il momento più intenso della partecipazione di Soave al movimento illuministico e riformatore.  Nel 1786, in seguito all'editto di Giuseppe II sulla riforma delle scuola in Lombardia, Soave venne incaricato di rinnovare le scuole elementari e di preparare alcuni testi scolastici. Per svolgere questo gravoso compito venne nominato membro della Delegazione delle scuole normali, istituita alle dipendenze della giunta delle Pie Fondazioni, e si recò ad osservare il metodo normale, seguito dalle scuole di Rovereto, Trento e Bolzano. Soave avrebbe dovuto innanzitutto fornire una nuova traduzione del Libro del metodo, confrontando quella poco corretta e quindi incapace di servire da codice che era giunta alla delegazione.  In seguito a queste sue ricognizioni, sia territoriali che letterarie, Soave scrisse il Compendio del metodo delle scuole normali ad uso delle scuole della Lombardia austriaca, rivolto in particolare alla formazione dei maestri e contenente i principi educativi del metodo normale, riveduti da lui stesso. A questo libro sono legate indissolubilmente anche: Traduzione del Regolamento generale delle scuole normali, principali e comuni, che era stato emanato da Maria Teresa d'Austria e redatto da Giovanni Ignazio Felbiger, cui Soave aggiunse in un'Appendice Quanto è compreso nel libro del metodo relativamente allo stesso regolamento e inoltre la traduzione di Soave delle Leggi scolastiche da osservarsi nelle Reali scuole normali della Lombardia austriaca.  Fu il fondatore e la mente della prima Scuola normale italiana, inaugurata a Brera. Tentò anche di recarsi in Francia, tuttavia le notizie sulla Rivoluzione che nel frattempo era scoppiata lo convinsero a restare in Italia dove si dedicò a studi filosofici. Stampò le Istituzioni di logica, etica e metafisica, opera pensata per lo studio nei licei e nelle università e, dall'edizione, vi aggiunse gli Opuscoli metafisici. Le truppe di Buonaparte occuparono Milano e Soave si rifugiò a Lugano, poiché nel 1793 aveva scritto, sotto lo pseudonimo di Glice Ceresiano, un opuscolo contro gli ideali rivoluzionari, intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano ad un amico. Ebbe qualche incarico di supplenza nel collegio di Sant'Antonio e tra i suoi allievi ci fu un giovanissimo Alessandro Manzoni.   Frontespizio dell'Abecedario Il principe di Angri lo invitò a Napoli, per istruire il suo unico figlio, ma, nel 1799, con l'occupazione francese della città, Soave tentò dapprima la fuga in Sicilia e in seguito visse seminascosto, fino a che non gli venne restituita, da parte del governo provvisorio austriaco, la cattedra di Filosofia a Brera. Tuttavia il ritorno dei Francesi  gliela tolse definitivamente e Soave si dedicò agli studi ed alle traduzioni. Con la proclamazione della Repubblica Italiana, fu nominato direttore del Collegio nazionale di Modena, al fine di ridare prestigio ad un istituto educativo di antica data, e gli fu affidata la cattedra di Analisi delle idee. Sempre nello stesso anno fu nominato tra i primi 30 membri dell'Istituto Nazionale. Fece parte della classe di Scienze morali e politiche e si occupò in particolare della Metafisica e dell'Etica.  Attirò numerose critiche, per la pubblicazione dell'opera La filosofia di Kant esposta ed esaminata, nella quale tentava di confutare il filosofo tedesco. Nello stesso anno, non riuscendo ad ottenere risultati a Modena, ottenne la cattedra di Analisi delle idee all'Università degli Studi di Pavia. Fu membro della Società Italiana delle Scienze e collaborò alla realizzazione della collana dei "Classici Italiani", voluta dal governo.  Negli ultimi anni scrisse La mitologia ossia esposizione delle favole e descrizioni dei riti religiosi dei gentili..., con l'aggiunta d'un transunto delle Metamorfosi d'Ovidio e la Storia del popolo ebreo compendiata, ad uso delle scuole. Nel 1804 pubblicò la Memoria sopra il progetto di Elementi di ideologia di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy e l'Esame dei principi metafisici della Zoonomia di Erasmus Darwin, cercando di contrastarne le teorie, in un estremo tentativo di difesa delle ideali acquisizioni dell'Illuminismo da ogni novità che le minacciasse, segno del carattere ormai "moderato e timido" del suo empirismo, governato dal desiderio di un compromesso tra quella parte d'Illuminismo volta ad aspirazioni razionalistiche, alla crescita dell'identità di un suddito-cittadino e allo sviluppo di forme economiche più moderne, e lo sviluppo della religiosità all'interno di forme canoniche, come occasione di crescita culturale e di consapevolezza di comportamentiː un tentativo che si rivelerà alquanto fragile ed arduo. Ormai la sua consapevolezza critica ed il suo rigore scientifico stavano venendo meno.  Nel 1805 si accinse a riordinare ed a risistemare le sue opere, al fine di preparare alcuni libri sull'istruzione per l'Istituto Nazionale, ma la morte lo colse il 17 gennaio 1806 nella casa della sua congregazione, la Colombina, presso Pavia.  Note  Francesco Soave, in Dizionario storico della Svizzera.  Cfr. la riedizione moderna, con ampio saggio introduttivo: F. Soave, Gramatica ragionata della lingua italiana, S. Fornara, Pescara, Libreria dell'Università Editrice, Giuseppina Benassati e Lauro Rossi , L'Italia nella Rivoluzione, Casalecchio di reno, Grafis, Angelo Grossi, L. Gianella, Francesco Soave. Vita e scritti scelti, Lugano, Giovanni Orelli, La Svizzera italiana, in Alberto Asor Rosa , Letteratura italiana. Storia e geografia. L'età contemporanea, Claudio Marazzini e Simone Fornara , Francesco Soave e la grammatica del Settecento, Atti del convegno di Vercelli (21 marzo 2002), Alessandria, Edizioni dell'Orso. Marina Roggero, La voie italienne vers l'alphabet avant 1860, Histoire de l'éducation,  Sensismo. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Soave, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Soave, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.  Francesco Soave, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Soave, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Francesco Soave, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Soave.

 

solari: Gioele Solari (Albino), filosofo. Targa commemorativa sulla casa natale di Gioele Solari presso Albino Solari frequentò in gioventù il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Padri Barnabiti per poi proseguire gli studi all'Università degli Studi di Messina, da dove poi si trasferì presso l'Università degli Studi di Torino: si formò nel Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di Giuseppe Carle. Fu anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: l'Accademia Nazionale dei Lincei, nel 1946.  Fautore di un idealismo sociale e studioso di Mario Pagano, fu un esponente della scuola di filosofia del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra dal 1917, quando succedette a Carle, al 1948, anno in cui fu sostituito da Norberto Bobbio. Ebbe tra i suoi allievi lo stesso Bobbio, Renato Treves, Uberto Scarpelli, Piero Gobetti, Alessandro Passerin d'Entrèves, Luigi Pareyson, Luigi Firpo, Giorgio Colli, Bruno Leoni, Mario Einaudi e Cesare Goretti.  Per tutta la vita si dedicò esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico (non diventò nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina (nel 1915), di Cagliari (1922), e di Torino (dal 1918 al 1948).  Prestò il giuramento di fedeltà al fascismo nel 1931.  Opere:  La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, 1904 La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, Torino, Fratelli Bocca.  L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato, 1Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, 1912. Filosofia del diritto privato, 1930. Lezioni di filosofia del diritto, Studi storici della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino Intitolazioni L'Torino gli ha intitolato una biblioteca interdipartimentale. Il comune di Bergamo gli ha intitolato un giardino pubblico e una via. Il comune di Albino gli ha intitolato una via.  Note  Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, Studi storici di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, Gioele Solari nella cultura del suo tempo, FrancoAngeli, Milano, Alberto Contu, Questione sarda e filosofia del diritto in Gioele Solari, con un saggio di Norberto Bobbio, Giappichelli, Torino, Davide Cugini, Commemorazione di Gioele Solari, Torinese, Albino, 1952. Francesco D'Agostino , Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, G. Giappichelli Editore, Torino, Luigi Firpo , La filosofia politica, 2 voll., Laterza, Bari. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Gioele Solari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gioele Solari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Gioele Solari, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Gioele Solari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Gioele Solari, .  Solari, Gioele, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

soleri: Giacomo Soleri (Pagliero di San Damiano Macra), filosofo. Nato in un piccolo centro della provincia di Cuneo, studiò all'Università Cattolica di Milano, fu ordinato sacerdote nel 1934 e terminò gli studi nel 1940. Ebbe come maestro Francesco Olgiati, uno dei fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Lavorò a più di 100 scritti fra cui Il problema metafisico del male (del 1952) e Inevitabilità e decisività del problema teologico. È intitolato al suo nome l'Istituto di istruzione superiore "G. Soleri" di Saluzzo, ove il sacerdote insegnò e fu preside. Opere: La proprietà, S.E.I. Torino (II ed. riveduta); Telesio, La Scuola, Brescia; Lucrezio, La Scuola, Brescia; Marco Aurelio, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima in Aristotele, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino,  Il problema metafisico del male in “Sapienza”, Essere, atto, valore in , Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, in “Studia Patavina”, Orizzonte della metafisica aristotelica. Sito dell'Istituto Soleri.  Heinz Happ, Hyle: Studien zum aristotelischen Materie-Begriff, Walter de Gruyter,  Riccardo Pozzo, The impact of Aristotelianism on modern philosophy, CUA Press, Dao Ettore, La figura e l'opera di Giacomo Soleri. Saggio di ricerca, Saluzzo, Per iniziativa del Comitato per le onoranze a Giacomo Soleri dell'Istituto magistrale statale Giacomo Soleri.

 

somenzi: Vittorio Somenzi (Redondesco), filosofo. Ufficiale meteorologo dell'Aeronautica, dopo aver partecipato alla Resistenza, lavorò all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divise tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi fu Cordeschi.  Pensiero Partendo da un interesse per l'operazionismo di Bridgman, diresse i suoi studi teorici alla cibernetica e fu tra i primi in Italia a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Opere principali: Scritti italiani di filosofia della scienza, Milano, Fratelli Bocca, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica, Milano, Fratelli Bocca, L' operazionismo in fisica, Milano, Edizioni di Comunità, La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI,  La filosofia degli automi, Vittorio Somenzi con Roberto Cordeschi, Torino, Boringhieri,  (prima edizione, a cura del solo Somenzi, Boringhieri) Tra fisica e filosofia. Roberto Donolato, Abano Terme, Piovan. La materia pensante, Milano, CLUP CittàStudi. Fonte: A. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore di Vittorio Somenzi, Roma, Union Printing, Vittorio Somenzii: antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  Antonio Rainone, «Somenzi, Vittorio» la voce nella Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vittorio Somenzi, un maestro del domandare, di Claudio Del Bello, da Giano, n. 45, sito "Metodologia online". Vittorio Somenzi filosofo al servizio della scienza, necrologio di Sandro Modeo, Corriere della Sera, Archivio storico.

 

sordi: Serafino Sordi (Centenaro di Ferriere), filosofo. Terzo di otto figli (7 maschi e 1 femmina) di Agostino Sordi e Giovanna Taschieri, si fece religioso nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei suoi fratelli seguirono il suo esempio.  Entrò nel seminario di Piacenza, dove frequentò le classi ginnasiali. Vinse il concorso per l'ammissione al Collegio Alberoni di Piacenza, dove rimase fino al 1813, quando fu costretto a lasciare per motivi di salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida del canonico Vincenzo Buzzetti, approfondì il pensiero di San Tommaso la cui filosofia era andata in disuso (s’insegnava la filosofia del secolo: Sarti, Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe, Storkenau).  Nel 1816, a 23 anni, divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena ricostituita, fece il noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove incontrò padre Luigi Taparelli D'Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e incominciò a rivedere la sua formazione filosofica.  Nel 1819 divenne insegnante di filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquistò stima e fama tanto che il padre Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani, provinciale d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani, però pregò il padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità “si leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano … tanta è la prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.”  Dal 1829 al 1834 venne mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Qui, ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di Ciro Menotti, pubblicò l'opuscolo “Catechismo delle rivoluzioni”. In questi anni strinse amicizia con il gesuita Giuseppe Pecci. Attraverso quest'amicizia padre Serafino potrà esercitare il suo influsso anche su suo fratello, cardinale Gioacchino Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica Aeterni Patris proporrà a tutte le scuole cattoliche le dottrine di San Tommaso d'Aquino. Venne inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegnò teologia morale. Nel 1836 venne nominato Rettore del Collegio di Orvieto.  Nel 1840 ritornò a Modena come Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase ancora a Modena come Ministro e Padre Spirituale degli alunni.  Nel 1846 fu nominato Rettore del Collegio San Pietro di Piacenza, dove già dal 1839 era stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione filosofica per giovani gesuiti dell'area Lombardo Veneta. Nel 1848, padre Serafino era ancora a Piacenza, quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari: “Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si legge nel racconto di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti. Nel 1851 il P. Generale Jan Roothaan lo chiamò a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che padre Serafino doveva realizzare insieme a padre Carminati. Fu nominato Preposto della Provincia Romana fino al 1856. Padre Serafino governò quella Provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà.  Nel 1859 passò al Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì in questi tre anni al fiorire della rivista componendo con padre Taparelli una serie di articoli. Fu chiamato all'Aloisianum di Verona come Prefetto degli studi dei giovani religiosi che qui studiavano filosofia. A Verona cessò di vivere per malattia cardiaca il 17 maggio 1865.  Pensiero Padre Serafino Sordi fu uno dei più insigni rappresentanti del neotomismo, il movimento di rinnovamento della filosofia di San Tommaso, che, partito dal seminario di Piacenza con il canonico Vincenzo Buzzetti, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli Serafino e Domenico Sordi, alunni dello stesso Buzzetti. I due fratelli, entrati nella Compagnia di Gesù, vi portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. L'azione di padre Serafino in favore del neotomismo fu particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi Collegi dove i suoi scritti di filosofia, trascritti, venivano usati come testo; inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio di San Tommaso sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui il papa Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso e a propagarla il più largamente possibile. Il fratello di Serafino, padre Domenico Sordi, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove operò in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al Collegio Massimo di Napoli fu collaboratore di P. Luigi Taparelli D'Azeglio promuovendo la diffusione della filosofia di San Tommaso fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica dell'800; fra questi va ricordato P. Carlo Maria Curci cofondatore della rivista “La Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e P. Matteo Liberatore, cofondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.  Opere: Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del RorbacherL'Amico d'Italia  XI, 1827, (manoscritto originale presso la biblioteca universitaria di Genova). Theses ex universa Philosophia, Parma  Catechismo delle RivoluzioniModena, Soliani. Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee dell'Abate Antonio Rosmini SerbatiModena, Vincenzo Rossi 1843,  104 I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua –Bergamo, Natali 1849, Allocuzione di N. S Papa Pio IX- del 20 aprile 1849, con in fine esposizione della materia a modo di catechismo, del prof S. S.Roma, Tip. Apostolica I misteri di Demofilo per S. S. Professore di filosofiaTorino Castellazzo e De Gaudenzi, Circolare del R. P. Provinciale Serafino Sordi ai Superiori della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate –Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, Milano 1859” Roma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolicoRoma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomoRoma Civ. Cattolica, opuscolo di  48 Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo dal P. Serafino Sordi della Compagnia di GesùVerona, Vigentini e Franchini 1865  124 (pubblicato dopo la sua morte) Opere attribuite a Serafino Sordi Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo GiobertiPiacenza, Tedeschi. Una proposta al Clero Italiano. Ragionamenti sul Gesuita ModernoTorino, Castellazzo e De Gaudenzi 1849,  7 La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni del Sig. Abate RosminiMonza 1850 Opere di P. Serafino Sordi pubblicate nel 1900 Ontologia, pubblicata da P. Dezza nel 1941 Theologia naturalis, pubblicata da P. Dezza nel 1945 Manuale di logica classica, pubblicato da D. Pesce nel 1967 Opere inedite riportate da P. Dezza nel libro “Alle origini del Neotomismo” Ethica generalis et specialis Psicologia Trattato sull'origine delle idee Dissertazione sulla materia e sulla forma Dissertazione sull'evidenza Osservazioni intorno alla filosofia a noi prescritta da S. Ignazio Esortazioni al clero (presso don BalleriniPC) Note  P. Dezza, Alle origini del Neotomismo30  P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo,  2-3  E. Silva, Ferriere, cenni storici21  R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo, P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri   La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP139  Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo nel sec. XIXLibr. Edit. Vaticana 1974 F. Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M. Curci, Memorie del Padre Curci, G. Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Cattolica Ed. Studium Roma. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, MI. P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP, 1987 F. Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC 1889 L. Ferrari, I fratelli Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V. Buzzetti nel centenario della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS. U. Padovani, Importanza della critica filosofica di S. Sordi a V. Gilbert, in Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI 1933 ed. Vita e Pensiero A. MONTI, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri 1914, 5 volumi Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio 1998 S. Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, B. Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos.e Teologia.  V. Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico, Trento 1990 V. Rolandetti, Vincenzo Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. 1974. E. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC 1966 D. Sordi, Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P.S.Sordi, man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica dell'800, PC , (vedi ) serafinosordi.altervista.org G. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica Luigi Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore Neotomismo  Serafino Sordi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Serafino Sordi. G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica dell’800, PC su serafinosordi. altervista.org. books.google.it/books?hl=it&id=-G3PUnY3zbEC&q=taparelli+d%27azeglio+e+il+rinnovamento+della+scolastica La Civiltà Cattolica 1927Il P. Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano (pagg. 107-121 e 399-409)] books.google.it/books?hl=it&id=KcRveZ1rpnwC&q=intorno+alle+origini+del+rinnovamento+tomista+in+italia La Civiltà Cattolica1928Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in ItaliaIl P.Taparelli e il P. Sordi parte prima –pagg. 215-229) (parte secondapagg. books.google.it/books?id=_y_qxX2vxrEC&pg=PA229&lpg=%20LA+CIVILTA+CATTOLICA+%C2%AC-+1929#v=onepage&q&f=false La Civiltà Cattolica1929La rinascita del tomismo a Napoli nel 1830 (parte primaI collaboratori del Taparelli pagg. 229-244)(parte secondaIl peripato in azione pagg. 422-433) books.google.it/books?id=7dtNAAAAMAAJ&pg=PA318-IA1&l#v=onepage&q&f=false La Civiltà Cattolica1980Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.”

 

soria: Raccolta di opuscoli Giovanni Gualberto De Soria (Sant'Andrea a Lama filosofo. Nato forse a Pisa, e non a Livorno come sostenuto da alcuni autori, da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da Calci, la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba ed era probabilmente di origine spagnola. Giovanni Gualberto De Soria fu un filosofo appartenente alla corrente del sensismo, insegnò all'Pisa, combatté il cartesianesimo ed esaltò Galileo Galilei.  Nel 1741 scrisse l'opera Rationalis Philosophiae Institutiones.  Dal 1742 al 1746 fu direttore della Biblioteca universitaria di Pisa.  Nel 1766 pubblicò a Pisa la Raccolta di opuscoli filosofici, e filologici.  Il primo tomo di tale opera comprende Della Immaterialità delle Nature Intelligenti, Della Potenza che ha lo Spirito Umano di determinar se medesimo chiamata Libertà, Il virtuoso Regime del proprio Corpo è un Bene indispensabile per la Felicità della Vita e Della natural dipendenza della Salute Corporea dall'Ilarità dello Spirito. Il secondo tomo comprende Della Simpatia e un Dialogo tra un Cav. Francese, e un Italiano, seguiti dall’Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa Michelangelo. Nel terzo si trovano Sulle Metamorfosi degl'Insetti e Degl'Influssi Celesti, seguiti da una Dissertazione Accademica sull'Innesto e da La Teoria de' Fosfori, e de' loro divarj.  Giovanni Gualberto De Soria fu allievo di Luigi Guido Grandi, e segnò il passaggio della scuola galileiana verso l'Illuminismo. De Soria individuò, "nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica".  È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa, paese di origine della madre.  Note  Il cognome è attestato anche come Soria. Ugo Baldini, De Soria, Giovanni Gualberto, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, De Soria (o Soria) è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia ebraica locale di origine sefardita, proveniente dalla Spagna o Portogallo Cfr. Renzo Toaff, La nazione ebrea a Livorno e a Pisa  L.S. Olschki, Firenze, Gualberto De Soria, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Gualberto De Soria, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giovanni Gualberto De Soria / Giovanni Gualberto De Soria (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giovanni Gualberto De Soria.

 

sorrentino: Sergio Sorrentino (Carbonara di Nola), filosofo. Docente di filosofia a Salerno.  È tra i massimi esperti italiani del filosofo e teologo tedesco Friedrich Schleiermacher, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. Sorrentino è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili.   Dopo un periodo di studio passato in Italia (Milano, Napoli) e l'estero (Tubinga, Heidelberg) si laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San Luigi" di Napoli è ricercatore a Salerno. Rceve una borsa di formazione a Gottinga, a Kiel e a Monaco.  Nel 1980 diviene ricercatore confermato a Salerno e dal 1995/96 è docente, tuttora in ruolo, di Filosofia della religione preso la medesima università.  Pensiero Il pensiero di Sorrentino si sviluppa soprattutto intorno a tematiche come il dibattito sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del religioso nella società moderna e contemporanea, a partire dal tardo Illuminismo fin ai giorni nostri. Sorrentino cerca di inquadrare il pensiero filosofico relativo all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in ambito filosofico.  Opere: Monografie (selezione) La teologia della secolarizzazione in Dietrich Bonhoeffer, Chiesa, mondo e storia nel pensiero del secolo XIX, Schleiermacher e la filosofia della religione, Ermeneutica e filosofia trascendentale, Filosofia ed esperienza religiosa, Realtà del senso e universo religioso. Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso, Traduzioni (selezione) F. Schleiermacher, La dottrina della fede, F. Schleiermacher, Il valore della vita, F. Schleiermacher, Dialettica, Volumi (selezione) Schleiermacher's Philosophy and the philosophical Tradition, Barth in discussione, Obbedire al tempo. L'attesa nel pensiero filosofico, politico ereligioso di Simone Weil, La dialettica nella cultura romantica, con Terrence N. Tice Religione e religioni a partire dai “Discorsi” di Schleiermacher,Il prisma della rivelazione. Una nozione alla prova di religioni e saperi, L'eredità dell'Illuminismo e la critica della religione, Diversità e rapporto tra culture, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni, Nichilismo e questione del senso, Teologia naturale e teologia filosofica, La libertà in discussione, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le religioni, con Francesco Saverio Festa, La persona come paradigma di senso. Dibattito sull'eredità di Mounier, con Giuseppe Limone,  La teologia politica in discussione, con Hagar Spano, Università degli Studi di Salerno, su unisa.it. Giornale di filosofia della religione, su aifr.it.

 

sozzini: -- Socinianism, NELLA PRIMA METÀ DEL SEDICESIMO SECOLO NACQUERO IN QUESTA CASA LELIO E FAUSTO SOZZINI LETTERATI INSIGNI FILOSOFI SOMMI DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO STRENUI PROPUGNATORI ______ CONTRO IL SOPRANNATURALE VINDICI DELLA UMANA RAGIONE FONDARONO LA CELEBRE SCUOLA SOCINIANA PRECORRENDO DI TRE SECOLI LE DOTTRINE DEL MODERNO RAZIONALISMO. I LIBERALI SENESI AMMIRATORI REVERENTI QUESTA MEMORIA POSERO 1879 a movement originating in the sixteenth century from the work of  reformer Laelius Socinus “Sozzini” and his nephew Faustus Socinus.  Born in Siena of a patrician family, Sozzini is widely read. Influenced by the evangelical movement, Sozzini makes contact with noted Protestant reformers, including Calvin and Melanchthon, some of whom questioned his orthodoxy. In response, Sozzini writes a confession of faith, one of a small number of his writings to have survived. After his death, Sozzini’s oeuvre was carried on by his nephew, Faustus, whose writings including “On the Authority of Scripture,” “On the Savior Jesus Christ,”  and “On Predestination,” expressed heterodox views. Sozzini believed that Christ’s nature is entirely human, that the souls does not possess immortality by nature though there is selective resurrection for believers, that invocation of Christ in prayer is permissible but not required, and he argues, like Grice, Pears, and Thomson, against predestination. After publication of his  writings, Sozzini is invited to Transylvania and Poland to engage in a dispute within the Reformed churches there. He decides to make his permanent residence in Poland, which, through his tireless efforts, became the center of the Socinian movement. The most important document of this movement was the Racovian Catechism, published shortly after Faustus’s death. The Minor church of Poland, centered at Racov, became the focal point of the movement. Its academy attracted hundreds of students and its publishing house produced books in many languages defending Socinian ideas. Socinianism, as represented by the Racovian Catechism and other writings collected by Faustus’s disciples, involves the views of Laelius and especially Faustus Socinus, aligned with the anti-Trinitarian views of the Polish Minor church.. It accepts Christ’s message as the definitive revelation of God, but regards Christ as human, not divine; rejects the natural immortality of the soul, but argues for the selective resurrection of the faithful; rejects the doctrine of the Trinity; emphasizes human free will against predestinationism; defends pacifism and the separation of church and state; and argues that reason  not creeds, dogmatic tradition, or church authority  must be the final interpreter of Scripture. Its view of God is temporalistic: God’s eternity is existence at all times, not timelessness, and God knows future free actions only when they occur. In these respects, the Socinian view of God anticipates aspects of modern process theology. Socinianism was suppressed in Poland in 1658, but it had already spread to other European countries, including Holland where it appealed to followers of Arminius and England, where it influenced the Cambridge Platonists, Locke, and other philosophers, as well as scientists like Newton. In England, it also influenced and was closely associated with the development of Unitarianism.  H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi.”

 

solus ipse, solipsism: Grice: “If my theory of conversation has any value, is the refutation of solipsism!” -- the doctrine that there exists a firstperson perspective possessing privileged and irreducible characteristics, in virtue of which we stand in various kinds of isolation from any other persons or external things that may exist. This doctrine is associated with but distinct from egocentricism. On one variant of solipsism Thomas Nagel’s we are isolated from other sentient beings because we can never adequately understand their experience empathic solipsism. Another variant depends on the thesis that the meanings or referents of all words are mental entities uniquely accessible only to the language user semantic solipsism. A restricted variant, due to Vitters, asserts that first-person ascriptions of psychological states have a meaning fundamentally different from that of second- or thirdperson ascriptions psychological solipsism. In extreme forms semantic solipsism can lead to the view that the only things that can be meaningfully said to exist are ourselves or our mental states ontological solipsism. Skepticism about the existence of the world external to our minds is sometimes considered a form of epistemological solipsism, since it asserts that we stand in epistemological isolation from that world, partly as a result of the epistemic priority possessed by firstperson access to mental states. In addition to these substantive versions of solipsism, several variants go under the rubric methodological solipsism. The idea is that when we seek to explain why sentient beings behave in certain ways by looking to what they believe, desire, hope, and fear, we should identify these psychological states only with events that occur inside the mind or brain, not with external events, since the former alone are the proximate and sufficient causal explanations of bodily behavior.

 

sophisma: Grice’s favourite for a time was “Have you stopped beating your wife.” In “Presupposition and conversational implicature,” he does admit that he has grown tired of it, what he calls his having had his eyes glued to “the inquiry whether you have left off beating your wife” --. an utterance illustrating a semantic or logical issue associated with the analysis of a syncategorematic term, or a term lacking independent signification. Typically a sophisma was used from the thirteenth century into the sixteenth century to analyze relations holding between logic or semantics and broader philosophical issues. For example, the syncategorematic term ‘besides’ praeter in ‘Socrates twice sees every man besides Plato’ is ambiguous, because it could mean ‘On two occasions Socrates sees every-man-but-Plato’ and also ‘Except for overlooking Plato once, on two occasions Socrates sees every man’. Roger Bacon used this sophisma to discuss the ambiguity of distribution, in this case, of the scope of the reference of ‘twice’ and ‘besides’. Sherwood used the sophisma to illustrate the applicability of his rule of the distribution of ambiguous syncategoremata, while Pseudo-Peter of Spain uses it to establish the truth of the rule, ‘If a proposition is in part false, it can be made true by means of an exception, but not if it is completely false’. In each case, the philosopher uses the ambiguous signification of the syncategorematic term to analyze broader logical problems. The sophisma ‘Every man is of necessity an animal’ has ambiguity through the syncategorematic ‘every’ that leads to broader philosophical problems. In the 1270s, Boethius of Dacia analyzed this sophisma in terms of its applicability when no man exists. Is the knowledge derived from understanding the proposition destroyed when the object known is destroyed? Does ‘man’ signify anything when there are no men? If we can correctly predicate a genus of a species, is the nature of the genus in that species something other than, or distinct from, what finally differentiates the species? In this case, the sophisma proves a useful approach to addressing metaphysical and epistemological problems central to Scholastic discourse.   sophisma: Grice: “Literally, a wisecrack.” “’Sophisma’ is a very Griceian and Grecian pun on ‘sophos,’ the wise men of Gotham -- any of a number of ancient Grecians, roughly contemporaneous with Socrates, who professed to teach, for a fee, rhetoric, philosophy, and how to succeed in life. They typically were itinerants, visiting much of the Grecian world, and gave public exhibitions at Olympia and Delphi. They were part of the general expansion of Grecian learning and of the changing culture in which the previous informal educational methods were inadequate. For example, the growing litigiousness of Athenian society demanded Solovyov, Vladimir Sophists 862   862 instruction in the art of speaking well, which the Sophists helped fulfill. The Sophists have been portrayed as intellectual charlatans hence the pejorative use of ‘sophism’, teaching their sophistical reasoning for money, and at the other extreme as Victorian moralists and educators. The truth is more complex. They were not a school, and shared no body of opinions. They were typically concerned with ethics unlike many earlier philosophers, who emphasized physical inquiries and about the relationship between laws and customs nomos and nature phusis. Protagoras of Abdera c.490c.420 B.C. was the most famous and perhaps the first Sophist. He visited Athens frequently, and became a friend of its leader, Pericles; he therefore was invited to draw up a legal code for the colony of Thurii 444. According to some late reports, he died in a shipwreck as he was leaving Athens, having been tried for and found guilty of impiety. He claimed that he knew nothing about the gods, because of human limitations and the difficulty of the question. We have only a few short quotations from his works. His “Truth” also known as the “Throws,” i.e., how to overthrow an opponent’s arguments begins with his most famous claim: “Humans are the measure of all things  of things that are, that they are, of things that are not, that they are not.” That is, there is no objective truth; the world is for each person as it appears to that person. Of what use, then, are skills? Skilled people can change others’ perceptions in useful ways. For example, a doctor can change a sick person’s perceptions so that she is healthy. Protagoras taught his students to “make the weaker argument the stronger,” i.e., to alter people’s perceptions about the value of arguments. Aristophanes satirizes Protagoras as one who would make unjust arguments defeat just arguments. This is true for ethical judgments, too: laws and customs are simply products of human agreement. But because laws and customs result from experiences of what is most useful, they should be followed rather than nature. No perception or judgment is more true than another, but some are more useful, and those that are more useful should be followed. Gorgias c.483376 was a student of Empedocles. His town, Leontini in Sicily, sent him as an ambassador to Athens in 427; his visit was a great success, and the Athenians were amazed at his rhetorical ability. Like other Sophists, he charged for instruction and gave speeches at religious festivals. Gorgias denied that he taught virtue; instead, he produced clever speakers. He insisted that different people have different virtues: for example, women’s virtue differs from men’s. Since there is no truth and if there were we couldn’t know it, we must rely on opinion, and so speakers who can change people’s opinions have great power  greater than the power produced by any other skill. In his “Encomium on Helen” he argues that if she left Menelaus and went with Paris because she was convinced by speech, she wasn’t responsible for her actions. Two paraphrases of Gorgias’s “About What Doesn’t Exist” survive; in this he argues that nothing exists, that even if something did, we couldn’t know it, and that even if we could know anything we couldn’t explain it to anyone. We can’t know anything, because some things we think of do not exist, and so we have no way of judging whether the things we think of exist. And we can’t express any knowledge we may have, because no two people can think of the same thing, since the same thing can’t be in two places, and because we use words in speech, not colors or shapes or objects. This may be merely a parody of Parmenides’ argument that only one thing exists. Antiphon the Sophist fifth century is probably although not certainly to be distinguished from Antiphon the orator d. 411, some of whose speeches we possess. We know nothing about his life if he is distinct from the orator. In addition to brief quotations in later authors, we have two papyrus fragments of his “On Truth.” In these he argues that we should follow laws and customs only if there are witnesses and so our action will affect our reputation; otherwise, we should follow nature, which is often inconsistent with following custom. Custom is established by human agreement, and so disobeying it is detrimental only if others know it is disobeyed, whereas nature’s demands unlike those of custom can’t be ignored with impunity. Antiphon assumes that rational actions are selfinterested, and that justice demands actions contrary to self-interest  a position Plato attacks in the Republic. Antiphon was also a materialist: the nature of a bed is wood, since if a buried bed could grow it would grow wood, not a bed. His view is one of Aristotle’s main concerns in the Physics, since Aristotle admits in the Categories that persistence through change is the best test for substance, but won’t admit that matter is substance. Hippias fifth century was from Elis, in the Peloponnesus, which used him as an ambasSophists Sophists 863   863 sador. He competed at the festival of Olympus with both prepared and extemporaneous speeches. He had a phenomenal memory. Since Plato repeatedly makes fun of him in the two dialogues that bear his name, he probably was selfimportant and serious. He was a polymath who claimed he could do anything, including making speeches and clothes; he wrote a work collecting what he regarded as the best things said by others. According to one report, he made a mathematical discovery the quadratrix, the first curve other than the circle known to the Grecians. In the Protagoras, Plato has Hippias contrast nature and custom, which often does violence to nature. Prodicus fifth century was from Ceos, in the Cyclades, which frequently employed him on diplomatic missions. He apparently demanded high fees, but had two versions of his lecture  one cost fifty drachmas, the other one drachma. Socrates jokes that if he could have afforded the fifty-drachma lecture, he would have learned the truth about the correctness of words, and Aristotle says that when Prodicus added something exciting to keep his audience’s attention he called it “slipping in the fifty-drachma lecture for them.” We have at least the content of one lecture of his, the “Choice of Heracles,” which consists of banal moralizing. Prodicus was praised by Socrates for his emphasis on the right use of words and on distinguishing between synonyms. He also had a naturalistic view of the origin of theology: useful things were regarded as gods.

 

sort: Grice, “One of the few technicisms introduced by an English philosopher, in this case Locke.”a sortal predicate, roughly, a predicate whose application to an object says what kind of object it is and implies conditions for objects of that kind to be identical. Person, green apple, regular hexagon, and pile of coal would generally be regarded as sortal predicates, whereas tall, green thing, and coal would generally be regarded as non-sortal predicates. An explicit and precise definition of the distinction is hard to come by. Sortal predicates are sometimes said to be distinguished by the fact that they provide a criterion of counting or that they do not apply to the parts of the objects to which they apply, but there are difficulties with each of these characterizations. The notion figures in recent philosophical discussions on various topics. Robert Ackermann and others have suggested that any scientific law confirmable by observation might require the use of sortal predicates. Thus ‘all non-black things are non-ravens’, while logically equivalent to the putative scientific law ‘all ravens are black’, is not itself confirmable by observation because ‘non-black’ is not a sortal predicate. David Wiggins and others have discussed the sortal sortal predicate 865   865 idea that all identity claims are sortal-relative in the sense that an appropriate response to the claim a % b is always “the same what as b?” John Wallace has argued that there would be advantages in relativizing the quantifiers of predicate logic to sortals. ‘All humans are mortal’ would be rendered Ex[m]Dx, rather than ExMxPDx. Crispin Wright has suggested that the view that natural number is a sortal concept is central to Frege’s or any other number-theoretic platonism. The word ‘sortal’ as a technical term in philosophy apparently first occurs in Locke’s Essay Concerning Human Understanding. Locke argues that the so-called essence of a genus or sort unlike the real essence of a thing is merely the abstract idea that the general or sortal name stands for. But ‘sortal’ has only one occurrence in Locke’s Essay. Its currency in contemporary philosophical idiom probably should be credited to P. F. Strawson’s Individuals. The general idea may be traced at least to the notion of second substance in Aristotle’s Categories.

 

Sotione, teacher of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in “Roman philosophers.”

 

Animatum -- soul: -- cf. Grice on “soul-to-soul transfer” -- also called spirit, an entity supposed to be present only in living things, corresponding to the Grecian psyche and Latin anima. Since there seems to be no material difference between an organism in the last moments of its life and the organism’s newly dead body, many philosophers since the time of Plato have claimed that the soul is an immaterial component of an organism. Because only material things are observed to be subject to dissolution, Plato took the soul’s immateriality as grounds for its immortality. Neither Plato nor Aristotle thought that only persons had souls: Aristotle ascribed souls to animals and plants since they all exhibited some living functions. Unlike Plato, Aristotle denied the transmigration of souls from one species to another or from one body to another after death; he was also more skeptical about the soul’s capacity for disembodiment  roughly, survival and functioning without a body. Descartes argued that only persons had souls and that the soul’s immaterial nature made freedom possible even if the human body is subject to deterministic physical laws. As the subject of thought, memory, emotion, desire, and action, the soul has been supposed to be an entity that makes self-consciousness possible, that differentiates simultaneous experiences into experiences either of the same person or of different persons, and that accounts for personal identity or a person’s continued identity through time. Dualists argue that soul and body must be distinct in order to explain consciousness and the possibility of immortality. Materialists argue that consciousness is entirely the result of complex physical processes. 

 

soundness: Grice: “The etymology if fascinating.” The English Grice. "Most of the terms I use are Latinate." "I implicate: a few are not." "I say that System G should be sound." "free from special defect or injury," c. 1200, from Old English gesund "sound, safe, having the organs and faculties complete and in perfect action," from Proto-Germanic *sunda-, from Germanic root *swen-to- "healthy, strong" (source also of Old Saxon gisund, Old Frisian sund, Dutch gezond, Old High German gisunt, German gesund "healthy," as in the post-sneezing interjection gesundheit; also Old English swið "strong," Gothic swinþs "strong," German geschwind "fast, quick"), with connections in Indo-Iranian and Balto-Slavic. Meaning "right, correct, free from error" is from mid-15c. Meaning "financially solid or safe" is attested from c. 1600; of sleep, "undisturbed," from 1540s. Sense of "holding accepted opinions" is from 1520s Grice: “’sound’ is not polysemous, but it has different usages: of an argument the property of being valid and having all true premises; of a system, like Sytem G,  the property of being not too strong in a certain respect. A System G  has weak soundness provided every theorem of G  is valid. And G has strong soundness if for every set S of sentences, every sentence deducible from S using system G is a logical consequence of S.

 

spatium: space, an extended manifold of several dimensions, where the number of dimensions corresponds to the number of variable magnitudes Soto, Domingo de space 866   866 needed to specify a location in the manifold; in particular, the three-dimensional manifold in which physical objects are situated and with respect to which their mutual positions and distances are defined. Ancient Grecian atomism defined space as the infinite void in which atoms move; but whether space is finite or infinite, and whether void spaces exist, have remained in question. Aristotle described the universe as a finite plenum and reduced space to the aggregate of all places of physical things. His view was preeminent until Renaissance Neoplatonism, the Copernican revolution, and the revival of atomism reintroduced infinite, homogeneous space as a fundamental cosmological assumption. Further controversy concerned whether the space assumed by early modern astronomy should be thought of as an independently existing thing or as an abstraction from the spatial relations of physical bodies. Interest in the relativity of motion encouraged the latter view, but Newton pointed out that mechanics presupposes absolute distinctions among motions, and he concluded that absolute space must be postulated along with the basic laws of motion Principia, 1687. Leibniz argued for the relational view from the identity of indiscernibles: the parts of space are indistinguishable from one another and therefore cannot be independently existing things. Relativistic physics has defused the original controversy by revealing both space and spatial relations as merely observer-dependent manifestations of the structure of spacetime. Meanwhile, Kant shifted the metaphysical controversy to epistemological grounds by claiming that space, with its Euclidean structure, is neither a “thing-in-itself” nor a relation of thingsin-themselves, but the a priori form of outer intuition. His view was challenged by the elaboration of non-Euclidean geometries in the nineteenth century, by Helmholtz’s arguments that both intuitive and physical space are known through empirical investigation, and finally by the use of non-Euclidean geometry in the theory of relativity. Precisely what geometrical presuppositions are inherent in human spatial perception, and what must be learned from experience, remain subjects of psychological investigation.  -- space-time: a four-dimensional continuum combining the three dimensions of space with time in order to represent motion geometrically. Each point is the location of an event, all of which together represent “the world” through time; paths in the continuum worldlines represent the dynamical histories of moving particles, so that straight worldlines correspond to uniform motions; three-dimensional sections of constant time value “spacelike hypersurfaces” or “simultaneity slices” represent all of space at a given time. The idea was foreshadowed when Kant represented “the phenomenal world” as a plane defined by space and time as perpendicular axes Inaugural Dissertation, 1770, and when Joseph Louis Lagrange 17361814 referred to mechanics as “the analytic geometry of four dimensions.” But classical mechanics assumes a universal standard of simultaneity, and so it can treat space and time separately. The concept of space-time was explicitly developed only when Einstein criticized absolute simultaneity and made the velocity of light a universal constant. The mathematician Hermann Minkowski showed in 8 that the observer-independent structure of special relativity could be represented by a metric space of four dimensions: observers in relative motion would disagree on intervals of length and time, but agree on a fourdimensional interval combining spatial and temporal measurements. Minkowski’s model then made possible the general theory of relativity, which describes gravity as a curvature of spacetime in the presence of mass and the paths of falling bodies as the straightest worldlines in curved space-time.  -- spatio-temporal continuancy: or continunity, a property of the careers, or space-time paths, of well-behaved objects. Let a space-time path be a series of possible spatiotemporal positions, each represented in a selected coordinate system by an ordered pair consisting of a time its temporal component and a volume of space its spatial component. Such a path will be spatiotemporally continuous provided it is such that, relative to any inertial frame selected as coordinate system, space, absolute spatiotemporal continuity 867   867 1 for every segment of the series, the temporal components of the members of that segment form a continuous temporal interval; and 2 for any two members ‹ti, Vi and ‹tj, Vj of the series that differ in their temporal components ti and tj, if Vi and Vj the spatial components differ in either shape, size, or location, then between these members of the series there will be a member whose spatial component is more similar to Vi and Vj in these respects than these are to each other. This notion is of philosophical interest partly because of its connections with the notions of identity over time and causality. Putting aside such qualifications as quantum considerations may require, material objects at least macroscopic objects of familiar kinds apparently cannot undergo discontinuous change of place, and cannot have temporal gaps in their histories, and therefore the path through space-time traced by such an object must apparently be spatiotemporally continuous. More controversial is the claim that spatiotemporal continuity, together with some continuity with respect to other properties, is sufficient as well as necessary for the identity of such objects  e.g., that if a spatiotemporally continuous path is such that the spatial component of each member of the series is occupied by a table of a certain description at the time that is the temporal component of that member, then there is a single table of that description that traces that path. Those who deny this claim sometimes maintain that it is further required for the identity of material objects that there be causal and counterfactual dependence of later states on earlier ones ceteris paribus, if the table had been different yesterday, it would be correspondingly different now. Since it appears that chains of causality must trace spatiotemporally continuous paths, it may be that insofar as spatiotemporal continuity is required for transtemporal identity, this is because it is required for transtemporal causality. Refs.: H. P. Grice and P. F. Strawson, “Categories,” in The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley.

 

specious present: the supposed time between past and future. The phrase was first offered by  Clay in “The Alternative: A Study in Psychology,”  and is cited by James in his Principles of Psychology  Clay challenges the assumption that the “present” as a “datum” is given as “present” to us in our experience. “The present to which the datum refers is really a part of the *past*, a recent past  delusively given as benign time that intervenes between the past and the future. Let it be named ‘the specious present,’ and let the past that is given as being the past be known as ‘the obvious past.’” For James, this position is supportive of his contention that consciousness (conscientia) is a stream and can be divided into parts only by conceptual addition, i.e., only by our ascribing past, present, and future to what is, in our actual experience, a seamless flow. James holds that the “practically cognized present is no knife-edge but a saddleback,” a sort of “ducatum” which we experience as a whole, and only upon reflective attention do we “distinguish its beginning from its end.” Whereas Clay refers to the datum of the present as “delusive,” one might rather say that it is perpetually *elusive*, for as we have our experience, now, it is always bathed retrospectively and prospectively. Contrary to common wisdom, no single experience ever is had by our consciousness utterly alone, single and without relations, fore and aft. Refs.: H. P. Grice, “The logical-construction theory of personal identity.”

 

speculatum: Grice: “Philosophy may broadly be divided into ‘philosophia speculativa” and “philosophia practica.”” -- speculative philosophy, a form of theorizing that goes beyond verifiable observation; specifically, a philosophical approach informed by the impulse to construct a grand narrative of a worldview that encompasses the whole of reality. Speculative philosophy purports to bind together reflections on the existence and nature of the cosmos, the psyche, and God. It sets for its goal a unifying matrix and an overarching system whereswith to comprehend the considered judgments of cosmology, psychology, and theology. Hegel’s absolute idealism, particularly as developed in his later thought, paradigmatically illustrates the requirements for speculative philosophizing. His system of idealism offered a vision of the unity of the categories of human thought as they come to realization in and through their opposition to each other. Speculative thought tends to place a premium on universality, totality, and unity; and it tends to marginalize the concrete particularities of the natural and social world. In its aggressive use of the systematic principle, geared to a unification of human experience, speculative philosophy aspires to a comprehensive understanding and explanation of the structural interrelations of the culture spheres of science, morality, art, and religion. Refs.: H. P. Grice, “Practical and doxastic attitudes: why I need exhibitive clauses.”

 

SISTENS -- CUM-SISTENS -- consistens: “There’s consistens, and there’s inconsistens.”H. P. Grice. The inconsistent triad, most generally, any three propositions such that it cannot be the case that all three of them are true. More narrowly, any three categorical propositions such that it cannot be the case that all three of them are true. A categorical syllogism is valid provided the three propositions that are its two premises and the negation (contradiction) of its conclusion are an inconsistent triad; this fact underlies a test for the validity of categorical syllogisms, which test are thus called by Grice the “method of” the inconsistent triad.

 

spencer: English philosopher, social reformer, and editor of The Economist. In epistemology, Spencer adopted the ninespeculative reason Spencer, Herbert 869   869 teenth-century trend toward positivism: the only reliable knowledge of the universe is to be found in the sciences. His ethics were utilitarian, following Bentham and J. S. Mill: pleasure and pain are the criteria of value as signs of happiness or unhappiness in the individual. His Synthetic Philosophy, expounded in books written over many years, assumed both in biology and psychology the existence of Lamarckian evolution: given a characteristic environment, every animal possesses a disposition to make itself into what it will, failing maladaptive interventions, eventually become. The dispositions gain expression as inherited acquired habits. Spencer could not accept that species originate by chance variations and natural selection alone: direct adaptation to environmental constraints is mainly responsible for biological changes. Evolution also includes the progression of societies in the direction of a dynamical equilibrium of individuals: the human condition is perfectible because human faculties are completely adapted to life in society, implying that evil and immorality will eventually disappear. His ideas on evolution predated publication of the major works of Darwin; A. R. Wallace was influenced by his writings. Refs.: H. P. Grice, “Evolutionary pirotology,” in “Method in philosophical psychology: from the banal to the bizarre.”

 

spadaro: Antonio Spadaro, all'anagrafe Antonino (Messina), filosofo. Laureato in Filosofia a Messina, entra subito dopo nel noviziato della Compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma per 2 anni dal 1991 al 1993. Il 21 dicembre 1996 riceve l'ordinazione presbiterale e il 24 maggio 2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la licenza in Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il dottorato di ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti di Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e dal 1998 entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad autori contemporanei italiani (tra questi, Cesare Pavese, Alda Merini, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Pier Vittorio Tondelli) e scrittori statunitensi (dai classici come Emily Dickinson, Walt Withman, Flannery O'Connor e Jack London ai contemporanei come Jack Kerouac, Raymond Carver). Tra le materie che tratta vi sono anche la musica (Bruce Springsteen, Tom Waits, Nick Drake, Nick Cave), l'arte contemporanea (Mark Rothko, Edward Hopper, Andy Warhol, J.-M. Basquiat), il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e pensare (in particolare su , Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social networks, sulla filosofia Hacker o sulla Cyberteologia).  Ha fondato BombaCarta, un progetto culturale che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale (CICS) della Pontificia Università Gregoriana --  è a capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Dal 2004 al 2009 viene incaricato di coordinare le attività culturali della Compagnia di Gesù in Italia. Sabato 24 febbraio 2007 è il relatore principale al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone la condanna alla valutazione di rari e singoli casi.   Padre Antonio Spadaro davanti alla raccolta completa di La Civiltà Cattolica. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà Cattolica. Il 6 settembre  è annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero del 1º ottobre  della rivista è apparso il suo articolo di presentazione nella nuova veste di direttore.  La sua attività in Rete è legata, oltre alla presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato alla scrittrice statunitense Flannery O'Connor.  Il 10 dicembre , papa Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e il 29 dicembre anche consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Nel gennaio  ha ricevuto a Caserta il prestigioso premio "Le Buone NotizieCivitas Casertana", uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello internazionale.  Ad agosto  incontra più volte papa Francesco per conto de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a settembre  ed ampiamente ripreso dalla stampa internazionale.  L'articolo di La Civiltà Cattolica. Spadaro ha dedicato un articolo a . L'articolo analizza il significato di  nel contesto culturale italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti.  La sua conclusione è:  «Dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come  rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti  è come un organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si "ammala", è sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto  nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua: la democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di "torre di Babele", che ha il suo tallone di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo.»  Concede un'intervista a Wikinotizie-Wiki@Home, pubblicata con il titolo Antonio Spadaro: intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche inerenti  e il mondo della rete internet.  Pubblicazioni Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario, Roma, Città Nuova, Radio on. Tra le colonne sonore degli anni ‘90, Napoli, Giannini, 1996 (in collab. con E. Crasto). Lo sguardo presente. Una lettura teologica di “Breve film sull'amore di K. Kieslowski”, Rimini, Guaraldi, Del volume esiste anche una versione elettronica. Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa, Reggio Emilia, Diabasis, “Laboratorio Under 25″. Tondelli e la nuova narrativa italiana, Reggio Emilia, Diabasis, 2000. [Il volume è apparso anche come pubblicazione digitale a puntate settimanali sul sito di RaiLibro della Radio Televisione Italiana]. Carver. Un'acuta sensazione d'attesa, Padova, Messaggero di Sant'Antonio Editrice,  A che cosa «serve» la letteratura?, Leumann (To)-Roma, ElleDiCiLa Civiltà Cattolica,  [Premio Capri per la sezione Letteratura e Premio Crotone sezione Giovane critici italiani] Lontano dentro se stessi. L'attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di internet, Bologna, Pardes  [qui intervista sul libro a Radio Vaticana] La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, Nella melodia della terra. La poesia di Karol Wojtyla, Milano, Jaca Book,  Abitare nella possibilità. L'esperienza della letteratura,  I, Milano, Jaca Book, L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura,  II, Milano, Jaca Book, Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità, Bologna, Pardes, 2009. Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale, Milano, Ancora, . Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline, . Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita & Pensiero, . Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita & Pensiero, . Curatele Chris Cappell, Lasciami correre via, Padova, Messaggero, 2001. François Varillon, Traversate di un credente, Milano, Jaca Book, 2008. Rowan Williams, La dodicesima notte, Milano, Ancora,  Gerard Manley Hopkins, La freschezza più cara. Poesie scelte, Milano, Rizzoli, Whitman, Canto una vita immensa, Milano, Ancora, Un Dio sempre più grande. Pregare con i gesuiti, Milano, Ancora, . Note  Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su laciviltacattolica.it. Antonio Spadaro, Antonio SpadaroSaggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto .  Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri.it. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. Padre Antonio Spadaro nuovo direttore di Civiltà Cattolica: cogliere pienamente la sfida digitale, su oecumene.radiovaticana.org. Antonio Spadaro, Antonio Spadarosocial networks, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadaro, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Cyberteologia, su cyberteologia.it. accesso=16 agosto .  Antonio Spadaro, Flannery O'Connor, su flanneryoconnor.it. accesso=16 agosto .  Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, su press.catholica.va. Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede.  Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia.it, Antonio Spadaro, Intervista a papa Francesco , in La Civiltà Cattolica, Copia archiviata, su laciviltacattolica.it7)., La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro: intervista al gesuita, Opere di Antonio Spadaro. Registrazioni di Antonio Spadaro, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Antonio Spadaro: Cyberteologia, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.

 

sparti: Davide Sparti (Roma), filosofo. È professore a Siena, Pisa, e l'Università della Svizzera italiana. In passato ha insegnato a Milano e l'Bologna. È cofondatore e membro del comitato di direzione della rivista Studi culturali.  Collabora a numerose riviste scientifiche ("Iride", "Paradigmi", "Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", "Intersezioni"). Dagli anni 2000 Sparti ha concentrato la sua attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.  Riconoscimenti "Research Fellow" della fondazione Humboldt presso la Johann Wolfgang Goethe-Universität. "Fellow" del Collegium Budapest-Institute For Advanced Study, in Ungheria. Note  USIDati personali: Davide Sparti  . Opere principali: “Se un leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare,” Firenze, Sansoni  Sopprimere la lontananza uccide. Davidson e la teoria dell'interpretazione, Firenze, Nuova Italia, Epistemologia delle scienze sociali, Roma, Nuova Italia Scientifica, Soggetti al tempo. Identità personale fra analisi filosofica e costruzione sociale, Milano, Feltrinelli, Identità e coscienza, Bologna, Il Mulino  Wittgenstein politico, (saggi di J. Bouveresse, S. Cavell, D. Davidson, B. Williams, ed altri, introdotti e trascelti da D. Sparti), Milano, Feltrinelli  Die Unheimlichkeit des Gewoehnlichen und andere philosophische Essays von Stanley Cavell, Herausgegeben von Davide Sparti, Fischer Verlag  Epistemologia delle scienze sociali, nuova edizione riscritta ed allargata, Bologna, Mulino  L'importanza di essere umani. Etica del riconoscimento, Milano, Feltrinelli Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Bologna, Il Mulino  Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz, Torino, Bollati  Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz, Bologna, Il Mulino  L'identità incompiuta. Paradossi dell'improvvisazione musicale, Bologna, Il Mulino  Sul tango. L'improvvisazione intima, Bologna, Il Mulin.

 

spaventa: Deputato del Regno d'Italia LegislatureVIII, X, XI, XII Sito istituzionale Dati generali Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente universitario. Bertrando Spaventa (Bomba), filosofo. Fratello maggiore del patriota Silvio Spaventa, Bertrando nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua madre, Maria Anna Croce, fu prozia di Croce. All'anagrafe venne registrato come Beltrando. Studiò a Chieti  ottenuto l'incarico di docente di matematica, si trasferì col fratello a Montecassino. La sua formazione continuò a Napoli, dove si dedicò anche allo studio del tedesco; fu infatti tra i primi a studiare i filosofi tedesci in tedesco – Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter – are unable to!”  Si avvicinò ai circoli liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fondò una scuola o academia di filosofia; inoltre partecipò alla redazione de Il Nazionale, il giornale fondato e diretto dal fratello Silvio.  Dopo l'abrogazione della Costituzione da parte di Ferdinando II, fu costretto a lasciare Napoli per trasferirsi prima a Firenze, quindi a Torino, dove divenne giornalista scrivendo su giornali e riviste piemontesi: Il Progresso, Il Cimento, Il Piemonte, Rivista Contemporanea. È nel periodo torinese che Spaventa si avvicinò al pensiero di Hegel ed elaborò il proprio sistema filosofico e il pensiero politico: pubblicò, tra l'altro, una serie di saggi in cui polemizzava con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea di religione come passo necessario per lo sviluppo umano.  Egli in tal modo condivise con altri esuli napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore.  «[...] In Napoli, sin dal 1843 l'idea hegeliana penetrò nelle menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da santo amore si affratellavano, e con la voce e con gli scritti la predicavano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della indipendenza del pensiero; i numerosi studenti raccolti da tutti i punti del Regno nella grande capitale disertavano le cattedre, ed accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li spingeva ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami della cognizione umana; ifilosofi, partecipavano al general movimento, ed ambivano soprattutto, come gli antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può ridire l’affetto col quale si amavano i maestri e gli allievi, e insieme procedevano alla ricerca della verità? Era un culto, una religione ideale, nella quale si mostravano degni nepoti dell'infelice Nolano.»  Studii sopra la filosofia di Hegel, Torino, «Rivista Italiana». Ottenne la cattedra di Filosofia a Modena, poi quella di Storia della Filosofia presso l'Bologna e Napoli. Tenne le lezioni in cui espose le sue teorie sul rapporto di circolarità tra pensiero italiano ed europeo. Scopo di questa interpretazione era quello di liberare la cultura filosofica italiana dal suo provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo tedesco, in particolare hegeliano. Fu anche deputato del Regno d'Italia per tre legislature: fu sostenitore di una politica laica e legata ad un forte senso dello Stato, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo civile, da cui gli individui e la comunità devono trarre l'alimento necessario per una crescita «ordinata e corretta».  Dottrina Secondo Gentile, il pensiero di Bertrando Spaventa poggia su tre cardini fondamentali:  la tesi della «circolazione europea del pensiero italiano» che dimostri il percorso dinamico della filosofia moderna attraverso l'Europa e il suo ritorno in Italia dove aveva avuto origine; la riforma della dialettica hegeliana, per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni presupposto «oggettivo» esterno al pensare; il recupero dell'aspetto pratico nel processo conoscitivo che eviti la caduta in un «astratto idealismo». La circolazione del pensiero europeo La tesi spaventiana della circolazione del pensiero europeo si articola in due passaggi:  l'affermazione che la filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha precorso la filosofia moderna, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia moderna, con la riappropriazione dei filoni spiritualistici europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la critica tradizionale la filosofia italiana era caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea platonico-cristiana, lo Spaventa cercò di dimostrare, con gli studi dedicati al pensiero del Rinascimento, che la filosofia moderna, laica e idealistica, generalmente associata alla Riforma luterana, in realtà era nata in Italia, pur essendosi arrestata poi a causa della Controriforma, per conoscere il suo massimo sviluppo in Germania: egli interpretò con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello Spirito filosofico dall'Italia all'Europa, e il suo successivo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di Cartesio col principio innatistico di Tommaso Campanella della cognitio abdita, dell'empirismo di John Locke con la campanelliana cognitio illata («nozione acquisita»), dell'immanentismo di Baruch Spinoza col panteismo di Giordano Bruno, del criticismo di Immanuel Kant con la «metafisica della mente» di Vico, mentre poi Pasquale Galluppi e Antonio Rosmini si sarebbero riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Vincenzo Gioberti di quello dell'idealismo tedesco.  «Ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica, ravvivare la coscienza del nostro libero pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia e poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo [Hegel], sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere nel movimento della filosofìa moderna, non come membri isolati e scissi dalla vita universale dei popoli, nè come avvinti al carro trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità delle nazioni: tale, o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita.»  (Bertrando Spaventa, Prolusione alle lezioni di Storia della filosofia nell'Bologna, Modena, Regia Tipografia Governativa, 1860) Uno dei propositi di Spaventa, giustificato dalla stessa tesi della circolazione del pensiero europeo, era il tentativo di far uscire gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano, apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare, per Spaventa, non era il programma neoguelfo del Primato morale e civile di Gioberti che ripudiava in blocco la filosofia moderna, ma andava intesa hegelianamente come «storia della libertà», nella quale lo spiritualismo non significava un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più avanzate.  «Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica; è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia del pensiero italiano, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi; non ricordano i roghi di Giordano Bruno e di Giulio Vanini, la lunga prigionia di Tommaso Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di Giovambattista Vico, ultima luce del nostro mondo intellettuale. [...] Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di Bruno, di Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri.»  (Principii di Filosofia). Spaventa non si limitò a recepire passivamente l'hegelismo, ma diede avvio ad una sua profonda revisione, introducendovi temi originali che cercò di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.  In particolare, cercò di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vedeva come dal primo momento della Logica hegeliana, quello dell'Essere puro e indeterminato, potesse scaturire il divenire dialettico del pensiero, se non tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere col pensare, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come scopo la libertà, Spaventa sostenne l'esigenza di «mentalizzare» o «kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa progressivamente autocosciente di avere in se stesso, nella propria mente, tutta la realtà assoluta logicamente articolata.  Egli riformava così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto soggettivo della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto oggettivistico, valorizzando inoltre il momento finale dello Spirito rispetto alle fasi precedenti della Logica e della Natura, situate fuori dall'autocoscienza. È la Mente la protagonista di ogni originaria produzione.  In maniera simile a Kuno Fischer, infatti, la deduzione hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire, venne intesa da Spaventa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi unificatrice del divenire: è il pensare, nel suo perenne fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò im-pensabile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno del pensare stesso. Per questo primato assegnato all'atto del pensare, Spaventa farà da apripista all'idealismo attuale di Gentile.  Prassi e concretezza nel processo conoscitivo Per contrastare l'avanzata del positivismo che era penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle spinte ideali che avevano caratterizzato il Risorgimento, Spaventa si impegnò nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo conoscitivo, per evitare la caduta in un «astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere sperimentale».  In particolare riprese da Vico una concezione pratica e storica della metafisica dell'Assoluto, intendendo l'autocoscienza hegeliana (quale Begierde, cioè «appetizione») come Umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto umano.  Analogamente Spaventa poteva sostenere, nel tracciare la storia spirituale d'Italia, che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità che aveva abolito i vecchi principi della filosofia scolastica si basava per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di autodeterminarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come già avevano enunciato Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo ebbe ripercussioni anche sulla concezione etico-politica di Spaventa, stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.  Permase in Spaventa una viva concezione etica dello Stato, che lo indusse a rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale e su una concezione meramente contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio d'autorità. Il liberalismo di Spaventa rigettava l'individualismo che privilegiava l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo Stato spetta dunque la funzione "pedagogica" di promuovere gli interessi di tutti, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo, e al contempo la società civile.  «La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello stato. Dove lo stato non è altro che famiglia (stato patriarcale), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia), non solo lo stato non è il vero stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato è l'unità del principio della famiglia e del principio della società civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio, il patto etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme. [...] È assoluta soggettività etica degli individui. Assoluta, perché è sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente come la loro stessa essenza (etica) e universalità. Dove manca tale sapere e volere, lo stato non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore (individualismo moderno). In altri termini: è la sostanza nazionale, conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito di un popolo (come tale, come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza.»  (Bertrando Spaventa, Studi sull'etica hegeliana, 1869) Poiché il potere stesso dello Stato può essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, Spaventa accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e universalità, nel quale «la personalità dello Stato sia elevata sopra le lotte sociali». Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo Stato va dunque inteso come l'immanenza di Dio, dell'universalità dello Spirito calato nella concretezza della «nazionalità» dei popoli, tutti uguali «fratelli dell'umana famiglia».  Fortuna «È con Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla Chiesa cattolica.»  (Gaetano Arfé, L'hegelismo napoletano e Spaventa, in «Società», Firenze, Bertrando Spaventa fu uno dei maggiori teorici che si sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito accademico, come riconobbero in seguito storici e studiosi del Risorgimento.  «Con Spaventa e De Sanctis era giunta al culmine quella motivazione politica nazionale che fu la caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli superò i limiti di un episodio regionale. [...] Da noi, al contrario che in Inghilterra (e in Francia), l'hegelismo non è stato solo un movimento accademico, di professori, ma elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo Risorgimento.»  (Sergio Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del Risorgimento, in «Studi storici», Roma, L'opera di Spaventa influenzerà profondamente, attraverso la mediazione di Donato Jaja, anche l'idealismo italiano di Giovanni Gentile, il quale portò a termine il lavoro di «kantianizzazione» o «mentalizzazione» di Hegel avviato da Spaventa, trasformando la sua dottrina in un compiuto «attualismo», o filosofia dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero.  Gentile curò inoltre nel 1908 la pubblicazione della spaventiana Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Napoli, rinominandola significativamente La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, ritenendola un'opera di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo Spirito del Pensiero Italiano esprimeva la sua ritrovata coscienza di sè e delle sue relazioni con la storia d'Europa.  Gentile si confrontò ampiamente con Spaventa nella propria Riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti inediti (tra cui un Frammento del 1881 giudicato uno snodo importante verso la genesi del proprio attualismo) contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana.  Anche l'idealista Croce, che dopo la morte dei genitori andò a vivere da Silvio Spaventa, seguì le lezioni di Bertrando, apprezzandone soprattutto lo spirito profondamente liberale.  Altri scolari, o allievi della scuola hegeliana del filosofo abruzzese furono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco, Labriola, Alfonso. Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della nascita di Spaventa e De Sanctis, entrambi  1817.  Opere principali: La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Unione Tipografica-editrice, Torino, Principii di filosofia, Stabilimento Tip. Ghio, Napoli, Studi sull'etica di Hegel, Stamperia della Regia Università, Napoli 1869. La filosofia di Vincenzo Gioberti, Tip. del Tasso, Napoli, Saggi critici di filosofia, politica e religione, Tip. Giordano Bruno, Roma. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, Stamperia della Regia Università, Napoli. Principi di etica, Pierro, Napoli. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, G. Gentile, Laterza, Bari. Logica e metafisica, G. Gentile, Laterza, Bari. Opere, G. Gentile, raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, "Classici della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo, prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione di Vincenzo Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il Prato,  Edizione critica delle Opere psicologiche inedite Domenico D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica  Elementi di psicologia speculativa, Sulle psicopatie in generale. Note  Cit. in B. Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca, pag. 17, Bari, Laterza. Piero Di Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, FrancoAngeli, Gentile e Spaventa, su treccani.it.  Bertrando Spaventa, su treccani.it.  Bertrando Spaventa: il contributo italiano alla storia del pensiero, su treccani.it.  «In quel tempo, che gli Austriaci — "i Tedeschi" dicevano generalmente in Italia — dimoravano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non avevo il coraggio di dire: filosofia tedesca» (nota di B. Spaventa).  Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Giovanni Rota.  Ugo e Annamaria Perone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio, Storia del pensiero filosofico,  Torino, SEI, Cit. di Giovanni Gentile in Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa, prefazione a Bertrando Spaventa, Scritti filosofici, pag. CVII, Napoli, A. Morano & figlio, Fernanda Gallo, Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, in LEA, «Lingue e letterature d'Oriente e d'Occidente», n. 6, Firenze University Press, .  Spaventa fu autore in proposito anche di saggi psicologici come Sulle psicopatie in generale,  o La legge del più forte, in cui si confrontava tra l'altro col darwinismo.  Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia della R. Università, Il concetto di «nazionalità» segnava in Spaventa un superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Giovanni Pugliese Carratelli, Storia e civiltà della Campania: l'Ottocento, Napoli, Electa,  Bertrando Spaventa, Studii sopra la filosofia di Hegel, cit. in Unificazione nazionale ed egemonia culturale, G. Vacca, Bari, Laterza, Eugenio Garin, La fortuna nella filosofia italiana, in  L'opera e l’eredità di Hegel,  Bari, Laterza, Italo Cubeddu, Da Spaventa a Gentile: Kant e il neoidealismo, in "La tradizione kantiana in Italia", Atti del convegno della Società filosofica italiana, Messina, Edizioni G.B.M., La raccolta gentiliana delle opere di Spaventa venne riedita in tre volumi curati da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, ristampati da Francesco Valagussa e Vincenzo Vitiello in un unico tomo.  Bertrando Spaventa: tra coscienza nazionale e filosofia europea, su treccani.it.  Giovanni Gentile, Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, Giuseppe Vacca, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Bari, Laterza,  Renato Bartot, L'hegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze, Olschki, Italo Cubeddu, Bertrando Spaventa. Edizioni e studi, Firenze, Sansoni, Teresa Serra, Bertrando Spaventa: etica e politica, Roma, Bulzoni, Raffaello Franchini , Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, Napoli, Pironti, Eugenio Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, G. Tognon, Napoli, Bibliopolis, Eugenio Garin, Bertrando Spaventa, Napoli, Bibliopolis,  Luigi Gentile, Coscienza Nazionale e pensiero europeo in Bertrando Spaventa, Chieti, Ed. NOUBS, Gaetano Origo, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica, Roma, Bibliosofica, Alessandro Savorelli, «Spaventa, Bertrando» in Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,   Attualismo Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Bertrando Spaventa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Bertrando Spaventa, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Alessandro Savorelli, Bertrando Spaventa, in Dizionario biografico degli italiani,  93, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Opere di Bertrando Spaventa, su Liber Liber.  Opere di Bertrando Spaventa, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Bertrando Spaventa, . Opere di Bertrando Spaventa, su Progetto Gutenberg.  Bertrando Spaventa, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Archivi di Teatro Napoli, Foto di Bertrando Spaventa [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. 17 luglio . Diego Fusaro, Bertrando Spaventa (sottotitolo: Il far intendere Hegel all'Italia, vorrebbe dire rifare l'Italia), su filosofico.net. 23 ottobre 2008. Silvio e Bertrando Spaventa dal sito del comune di Bomba Gentile e Spaventa, su treccani.it. Scritti filosofici di Bertrando Spaventa, G. Gentile (TXT), su archive.org. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, su fupress.net. su Bertrando Spaventa, su treccani.it.

 

spedalieri: Nicola Spedalieri (Bronte), filosofo. Nato da Vincenzo e da Antonina Dinaro, studiò nell'Oratorio di S. Filippo Neri di Bronte e dnel seminario di Monreale dove  insegnò filosofia. Alcune sue tesi, considerate eretiche a Palermo, furono invece approvate e stampate a Roma con il titolo di Propositionum theologicarum specimen. Trasferitosi a Roma, entrò a far parte dell'Arcadia con il nome di Melanzio Alcioneo.  Pio VI gli diede il titolo di beneficiato della Basilica Vaticanache comportava una modesta rendita mensilee l'incaricò di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro pontino, che non riuscì a terminare e fu stampata soltanto col titolo De' Bonificamenti delle terre pontine. NContro l'Enciclopedia degli illuministi, uscì la sua Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Fréret sulle prove del Cristianesimo e  il Ragionamento sopra l'arte di governare e il Ragionamento sulla influenza della Religione Cristiana nella società civile.  Scrisse la Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo Gibbon, contro la famosa opera del Gibbon sulla storia dell'Impero romano, la cui caduta veniva imputata dallo storico inglese all'influenza negativa della religione cristiana.  Opere: Dei diritti dell'uomo libri VI  Busto di Spedalieri nella Biblioteca Nazionale di Roma Nell'opera più importante Dei diritti dell'uomo, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, Spedalieri si rifece alle concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina del contratto sociale come origine della società, ma contestandone la tesi di un originario stato di natura a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società civile l'uomo può realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione.  Scrive infatti che «Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la Società Civile: ciò fu dimostrato; e vuol dire, che l'uomo non può rinunziare, generalmente parlando, alla Società Civile senza opporsi alla sua propria natura. È parte essenziale della costituzione sociale il Principato [...] il Popolo non ha diritto di disfare il Principato».  Se la forma migliore di governo è, secondo lo Spedalieri, il principato, e al principe il popolo affida «le tre facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire», il popolo non può togliergli «il Principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi leggieri, senza motivi», perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il do ut facias, a meno che egli non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio della proprietà del principato: ossia, custodire «i diritti naturali di ciascuno» e dirigere «tutte le operazioni del Principato alla felicità de' sudditi».  Questa è la base del contratto, e se invece il principe «prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri sudditi, il contratto resterebbe sciolto da sé». Lo scioglimento del contratto non significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba «investirne un altro con auspici migliori».  Ma chi deciderà che il contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva Spedalieri, che «il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale dichiarazione a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del Principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine». Solo un corpo che rappresenti tutti i sudditi può dichiarare lo scioglimento del patto con il principe: questo «vero corpo» sarà formato da «tutti i Magistrati, tutti gli Ordini de' Cittadini, le persone illuminate, probe, e non soggette all'impeto del momento [...] ogni colta Nazione nella Costituzione fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole innalzare al Principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un corpo o sia un Collegio, per così dire, immortale, che rappresenti permanentemente tutti gl'individui. Laonde basta che la dichiarazione si faccia da questo corpo, per esser legale».   Pietro Tamburini Qualora il principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi così da tiranno, il «Corpo della Nazione»mai però un singolo cittadinopotrà legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo a morte.  Spedalieri si mostrò avverso sia al dispotismo illuminato, che rifiutava tanto il principio della sovranità popolare quanto il primato della religione nel governo dello Stato, sia i princìpi laici della Rivoluzione francese. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali dell'uomo è data, secondo lo Spedalieri, dalla religione cristiana che ha come princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo.  Spedalieri polemizzò anche contro i giansenisti che accusò di "giacobinismo" e di "spirito sovvertitore dei troni". Gli rispose con asprezza il teologo e giurista Pietro Tamburini nello scritto Lettere teologico politiche sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche.  Il riconoscimento che la sovranità derivi dal popolo e che questi, attraverso i suoi delegati, possa giungere a rovesciarne il potere, procurarono allo Spedalieri violente critiche e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al libro, che ebbe alla sua uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Europa; soltanto nella seconda metà dell'Ottocento esso poté nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale dopo i primi decenni del Novecento, venne nuovamente ignorato.  La morte improvvisa di Nicola Spedalieri fece nascere la diceria che il decesso fosse avvenuto per avvelenamento.  Note  Ludovico Geymonat e Renato Tisato, «Il pensiero filosofico-pedagogico italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo». In : Ludovico Geymonat , Storia del pensiero filosofico e scientifico,  III (Il Settecento), Milano, Garzanti, Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi relazione all'Italia. Milano : Coi torchi di L. di Giacomo Pirola, N. Nicolini, op. cit..  C. Giurintano, Società e Stato in Nicola Spedalieri, Palermo 1998 A. Pisanò, Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo di Nicola Spedalieri, Milano. Opere di Nicola Spedalieri, . Nicola Spedalieri, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Biografia, opere e commenti su bronteinsieme.it Nicola Nicolini, Nicola Spedalieri, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere digitalizzate Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Frèret sulle prove del cristianesimo Ragionamento sopra l'arte di governare Ragionamento sulla influenza della religione cristiana nella società civile Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo GibbonI parte Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo GibbonII parte De' diritti dell'uomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to conversational quasi-contrastualism.”

 

Arcadia: societa di filosofi. Some members include Spedalieri, etc. Grice: “Stupidly, they were required to change names!” –

 

Speranza

 

Speranza, Ugo

 

Speranza, Alessandro

 

Speranza, Ettore

 

Speranza, Gianni

 

Speranza, Paola

 

Speranza, Anna-Maria

 

Speranza-Ghersi –

 

Ghersi-Speranza, Anna-Maria

Speranza luigi

 

speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranzavide Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa, Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy, Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?” providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.” Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of ‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay “Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,” three steps in the critique of conversational reason. The first step is empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational, undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s jocular references to Kantthe Conversational Immanuel. For an essay on desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool LibraryH. P. Grice’s Play Group, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O. P. Wood, J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide: The Grice Papers, BANC, MSS.

 

speranza

 

speranza: a publishing house in Rome, on Via Firenze, 38. Speranza specializes in philosophy.

 

speroni: Tiziano, Ritratto di Sperone Speroni (1544), Treviso, Museo Civico di Santa Caterina Sperone Speroni (Padova, 12 aprile 1500Padova, 2 giugno 1588) è stato uno scrittore e filosofo italiano. Nacque nell'antica famiglia padovana Speroni degli Alvarotti nell'antico palazzo di famiglia in contrà Sant'Anna. Il padre Bernardino fu archiatra di papa Leone X, la madre Lucia era esponente dei Contarini. Bambino prodigio negli studi, divenne professore di logica dell'Padova a soli diciotto anni. Dopo pochi anni di insegnamento però decise di approfondire gli studi a Bologna, dal famoso filosofo aristotelico Pietro Pomponazzi. Alla morte di costui, nel 1525, tornò a Padova dove insegnò per altri tre anni, fino al decesso del padre; dopo di ciò dovette occuparsi attivamente della sua famiglia.  A questo periodo risale la composizione dei dialoghi che verranno pubblicati dall'amico Daniele Barbaro nel 1542, con il titolo di Dialogi: sono il Dialogo d'amore, quello Della dignità delle donne, quello Del tempo di partorire delle donne e quello Della cura famigliare, i due dialoghi lucianei Della usura e Della discordia, seguiti da quello Delle lingue e da quello Della retorica, e infine quello Delle laudi del Catajo, villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello Intitolato Panico e Bichi. Questi dialoghi sono le opere più note di Speroni, nonostante siano stati pubblicati a sua insaputa e non siano mai stati riconosciuti, e hanno avuto decine di ristampe nel corso del Cinquecento.  A questo periodo risale anche la composizione del Dialogo della vita attiva e contemplativa, che non venne però inserito nei Dialogi del '42, per motivi tuttora sconosciuti.  Membro dell'Accademia degli Infiammati e amico di Torquato Tasso si occupò della revisione della Gerusalemme liberata. Fu autore della Canace, pubblicata a Venezia nel 1546, tragedia che darà seguito a un'accesa polemica tra l'autore e Giambattista Giraldi Cinzio.  In seguito intervenne anche nella polemica tra lo stesso Giraldi Cinzio e Giovan Battista Pigna a proposito dell'Orlando furioso e del romanzo come genere letterario. Nel 1560 si trasferì a Roma dove divenne amico di Annibal Caro. Tornato a Padova compose i Discorsi Su Dante, Sull'Eneide, Sull'Orlando furioso e il Dialogo della istoria.  Fu fautore di un classicismo ancor più estremo di quello del vicentino Giangiorgio Trissino, cui rimproverava di aver tratto dalla storia e non dalla mitologia il soggetto della sua Sofonisba. Conformemente all'uso greco e, naturalmente, nel pieno rispetto delle unità aristoteliche, si ispirò alle Heroides ovidiane per la Canace.  Morì all'età di 88 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Padova negli avelli degli Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne in seguito eretto un monumento ad opera di Girolamo Campagna.   Sperone Speroni. Opere Sezione vuota Questa sezione sull'argomento letteratura è ancora vuota. Aiutaci a scriverla!  Opere di M. Sperone Speroni degli Alvarotti tratte da' mss. originali, Marco Forcellini, Venezia, Occhi, 1740, 5 voll. Sperone Speroni, in Trattatisti del Cinquecento, Mario Pozzi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978,  471–850 Francesco Cammarosano, La vita e le opere di Sperone Speroni, Empoli, Tipografia R. Noccioli, 1920. Francesco Bruni, Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in « Filologia e letteratura », Francesco Bruni, Sistemi critici e strutture narrative (Ricerche sulla cultura fiorentina del Rinascimento), Napoli, Liguori, 1969. Amelia Fano, Notizie storiche sulla famiglia e particolarmente sul padre e sui fratelli di Sperone Speroni degli Alvarotti, in « Atti e memorie dell'Accademia di Padova », Padova, Tipografica G.B. Randi, Amelia Fano, Sperone Speroni, Saggio sulla vita e sulle opere, I, La vita, Padova, Fratelli Drucker, Piero Floriani, I gentiluomini letterati. Il dialogo culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, 1981. Jean-Louis Fournel, La rhétorique vagabonde et le portrait de la verité dans trois dialogues de Sperone Speroni, in Discours littéraires et pratiques politiques, Adelin Charles Fiorato, Paris, Publications de la Sorbonne, Jean-Louis Fournel, Les dialogues de Sperone Speroni: libertés de la parole et règles de l'écriture, Marburg, Hitzeroth, Jean-Louis Fournel, Le monde des dialogues de Sperone Speroni: langue(s) commune(s) et communauté(s) de culture(s), in Marina Marietti et al., Quêtes d'une identité collective chez les Italiens de la Renaissance. Alberti, Guichardin, Speroni, Sienne au XVIe siècle, le Tasse, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle,  Jean-Louis Fournel, Le travail de la critique dans les écrits sur Virgile de Sperone Speroni, in Les commentaires et la naissance de la critique littéraire (XIVe-XVIe siècles). Actes du Colloque international sur le Commentaire (Paris, mai 1988), Gisèle Mathieu-Castellani, Michel Plaisance, Paris, Aux Amatours de Livres, 1990,  235–243. Jean-Louis Fournel, Il “camaleonte” e il “cuoco”. Sperone Speroni e la critica del romanzo, in « Schifanoia », Stefano Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali, Napoli, Vivarium,  Stefano Jossa, Verso il barocco. Sperone Speroni e Carlo Borromeo (tra retorica e mistica), in « Aprosiana »,  Mario Pozzi, Le lettere familiari di Sperone Speroni, in « Giornale storico della letteratura italiana » Mario Pozzi, La critica fiorentina fra Bembo e Speroni: Varchi, Lenzoni, Borghini, in M. Pozzi, Ai confini della letteratura. Aspetti e momenti di storia della letteratura italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso, Sperone Speroni, volume monografico di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma, 1989. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Sperone Speroni Collabora a Wikiquote Citazionio su Sperone Speroni  Sperone Speroni, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Sperone Speroni, su sapere.it, De Agostini.  Luca Piantoni, Sperone Speroni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Sperone Speroni, su Liber Liber.  Opere di Sperone Speroni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sperone Speroni, . Audiolibri di Sperone Speroni, su LibriVox.  Michele Messina, Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

spinelli: Francesco Maria Spinelli (Morano Calabro), filosofo. Fu figlio di Antonio Spinelli, principe di Scalea, marchese di Misuraca e barone di Morano, dal quale ereditò i titoli, e di Anna Beatrice Carafa, dei principi di Belvedere. Fu allievo del filosofo cartesiano Gregorio Caloprese.  Divulgò la filosofia cartesiana, difese alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, accusati di ateismo, ed ebbe un'accesa polemica con Paolo Mattia Doria sull'origine dello spinozismo, in merito alla quale scrisse una prima opera critica, stampata solo in seguito nel 1733.  Opere Riflessioni sulle principali materie della prima filosofia fatte all'occasione di esaminare la prima parte di un libro intitolato: Discorsi Critici Filosofici intorno alla Filosofia degli Antichi e de' Moderni &c. di Paolo Matti Doria [...], Stamperia di Felice Mosca, Napoli, 1733. De origine mali dissertatio, 1750. De bono dissertatio, 1751. Note  Fonte: , Dizionario di filosofia, riferimenti in .  Alfonso Mirto, "Nota sul pensiero di Francesco Maria Spinelli", in Calabria letteraria, 31, 1983, nn. 7-9,  74-76. Fabrizio Lomonaco , Francesco Maria Spinelli, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera, Il Melangolo, Genova 2007. Alfonso Mirto, Spinelli Francesco Maria in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, , ad vocem. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Maria Spinelli  Francesco Maria Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Maria Spinelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Francesco Maria Spinelli.

 

spinelli: Troiano Spinelli, talvolta scritto Trojano Spinelli (Laurino), filosofo. Duca di Aquara e di Laurino nel Settecento, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli.  Figlio unico di Giuseppe Spinelli, ottavo duca di Laurino, e di Giovanna Caracciolo, figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, ereditò i titoli paterni nel 1764. Nel 1738, sposò in prime nozze Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza Principessa di Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Nel 1750, sposò in seconde nozze Donna Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto duca di Calabritto.  Allievo del filosofo Giambattista Vico, si formò al Collegio Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto dove studiò matematica, fisica e ingegneria. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari illuministi napoletani, quali Gaetano Filangieri e Ferdinando Galiani. Fu autore di varie opere di stampo illuministico, in particolare nei campi della storia e dell'economia. La sua opera più importante, le Riflessioni politiche sopra alcuni punti della scienza della moneta, fu data alle stampe nel 1750: rappresenta uno dei primi tentativi di metodo geometrico applicato all'economia. In questo opuscolo, si oppone alle teorie monetarie di Carlo Antonio Broggia. Spinelli fece attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro.  Fu nominato cavalerie del Real Ordine di San Gennaro.  A Napoli, fece ristrutturare il palazzo di famiglia tra il 1766 e il 1768, il palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo in una delle più suggestive realizzazioni del Settecento napoletano. Morì a Napoli nel 1777 e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa Caterina a Formiello.  Opere principali Degli Affetti umani, Napoli, Stamperia Muziana, 1741. Riflessioni politiche sopra alcuni punti della scienza della moneta, Napoli, 1750. Saggio di tavola cronologica de' principi e più ragguardevoli ufficiali che anno signoreggiato, e retto le provincie, che ora compongono il regno di Napoli, Napoli, stamperia di Giuseppe Di Bisogni, 1762. Della nobiltà, dalle stampe del Porsile, 1776. Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare, s.d.  Troiano Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 

 

spirito: Ugo Spirito (Arezzo), filosofo. Allievo di Gentile. Fu firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti e, nel periodo fascista, tra i teorici del Corporativismo. Ebbe cattedre di insegnamento in diverse Università tra cui Pisa, Messina, Genova e Roma. Alla Sapienza di Roma fu ordinario di Filosofia. Era, allora, tra i principali filosofi dell'Ateneo Romano, insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero, filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) -- e Bruno Nardi grande studioso di filosofia dantesca e medievale. Rinomate erano non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì. Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico; uno soltanto per un intero anno accademico. Il 1951, ad esempio, fu dedicato al concetto di sogno. Ai giovedì di Ugo Spiritonell'aula grande dell'Istituto di Filosofiaintervenivano tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di varie età convinzioni e provenienze. Spirito ascoltava tutti, rilanciava la discussione e guidava la discussione verso nuove prospettive interpretative.  Ugo Spirito in quegli anni pubblicava opere particolarmente connesse a quei giovedì. Tra le altre: il Problematicismo, La Vita come Ricerca, La Vita come Amore, Cattolicesimo e Comunismo, fino all'ultima, autobiografica Vita di un Incosciente. Volendo indicare un tratto distintivo del pensiero di Spirito, si può affermare che esso consisteva nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva, ma la ricerca della verità doveva essere portata sempre ulteriormente avanti.  In questo senso vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica, al giuridico, al sociale fino all'economico. Dopo la morte del filosofo è stata costituita la Fondazione Ugo Spirito. È sepolto al Cimitero del Verano, a fianco del cosiddetto "Crocione".  Individuo, Stato e Corporativismo Tra i vari livelli di ricerca, spicca nel pensiero di Ugo Spirito la riflessione sulle strutture dello Stato. Allontanandosi nettamente dal pensiero di matrice liberale, il filosofo aretino non vede alcuna contrapposizione tra la figura dell'individuo e quella dello Stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica disorganica e arbitraria, Spirito vede al contrario lo Stato come figura entro cui l'individuo viene progressivamente a realizzarsi. Il binomio Stato/individuo diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi realizzarsi pienamente nel primo, che si caratterizza "non [come] una semplice sovrastruttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime un'unica volontà e compone tutti i dissidi individualistici".  In questo senso, l'unica via percorribile nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo Stato, che da Stato di individui diventa Stato di produttori, rappresenta il luogo in cui interesse pubblico ed interesse privato vengono a coincidere, poiché, per dirla con Gentile, in esso non viene (e non deve venire) "annulla[ta] quella sorgente di vita economica e morale che è l'individuo".  La concezione elaborata da Spirito è stata definita immanenza dell'individuo nello Stato, volta alla mobilitazione degli individui nelle e per le strutture create dallo Stato stesso.  Economia Se nell'accezione di Spirito l'economia è politica e se ne deve garantire la subordinazione alle scelte sociali, in questo senso va inquadrato il ruolo che assegna allo Stato in termini di intervento pubblico. Ben lungi dal prospettare una situazione paragonabile al collettivismo, il filosofo è lontano anche dagli eccessi disorganici che imputava ai sistemi liberali. Il funzionario di Stato, che in prospettiva doveva andare a sostituire il capitalista privato, era giudicato da Spirito: «non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale (che sappiamo cosa produsse col sovietismo), ma un semplice delegato tecnico, che si fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente, oggi il controllo della produzione, domani la stessa proprietà dei mezzi produttivi.»  (Luca Leonello Rimbotti, dalla prefazione a Pareto. Di Ugo Spirito, Settimo Sigillo, Roma, 2000, pag. 8) Opere scelte: Storia del diritto penale italiano, Il nuovo diritto penale,  Critica dell'economia liberale, “L'idealismo italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” -- I fondamenti dell'economia corporativa, Capitalismo e corporativismo, Scienza e filosofia, La vita come ricerca, Rubbettino, Dall'economia liberale al corporativismo, La vita come arte, Il problematicismo, La vita come amore, Critica della democrazia,  Rubbettino, Il comunismo, Dall'attualismo al problematicismo, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, Vilfredo Pareto, Cadmo Editore, Roma, Critica della democrazia, Luni Ed., Milano-Trento,  Il corporativismo: dall'economia liberale al corporativismo; i fondamenti dell'economia corporativa; capitalismo e corporativismo, raccolta di saggi, Rubbettino,Maria Laura Rodotà , Passeggiando in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Lino di Stefano, Ugo Spirito. Filosofo, Giurista, Economista, Giovanni Volpe editore, Roma 1Giovanni Gentile, Individuo e Stato,  "Books Received.", Economist [Londra, Inghilterra], Antimo Negri, Dal corporativismo comunista all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico di Ugo Spirito, Manduria, Lacaita, Franco Tamassia , L'opera di Ugo Spirito, Roma, Atti del Convegno Internazionale Il pensiero di Ugo Spirito, Roma, Antonio Russo, Positivismo e idealismo in Ugo Spirito, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giovanni Dessì, Spirito. Filosofia e rivoluzione, Milano, Luni, 1Antonio Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all'antiscienza, Milano, Guerini e Associati, Hervé A. Cavallera, Spirito: la ricerca dell'incontrovertibile, Formello, SEAM, Danilo Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione, Rubbettino,  Antonio Cammarana, Proposizioni sulla filosofia di Giovanni Gentile, prefazione del senatore Armando Plebe, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato della Repubblica,  Pagine, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Antonio Cammarana, Teorica della reazione dialettica: filosofia del postcomunismo, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato della Repubblica,, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Vincenzo Pirro, Ricordo di Ugo Spirito, in "Nuovi Studi Politici" Ed. Bulzoni, Roma, Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Marcello Mustè, Ugo Spirito, in Enciclopedia machiavelliana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Paolo Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del conoscere. Sul sapere di non sapere, in Rivista di filosofia neo-scolastica, , Problematicismo Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vito A. Bellezza, Ugo Spirito, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Ugo Spirito, su Find a Grave.  Opere di Ugo Spirito, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Ugo Spirito, .  Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, su fondazionespirito.it. Spirito, Ugo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

Calogero: Filosofo del dialogo.

 

spisani: Franco Spisani (Ferrara), filosofo. Studioso di solito indicato tra i filosofi della scienza, si laurea all'Padova con una tesi di sull'attualismo italiano. In seguito collabora con la cattedra di Filosofia Teoretica dell'Urbino. A Bologna fonda, nel 1970, la rivista Rassegna internazionale di logica (che verrà pubblicata fino al 1987)  e il Centro superiore di logica e scienze comparate, che aveva nel comitato direttivo Karl Popper e Paul Ricœur. In una lettera del 1969 Rudolf Carnap critica una sua decisione di non pubblicare un'opera. Morì suicida insieme alla moglie.  Gli scritti Ha scritto varie opere, tra le quali: Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva, Endometria e universo del discorso e Teoria generale dei numeri relativi, legati alla logica e alla matematica trascendentale; nella prefazione della Teoria generale dei numeri relativi, si dice che: "C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore M (numero logico trans-infinito) all'origine della neutralizzazione dello spazio transfinito. Aleph ({\displaystyle \aleph }\aleph ) va verso successivi aumenti; ma è la relatività dei numeri (allora espressa nel calcolo per valori di posizione) che ne individua la direzione inversa."  Spisani ha anche pubblicato un altro libro, di taglio più divulgativo, Introduzione alla teoria dei numeri relativi; qui l'autore spiega le sue scoperte in forma di dialogo; tra gli interlocutori (check) la misteriosa figura della piovra Clipso.  Il suo lavoro è stato citato dal filosofo australiano Joseph Wayne Smith, dell'Adelaide, nel suo libro sui limiti della metafisica. Il pensiero di Spisani è ripreso da Bruno Gallo, fondatore della logofenica.  Opere principali: Natura e spirito nell'idealismo attuale, Milano, Fabbri, Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva, presentazione Gustavo Bontadini e Nicola Dessy, Bologna, Cappelli (poi Milano, Marzorati) Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità, Imola, Galeati,  Logica ed esperienza, Milano, Marzorati,  Logica della contestazione, Bologna, Cappelli, (check thi: )The meaning and structure of time, Bologna, Azzoguidi, Philosophical foundations of autogenetic logic, Bologna, CSLSC,  Implicazione, endometria, universo del discorso (Implication, endometry, universe of discourse, testo bilingue, Bologna, International logic review, eoria generale dei numeri relativi con ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, Bologna, International logic review, Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, Bologna, Centro superiore di logica e scienze comparate, Sezione di analisi matematica. Dal catalogo ACNP  Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, Testo bilingue,  1, Bologna, pubblicato a cura del Centro superiore di logica e scienze comparate; la lista dei direttori di ricerca è sulla quarta di copertina.  «Dear professor Spisani, I am astonished that you insist on your decision not to publish your book. It is essential that you make your number theory known; and I have already emphasized the importance of the presentation of multipliers and divisors.Don't have any doubts. You have my total support. With best wishes, Rudolf Carnap». (Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, la lettera è in una pagina non numerata tra pag. 14 e pag. 15.)  L'ha vegliato prima di suicidarsi, la Repubblica  La teoria generale dei numeri relativi, Franco Spisani.  Sulla storia della pubblicazione della Teoria generale, importanti ricerche erano già pronte nel 1963; allora, dice l'autore, "ne discussi con Rudolf Carnap. Gli avevo sottoposto i risultati dell'indagine. Gli spiegai anche le ragioni che, al momento, mi inducevano a non diffonderne le conclusioni. Carnap rispose che quella scelta gli sembrava affatto ingiustificata: l'operascrissenon poteva rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo confermai."  Joseph Wayne Smith, Essay on ultimate questions: critical discussion of the limits of contemporary philosophical inquiry, Avebury, Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisori di Bruno Gallo  Un uomo geniale, necrologio pubblicato da la Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna, Archivio.

 

sraffa: an Italian noble -- vitters, and Grice --  L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters, but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the “Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts, too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the ‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use ‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the manifestation the ascription of psyche is meant to explain,” and also to the effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most original and challenging philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into an assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are generally made up of short individual notes that are most often numbered in sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing, mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture, art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s writings have proved to appeal to both professional philosophers and those interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his unusual life and personality have already produced a large body of interpretive literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the working of language  a thought he may have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102. Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his philosophical development, though it is particularly noticeable in his later thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar, Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he explored a large number of philosophical issues and viewpoints  a period that served as a transition between the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and Manchester, and traces of that early training are evident throughout his writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed this “picture theory of meaning”  as it is usually called  to derive conclusions about the nature of the world from his observations about the structure of the atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have a precise logical structure, even though we may not be able to determine it completely. He also held that the world consists primarily of facts, corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters did not consider it essential to describe what those simple objects, their concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical structure of language and the world and these parts of the book have understandably been of most interest to philosophers who are primarily concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they aim at saying something important, but what they try to express in words can only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless, that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical propositions. She would see the world rightly and would then also recognize that the only strictly meaningful propositions are those of natural science; but those could never touch what was really important in human life, the mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not embark on an academic career after he had completed that work. Instead he trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed a number of interests seminal for his later development. His school experience drew his attention to the way in which children learn language and to the whole process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a sentence is the method of its verification. This he would later modify into the more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on the assumption that all the different symbolic devices that can describe the world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense, there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his attention back to language he concluded that almost everything he had said about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many different languages with many different structures that could meet quite different specific needs. Language was not strictly held together by logical structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts and the simple components of sentences did not all function as names of simple objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place, as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically about the relation between private experience and the physical world. Against the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could explain the difference between private experience and the physical world in terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic. Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual working of ordinary language. This brought him close to the tradition of British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and “sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles. These puzzles were the result of insufficient attention to the working of language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts, about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of the most influential passages of the book he argued that concept words do not denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family resemblances between the things labeled with the concept. He also held that logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot determine their own applications, that rule-following presupposes the existence of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only insofar as there exist public criteria for their correct application. As a consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a language that in principle can be used only to speak about one’s own inner experience. This private language argument has caused much discussion. Interpreters have disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs in Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that language is necessarily social. Because he said that to speak of inner experiences there must be external and publicly available criteria, he has often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he, in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that assumes that the world ultimately determines which language games can be played. Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more how he remained skeptical about all philosophical theories and how he understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable, normative role in our language game; they are the riverbed through which the thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of natural human practice. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.” Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum.” Refs.: Luigi Speranza, “L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

standard:  Grice: “People, philosophers included, misuse ‘standard’in Italian, it just means ‘flag’!” -- model, a term that, like ‘non-standard model’, is used with regard to theories that systematize part of our knowledge of some mathematical structure, for instance the structure of natural numbers with addition, multiplication, and the successor function, or the structure of real numbers with ordering, addition, and multiplication. Models isomorphic to this intended mathematical structure are the “standard models” of the theory, while any other, non-isomorphic, model of the theory is a ‘non-standard’ model. Since Peano arithmetic is incomplete, it has consistent extensions that have no standard model. But there are also non-standard, countable models of complete number theory, the set of all true first-order sentences about natural numbers, as was first shown by Skolem in 4. Categorical theories do not have a non-standard model. It is less clear whether there is a standard model of set theory, although a countable model would certainly count as non-standard. The Skolem paradox is that any first-order formulation of set theory, like ZF, due to Zermelo and Fraenkel, has a countable model, while it seems to assert the existence of non-countable sets. Many other important mathematical structures cannot be characterized by a categorical set of first-order axioms, and thus allow non-standard models. The  philosopher Putnam has argued that this fact has important implications for the debate about realism in the philosophy of language. If axioms cannot capture the spontaneity, liberty of standard model 875   875 “intuitive” notion of a set, what could? Some of his detractors have pointed out that within second-order logic categorical characterizations are often possible. But Putnam has objected that the intended interpretation of second-order logic itself is not fixed by the use of the formalism of second-order logic, where “use” is determined by the rules of inference for second-order logic we know about. Moreover, categorical theories are sometimes uninformative. 

 

stabilitatum -- stabilire -- EstablishmentGrice speaks of the Establishment twice. Once re: Gellner: non-Establishment criticizing the English Establishment. Second: to refute Lewis. Something can be ‘established’ and not be conventional. “Surely Lewis should know the Graeco-Roman root of establish to figure that out!” stăbĭlĭo , īvi, ītum (sync. I.imperf. stabilibat, Enn. Ann. 44), 4, v. a. stabilis, to make firm, steadfast, or stable; to fix, stay, establish (class.; esp. in the trop. sense). I. Lit.: semita nulla pedem stabilibat, Enn. ap. Cic. Div. 1, 20, 40 (Ann. v. 44 Vahl.): “eo stabilita magis sunt,” Lucr. 3, 202; cf.: confirmandi et stabiliendi causā singuli ab infimo solo pedes terrā exculcabantur, * Caes. B. G. 7, 73: “vineas,” Col. 4, 33, 1: “loligini pedes duo, quibus se velut ancoris stabiliunt,” Plin. 9, 28, 44, § 83.— II. Trop.: regni stabilita scamna solumque, Enn. ap. Cic. Div. 1, 48 fin. (Ann. v. 99 Vahl.): “alicui regnum suom,” Plaut. Am. 1, 1, 39; cf.: libertatem civibus, Att. ap. Cic. Sest. 58, 123: “rem publicam (o evertere),” Cic. Fin. 4, 24, 65; so, “rem publicam,” id. Sest. 68, 143: “leges,” id. Leg. 1, 23, 62: “nisi haec urbs stabilita tuis consiliis erit,” id. Marcell. 9, 29: “matrimonia firmiter,” id. Rep. 6, 2, 2: pacem, concordiam, Pseud.-Sall. Rep. Ordin. 1 fin. (p. 267 Gerl.): “res Capuae stabilitas Romana disciplina,” Liv. 9, 20: “nomen equestre in consulatu (Cicero),” Plin. 33, 2, 8, § 34: “(aegrum) ad retinendam patientiam,” to strengthen, fortify him, Gell. 12, 5, 3. While Grice’s play with ‘estaablished’ is in the second metabolical stage of his programmewhere ‘means’ applies to things other than the emissor, surely metaphoricallyhe is allowing that ‘estabalish’ may be used in the one-off predicament. By drawing a skull, U is establishing a procedure. Grice notably wants to make ‘established’ a weaker variant of ‘conventional.’ So that x, whatever, may be ‘established’ but not ‘conventional.’ In fact, it can be argued that to establish you have to do it at least once. Cfr. ‘settled. ‘Greenwich, Conn., settled in 1639.’ ‘Established’ Surely it would be obtuse to say that Greenwich, Conn. Was “conventionalized”.

 

status -- state, Grice: “I will use the phrase ‘state of the soul’This may sound pedantic, and it is!”“I will use ‘psychological state,’ where the more correct phrase would be ‘state’ of the ‘soul,’ since theoryas in ‘-logical,’ has nothing to do with it. Now you’ll wonder if the soul has states. A state of the soulor a ‘frame of mind,’ as Strawson wrongly puts itis a physical state on which a ‘state’ of the soul supervenes, alla Funcionalism”“Note that a ’state’ of the soul may be quite specific and involving other states, like the belief that Strawson’s dog is shaggy.”“A state is anything that follows a ‘that’-clause; the way an object or system basically is; the fundamental, intrinsic properties of an object or system, and the basis of its other properties. An instantaneous state is a state at a given time. State variables are constituents of a state whose values may vary with time. In classical or Newtonian mechanics the instantaneous state of an n-particle system consists of the positions and momenta masses multiplied by velocities of the n particles at a given time. Other mechanical properties are functions of those in states. Fundamental and derived properties are often, though possibly misleadingly, called observables. The set of a system’s possible states can be represented as an abstract phase space or state space, with dimensions or coordinates for the components of each state variable. In quantum theory, states do not fix the particular values of observables, only the probabilities of observables assuming particular values in particular measurement situations. For positivism or instrumentalism, specifying a quantum state does nothing more than provide a means for calculating such probabilities. For realism, it does more  e.g., it refers to the basis of a quantum system’s probabilistic dispositions or propensities. Vectors in Hilbert spaces represent possible states, and Hermitian operators on vectors represent observables.  -- state of affairs: Grice: “My poor friend D. F. Pears got himself into a lot of trouble by offering to correct C. K. Ogden’s passe translation of Vitters’s Tractatus!” a possibility, actuality, or impossibility of the kind expressed by a nominalization of a declarative sentence. The declarative sentence ‘This die comes up six’ can be nominalized either through the construction ‘that this die comes up six’ or through the likes of ‘this die’s coming up six’. The resulting nominalizations might be interpreted as naming corresponding propositions or states of affairs. States of affairs come in several varieties. Some are possible states of affairs, or possibilities. Consider the possibility of a certain die coming up six when rolled next. This possibility is a state of affairs, as is its “complement”  the die’s not coming up six when rolled next. There is in addition the state of affairs which conjoins that die’s coming up six with its not coming up six. And this contradictory state of affairs is of course not a possibility, not a possible state of affairs. Moreover, for every actual state of affairs there is a non-actual one, its complement. For every proposition there is hence a state of affairs: possible or impossible, actual or not. Indeed some consider propositions to be states of affairs. Some take facts to be actual states of affairs, while others prefer to define them as true propositions. If propositions are states of affairs, then facts are of course both actual states of affairs and true propositions. In a very broad sense, events are just possible states of affairs; in a narrower sense they are contingent states of affairs; and in a still narrower sense they are contingent and particular states of affairs, involving just the exemplification of an nadic property by a sequence of individuals of length n. In a yet narrower sense events are only those particular and contingent states of affairs that entail change. A baseball’s remaining round throughout a certain period does not count as an event in this narrower sense but only as a state of that baseball, unlike the event of its being hit by a certain bat. 

 

statistics: Grice: “I shall use the singular, ‘statistic’”  -- statistical explanation. Grice: “Jill says, “Jack is an Englishman; he is, therefore, brave.” Is the validty of her reasoning based on statistics?” -- an explanation expressed in an explanatory argument containing premises and conclusions making claims about statistical probabilities. These arguments include deductions of less general from more general laws and differ from other such explanations only insofar as the contents of the laws imply claims about statistical probability. Most philosophical discussion in the latter half of the twentieth century has focused on statistical explanation of events rather than laws. This type of argument was discussed by Ernest Nagel The Structure of Science, 1 under the rubric “probabilistic explanation,” and by Hempel Aspects of Scientific Explanation, 5 as “inductive statistical” explanation. The explanans contains a statement asserting that a given system responds in one of several ways specified by a sample space of possible outcomes on a trial or experiment of some type, and that the statistical probability of an event represented by a set of points in the sample space on the given kind of trial is also given for each such event. Thus, the statement might assert that the statistical probability is near 1 of the relative frequency r/n of heads in n tosses being close to the statistical probability p of heads on a single toss, where the sample space consists of the 2n possible sequences of heads and tails in n tosses. Nagel and Hempel understood such statistical probability statements to be covering laws, so that inductive-statistical explanation and deductivenomological explanation of events are two species of covering law explanation. The explanans also contains a claim that an experiment of the kind mentioned in the statistical assumption has taken place e.g., the coin has been tossed n times. The explanandum asserts that an event of some kind has occurred e.g., the coin has landed heads approximately r times in the n tosses. In many cases, the kind of experiment can be described equivalently as an n-fold repetition of some other kind of experiment as a thousandfold repetition of the tossing of a given coin or as the implementation of the kind of trial thousand-fold tossing of the coin one time. Hence, statistical explanation of events can always be construed as deriving conclusions about “single cases” from assumptions about statistical probabilities even when the concern is to explain mass phenomena. Yet, many authors controversially contrast statistical explanation in quantum mechanics, which is alleged to require a singlecase propensity interpretation of statistical probability, with statistical explanation in statistical mechanics, genetics, and the social sciences, which allegedly calls for a frequency interpretation. The structure of the explanatory argument of such statistical explanation has the form of a direct inference from assumptions about statistical probabilities and the kind of experiment trial which has taken place to the outcome. One controversial aspect of direct inference is the problem of the reference class. Since the early nineteenth century, statistical probability has been understood to be relative to the way the experiment or trial is described. Authors like J. Venn, Peirce, R. A. Fisher, and Reichenbach, among many others, have been concerned with how to decide on which kind of trial to base a direct inference when the trial under investigation is correctly describable in several ways and the statistical probabilities of possible outcomes may differ relative to the different sorts of descriptions. The most comprehensive discussion of this problem of the reference class is found in the work of H. E. Kyburg e.g., Probability and the Logic of Rational Belief, 1. Hempel acknowledged its importance as an “epistemic ambiguity” in inductive statistical explanation. Controversy also arises concerning inductive acceptance. May the conclusion of an explanatory direct inference be a judgment as to the subjective probability that the outcome event occurred? May a judgment that the outcome event occurred is inductively “accepted” be made? Is some other mode of assessing the claim about the outcome appropriate? Hempel’s discussion of the “nonconjunctiveness of inductivestatistical” explanation derives from Kyburg’s earlier account of direct inference where high probability is assumed to be sufficient for acceptance. Non-conjunctiveness has been avoided by abandoning the sufficiency of high probability I. Levi, Gambling with Truth, 7 or by denying that direct inference in inductive-statistical explanation involves inductive acceptance at all R. C. Jeffrey, “Statistical Explanation vs. Statistical Inference,” in Essays in Honor of C. G. Hempel. Refs.: H. P. Grice, “Jack and Jill.”

 

stillingfleet: English divine and controversialist who first made his name with “Irenicum,” using natural-law doctrines to oppose religious sectarianism. His “Origines Sacrae” ostensibly on the superiority of the Scriptural record over other forms of ancient history, was for its day a learned study in the moral certainty of historical evidence, the authority of testimony, and the credibility of miracles. In drawing eclectically on philosophy from antiquity to the Cambridge Platonists, he was much influenced by the Cartesian theory of ideas, but later repudiated Cartesianism for its mechanist tendency. For three decades he pamphleteered on behalf of the moral certainty of orthodox Protestant belief against what he considered the beliefs “contrary to reason” of Roman Catholicism. This led to controversy with Unitarian and deist writers who argued that mysteries like the Trinity were equally contrary to “clear and distinct” ideas. He was alarmed at the use made of Locke’s “new,” i.e. nonCartesian, way of ideas by John Toland in Christianity not Mysterious, and devoted his last years to challenging Locke to prove his orthodoxy. The debate was largely over the concepts of substance, essence, and person, and of faith and certainty. Locke gave no quarter in the public controversy, but in the fourth edition of his Essay he silently amended some passages that had provoked Stillingfleet. 

 

stochasis: stochastic process –“"pertaining to conjecture," from Greek stokhastikos "able to guess, conjecturing," from stokhazesthai "to guess, aim at, conjecture," from stokhos "a guess, aim, fixed target, erected pillar for archers to shoot at," perhaps from PIE *stogh-, variant of root *stegh- "to stick, prick, sting." The sense of "randomly determined" is from 1934, from German stochastik (1917). a process that evolves, as time goes by, according to a probabilistic principle rather than a deterministic principle. Such processes are also called random processes, but ‘stochastic’ does not imply complete disorderliness. The principle of evolution governing a stochastic or random process is precise, though probabilistic, in form. For example, suppose some process unfolds in discrete successive stages. And suppose that given any initial sequence of stages, S1, S2, . . . , Sn, there is a precise probability that the next stage Sn+1 will be state S, a precise probability that it will be SH, and so on for all possible continuations of the sequence of states. These probabilities are called transition probabilities. An evolving sequence of this kind is called a discrete-time stochastic process, or discrete-time random process. A theoretically important special case occurs when transition probabilities depend only on the latest stage in the sequence of stages. When an evolving process has this property it is called a discrete-time Markov process. A simple example of a discrete-time Markov process is the behavior of a person who keeps taking either a step forward or a step back according to whether a coin falls heads or tails; the probabilistic principle of movement is always applied to the person’s most recent position. The successive stages of a stochastic process need not be discrete. If they are continuous, they constitute a “continuous-time” stochastic or random process. The mathematical theory of stochastic processes has many applications in science and technology. The evolution of epidemics, the process of soil erosion, and the spread of cracks in metals have all been given plausible models as stochastic processes, to mention just a few areas of research.  H. P. Grice, “Stochastic implicatum.”

 

Stoa -- Stoicus: stoicism -- Neo-stoicism -- du Vair, Guillaume, philosopher, bishop, and political figure. Du Vair and Justus Lipsius were the two most influential propagators of neo-Stoicism in early modern Europe. Du Vair’s Sainte Philosophie “Holy Philosophy,” 1584 and his shorter Philosophie morale des Stoïques “Moral Philosophy of the Stoics,” 1585, were tr. and frequently reprinted. The latter presents Epictetus in a form usable by ordinary people in troubled times. We are to follow nature and live according to reason; we are not to be upset by what we cannot control; virtue is the good. Du Vair inserts, moreover, a distinctly religious note. We must be pious, accept our lot as God’s will, and consider morality obedience to his command. Du Vair thus Christianized Stoicism, making it widely acceptable. By teaching that reason alone enables us to know how we ought to live, he became a founder of modern rationalism in ethics. Stōĭcus , a, um, adj., = Στωϊκός, I.of or belonging to the Stoic philosophy or to the Stoics, Stoic: “schola,” Cic. Fam. 9, 22 fin.: “secta,” Sen. Ep. 123, 14: “sententia,” id. ib. 22, 7: “libelli,” Hor. Epod. 8, 15: “turba,” Mart. 7, 69, 4: “dogmata,” Juv. 13, 121: “disciplina,” Gell. 19, 1, 1: “Stoicum est,” it is a saying of the Stoics, Cic. Ac. 2, 26, 85: “non loquor tecum Stoicā linguā, sed hac submissiore,” Sen. Ep. 13, 4: “est aliquid in illo Stoici dei: nec cor nec caput habet,” Sen. Apoc. 8.— Subst.: Stōĭcus , i, m., a Stoic philosopher, a Stoic, Cic. Par. praef. § 2; Hor. S. 2, 3, 160; 2, 3, 300; plur., Cic. Mur. 29, 61; and in philosophical writings saepissime.— 2. Stōĭca , ōrum, n. plur., the Stoic philosophy, Cic. N. D. 1, 6, 15.—Adv.: Stōĭcē , like a Stoic, Stoically: “agere austere et Stoice,” Cic. Mur. 35, 74: dicere, id. Par. praef. § 3.H. P. Grice, “The Stoa: from Athenian to Oxonian dialectic,” H. P. Grice, “The Stoa and Athenian dialectic.”  H. P. Grice: “The Stoa and Athenian dialectic.” -- stoicism, one of the three leading movements constituting Hellenistic philosophy. Its founder was Zeno of Citium, who was succeeded as school head by Cleanthes. But the third head, Chrysippus, was its greatest exponent and most voluminous writer. These three are the leading representatives of Early Stoicism. No work by any early Stoic survives intact, except Cleanthes’ short “Hymn to Zeus.” Otherwise we are dependent on doxography, on isolated quotations, and on secondary sources, most of them hostile. Nevertheless, a remarkably coherent account of the system can be assembled. The Stoic world is an ideally good organism, all of whose parts interact for the benefit of the whole. It is imbued with divine reason logos, its entire development providentially ordained by fate and repeated identically from one world phase to the next in a never-ending cycle, each phase ending with a conflagration ekpyrosis. Only bodies strictly “exist” and can interact. Body is infinitely divisible, and contains no void. At the lowest level, the world is analyzed into an active principle, god, and a passive principle, matter, both probably corporeal. Out of these are generated, at a higher level, the four elements air, fire, earth, and water, whose own interaction is analogous to that of god and matter: air and fire, severally or conjointly, are an active rational force called breath Grecian pneuma, Latin spiritus, while earth and water constitute the passive substrate on which these act, totally interpenetrating each other thanks to the non-particulate structure of body and its capacity to be mixed “through and through.” Most physical analysis is conducted at this higher level, and pneuma becomes a key concept in physics and biology. A thing’s qualities are constituted by its pneuma, which has the additional role of giving it cohestochastic process Stoicism 879   879 sion and thus an essential identity. In inanimate objects this unifying pneuma is called a hexis state; in plants it is called physis nature; and in animals “soul.” Even qualities of soul, e.g. justice, are portions of pneuma, and they too are therefore bodies: only thus could they have their evident causal efficacy. Four incorporeals are admitted: place, void which surrounds the world, time, and lekta see below; these do not strictly “exist”  they lack the corporeal power of interaction  but as items with some objective standing in the world they are, at least, “somethings.” Universals, identified with Plato’s Forms, are treated as concepts ennoemata, convenient fictions that do not even earn the status of “somethings.” Stoic ethics is founded on the principle that only virtue is good, only vice bad. Other things conventionally assigned a value are “indifferent” adiaphora, although some, e.g., health, wealth, and honor, are naturally “preferred” proegmena, while their opposites are “dispreferred” apoproegmena. Even though their possession is irrelevant to happiness, from birth these indifferents serve as the appropriate subject matter of our choices, each correct choice being a “proper function” kathekon  not yet a morally good act, but a step toward our eventual end telos of “living in accordance with nature.” As we develop our rationality, the appropriate choices become more complex, less intuitive. For example, it may sometimes be more in accordance with nature’s plan to sacrifice your wealth or health, in which case it becomes your “proper function” to do so. You have a specific role to play in the world plan, and moral progress prokope consists in learning it. This progress involves widening your natural “affinity” oikeiosis: an initial concern for yourself and your parts is later extended to those close to you, and eventually to all mankind. That is the Stoic route toward justice. However, justice and the other virtues are actually found only in the sage, an idealized perfectly rational person totally in tune with the divine cosmic plan. The Stoics doubted whether any sages existed, although there was a tendency to treat at least Socrates as having been one. The sage is totally good, everyone else totally bad, on the paradoxical Stoic principle that all sins are equal. The sage’s actions, however similar externally to mere “proper functions,” have an entirely distinct character: they are renamed ‘right actions’ katorthomata. Acting purely from “right reason,” he is distinguished by his “freedom from passion” apatheia: morally wrong impulses, or passions, are at root intellectual errors of mistaking what is indifferent for good or bad, whereas the sage’s evaluations are always correct. The sage alone is happy and truly free, living in perfect harmony with the divine plan. All human lives are predetermined by the providentially designed, all-embracing causal nexus of fate; yet being the principal causes of their actions, the good and the bad alike are responsible for them: determinism and morality are fully compatible. Stoic epistemology defends the existence of cognitive certainty against the attacks of the New Academy. Belief is described as assent synkatathesis to an impression phantasia, i.e. taking as true the propositional content of some perceptual or reflective impression. Certainty comes through the “cognitive impression” phantasia kataleptike, a self-certifying perceptual representation of external fact, claimed to be commonplace. Out of sets of such impressions we acquire generic conceptions prolepseis and become rational. The highest intellectual state, knowledge episteme, in which all cognitions become mutually supporting and hence “unshakable by reason,” is the prerogative of the wise. Everyone else is in a state of mere opinion doxa or of ignorance. Nevertheless, the cognitive impression serves as a “criterion of truth” for all. A further important criterion is prolepseis, also called common conceptions and common notions koinai ennoiai, often appealed to in philosophical argument. Although officially dependent on experience, they often sound more like innate intuitions, purportedly indubitable. Stoic logic is propositional, by contrast with Aristotle’s logic of terms. The basic unit is the simple proposition axioma, the primary bearer of truth and falsehood. Syllogistic also employs complex propositions  conditional, conjunctive, and disjunctive  and rests on five “indemonstrable” inference schemata to which others can be reduced with the aid of four rules called themata. All these items belong to the class of lekta  “sayables” or “expressibles.” Words are bodies vibrating portions of air, as are external objects, but predicates like that expressed by ‘ . . . walks’, and the meanings of whole sentences, e.g., ‘Socrates walks’, are incorporeal lekta. The structure and content of both thoughts and sentences are analyzed by mapping them onto lekta, but the lekta are themselves causally inert. Conventionally, a second phase of the school is distinguished as Middle Stoicism. It developed largely at Rhodes under Panaetius and Posidonius, both of whom influenced the presentation of Stoicism in Cicero’s influential philosophical treatises mid-first century B.C.. Panaetius Stoicism Stoicism 880   880 c.185c.110 softened some classical Stoic positions, his ethics being more pragmatic and less concerned with the idealized sage. Posidonius c.135c.50 made Stoicism more open to Platonic and Aristotelian ideas, reviving Plato’s inclusion of irrational components in the soul. A third phase, Roman Stoicism, is the only Stoic era whose writings have survived in quantity. It is represented especially by the younger Seneca A.D. c.165, Epictetus A.D. c.55c.135, and Marcus Aurelius A.D. 12180. It continued the trend set by Panaetius, with a strong primary focus on practical and personal ethics. Many prominent Roman political figures were Stoics. After the second century A.D. Stoicism as a system fell from prominence, but its terminology and concepts had by then become an ineradicable part of ancient thought. Through the writings of Cicero and Seneca, its impact on the moral and political thought of the Renaissance was immense. 

 

stoutianism: philosophical psychologist, astudent of Ward, he was influenced by Herbart and especially Brentano. He influenced Grice to the point that Grice called himself “a true Stoutian.”  He was editor of Mind 20. He followed Ward in rejecting associationism and sensationism, and proposing analysis of mind as activity rather than passivity, consisting of acts of cognition, feeling, and conation. Stout stressed attention as the essential function of mind, and argued for the goal-directedness of all mental activity and behavior, greatly influencing McDougall’s hormic psychology. He reinterpreted traditional associationist ideas to emphasize primacy of mental activity; e.g., association by contiguity  a passive mechanical process imposed on mind  became association by continuity of attentional interest. With Brentano, he argued that mental representation involves “thought reference” to a real object known through the representation that is itself the object of thought, like Locke’s “idea.” In philosophy he was influenced by Moore and Russell. His major works are Analytic Psychology 6 and Manual of Psychology 9.

 

strato: Grecian philosopher and polymath nicknamed “the Physicist” for his innovative ideas in natural science. He succeeded Theophrastus as head of the Lyceum. Earlier he served as royal tutor in Alexandria, where his students included Aristarchus, who devised the first heliocentric model. Of Strato’s many writings only fragments and summaries survive. These show him criticizing the abstract conceptual analysis of earlier theorists and paying closer attention to empirical evidence. Among his targets were atomist arguments that motion is impossible unless there is void, and also Aristotle’s thesis that matter is fully continuous. Strato argued that no large void occurs in nature, but that matter is naturally porous, laced with tiny pockets of void. His investigations of compression and suction were influential in ancient physiology. In dynamics, he proposed that bodies have no property of lightness but only more or less weight. 

 

strawson: Grice’s tutee. b.9, London-born, Oxford-educated philosopher who has made major contributions to logic, metaphysics, and the study of Kant. His career has been mainly at Oxford (he spent a term in Wales and visited the New World a lot), where he was the leading philosopher of his generation, due to that famous tutor he had for his ‘logic paper’: H. P. Grice, at St. John’s. His first important work, “On Referring” argues that Baron Russell’s theory of descriptions fails to deal properly with the role of descriptions as “referring expressions” because Russell assumed the “bogus trichotomy” that sentences are true, false, or meaningless: for Strawson, sentences with empty descriptions are meaningful but “neither true nor false” because the general presuppositions governing the use of referring expressions are not fulfilled. One aspect of this argument was Russell’s alleged insensitivity to the ordinary use of definite descriptions. The contrast between the abstract schemata of formal logic and the manifold richness of the inferences inherent in ordinary language is the central theme of Strawson’s “ Introduction to Logical Theory,” where he credits H. P. Grice for making him aware of ‘pragmatic rules’ of conversationGrice was amused that Baron Russell cared to respond to Strawson in “Mind”where Russell’s original “On denoting” had been published. Together, after a joint seminar with Quine, Strawson submitted “In defense of a dogma,” co-written with GriceA year later Strawson submitted on Grice’s behalf “Meaning” to the same journalThey participated with Pears in a Third programme lecture, published by Pears in “The nature of metaphysics” (London, Macmillan”). In Individuals, provocatively entitled “an essay in DESCRIPTIVE (never revisionary) metaphysics,” Strawson, drawing “without crediting” on joint seminars with Grice on Categories and De Interpretatione, Strawson  reintroduced metaphysics as a respectable philosophical discipline after decades of positivist rhetoric. But his project is only “descriptive” metaphysics  elucidation of the basic features of our own conceptual scheme  and his arguments are based on the philosophy of language: “basic” particulars are those like “Grice” or his “cricket bat”, which are basic objects of reference, and it is the spatiotemporal and sortal conditions for their identification and reidentification by speakers that constitute the basic categories. Three arguments are especially famous. First, even in a purely auditory world objective reference on the basis of experience requires at least an analogue of space. Second, because self-reference presupposes reference to others, persons, conceived as bearers of both physical and psychological properties, are a type of basic particularcfr. Grice on “Personal identity.” Third, “feature-placing” discourse, such as ‘it is snowing here now’, is “the ultimate propositional level” through which reference to particulars enters discourse. Strawson’s next book, The Bounds of Sense 6, provides a critical reading of Kant’s theoretical philosophy. His aim is to extricate what he sees as the profound truths concerning the presuppositions of objective experience and judgment that Kant’s transcendental arguments establish from the mysterious metaphysics of Kant’s transcendental idealism. Strawson’s critics have argued, however, that the resulting position is unstable: transcendental arguments can tell us only what we must suppose to be the case. So if Kant’s idealism, which restricts such suppositions to things as they appear to us, is abandoned, we can draw conclusions concerning the way the world itself must be only if we add the verificationist thesis that ability to make sense of such suppositions requires ability to verify them. In his next book, Skepticism and Naturalism: Some Varieties 5, Strawson conceded this: transcendental arguments belong within descriptive metaphysics and should not be regarded as attempts to provide an external justification of our conceptual scheme. In truth no such external justification is either possible or needed: instead  and here Strawson invokes Hume rather than Kant  our reasonings come to an end in natural propensities for belief that are beyond question because they alone make it possible to raise questions. In a famous earlier paper Strawson had urged much the same point concerning the free will debate: defenders of our ordinary attitudes of reproach and gratitude should not seek to ground them in the “panicky metaphysics” of a supra-causal free will; instead they can and need do no more than point to our unshakable commitment to these “reactive” attitudes through which we manifest our attachment to that fundamental category of our conceptual scheme  persons.  strawsonise: verb invented by A. M. Kemmerling. To adopt Strawson’s manoever in the analysis of ‘meaning.’ “A form of ‘disgricing,’”Kemmerling adds.  strawsonismGrice’s favourite Strawsonisms were too many to count. His first was Strawson on ‘true’ for ‘Analysis.’ Grice was amazed by the rate of publishing in Strawson’s case. Strawson kept publishing and Grice kept criticizing. In “Analysis,’ Strawson gives Grice his first ‘strawsonism’ “To say ‘true’ is ditto.’ The second strawsonism is that there is such a thing as ‘ordinary language’ which is not Russellian. As Grice shows, ordinary language IS Russellian. Strawson said that composing “In defence of a dogma” was torture and that it is up to Strawson to finish the thing off.  So there are a few strawonisms there, too. Strawson had the courtesy never to reprint ‘In defence’ in any of his compilations, and of course to have Grice as fist author. There are ‘strawsonisms’ in Grice’s second collaboration with Strawsonthat Grice intentionally ignores in “Life and opinions.” This is a transcript of the talk of the dynamic trio: Grice, Pears, and Strawson, published three years later by Pears in “The nature of metaphysics.” Strawson collaborated with “If and the horseshoe” to PGRICE, but did not really write it for the occasion. It was an essay he had drafted ages ago, and now saw fit to publish. He expands on this in his note on Grice for the British Academy, and in his review of Grice’s compilation. Grice makes an explicit mention of Strawson in a footnote in “Presupposition and conversational implicaturum,” the euphemism he uses is ‘tribute’: the refutation of Strawson’s truth-value gap as a metaphysical excrescence and unnecessary is called a ‘tribute,’ coming from the tutor“in this and other fields,” implicating, “there may be mistakes all over the place.” Kemmerling somewhat ignores Urmson when he says, “Don’t disgrice if you can grice.” To strawsonise, for Kemmerling is to avoid Grice’s direct approach and ask for a higher-level intention. To strawsonise is the first level of disgrice. But Grice first quotes Urmson and refers to Stampe’s briddge example before he does to Strawson’s rat-infested house example. strawson’s rat-infested house. Few in Grice’s playgroup had Grice’s analytic skills. Only a few cared to join him in his analysis of ‘mean.’ The first was Urmson with the ‘bribe.’ The second was Strawson, with his rat-infested house. Grice re-writes Strawson’s alleged counterexample. To deal with his own rat-infested house example, Strawson proposes that the analysans of "U means that p" might be restricted by the addition of a further condition, namely that the utterer U should utter x not only, as already provided, with the intention that his addressee should think that U intends to obtain a certain response from his addressee, but also with the intention that his addressee should think (recognize) that U has the intention just mentioned. In Strawson's example, in The Philosohical Review (that Grice cites on WOW:x) repr. in his "Logico-Linguistic Papers," the potential home buyer is intended to think that the realtor wants him to think that the house is rat-infested. However, the potential house-buyer is not intended by the realtor to think that he is intended to think that the realtor wants him to think that the house is rat infested. The addressee is intended to think that it is only as a result of being too clever for the realtor that he has learned that the potential home buyer wants him to think that the house is rat-infested; the potential home-buyer is to think that he is supposed to take the artificially displayed dead rat  as a evidence that the house is rat infested. U wants to get A to believe that the house A is thinking of buying is rat-infested. S decides tobring about this belief in A by taking into the house and letting loose a big fat sewer rat. For S has the following scheme. He knows that A is watching him and knows that A believes that S is unaware that he, A, is watching him. It isS's intention that A should (wrongly) infer from the fact that S let the rat loose that S did so with the intention that A should arrive at the house, see the rat, and, taking the rat as "natural evidence", infer therefrom that the house is rat-infested. S further intends A to realize that given the nature of the rat's arrival, the existence of the rat cannot be taken as genuine or natural evidence that the house is rat-infested; but S kilows that A will believe that S would not so contrive to get A to believe the house is rat-infested unless Shad very good reasons for thinking that it was, and so S expects and intends A to infer that the house is rat-infested from the fact that Sis letting the rat loose with the intention of getting A to believe that the house is rat-infested. Thus S satisfies the conditions purported to be necessary and sufficient for his meaning something by letting the rat loose: S lets the rat loose intending (4) A to think that the house is rat-infested, intending (1)-(3) A to infer from the fact that S let the rat loose that S did so intending A to think that the house is rat-infested, and intending (5) A's recognition of S's . intention (4) to function as his reason for thinking that the house is rat-infested. But even though S's action meets these conditions, Strawson feels that his scenario fits Grice's conditions in Grice's reductive analysis and not yet Strawson's intuition about his own use of 'communicate.' To minimise Strawson's discomfort, Grice brings an anti-sneaky clause. ("Although I never shared Strawson's intuition about his use of 'communicate;' in fact, I very rarely use 'communicate that...' To exterminate the rats in Strawson's rat-infested house, Grice uses, as he should, a general "anti-deception" clause. It may be that the use of this exterminating procedure is possible. It may be that any 'backward-looking' clauses can be exterminated, and replaced by a general prohibitive, or closure clause, forbidding an intention by the utterer to be sneaky. It is a conceptual point that if you intend your addressee NOT TO REALISE that p, you are not COMMUNICATING that p. (3A) (if) (3r) (ic): (a) U utters x intending (I) A to think x possesses f (2) A to thinkf correlated in way c with the type to which r belongs (3) A to think, on the basis of the fulfillment of (I) and (3) that U intends A to produce r (4) A, on the basis of the fulfillment of (3) to produce r, and (b) There is no inference-element E such that U intends both (I') A in his determination of r to rely on E (2') A to think Uto intend (I') to be false. In the final version Grice reaches after considering alleged counterexamples to the NECESSITY of some of the conditions in the analysans, Grice reformulates. It is not the case that, for some inference element E, U intends x to be such that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and  think that (Ǝφ) U intends x to be such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that p without relying on E. Embedded in the general definition. By uttering x, U means that-ψ­b-d≡ (Ǝφ)(Ǝf)(Ǝc) U utters x  intending x to be such that anyone who has φ think that x has f, f is correlated in way c with ψ-ing that p, and (Ǝφ') U intends x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f and that f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, and in view of (Ǝφ') U intending x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f, and f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, U ψ-s that p, and, for some substituends of ψb-d, U utters x intending that, should there actually be anyone who has φ, he will, via thinking in view of (Ǝφ') U intending x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f, and  f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, U ψ-s that p himself ψ that p, and it is not the case that, for some inference element E, U intends x to be such that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and  think that (Ǝφ) U intends x to be such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that p without relying on E,

 

stimulus-response -- poverty of the stimulus, a psychological phenomenon exhibited when behavior is stimulusunbound, and hence the immediate stimulus characterized in straightforward physical terms does not completely control behavior. Human beings sort stimuli in various ways and hosts of influences seem to affect when, why, and how we respond  our background beliefs, facility with language, hypotheses about stimuli, etc. Suppose a person visiting a museum notices a painting she has never before seen. Pondering the unfamiliar painting, she says, “an ambitious visual synthesis of the music of Mahler and the poetry of Keats.” If stimulus painting controls response, then her utterance is a product of earlier responses to similar stimuli. Given poverty of the stimulus, no such control is exerted by the stimulus the painting. Of course, some influence of response must be conceded to the painting, for without it there would be no utterance. However, the utterance may well outstrip the visitor’s conditioning and learning history. Perhaps she had never before talked of painting in terms of music and poetry. The linguist Noam Chomsky made poverty of the stimulus central to his criticism of B. F. Skinner’s Verbal Behavior 7. Chomsky argued that there is no predicting, and certainly no critical stimulus control of, much human behavior.

 

strozzi: Important Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e. Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.”  --  Palla Strozzi   Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze, 1372Padova, 18 maggio 1462) banchiere, politico, letterato, filosofo e filologo italiano.   Stemma degli Strozzi  Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il figlio da letterati ed umanisti, e grazie all'interesse e all'intelligenza, Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo tempo.  Ricco e colto, commissionò numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella Basilica di Santa Trinita, opera di Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti (1419-1423). La cappella, progetto irrealizzato del padre Noferi, venne fatta erigere in sua memoria da Palla dopo la morte, e ne ospitò la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissionò l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori.  L'opposizione ai Medici Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici.  Cosimo il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli Albizi.  In un primo momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato Rinaldo degli Albizi.  Intanto Cosimo mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la sua partenza da Firenze.  L'esilio Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare.  Nel 1434 quindi lo Strozzi parte per Padova, dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa di Padova, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello).  Lasciò la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Morì a Padova l'8 maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Fu sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme.  Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi, sua lontana parente, ebbe undici figli:  Lorenzo (1404-1452) Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?) Gianfrancesco (1418-1468 circa) Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel 1449, moglie di Felice Brancacci) Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo Rucellai) Tancia. In tarda età si sposò con una figlia di Felice Brancacci, che lo seguì a Padova.  I suoi discendenti si stabilirono in seguito a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli Strozzi (quello di Tito Vespasiano ed Ercole Strozzi).  Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dello Speron d'oro  Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton Editori, G. Reichenbach, «STROZZI, Palla», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto Palmarocchi, «La famiglia STROZZI», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

structuratum: mid-15c., "action or process of building or construction;" 1610s, "that which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively, "arrangement, order," from structus, past participle of struere "to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-, extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It is difficult to describe structuralism as a movement, because of the methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be influenced by structuralism  e.g., anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory, even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its organizing principles from the early twentieth-century work of Saussure, the founder of structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist and philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of language, one understood as a closed system of elements and rules that account for the production and the social communication of meaning. Inspired by Durkheim’s notion of a “social fact”  that domain of objectivity wherein the psychological and the social orders converge  Saussure viewed language as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community. The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element. The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external consideration of reference. What lends specificity or identity to each particular signifier is its differential relation to the other signifiers in the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of differences between other elements within the system. This principle of differential  and structural  relation was extended by Troubetzkoy to the order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules. Language thus derives its significance from its own autonomous organization, and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the foremost instance of social sign systems in general, the structural account might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of social systems as such  hence, its obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences. This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General Linguistics6, but it was advanced dramatically by the  anthropologist Claude Lévi-Strauss  who is generally acknowledged to be the founder of modern structuralism  in his extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself organized according to one form or another of significant communication and exchange  whether this be of information, knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these social structures would be disclosed, not by direct observation, but by inference and deduction from the observed empirical data. Furthermore, since these structures are models of specific relations, which in turn express the differential properties of the component elements under investigation, the structural analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad variety of applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses in the domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied insights of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in Italy, Eco conducted extensive structuralist analyses in the fields of social and literary semiotics. With its acknowledgment that language is a rule-governed social system of signs, and that effective communication depends on the resources available to the speaker from within the codes of language itself, the structuralist approach tends to be less preoccupied with the more traditional considerations of “subjectivity” and “history” in its treatment of meaningful discourse. In the post-structuralism that grew out of this approach, the  philosopher Foucault, e.g., focused on the generation of the “subject” by the various epistemic discourses of imitation and representation, as well as on the institutional roles of knowledge and power in producing and conserving particular “disciplines” in the natural and social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn govern our theoretical and practical notions of madness, criminality, punishment, sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the individual subject to their determinations. Likewise, in the domain of psychoanalysis, Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to emphasize Freud’s concern with language and to argue that, as a set of determining codes, language serves to structure the subject’s very unconscious. Problematically, however, it is the very dynamism of language, including metaphor, metonymy, condensation, displacement, etc., that introduces the social symbolic into the constitution of the subject. Althusser applied the principles of structuralist methodology to his analysis of Marxism, especially the role played by contradiction in understanding infrastructural and superstructural formation, i.e., for the constitution of the historical dialectic. His account followed Marx’s rejection of Feuerbach, at once denying the role of traditional subjectivity and humanism, and presenting a “scientific” analysis of “historical materialism,” one that would be anti-historicist in principle but attentive to the actual political state of affairs. For Althusser, such a philosophical analysis helped provide an “objective” discernment to the historical transformation of social reality. The restraint the structuralists extended toward the traditional views of subjectivity and history dramatically colored their treatment both of the individuals who are agents of meaningful discourse and of the linguistically articulable object field in general. This redirection of research interests particularly in France, due to the influential work of Barthes and Michel Serres in the fields of poetics, cultural semiotics, and communication theory has resulted in a series of original analyses and also provoked lively debates between the adherents of structuralist methodology and the more conventionally oriented schools of thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and empiricist and positivist philosophies of science. These debates served as an agency to open up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist theory for the philosophical generation of the 0s and later. These post-structuralist thinkers were perhaps less concerned with the organization of social phenomena than with their initial constitution and subsequent dynamics. Hence, the problematics of the subject and history  or, in broader terms, temporality itself  were again engaged. The new discussions were abetted by a more critical appraisal of language and tended to be antiHegelian in their rejection of the totalizing tendency of systematic metaphysics. Heidegger’s critique of traditional metaphysics was one of the major influences in the discussions following structuralism, as was the reexamination of Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,” his antiessentialism, and his teaching of a dynamic “will to power.” Additionally, many poststructuralist philosophers stressed the Freudian notions of the libido and the unconscious as determining factors in understanding not only the subject, but the deep rhetorical and affective components of language use. An astonishing variety of philosophers and critics engaged in the debates initially framed by the structuralist thinkers of the period, and their extended responses and critical reappraisals formed the vibrant, poststructuralist period of  intellectual life. Such figures as Ricoeur, Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot, Derrida, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy, and Irigaray inaugurated a series of contemporary reflections that have become international in scope. Refs.: H. P. Grice, “The structure of structure.” . 

 

sub-iectum: sub-iectumsub-iectificatio -- subjectification: Grice is right in distinguishing this from nominalization, because not all nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,” Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the matter (hyle) which underlies the form (eidos), as o To both “εἶδος” and “ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that ‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject to which attributes are ascribed,” and here o “τὸ κατηγορούμενον,” (which would be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses Kiparsky’s factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it. Refs.: Grice, “Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When Grice speaks of the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’ in a way a philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s transcendental subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject, personal identity, or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’ contrasts with ‘object.’ So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an ‘ego-centric’ condition, or a self-oriented condition, or an agent-oriented condition, or an ‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this is tricky. His example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer may have to put into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a rational agent, with views of his own. So, the philosophical psychologist that Grice is has to think of a conception of the self by the self, and the conception of the other by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’ Grice might speak of other souls. Grice was concerned with intending folloed by a that-clause. Jeffrey defines desirability as doxastically modified. It is entirely possible for someone to desire the love that he already has. It is what he thinks that matters. Cf. his dispositional account to intending. A Subjectsive condition takes into account the intenders, rather than the ascribers, point of view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on hands and knees. Bloggs might reason: Given my present state, I should do what is fun. Given my present state, the best thing for me to do would be to do what is fun. For me in my present state it would make for my well-being, to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a mountain would be fun. Climbing the Everest would be/make for climbing fun. So, I shall climb the Everest. Even if a critic insisted that a practical syllogism is the way to represent Bloggs finding something to be appealing, and that it should be regarded as a respectable evaluation, the assembled propositions dont do the work of a standard argument. The premises do not support or yield the conclusion as in a standard argument. The premises may be said to yield the conclusion, or directive, for the particular agent whose reasoning process it is, only on the basis of a Subjectsive condition: that the agent is in a certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for dinner-fun. Rational beings (the agent at some other time, or other individuals) who do not have that feeling, will not accept the conclusion. They may well accept as true. It is fun to climb Everest, but will not accept it as a directive unless they feel like it now. Someone wondering what to do for the summer might think that if he were to climb Everest he would find it fun or pleasant, but right now she does not feel like it. That is in general the end of the matter. The alleged argument lacks normativity. It is not authoritative or directive unless there is a supportive argument that he needs/ought to do something diverting/pleasant in the summer. A practical argument is different. Even if an agent did not feel like going to the doctor, an agent would think I ought to have a medical check up yearly, now is the time, so I should see my doctor to be a directive with some force. It articulates a practical argument. Perhaps the strongest attempt to reconstruct an (acceptable or rational) thought transition as a standard arguments is to treat the Subjectsive condition, I feel like having climbing fun in the summer, as a premise, for then the premises would support the conclusion. But the individual, whose thought transition we are examining, does not regard a description of his psychological state as a consideration that supports the conclusion. It will be useful to look more closely at a variant of the example to note when it is appropriate to reconstruct thinking in the form of argument. Bloggs, now hiking with a friend in the Everest, comes to a difficult spot and says: I dont like the look of that, I am frightened. I am going back. That is usually enough for Bloggs to return, and for the friend to turn back with him. Bloggss action of turning back, admittedly motivated by fear, is, while not acting on reasons, nonetheless rational unless we judge his fear to be irrational. Bloggss Subjectsive condition can serve as a premise, but only in a very different situation. Bloggs resorts to reasons. Suppose that, while his friend does not think Bloggss fear irrational, the friend still attempts to dissuade Bloggs from going back. After listening and reflecting, Bloggs may say I am so frightened it is not worth it. I am not enjoying this climbing anymore. Or I am too frightened to be able to safely go on. Or I often climb the Everest and dont usually get frightened. The fact that I am now is a good indication that this is a dangerous trail and I should turn back. These are reasons, considerations implicitly backed by principles, and they could be the initial motivations of someone. But in Bloggss case they emerged when he was challenged by his friend. They do not express his initial practical reasoning. Bloggs was frightened by the trail ahead, wanted to go back, and didnt have any reason not to. Note that there is no general rational requirement to always act on reasons, and no general truth that a rational individual would be better off the more often he acted on reasons. Faced with his friends objections, however, Bloggs needed justification for acting on his fear. He reflected and found reason(s) to act on his fear. Grice plays with Subjectsivity already in Prolegomena. Consider the use of carefully. Surely we must include the agents own idea of this. Or consider the use of phi and phisurely we dont want the addressee to regard himself under the same guise with which the utterer regards him. Or consider “Aspects”: Nixon must be appointed professor of theology at Oxford. Does he feel the need? Grice raises the topic of Subjectsivity again in the Kant lectures just after his discussion of mode, in a sub-section entitled, Modalities: relative and absolute. He finds the topic central for his æqui-vocality thesis: Subjectsive conditions seem necessary to both practical and alethic considerations. Refs.: The source is his essay on intentions and the subjective condition, The H. P. Grice Papers, BANC. The subject: hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’ to ‘predicate logic’ “he didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian nominalization. Grice plays a lot on that. His presentation at the Oxford Philosophical Society he entitled, in a very English way, as “Meaning” (echoing Ogden and Richards). With his “Meaning, Revisited,” it seems more clearly that he is nominalizing. Unless he means, “The essay “Meaning,” revisited,”alla Putnam making a bad joke on Ogden: “The meaning of ‘meaning’”“ ‘Meaning,’ revisited” --  Grice is very familiar with this since it’s the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, o in a specific context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the same sort of ‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or reality. In philosophical circles, one has to be especially aware of the subject-object distinction (which belong in philosophical psychology) and the thing which belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia, substantia), the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be careful. Grice expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to underlie, as the foundation in which something else inheres, to be implied or presupposed by something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία” Pl.Prt.349b, cf. Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main applications: (1) to the matter which underlies the form, o εἶδος, ἐντελέχεια, Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the accidents, o πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3) to the logical subject to which attributes are ascribed, o τὸ κατηγορούμενον, Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are distinguished in Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally used of what underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the positive termini presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς ὑποκείμενον the external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.112,24 U.; “φῶς εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον τί τε φαίνεται μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται” S.E.M.7.143, cf. 83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the existing state of affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6, Eun.VSp.474 B.; “Τίτος ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν αἷς παρέλαβε” Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b; “ἐχομένου τοῦ προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ ὑ. ἐνιαυτός the year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question, Id.16.40, Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month, PTeb.14.14 (ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the said rent, PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the context, Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian dogma that, since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a ‘predicate’ calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and grammar.” Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c. subjectumGrecian hypokeimenonGrice’s ‘implying,’ qua nominalization, is a category shift, a subjectification, or objectificiation.We have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’ ‘implicature, and ‘implying’ Using the participles, we have the active voice present implicans, the active voice future, implicaturum, and the passive perfect ‘impicatum.’ subjectivism, any philosophical view that attempts to understand in a subjective manner what at first glance would seem to be a class of judgments that are objectively either true or false  i.e., true or false independently of what we believe, want, or hope. There are two ways of being a subjectivist. In the first way, one can say that the judgments in question, despite first appearances, are really judgments about our own attitudes, beliefs, emotions, etc. In the second way, one can deny that the judgments are true or false at all, arguing instead that they are disguised commands or expressions of attitudes. In ethics, for example, a subjective view of the second sort is that moral judgments are simply expressions of our positive and negative attitudes. This is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view of the second sort; it is the view that moral judgments are really commands  to say “X is good” is to say, details aside, “Do X.” Views that make morality ultimately a matter of conventions or what we or most people agree to can also be construed as subjective theories, albeit of the first type. Subjectivism is not limited to ethics, however. According to a subjective view of epistemic rationality, the standards of rational belief are the standards that the individual or perhaps most members in the individual’s community would approve of insofar as they are interested in believing those propositions that are true and not believing those propositions that are false. Similarly, phenomenalists can be regarded as proposing a subjective account of material object statements, since according to them, such statements are best understood as complex statements about the course of our experiences.  -- -obiectum-abiectumm-exiectum quartet, the: Grice: subject-object dichotomy, the distinction between thinkers and what they think about. The distinction is not exclusive, since subjects can also be objects, as in reflexive self-conscious thought, which takes the subject as its intended object. The dichotomy also need not be an exhaustive distinction in the strong sense that everything is either a subject or an object, since in a logically possible world in which there are no thinkers, there may yet be mind-independent things that are neither subjects nor objects. Whether there are non-thinking things that are not objects of thought in the actual world depends on whether or not it is sufficient in logic to intend every individual thing by such thoughts and expressions as ‘We can think of everything that exists’. The dichotomy is an interimplicative distinction between thinkers and what they think about, in which each presupposes the other. If there are no subjects, then neither are there objects in the true sense, and conversely. A subjectobject dichotomy is acknowledged in most Western philosophical traditions, but emphasized especially in Continental philosophy, beginning with Kant, and carrying through idealist thought in Fichte, Schelling, Hegel, and Schopenhauer. It is also prominent in intentionalist philosophy, in the empirical psychology of Brentano, the object theory of Meinong, Ernst Mally, and Twardowski, and the transcendental phenomenology of Husserl. Subjectobject dichotomy is denied by certain mysticisms, renounced as the philosophical fiction of duality, of which Cartesian mindbody dualism is a particular instance, and criticized by mystics as a confusion that prevents mind from recognizing its essential oneness with the world, thereby contributing to unnecessary intellectual and moral dilemmas.  sub-ordination. Grice must be the only Oxonian philosopher in postwar Oxford that realised the relevance of subordination. Following J. C. Wilson, Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective, and the only one of the connectives which is not commutative. This gives Grice the idea to consult Cook Wilson and develop his view of ‘interrogative subordination.’ Who killed Cock Robin. If it was not the Hawk, it was the Sparrow. It was not the Hawk. It was the Sparrow. What Grecian idiom is Romanesque sub-ordinatio translating. The opposite is co-ordination. “And” and “or” are coordinative particles. Interrogative coordination is provided by ‘or,’ but it relates to yes/no questions. Interrogative subordination involves x-question. WHO killed Cock Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic. Varro uses jungendi. is the same and wherefrom it is different, in relation to what &c." It may well be doubted whether he has thus improved upon his predecessors. Surely the discernment of sameness and difference is a function necessarily belonging to soul and necessarily included in the catalogue of her functions : yet Stallbaum's rendering excludes it from that catalogue. The fact that we have ory hv $, not orcp ecri, does not really favour his view—" with whatsoever a thing may be the same, she declares it the same.' I coincide then with the other interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv as indirect INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis mistake in logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause otw t av ti tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE COORDINATE with itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is impossible. Stallbaum rightly makes the clause a substantive clause and subject of elvai or £vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to this sthe question, ‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not ‘satisfied’ by the answer ‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves sugar, but the question is not satisfied by that form of answer. Conversely the answer ‘one spoonful’ satisfies the question, even though it might be the wrong answer and leave the tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s sweet tooth. sub-per-ceptum: This relates to Stich and his sub-doxastic. For Aristotle, “De An.,” the anima leads to the desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’he had a problem with ‘sponges’ which were IN-animate, to him, most likely) In WoW:139, Grice refers to “the pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the first of a trio. The second is the perceptual, “A perceives that the pillar box is red,” and the third, “The pillar box is red.” He wishes to explore the truth-conditons of the subperceptum, and although first in the list, is last in the analsysis. Grice proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar box is red; (2) A perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2). In this there is a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his caveat that ‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning Revisited). In what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U is choosing the superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices (“The pillar box IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’: “The pillar box IS PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum: By uttering “The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or doubted that the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is red. In this, the accented version contrasts with the unaccented version where the implicaturum is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt or denial implicaturum. It is this uncommitment that will allow to disimplicate or cancel the implicaturum should occasion arise. The reference Grice makes between the sub-perceptum and the perceptum is grammatical, not psychological. Or else he may be meaning that in uttering, “I perceive that the pillar box is red,” one needs to appeal to Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke, Sense and content, Grice, BANC. sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to states of mind postulated to account for the production and character of certain apparently non-inferential beliefs. These were first discussed by Stephen P. Stich in “Beliefs and Subdoxastic States” 8. I may form the belief that you are depressed, e.g., on the basis of subtle cues that I am unable to articulate. The psychological mechanism responsible for this belief might be thought to harbor information concerning these cues subdoxastically. Although subdoxastic states resemble beliefs in certain respects  they incorporate intentional content, they guide behavior, they can bestow justification on beliefs  they differ from fullyfledged doxastic states or beliefs in at least two respects. First, as noted above, subdoxastic states may be largely inaccessible to introspection; I may be unable to describe, even on reflection, the basis of my belief that you are depressed. Second, subdoxastic states seem cut off inferentially from an agent’s corpus of beliefs; my subdoxastic appreciation that your forehead is creased may contribute to my believing that you are depressed, but, unlike the belief that your forehead is creased, it need not, in the presence of other beliefs, lead to further beliefs about your visage.  Sub-scriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day.  Grice plays with various roots of ‘scriptum.’ He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the ‘prae-scriptum.’ Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy, seldom mentions the co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in terms of a ‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then there’s the subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I subscribe,” and in the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to his ontological commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a subscript device? Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot pronounce a subscript device or a square-bracket device. So his point is ironic. “Ordinary” language does not need it. But if Strawson and Quine are going to be picky about stuffontological commitment, ‘existential presupposition,’ let’s subscribe and bracket! Note that Quine’s response to Grice is perfunctory: “Brackets would have done!” Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to marry him; Jack wants someone or other to marry him; Jack wants a particular person to marry him, and There is someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that there are clearly at least two possible readings of an utterance like our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be paraphrased by (ii). A second reading is one in which it might be paraphrased by (iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the phenomenon in his own version of a first-order predicate calculus. Ja wants that p becomes Wjap where ja stands for the individual constant Jack as a super-script attached to the predicate standing for Jacks psychological state or attitude. Grice writes: Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent, respectively, the external reading and the internal reading (involving an intentio secunda or intentio obliqua) as (Ǝx)WjaFxja and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an intentio seconda.Grice notes: But suppose that Jack wants a specific individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been deceived into thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though in fact Joe is an only child. The Jill Jack eventually goes up the hill with is, coincidentally, another Jill, possibly existent. Let us recall that Grices main focus of the whole essay is, as the title goes, emptiness! In these circumstances, one is inclined to say that (i) is true only on reading (vii), where the existential quantifier occurs within the scope of the psychological-state or -attitude verb, but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the scope of the psychological-attitude verb, want, since [well,] Jill does not really exist, except as a figment of Jacks imagination. In a manoeuver that I interpret as purely intentionalist, and thus favouring by far Suppess over Chomskys characterisation of Grice as a mere behaviourist, Grice hopes that we should be provided with distinct representations for two familiar readings of, now: Jack wants Jill to marry him and Jack wants Jill to marry him. It is at this point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for the predicate calculus in question. Only the first formulation represents the internal reading (where ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and W3ja4F2ji1ja4. Note that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is introduced prior to want,jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the higher numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct, (Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality! Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not display any existential or de re, force, and is suitable therefore for representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not actually exist.

 

stupid. Grice loved Plato. They are considering ‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”

 

società filosofia italiana

 

sub-gestum -- suggestio falsi suggest. To suggest is like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice, ‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggestadvisepromptofferbring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (ressuggeritut Italicarum rerum esse credantur eae res,” remindsadmonishesib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation ofAur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom. -- sub-gestum -- suggestum: not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous. Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10.— The implicaturum is a suggestumALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not, if ‘reasonable,’ but not ‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she says, “He is an Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that her povery contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”) So the ‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are ‘conversational suggestum.’ For Grice this is philosophically important, because many philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the philosopher’s import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.” Substantia: hypostasis, the process of regarding a concept or abstraction as an independent or real entity. The verb forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects of a certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied that a fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in ‘Plato was guilty of the reification of universals’. The issue turns largely on criteria of ontological commitment.  The exact Greek transliteration is “hypostasis” Arianism, diverse but related teachings in early Christianity that subordinated the Son to God the Father. In reaction the church developed its doctrine of the Trinity, whereby the Son and Holy Spirit, though distinct persons hypostases, share with the Father, as his ontological equals, the one being or substance ousia of God. Arius taught in Alexandria, where, on the hierarchical model of Middle Platonism, he sharply distinguished Scripture’s transcendent God from the Logos or Son incarnate in Jesus. The latter, subject to suffering and humanly obedient to God, is inferior to the immutable Creator, the object of that obedience. God alone is eternal and ungenerated; the Son, divine not by nature but by God’s choosing, is generated, with a beginning: the unique creature, through whom all else is made. The Council of Nicea, in 325, condemned Arius and favored his enemy Athanasius, affirming the Son’s creatorhood and full deity, having the same being or substance homoousios as the Father. Arianism still flourished, evolving into the extreme view that the Son’s being was neither the same as the Father’s nor like it homoiousios, but unlike it anomoios. This too was anathematized, by the Council of 381 at Constantinople, which, ratifying what is commonly called the Nicene Creed, sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three persons against Arian subordinationism.  Sub-positum -- suppositumCicero for ‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’a hypothetico-deductive method, a method of testing hypotheses. Thought to be preferable to the method of enumerative induction, whose limitations had been decisively demonstrated by Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has been viewed by many as the ideal scientific method. It is applied by introducing an explanatory hypothesis resulting from earlier inductions, a guess, or an act of creative imagination. The hypothesis is logically conjoined with a statement of initial conditions. The purely deductive consequences of this conjunction are derived as predictions, and the statements asserting them are subjected to experimental or observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the hypothesis, A a statement of initial conditions, and O one of the testable consequences of (H • A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and ‘this piece of lead is now being hammered’ states the initial conditions, it follows deductively that ‘this piece of lead will change shape’. In deductive logic the schema is formally invalid, committing the logical fallacy of affirming the consequent. But repeated occurrences of O can be said to confirm the conjunction of H and A, or to render it more probable. On the other hand, the schema is deductively valid (the argument form modus tollens). For this reason, Karl Popper and his followers think that the H-D method is best employed in seeking falsifications of theoretical hypotheses. Criticisms of the method point out that infinitely many hypotheses can explain, in the H-D mode, a given body of data, so that successful predictions are not probative, and that (following Duhem) it is impossible to test isolated singular hypotheses because they are always contained in complex theories any one of whose parts is eliminable in the face of negative evidence. sub-pressum -- suppresum veri: This is a bit like an act of omissionabout which Urmson once asked, “Is that ‘to do,’ Grice?”Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful handwriting.” Grice’s abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely the ‘suggestio falsi’ is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle, who ‘suppresses,’ is not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be ‘intentional,’ as an ‘omission’ is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied to a unity (alethic/practical) this was good. No multiplication, but unitycf. untranslatable (think)modality ‘the ‘must’, neutraldesideratum-doxathinkYes, when Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a report on the philosopher’s abilitynot on  his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom.

 

super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice, “I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clausefor a communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable: “God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore, Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is super-love?”

 

Si: Grice: “If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent ‘if.’ -- “if”(Italian: “si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an English expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E is to be implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an expression E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot detach it from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’ ‘or,’ and ‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted, as J. C. Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally non-commutative!” -- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a compound sentence, such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one sentence, the antecedent, is connected to a second, the consequent, by the connective ‘if . . . then’. Propositions statements, etc. expressed by conditionals are called conditional propositions statements, etc. and, by ellipsis, simply conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’ gives rise to a semantic classification of conditionals into material conditionals, causal conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In traditional logic, conditionals are called hypotheticals, and in some areas of mathematical logic conditionals are called implications. Faithful analysis of the meanings of conditionals continues to be investigated and intensely disputed.  conditional proof. 1 The argument form ‘B follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this form. 2 The rule of inference that permits one to infer a conditional given a derivation of its consequent from its antecedent. This is also known as the rule of conditional proof or /- introduction. conditioning, a form of associative learning that occurs when changes in thought or behavior are produced by temporal relations among events. It is common to distinguish between two types of conditioning; one, classical or Pavlovian, in which behavior change results from events that occur before behavior; the other, operant or instrumental, in which behavior change occurs because of events after behavior. Roughly, classically and operantly conditioned behavior correspond to the everyday, folk-psychological distinction between involuntary and voluntary or goaldirected behavior. In classical conditioning, stimuli or events elicit a response e.g., salivation; neutral stimuli e.g., a dinner bell gain control over behavior when paired with stimuli that already elicit behavior e.g., the appearance of dinner. The behavior is involuntary. In operant conditioning, stimuli or events reinforce behavior after behavior occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by being paired with actual reinforcers. Here, occasions in which behavior is reinforced serve as discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior is goal-directed, if not consciously or deliberately, then through the bond between behavior and reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at dinner may serve as the discriminative stimulus evoking the request “Please pass the salt,” whereas saying “Thank you” may reinforce the behavior of passing the salt. It is not easy to integrate conditioning phenomena into a unified theory of conditioning. Some theorists contend that operant conditioning is really classical conditioning veiled by subtle temporal relations among events. Other theorists contend that operant conditioning requires mental representations of reinforcers and discriminative stimuli. B. F. Skinner 4 90 argued in Walden Two 8 that astute, benevolent behavioral engineers can and should use conditioning to create a social utopia.  conditio sine qua non Latin, ‘a condition without which not’, a necessary condition; something without which something else could not be or could not occur. For example, being a plane figure is a conditio sine qua non for being a triangle. Sometimes the phrase is used emphatically as a synonym for an unconditioned presupposition, be it for an action to start or an argument to get going. I.Bo. Condorcet, Marquis de, title of Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat 174394,  philosopher and political theorist who contributed to the Encyclopedia and pioneered the mathematical analysis of social institutions. Although prominent in the Revolutionary government, he was denounced for his political views and died in prison. Condorcet discovered the voting paradox, which shows that majoritarian voting can produce cyclical group preferences. Suppose, for instance, that voters A, B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A: xyz, B: yzx, and C: zxy. Then in majoritarian voting x beats y and y beats z, but z in turn beats x. So the resulting group preferences are cyclical. The discovery of this problem helped initiate social choice theory, which evaluates voting systems. Condorcet argued that any satisfactory voting system must guarantee selection of a proposal that beats all rivals in majoritarian competition. Such a proposal is called a Condorcet winner. His jury theorem says that if voters register their opinions about some matter, such as whether a defendant is guilty, and the probabilities that individual voters are right are greater than ½, equal, and independent, then the majority vote is more likely to be correct than any individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main works are Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the Probability of Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous treatise on social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human Mind, 1795.  “if” corresponding conditional of a given argument, any conditional whose antecedent is a logical conjunction of all of the premises of the argument and whose consequent is the conclusion. The two conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is wise’ and ‘if Ben is wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two corresponding conditionals of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and ‘Ben is wise’ and whose conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise argument, the corresponding conditional is the conditional whose antecedent is the premise and whose consequent is the conclusion. The limiting cases of the empty and infinite premise sets are treated in different ways by different logicians; one simple treatment considers such arguments as lacking corresponding conditionals. The principle of corresponding conditionals is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for all its corresponding conditionals to be tautological. The commonly used expression ‘the corresponding conditional of an argument’ is also used when two further stipulations are in force: first, that an argument is construed as having an ordered sequence of premises rather than an unordered set of premises; second, that conjunction is construed as a polyadic operation that produces in a unique way a single premise from a sequence of premises rather than as a dyadic operation that combines premises two by two. Under these stipulations the principle of the corresponding conditional is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for its corresponding conditional to be valid. These principles are closely related to modus ponens, to conditional proof, and to the so-called deduction theorem.  “if” counterfactuals, also called contrary-to-fact conditionals, subjunctive conditionals that presupcorner quotes counterfactuals pose the falsity of their antecedents, such as ‘If Hitler had invaded England, G.y would have won’ and ‘If I were you, I’d run’. Conditionals or hypothetical statements are compound statements of the form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’. Component p is described as the antecedent protasis and q as the consequent apodosis. A conditional like ‘If Oswald did not kill Kennedy, then someone else did’ is called indicative, because both the antecedent and consequent are in the indicative mood. One like ‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone else would have’ is subjunctive. Many subjunctive and all indicative conditionals are open, presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If Bob had won, he’d be rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’ nor ‘If Bob won, he is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals presuppose, rather than assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan had been president, he would have been famous’ seems inappropriate and out of place, but not false, given that Reagan was president. The difference between counterfactual and open subjunctives is less important logically than that between subjunctives and indicatives. Whereas the indicative conditional about Kennedy is true, the subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no one’ and the truth-values reverse. The most interesting logical feature of counterfactuals is that they are not truth-functional. A truth-functional compound is one whose truth-value is completely determined in every possible case by the truth-values of its components. For example, the falsity of ‘The President is a grandmother’ and ‘The President is childless’ logically entails the falsity of ‘The President is a grandmother and childless’: all conjunctions with false conjuncts are false. But whereas ‘If the President were a grandmother, the President would be childless’ is false, other counterfactuals with equally false components are true, such as ‘If the President were a grandmother, the President would be a mother’. The truth-value of a counterfactual is determined in part by the specific content of its components. This property is shared by indicative and subjunctive conditionals generally, as can be seen by varying the wording of the example. In marked contrast, the material conditional, p / q, of modern logic, defined as meaning that either p is false or q is true, is completely truth-functional. ‘The President is a grandmother / The President is childless’ is just as true as ‘The President is a grandmother / The President is a mother’. While stronger than the material conditional, the counterfactual is weaker than the strict conditional, p U q, of modern modal logic, which says that p / q is necessarily true. ‘If the switch had been flipped, the light would be on’ may in fact be true even though it is possible for the switch to have been flipped without the light’s being on because the bulb could have burned out. The fact that counterfactuals are neither strict nor material conditionals generated the problem of counterfactual conditionals raised by Chisholm and Goodman: What are the truth conditions of a counterfactual, and how are they determined by its components? According to the “metalinguistic” approach, which resembles the deductive-nomological model of explanation, a counterfactual is true when its antecedent conjoined with laws of nature and statements of background conditions logically entails its consequent. On this account, ‘If the switch had been flipped the light would be on’ is true because the statement that the switch was flipped, plus the laws of electricity and statements describing the condition and arrangement of the circuitry, entail that the light is on. The main problem is to specify which facts are “fixed” for any given counterfactual and context. The background conditions cannot include the denials of the antecedent or the consequent, even though they are true, nor anything else that would not be true if the antecedent were. Counteridenticals, whose antecedents assert identities, highlight the difficulty: the background for ‘If I were you, I’d run’ must include facts about my character and your situation, but not vice versa. Counterlegals like ‘Newton’s laws would fail if planets had rectangular orbits’, whose antecedents deny laws of nature, show that even the set of laws cannot be all-inclusive. Another leading approach pioneered by Robert C. Stalnaker and David K. Lewis extends the possible worlds semantics developed for modal logic, saying that a counterfactual is true when its consequent is true in the nearest possible world in which the antecedent is true. The counterfactual about the switch is true on this account provided a world in which the switch was flipped and the light is on is closer to the actual world than one in which the switch was flipped but the light is not on. The main problem is to specify which world is nearest for any given counterfactual and context. The difference between indicative and subjunctive conditionals can be accounted for in terms of either a different set of background conditions or a different measure of nearness. counterfactuals counterfactuals     Counterfactuals turn up in a variety of philosophical contexts. To distinguish laws like ‘All copper conducts’ from equally true generalizations like ‘Everything in my pocket conducts’, some have observed that while anything would conduct if it were copper, not everything would conduct if it were in my pocket. And to have a disposition like solubility, it does not suffice to be either dissolving or not in water: it must in addition be true that the object would dissolve if it were in water. It has similarly been suggested that one event is the cause of another only if the latter would not have occurred if the former had not; that an action is free only if the agent could or would have done otherwise if he had wanted to; that a person is in a particular mental state only if he would behave in certain ways given certain stimuli; and that an action is right only if a completely rational and fully informed agent would choose it. “If the cat is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS INDICATIVE“Subjective ‘if’ is a different animal as Julius Caesar well knew!” -- Refs: “If and Macaulay.”

 

iff: Grice: “a silly abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P biconditional Q’.

 

sublime: sub-lime, neuter.  sublīmie (collat. form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap. Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh. sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum, Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet. and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus, altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,” Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666: “tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46: “arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,” Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (o to pronus), Ov. M. 1, 85; cf. id. ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11: “armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated, raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere (arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7, 13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1, 404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A. 1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat. 68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12, 179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air: “piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B. Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4, § 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,” Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.: “antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378: “mens,” Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10, 121: “sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P. 165; cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12, 15.—Comp.: “quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5, 5, § 10; Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod. Just. 7, 62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq. in Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara et sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11, 1, 3: “actio (o causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia humilibus misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.: “natura sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et grandiloquus (Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,” id. 10, 1, 119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68: “sublimius aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque solitudines voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft, loftily, on high. (α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R. 70, 2; so id. ib. 71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15, 1.— (β). Form sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime putescat,” Cic. Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa,” id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic. Tusc. 1, 17, 40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv. 21, 30: “expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum Attollit caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily (very rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130. Grice’s favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by objects that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure: we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of “the aesthetic”  understood as that which is sensuously present  as a way of understanding what is important about art. It has also been given a political reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty connects with conservative acceptance of existing forms or structures of society.  subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of social order and the common good governing the relations between the higher and lower associations in a political community. Positively, the principle of subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining public good which comprises justice, public peace, and public morality also has an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering assistance subsidium to those individuals and associations whose activities facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts, sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that higher-level i.e., more comprehensive associations  while they must monitor, regulate, and coordinate  ought not to absorb, replace, or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This presumption favoring free individual and social initiative has been defended on various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free, creative potential of subordinate groups and individuals who build up the shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity 886   886 that human flourishing depends crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government of voluntary associations and that human beings flourish best through their own personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or beneficiaries of the initiatives of others.  subsistum: sub-sistum -- subsistence translation of G. Bestand, in current philosophy, especially Meinong’s system, the kind of being that belongs to “ideal” objects such as mathematical objects, states of affairs, and abstractions like similarity and difference. By contrast, the kind of being that belongs to “real” wirklich objects, things of the sorts investigated by the sciences other than psychology and pure mathematics, is called existence Existenz. Existence and subsistence together exhaust the realm of being Sein. So, e.g., the subsistent ideal figures whose properties are investigated by geometers do not exist  they are nowhere to be found in the real world  but it is no less true of them that they have being than it is of an existent physical object: there are such figures. Being does not, however, exhaust the realm of objects or things. The psychological phenomenon of intentionality shows that there are in some sense of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist. Every intentional state is directed toward an object. Although one may covet the Hope Diamond or desire the unification of Europe, one may also covet a non-existent material object or desire a non-subsistent state of affairs. If one covets a non-existent diamond, there is in some sense of ‘there is’ something that one covets  one’s state of mind has an object  and it has certain properties: it is, e.g., a diamond. It may therefore be said to inhabit the realm of Sosein ‘being thus’ or ‘predication’ or ‘having properties’, which is the category comprising the totality of objects. Objects that do not have any sort of being, either existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein. In general, the properties of an object do not determine whether it has being or non-being. But there are special cases: the round square, by its very nature, cannot subsist. Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend, i.e., independent of both existence and subsistence.  substratum: sub-statum: hypoeinai, hypostasis, hypokemeinon -- substantiaGrice: “The Romans never felt the need for the word ‘substantia’ but trust Cicero to force them to use it!” -- Grice lectured on this with J. L. Austin and P. F. Strawson. hypousia -- as defined by Aristotle in the Categories, that which is neither predicable “sayable” of anything nor present in anything as an aspect or property of it. The examples he gives are an individual man and an individual horse. We can predicate being a horse of something but not a horse; nor is a horse in something else. He also held that only substances can remain self-identical through change. All other things are accidents of substances and exist only as aspects, properties, or relations of substances, or kinds of substances, which Aristotle called secondary substances. An example of an accident would be the color of an individual man, and an example of a secondary substance would be his being a man. For Locke, a substance is that part of an individual thing in which its properties inhere. Since we can observe, indeed know, only a thing’s properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is obviously rooted in Aristotle’s but the latter carries no skeptical implications. In fact, Locke’s sense is closer in meaning to what Aristotle calls matter, and would be better regarded as a synonym of ‘substratum’, as indeed it is by Locke. Substance may also be conceived as that which is capable of existing independently of anything else. This sense is also rooted in Aristotle’s, but, understood quite strictly, leads to Spinoza’s view that there can be only one substance, namely, the totality of reality or God. A fourth sense of ‘substance’ is the common, ordinary sense, ‘what a thing is made of’. This sense is related to Locke’s, but lacks the latter’s skeptical implications. It also corresponds to what Aristotle meant by matter, at least proximate matter, e.g., the bronze of a bronze statue Aristotle analyzes individual things as composites of matter and form. This notion of matter, or stuff, has great philosophical importance, because it expresses an idea crucial to both our ordinary and our scientific understandings of the world. Philosophers such as Hume who deny the existence of substances hold that individual things are mere bundles of properties, namely, the properties ordinarily attributed to them, and usually hold that they are incapable of change; they are series of momentary events, rather than things enduring through time.  substantialism, the view that the primary, most fundamental entities are substances, everything else being dependent for its existence on them, either as a property of them or a relation between them. Different versions of the view would correspond to the different senses of the word ‘substance’. 

 

salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's General Science. Characteristics:  In Chapter 19, Definition 1, Leibniz writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted for one another wherever we please without altering the truth of any statement (salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” -- a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in that context. The expressions are also said to be interchangeable or intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be said that the one expression is substitutable for the other or exhibits substitutability with respect to the other at that place. Leibniz proposed to use the universal interchangeability salva veritate of two terms in every “proposition” in which they occur as a necessary and sufficient condition for identity  presumably for the identity of the things denoted by the terms. There are apparent exceptions to this criterion, as Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed by a psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression conveying modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal expressions such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote the same thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences of expressions within quotation marks or where the expressions are both mentioned and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his size” also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures are to be explained by the fact that within such contexts an expression does not have its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or the expression itself. Salva congruitate From , the free encyclopedia Jump to navigationJump to search Salva congruitate is a Latin scholastic term in logic, which means "without becoming ill-formed", salva meaning rescue, salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree. Salva Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted for each other while preserving grammaticality in all contexts.   Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1 Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva congruitate Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a form of replacement in the context of meaning. It is a replacement which preserves semantic coherence and should be distinguished from a replacement which preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no meaning has been given. This means that supposing an original expression is meaningful, the new expression obtained by the replacement will also be meaningful, though it will not necessarily have the same meaning as the original one, nor, if the expression in question happens to be a proposition, will the replacement necessarily preserve the truth value of the original.  Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate, as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language, which are able to replace singular terms without destructive effect on the grammar of a sentence. Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the definite description 'the first man to swim the English Channel' salva congruitate. Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if made in the context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus terms which may be interchanged salva congruitate may not be interchangeable salva veritate (preserving truth). More generally, expressions of any type are interchangeable salva congruitate if and only if they can replace one another preserving grammaticality or well-formedness.  See also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin Wright Peter Geach References  W.V.O. Quine, Philosophy of logic  Dr. Benjamin Schnieder, Canonical Property Designators, P9  W.V.O. Quine, Quiddities, P204  W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18  Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of meaning, p57  Bob Hale, Singular Terms, P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P. Grice, “What I learned from T. C. Potts.”T. C. Potts, “My tutorials with Grice at St. John’s.”

 

summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things have at most instrumental value value only insofar as they are productive of what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have for the most part been teleological in character. That is, they have identified the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure; etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view, the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what is good only in combination with certain other elements the “extrinsically good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically been the province of monists believers in a single good, not pluralists. -- summum genus. What adjective is the ‘sumum’ translating, Grice wondered. And he soon found out. We know that the Romans were unoriginally enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating Grecian ‘genos.’ The highest category in the ‘arbor griceiana’ -- The categories. There is infimum genus, or sub-summum. Talk of categories becomes informal in Grice when he ‘echoes’ Kant in the mention of four ‘functions’ that generate for Kant twelve categories. Grice however uses the functions themselves, echoing Ariskant, rather, as ‘caegory’. We have then a category of conversational quantity (involved in a principle of maximization of conversational informativeness). We have a category of conversational quality (or a desideratum of conversational candour). We have a category of conversational relation (cf. Strawson’s principle of relevance along with Strawson’s principles of the presumption of knowledge and the presumption of ignorance). Lastly, we have a category of conversational mode. For some reason, Grice uses ‘manner’ sometimes in lieu of Meiklejohn’s apt translation of Kant’s modality into the shorter ‘mode.’ The four have Aristotelian pedigree, indeed Grecian and Graeco-Roman: The quantity is Kant’s quantitat which is Aristotle’s posotes (sic abstract) rendered in Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle derives ‘posotes,’ from ‘poson,’ the quantum. No quantity without quantum. The quality is Kant’s qualitat, which again has Grecian and Graeco-Roman pediegree. It is Aristotel’s poiotes (sic in abstract), rendered in Roman as qualitas. Again, derived from the more basic ‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a ‘-tes’ ending form for what Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and first translated into Roman as ‘relatio.’ We see here that we are talking of a ‘summum genus.’ For who other but a philosopher is going to lecture on the ‘pros it’? What Aristotle means is that Socrates is to the right of Plato. Finally, for Grice’s mode, there is Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers to Aristotle ‘te’ and translated in Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a better classicist than Kant, renders as ‘mode,’ and not the pretentious sounding ‘modality.’ Now for Kant, 12 categories are involved here. Why? Because he subdivides each summum genus into three sub-summum or ‘inferiore’ genus. This is complex. Kant would DISAGREE with Grice’s idea that a subject can JUDGE in generic terms, say, about the quantum. The subject has THREE scenarios. It’s best to reverse the order, for surely unity comes before totality. One scenario, he utters a SINGULAR or individual utterance (Grice on ‘the’). The CATEGORY is the first category, THE UNUM or UNITAS. The one. The unity. Second scenario, he utters a PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at least one). Here we encounter the SECOND category, that of PLURALITAS, the plurum, plurality. It’s a good thing Kant forgot that the Greeks had a dual number, and that Urquhart has fourth number, a re-dual. A third scenario: the nirvana. He utters a UNIVERSAL (totum) utterance (Grice on “all”). The category is that of TOTUM, TOTALITAS, totality. Kant does not deign to specify if he means substitutional or non-substitutional. For the quale, there are again three scenarios for Kant, and he would deny that the subject is confronted with the FUNCTION quale and be able to formulate a judgement. The first scenario involves the subject uttering a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this before introducing ‘not’ in “Indicative conditionals”“Let’s start with some unstructured amorophous proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but the nirvana “REALITAS,” Reality, reale.Second scenario, subject utters a PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio a category (why should he?), he does consider NEGATIO a category. Negation. See abdicatum. Third scenario, subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the category is that of LIMITATION, which is quite like NEGATIO (cf. privatio, stelesis, versus habitus or hexis), but not quite. Possibly LIMITATUM. Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario involves a categorema, PROPOSITIO CATEGORICA. Here Kant seems to think that there is ONE category called “INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and accident. There seem rather two. He will go to this ‘pair’ formulation in one more case in the relation, and for the three under modus. If we count the ‘categorical pairs’ as being two categories. The total would not be 12 categories but 17, which is a rather ugly number for a list of categories, unles it is not. Kant is being VERY serious here, because if he has SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is SECUNDA SUBSTANTIA or ‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia or PRIMA SUBSTANTIA as a category. It is defined as THE THING which cannot be predicated of anything! “SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING BUT THE SUBSTANCE can be seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny categories, reduce them to ‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario involves an ‘if’ Grice on ‘if’PROPOSITIO CONDITIONALIShypothetike protasis -- this involves for the first time a MOLECULAR proposition. As in the previous case, we have a ‘category pair’, which is formulated either as CAUSALITY (CAUSALITAS) and DEPENDENCE (Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’ (Effectum). Kant is having in mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of P. F. Strawson on Kant). For since this is the hypothetical, Kant is suggeseting that in ‘if p, q’ q depends on p, or q is an effect of its causeAs in “If it rains, the boots are in the closet.” (J). The third scenario also involves a molectural proposition, A DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA. Note that in Kant, ‘if’ before ‘or’! His implicaturum: subordination before coordination, which makes sense. Grice on ‘or.’ FOR SOME REASON, the category here for Kant is that of COMMUNITAS (community) or RECIPROCITAS, reciprocity. He seems to be suggesting that if you turn to the right or to the left, you are reciprocally forbidden to keep on going straight. For the modus, similar. Here Kant is into modality. Again, it is best to re-order the scenarios in terms of priority. Here it’s the middle which is basic. The first scenario, subject utters an ASSERTORIC. The category is a pair: EXISTENCE (how is this different from REALITY) and NON-EXISTENCE (how is this different from negation?). He has in mind: ‘the cat is in the room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the subject doubts. subject utters a problematical. (“The pillar box may be red”). Here we have a category pair: POSSIBILITIAS (possibility) and, yes, IMPOSSIBILITASIMPOSSIBILITY. This is odd, because ‘impossibility’ goes rather with the negation of necessity. The third and last scenario, subject utters an APODEICTIC. Here again there is a category pairyielding 17 as the final number --: NECESSITAS, necessity, and guess what, CONTINGENTIA, or contingency. Surely, possibilitas and contingentia are almost the same thing. It may be what Grice has in mind when he blames a philosopher to state that ‘what is actual is not also possible.’ Or not. Refs.: H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of Ariskant’s categories,” Ryle, “Categories.” “The named categories.” Ryle notes that when it comes to ‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a ‘relation’ as in higher than, or smaller than.“His idea of the molecular propositions has nothing to do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”

 

sub-positum, suppositum(literally, ‘sub-positum,’) -- cf. presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions. Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of personal supposition. This part of supposition theory divided personal supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’, “determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive” ‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a theory of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle Ages in the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice, “Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P. Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P. Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”

 

survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal consciousness after death or that one continues to exist only through one’s descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an individual, are not theories of survival. Although survival does not entail immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many theories of survival incorporate these features. Theories about survival have expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient behaviorism survival 892   892 Some philosophers have maintained that persons cannot survive without their own bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of recollection, in contrast, supposes that one can survive without any experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life  memories, skills, and character traits  were somehow duplicated into a data bank and erased from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that the person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body. Has the person survived, and if so, as whom? 

 

swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologianhardly an aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and justification of theistic belief and the rationality of living by that belief: TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since 5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian Religion at the  of Oxford, he has written a tetralogy about some of the most central of the distinctively Christian religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2, The Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most interesting feature of the trilogy is its contribution to natural theology. Using Bayesian reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by arguing that its probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard 893   893 by such things as the existence of the universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities to do good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious experience. The existence of evil does not count against the existence of God. On our total evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates and defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven, Hell, the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the grounds for supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and argues for a Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H. P. Grice, “Swinburne et moi.”

 

CVM-SENSATIO -- synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibilecum-sensibileco-sensatio, co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally associated with one sensory modality are or seem to be sensed in another. Examples include auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft moonlight” as well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and “bright smiles.” Two features of synaesthesia are of philosophic interest. First, the experience may be used to judge the appropriateness of sensory metaphors and similes, such as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is appropriate just when oboes sound sweet. Second, synaesthesia challenges the manner in which common sense distinguishes among the external senses. It is commonly acknowledged that taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or any other sense, but differs from them because taste involves gustatory rather than auditory experiences. In synaesthesia, however, one might taste sounds sweet-sounding oboes. G.A.G. syncategoremata, 1 in grammar, words that cannot serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions. The opposite is categoremata, words that can do this. For example, ‘and’, ‘if’, ‘every’, ‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are syncategorematic terms, whereas ‘dog’, ‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic ones. This usage comes from the fifth-century Latin grammarian Priscian. It seems to have been the original way of drawing the distinction, and to have persisted through later periods along syllogism, demonstrative syncategoremata 896   896 with other usages described below. 2 In medieval logic from the twelfth century on, the distinction was drawn semantically. Categoremata are words that have a definite independent signification. Syncategoremata do not have any independent signification or, according to some authors, not a definite one anyway, but acquire a signification only when used in a proposition together with categoremata. The examples used above work here as well. 3 Medieval logic distinguished not only categorematic and syncategorematic words, but also categorematic and syncategorematic uses of a single word. The most important is the word ‘is’, which can be used both categorematically to make an existence claim ‘Socrates is’ in the sense ‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula ‘Socrates is a philosopher’. But other words were treated this way too. Thus ‘whole’ was said to be used syncategorematically as a kind of quantifier in ‘The whole surface is white’ from which it follows that each part of the surface is white, but categorematically in ‘The whole surface is two square feet in area’ from which it does not follow that each part of the surface is two square feet in area. 4 In medieval logic, again, syncategoremata were sometimes taken to include words that can serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions, but may interfere with standard logical inference patterns when they do. The most notorious example is the word ‘nothing’. If nothing is better than eternal bliss and tepid tea is better than nothing, still it does not follow by the transitivity of ‘better than’ that tepid tea is better than eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’. Everything red is colored, but not everything that begins to be red begins to be colored it might have been some other color earlier. Such words were classified as syncategorematic because an analysis called an expositio of propositions containing them reveals implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps 2. Thus an analysis of ‘The apple begins to be red’ would include the claim that it was not red earlier, and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and 2. 5 In modern logic, sense 2 is extended to apply to all logical symbols, not just to words in natural languages. In this usage, categoremata are also called “proper symbols” or “complete symbols,” while syncategoremata are called “improper symbols” or “incomplete symbols.” In the terminology of modern formal semantics, the meaning of categoremata is fixed by the models for the language, whereas the meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions for the various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice, “Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”

 

syneidesis, conscientia -- synderesis: Grice disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup reckoned to be a corruption of the Greician “συνείδησις” shared knowledge, literally ‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or conscience,  the corruption appearing in the medieval manuscripts of what Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio  57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel Commentary67. συνείδησις , εως, ἡ, A. Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων (in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422 (ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3. knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4. consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] ChrysiStoic.3.43, cf. Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης” Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι” Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec. 10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12, Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.); “κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq. 6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ” SuEpigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do with the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy or Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I. To be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well (late Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’ ‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman ‘conscience’ (from cum-scire) --  by Aquinas. For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the most common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’ is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum)Grice: “In fact, Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect, sctium, future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’  like ‘synderesis’, is typically used for the state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general moral knowledge as well as its application here and now; but the content of synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such common moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a version of the Aristotelian doctrine that there are starting points of knowledge so easily grasped that the grasping of them is a defining mark of the human being. However perversely the human agent behaves there will remain not only the comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum) avoided, but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,” “Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”

 

synergism: in soteriology, the cooperation within human consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism 897   897 1569. Under the influence of Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox, predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism. Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism, Methodism, and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have professed versions of synergism. 

 

systems theory: the transdisciplinary study of the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type, or spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles common to all complex entities and the usually mathematical models that can be used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics, 6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This particular organization determines a system, which is independent of the concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people. Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis for their unification. Systems concepts include: system environment boundary, input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information. The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science, 1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems theory arose from the development of isomorphies between the models of electrical circuits and other systems. Applications include engineering, computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis, developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify possible courses of action, together with their risks, costs, and benefits. Systems theory is closely connected to cybernetics, and also to system dynamics, which models changes in a network of synergy systems theory 898   898 coupled variables e.g. the “world dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life, artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation. 

 

taddio: Luca Taddio (Udine), filosofo. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il dipartimento di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione all'Trieste conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi.  Il primo libro, Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico: l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio immaginale.  Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista: Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica, la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi e, dall'altro, in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge alla fenomenologia.  A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I due misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con Massimo Donà.  L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura.  In Verso un nuovo realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si conclude con un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del Nuovo realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele Severino.   Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia (Si veda: Alfabeta2; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria & Modelli”; “La Filosofia Futura”; “Philosophical Readings”;). Fonda, con Pierre dalla Vigna, Mimesis Edizioni: la società è detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006 costituisce, con Marco Brollo, lo studio grafico Mimesis Communication.  Nel  progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival MimesisTerritori delle idee.  A partire da una prima formazione politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica  (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio Radicale).  Nel  viene nominato dal Ministro Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova. Dall'anno accademico -19 è professore associato di estetica presso l'Università degli studi di Udine.  Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore, Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis,  L'affermazione dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con Damiano Cantone), Mimesis,  Global Revolution, Mimesis,  I due misteri. Da Magritte alla natura delle rappresentazioni pittoriche, Mimesis,  Verso un nuovo realismo. Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica, Jouvence,  Curatele Paolo Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, La guerra e il mortale. A lezione da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire Abitare Pensare, Mimesis, 2009 Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis,  La Terra e il Sacro. A lezione da Massimo Donà, Mimesis,  Città Metropoli Territorio, Mimesis,  David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis,  Manifesto per una sinistra cosmopolita, Mimesis,  Radicalmente liberi. A partire da Marco Pannella, con L. Caffo, Mimesis  In dialogo con Maurizio Ferraris, Mimesis  Note  Curriculum Luca Taddio , su lucataddio.com 1º giugno ).  Massimo DonàL'apparire della CosaLa Fenomenologia Eretica Di Luca Taddio, su youtube.com.  Uno scandalo per il pensiero, su ilsole24ore.com.  “aut aut” n. 368/, su autaut.ilsaggiatore.com.  Ma il realismo non è tutto nuovo, su corriere.it.  È il crepuscolo delle tradizioni, su corriere.it.  Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it.  Vuoti di sapere, su autaut.ilsaggiatore.com.  The Geopolitics of Cinema and the Study of Film, su cinemaetcie.net 24 settembre ).  Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it 7 maggio ).  La Filosofia Futura, su lafilosofiafutura.it.  PHILOSOPHICAL READINGSSpecial Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW PERSPECTIVES , su philosophicalreadings.files.wordpress.com.  Passione politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e L.Taddio, su youtube.com.  "Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su youtube.com.  Oratore: Luca Taddio, su radioradicale.it.  CDA Palazzo Reale Genova , su beniculturali.it.  Sito ufficiale, su lucataddio.it.  Registrazioni di Luca Taddio, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Intervista a E. Severino Artribune: intervista di Davide Dal.

 

Tagliabue:  Guido Morpurgo-Tagliabue (Milano), filosofo. Nato da padre ignoto e da giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo avvocato, assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo, si formò a Milano, laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a partire da due saggi del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il concetto dello stile (entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il posto di professore di Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al 1961), poi quello di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste (dal 1964 al 1982).  In precedenza aveva collaborato dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.  Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico.  Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel rapporto tra percezione e immaginazione).  Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche, formalistiche, fenomenologiche ecc.  In Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc.  Fu critico con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il confronto con il movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma continuò a tenere lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale.  Morì senza figli e senza essersi mai sposato a 90 anni, nel 1997.  A suo ricordo la sorella Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia a Trieste.  Opere principali I processi di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistenziale, Milano: F.lli Bocca, Dai romantici a noi, Milano: Marzorati, 1953 Aristotelismo e barocco, Milano: F.lli Bocca, L'esthétique contemporaine. Une enquête, Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del "gusto" nell'Italia del Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962 Linguistica e stilistica di Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia dei giudizi di valore, Trieste: Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i suoi problemi, Trieste: Istituto di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980 La nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale Monferrato: Marietti, 1983 Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi, 1984 Geologia letteraria, Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo: Aesthetica, 1987 Goethe e il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto nell'estetica del Settecento, Luigi Russo e Giuseppe Sertoli, Palermo: Centro internazionale studi di estetica, 2002 Introduzioni e prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo dell'artista nella societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982 Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano: Rizzoli, 1989 Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990 Note  Crf. la pagina sul sito dell'Trieste.  Numero speciale di "Esercizi filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo , Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, in "Aesthetica Pre-Print", 67, aprile 2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido», in Dizionario Biografico degli Italiani,  77, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Morpurgo  Guido Morpurgo-Tagliabue, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio politicamente scorretto necrologio di Claudio Magris, Corriere della Sera.

 

Tagliagambe: Silvano Tagliagambe (Legnano), filosofo. Si  è trasferito poi a Milano dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo Geymonat con cui si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E. Terleckij.  La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal 1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico.  Pensiero Il lavoro di ricerca di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto tra filosofia e fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e '900, in particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del '900.  Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e della semiotica nel pensiero scientifico. Ha elaborato il ruolo e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di informazione e comunicazione.  Ha elaborato i contributi sul profondo significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella comunicazione. Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia, mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato e la funzione dell'inconscio.  Ha ricostruito e interpretato l'intenso scambio dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il fondatore della psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi.   L'analisi tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso un'esegesi del pensiero di Florenskij.  Le ricadute del suo pensiero sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo pensiero. La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Nel  ha diretto il rifacimento del manuale di filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in collaborazione con Edoardo Boncinelli.[25]  Collabora dal  con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione (AD).  Note  (Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero)  (Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna).  Vedi L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS. Vedi Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica.Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss.  Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel  Vedi Epistemologia del confine  Vedi Il Sogno di Dostoevskij  (vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche  Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in Corriere della Sera lunedì 24 ottobre  che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”.  Vedi Come leggere Florenskij  Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij  vedi Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico  Vedi Individui e imprese: centralità delle relazioni  Vedi La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori  Vedi L'albero flessibile. La cultura della progettualità  Vedi Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto  Vedi La città possibile  Vedi People and Space. New Forms of interaction in City Project  Vedi: Epistemologia del cyberspazio  Vedi La comunicazione nell'era di Internet  Vedi Lo spazio intermedio, poi tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di confine.  Vedi La didattica e la rete  Vedi Più colta e meno Gentile  Vedi Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è  Vedi Nuovi percorsi per l'obbligo formativo  Vedi La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola,  La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti scuola. Opere: È autore di oltre 200 opere tra cui:  L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica. Feltrinelli, Milano, Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979; Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, D.I. Mendeleev, Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico introduttivo di S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino; L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI, Torino, 1994; Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari, Il sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari, La città possibile, (in collaborazione con G. Maciocco), Dedalo, Bari, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari,  L'albero flessibile. La cultura della progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica e la rete, Pitagora Editrice, Bologna, La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione con C. Crespellani Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBMEtas Libri, Milano, Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici, Roma, La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione dei linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, Filosofia della scienza (in collaborazione con G. Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia), Cortina, Milano,  Nuovi percorsi per l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Pisa, Pisa; Il pensiero unitario di Ludovico Geymonat, in collaborazione cn  Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano; Più colta e meno gentile. Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006; Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij, (in collaborazione con B. Antomarini) Franco Angeli, Milano,  Individui e imprese: centralità delle relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano, Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con V.Campione) Einaudi, Torino, Lo spazio intermedio, Università Bocconi Editore, Milano, Storia della filosofia,  XIII, Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, Storia della filosofia,  Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People and Space. New Forms of interaction in City Project”, (in collaborazione con G.Maciocco) Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, El espacio intermedio. Red, individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico) Raffaello Cortina, Milano, ; La libertà, le lettere, il potere, (in collaborazione con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, ; La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola   La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola   La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola. Opere di Silvano Tagliagambe, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.

 

Taglialatela: Pietro Taglialatela (Mondragone), filosofo. Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al 1856.  Dal 1860, lasciato il sacerdozio, tentò di arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia meridionale i nuovi ideali del movimento unitario.  Nel 1861, fu nominato professore di teologia all'Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì, sempre a Napoli, una scuola privata.  Incominciò da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano affascinato in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi di Bertrando Spaventa.  Non mancò, in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia».  Scritti: “Istituzioni di filosofia, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V. Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli, “La scienza, la vita e Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872; Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi, frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede, speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929;  D. Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma 1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari 1922 (poi in Storia del Regno di Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela, in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n. 47,  7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino, Vincenzo Gioberti Protestantesimo in Italia  Pietro Taglialatela. Biografia, pubblicazioni e  in "Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito della Società di studi valdesi. il 1º gennaio . Pietro Tagliatela, Apologia della dottrina filosofica di V. Gioberti (il testo in Google Libri).

 

Tagliapietra: Andrea Tagliapietra (Venezia), filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto la guida di Carlo Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l'Università degli studi di Sassari (1997-2004). Attualmente è Professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna Storia delle idee, Filosofia della cultura e Storia della filosofia.  Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero greco, sulla tradizione apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero moderno, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul ridere e sulla natura del personaggio comico. Ha curato, per Feltrinelli, Bollati Boringhieri e Bruno Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della "catastrofe"; opere di Platone, Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni, Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas Feuerbach, Louis-Sébastien Mercier.  Dal 2007 sta curando l'edizione delle opere complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche (Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità  ha vinto nel 2004 il Premio Viareggio per la saggistica. Nel  gli è stato conferito il premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" per il saggio Gioacchino da Fiore e la filosofia.  È direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista internazionale di filosofia Giornale critico di storia delle idee. È fondatore e direttore del Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee (CRISI), che ha sede presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo .  Opere principali: La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica, Feltrinelli, Milano (2ª ed. riveduta e accresciuta, Bollati Boringhieri, Torino) Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano  (2ª ed. riveduta, Bruno Mondadori, Milano ) La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Einaudi, Torino La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La force de la pudeur. Pour une philosophie de l'inavouable, Salvator, Paris ) Il dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino, Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti, il Mulino, Bologna  Sincerità, Raffaello Cortina, Milano  (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La sincérité, Salvator, Paris ) Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova  Non ci resta che ridere, il Mulino, Bologna  Alfabeto delle proprietà. Filosofia in metafore e storie, Moretti & Vitali Editori, Bergamo  Esperienza. Filosofia e storia di un'idea, Raffaello Cortina, Milano  Filosofia dei cartoni animati. Una mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino  Opere costituite da raccolte di lezioni Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello spirito, a c. di Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Tempo a termine e tempo senza fine. Breve storia figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione, con DVD-ROM delle lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Opere in collaborazione con altri autori con Gianfranco Ravasi, Non desiderare la donna e la roba d'altri, il Mulino, Bologna  (tr. francese, a c. di Robert Kremer, Tu ne convoiteras pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris ) con Renato Corrado, Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice San Raffaele, Milano  con Claudio Bartocci e Piero Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino, Bologna  Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di Andrea Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli, Feltrinelli, Milano, Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte, traduzione, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa Tetamo, Feltrinelli, Milano (7ª ed., ) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse, testo latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra, Feltrinelli, Milano, Immanuel Kant-Benjamin Constant, La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Rudolf Otto, Il sacro, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti, Gallone Editore, Milano 1998 Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di Paola Giacomoni, Bruno Mondadori, Milano  Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino, Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti filosofici, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato, Padova  Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, Andrea Tagliapietra e Marco Bruni, introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e traduzione di Marco Bruni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota biobibliografica di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino  Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, Inschibboleth, Roma  Immanuel Kant, Bisogna sempre dire la verità?, Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano  Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea Tagliapietra, in Agalma, Il rischio e il limite, di Andrea Tagliapietra, in Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo . L'ultimo gesto di Socrate. Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in Spazio Filosofico, n. 5, maggio . Tipologia del riso, di Andrea Tagliapietra, in Fillide, n. 5, settembre . Kant and the Idea of the End di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, n. 1, /1, The End. Corpo di pazienza di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, ISAP, Saggi ed Articoli (). Testi in rete Esser contro di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il volto del potere di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 2 luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio 2003/2004. La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di Andrea Tagliapietra in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno 2005/2006. Dire la verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra, in Giornale critico di storia delle idee, Anno IV, n. 8, . Interviste e video L'uomo è un animale che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Vita, n. 6, . Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Communitas, n. 4, . RAI Cultura: Andrea Tagliapietra: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al Festival di Filosofia (Modena ), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza. Eigentlichkeit und Dichtung? La filosofia della sincerità di Andrea Tagliapietra, di Vincenzo Pinto  Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che ridere di Andrea Tagliapietra, di Claudio Tugnoli  Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in "La Repubblica", Recensione ad Andrea Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Claudio Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno VI, 2004  Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .  Home page del Giornale Critico di Storia delle Idee  Home page del Centro di Ricerca in Storia delle IdeeCRISI  Home page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centroeuropeopalazzoborromeo.it. 17 giugno  17 giugno ).  Ciclo di dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo Badoer, a Venezia, dall'11 novembre  al 29 gennaio , nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il  I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Opere di Andrea Tagliapietra, .  Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Pagina docente con informazioni biografiche e bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele.

 

Tamburino: Tommaso Tamburini o Tamburino (Caltanissetta), filosofo.Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana. Entrò nella compagnia di Gesù a quindici anni, restò a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, successivamente fu incaricato dell'insegnamento di retorica, di filosofia e di teologia sistematica nel locale collegio gesuitico. A trent'anni fu trasferito nel collegio di Messina per insegnare teologia morale e a quarantacinque anni passò in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu esaminatore delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'Inquisizione.  Tommaso Tamburini durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conobbe lo scultore Johann Friedrich Greuter, che in quel periodo lavorava per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli affidò l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizzava finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie preparate dal confratello Ottavio Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della Madonna.  Così accanto all'imponente produzione filosofica del Tamburini, restano anche due edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di Greuter; l'opera non fu firmata dal gesuita. Di queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle "matrici", sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni.  Pensiero Il gesuita siciliano nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio singulorum cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel primo prevale la vis ratiocinandi (forza della ragione) e nel secondo la vis sentiendi (forza del sentimento). Ancora differenza c'è tra l'actio humana e l'actio hominis essendo la prima compiuta in perfetta consapevolezza, mentre nella seconda la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere violentum, coactum, necessarium (violento, costretto, necessario), venendo così a mitigare la colpa.  Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della epieìcheia (prudenza), riprendendo in un certo modo la tradizione tomista. A sostenere questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimase il Tamburino, le cui opere ebbero ampia diffusione in tutta Europa, dalla metà del Seicento fino al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mise sostanzialmente fine al rigorismo giansenista.  Il probabilismo del Tamburini incontrò ostilità negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani francesi, che spinsero il cardinale Retz, a farsi portavoce presso la Santa Sede per l'emanazione di un provvedimento di condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII, sollecitato più volte, condannò il probabilismo, furono censurate solo le tesi più estreme, senza peraltro indicare i nomi degli autori.  Nel 1679, un'altra condanna del probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI, quattro anni dopo la morte del Tamburini. Però questa volta il gesuita siciliano non subiva sanzioni ad personam, così Tommaso Tamburini passò alla storia della teologia morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura teologica siciliana. Nel 1753 fu sancita la completa riabilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata che Carlo Niceti diede alle stampe a Roma.  Opere (Confronta anche la "voce Tommaso Tamburini" in lingua inglese.) Gli scritti di teologia morale del Tamburini sono stati riuniti nella Opera Omnia, edita più volte in Italia e all'estero dal 1689.  Methodus Expeditae Confessionis (1647) Opuscola Tria de Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649) Expedita Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae Expedite Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657) Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus, quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694) [opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della Compagnia di Gesù. (senza data)  V. Baron, Theologia moralis adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665. R. Brouillard, Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S. Burgio, Il probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V. Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme, Colonia, 1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913 M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662.  Tommaso Tamburino, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Tacchi Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Tommaso Tamburino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tommaso Tamburino, . Tommaso Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.

 

Tafuri Matteo: Matteo Tafuri (Soleto), filosofo. Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico.   Il "Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità irripetibile di ogni Essere Umano.  Considerato alla stregua di un "Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici.  Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel 1672, nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia.  Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto:  «HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA»   Lo stemma della famiglia Tafuri nella casa natale di Soleto Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI secolo furono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei Turchi mussulmani che occupavano i loro territori.  "Del salentin suol gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà Professoree l'inizio del XVII, il più universalmente noto.  Partito da Soleto per Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e nella medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di gloria.  Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco, latino, matematica, fisica e medicina.  Tra i suoi allievi:  Giovan Tommaso CavazzaalchimistaGalatina (1540-1611) Giovan Paolo VernaleonematematicoGalatina (1527-1602) Francesco ScarpafilosofoSoleto (XVI sec) Quinto Mario Corradofilosofo umanistaOria (1508-1575) "Assiduo verso gli infermi", esercitò con zelo e successo la professione di medico ma mentre era "di modello coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti" fu dalla ignoranza popolana ritenuto un "Mago" perché cultore di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia.  Tornando da Padova, Parigi e Salamanca, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal Concilio di Trento.  Egli che portò per tutto il mondo l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente.  Il Codice Vaticano 2264, è testimonianzapressoché l'unica superstitedell'impegno speculativo di Matteo Tafuri.  Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a GallipoliNardò e LecceGalatone.Così troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è padrino al battesimo di Diego Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria fu sindaco di Gallipoli nel 1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, visse presso la corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri 1604-1673).  Note  Manni, La guglia di...30 Luigi Galante, Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni da un manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo di aracne'  Galatina,   Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41  Bernari42  Istoria scrittori Regno di Napoli G.B.Tafuri. Bernari. Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, 2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in "Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli" tomo VIII, Napoli, 1822. del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, 2003. Manni, L., Guida di Soleto, Galatina, 1992. Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, 1994. Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano, Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca "Personaggi del sole culturale", Lecce 2008  Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto.

 

Filippo Tarantino (Gravina), filosofo.. In ambito filosofico è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col quale è imparentato, e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la sezione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la psicologia e l'Umanesimo.   Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte 3Opere 4Note 5 6 Biografia Filippo Tarantino nasce nel 1943. Dopo la laurea in storia e filosofia, diviene insegnante delle stesse materie per i licei italiani; in particolare, insegnerà al liceo scientifico Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà l'attore Sergio Rubini.  Nel 1991 viene nominato dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al più alto numero di studenti mai raggiunto. Manterrà la carica fino al raggiungimento della pensione, avvenuta agli inizi degli anni .  Nel , in qualità di dirigente scolastico, si recò a Tokyo, in Giappone insieme a sua moglie per una "visita preparatoria di incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verificò un violento terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto.   Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni ) Presidente di circoscrizione del Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli[senza fonte] Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, 1995. Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari,  L'inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino, Bari, . L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, , Storia antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di Giuseppe Tarantino, Aracne Editrice, Note //aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986 //teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/  altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/  lions108ab.it/wp-content/uploads//06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf  lions.it/data/club.php?id=21110  Giuseppe Tarantino Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi  Sito web ufficiale e blog di Filippo Tarantino

 

Tarantino: Giuseppe Tarantino (Gravina), filosofo. Docente a Pisa. Nacque da Filippo Tarantino, nobile locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.  Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884.  In sua memoria dedicò al suo maestro il suo primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio; nello stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel 1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897. Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta a Napoli, alla quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo concorso, gli fu assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo, ma per motivi sentimentali vi rinunciò.  Insegnò dal 1886 al 1888 al Liceo Marciano, anno in cui ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Genovesi. Per un periodo abbandonò la sua relazione sentimentale per ritornare a lavorare sulle sue opere. Agli inizi del Novecento, vinse il concorso per la cattedra di filosofia morale dell'Pisa e questa volta accettò. A Pisa insegnò anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figurò anche il futuro ministro Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke.  Tra i suoi ex-studenti di Pisa più noti figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco Dentice di Accadia, prefetto di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò nella sua città natale Gravina in Puglia, dove visse nella casa di un nipote suo omonimo che aveva studiato sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla biblioteca "Ettore Pomarici Santomasi" di Gravina in Puglia una parte cospicua dei suoi libri.  A lui è stato intitolato il liceo scientifico della sua città natale Gravina in Puglia.  Opere: Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso, Aversa. Saggi filosofici, Napoli, Vincenzo Morano. Studio storico su Giovanni Locke, in Rivista di Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio sul criticismo e sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano,  In morte di Michelangelo Calderoni, Vecchi, Trani, Saggio sulla volontà, Napoli, Tip. editrice F. di Gennaro e A. Morano.  In morte di Antonietta Cagiati, nella necrologia per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli. Saggio sulle idee morali e politiche di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli,  Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa, Tip. A. Valenti, 1901. Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea, Napoli, A. Tessitore & figlio,  Il concetto dello stato ed il principio di nazionalità, Napoli. Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di G. Sottile. Napoli. Leonardo da Vinci e la scienza della natura. Nel centenario di L. da Vinci, La politica e la morale. Discorso , Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti,  Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia».  Cfr. Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti,  (Parzialmente consultabile in Google Libri.)  tarantino-inconscio-,  tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, Filippo Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino , Filippo Tarantino, Mario Adda Editore, Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, Beniamino D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe Tarantino .  Filippo Tarantino  Scheda biografica nel sito del Liceo statale Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia.

 

Tari Antonio: Antonio Tari (Villa Santa Maria Maggiore), filosofo. Epigrafe situata alla destra del portone d'ingresso del palazzo dove nacque Antonio Tari Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nacque in un palazzo seicentesco della non distante Villa Santa Maria Maggiore, l'odierna Santa Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio . Il palazzo natìo, conosciuto come palazzo Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi , era situato nell'allora strada della Croce, l'odierna via Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato.  Studiò a Montecassino, dove conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove si laureò in giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato .  Ben presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica, unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri pensatori liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Nel 1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma rifiutò il mandato per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era entrato per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco de Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio . Vi insegnò per oltre un ventennio, fino alla sua morte.  Si dedicò a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa editrice Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon Brothier , Sigismond Zaborowski-Moindron  e Eugene Noel , traduzioni pubblicate tra il 1881 e il 1885.  Il suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizzava per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni universitarie. Parte significativa dei suoi studi filosofici fu pubblicata postuma.  Il filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei saggi critici della Letteratura della Nuova Italia, definì Tari «giullare di Dio», vale a dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che «prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto».  Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, il pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare che la bizzarra genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali» .  A proposito dell'opera "Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce disse:  «Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, il Tari fu soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concedeva una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava pagine che sono di una specie assai rara nella nostra letteratura.»  Musica ed Estetica L'essenza giocosa si mischiava, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanziava e, in particolare, ad una delle “arti” al quale Tari era più attratto: la musica.  Tra il serio e il faceto, infatti, il filosofo, dopo aver pubblicato nel 1879 un interessante studio critico su Serietà e ludo, compose un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di Lezioni di estetica generale .  Questo indirizzo lo portò ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche sulla celebre pastorale di Beethoven .  Opere principali: “Estetica ideale, Tip. del Fibreno, Napoli. Ente spirito e reale. Confessioni filosofiche, Stamperia della Regia Università, Napoli 1872; Opera, melodramma, dramma: nota critica, Tip. della Regia Università, Napoli 1878; Serietà e ludo: saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli; Saggi di critica, con prefazione di R. Cotugno, Tip. Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e metafisica, B. Croce, Laterza, Bari; Estetica esistenziale, M. Leotta, Morano, Napoli  L'estetica reale, F. Solitario, Prometheus, Milano. A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna (ed. or. Sora 1915).  A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere,  A. Perconte Licatese, Santa Maria di Capua. Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere,  II, Tip. Stampa Sud, Curti. A. Lauri L. Brothier, Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli.  S. Zaborowski-Moindron, Origine del linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. E. Noel, Voltaire e Rousseau, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. B. Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici,  I, Laterza, Bari A. Tari, Lezioni di estetica generale, C. Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli A. Tari, Beethoven e la sua sinfonia pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici,  I, Laterza, Bari. Massimo Leotta, La filosofia di Antonio Tari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli. Francesco Solitario, Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce. Contributo per un recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario , L'Estetica di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo, Prometheus, Milano. Antonio Tari, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Antonio Tari, Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  , «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di Antonio Tari su cir.campania.beniculturali.it.

 

Tartarotti: Girolamo Tartarotti (Rovereto), filosofo. Chiamato anche Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Girolamo Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati.  Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e Parigi.  Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso l'Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale.  Al suo ritorno si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale Domenico Silvio Passionei.   Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra Dal 1730 al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante, e dove questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò, probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia degli Agiati.[nota 1]  Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739, morì il fratello Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più.  I viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si dimostrò poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri studiosi.  Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli.  Nel 1749 pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera più nota, nella quale dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e della stessa ortodossia dei cattolici.  Collaborò con Ludovico Antonio Muratori pubblicando nel suo venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum scriptores le sue conclusioni relative alla cronaca di Andrea Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie.  Durante i suoi ultimi anni continuò nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento, del 1754. Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel 1761. Intanto la salute di Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì il 16 maggio dello stesso anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento. Fu sepolto nella chiesa arcipretale di San Marco dove una targa a lato della porta d'ingresso lo ricorda.  La biblioteca Sempre amante dei libri, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, dal 1750 segretario dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei, Francesco.  Il Tartarotti si procurò libri anche grazie a donazioni, eredità e prestiti.  Al momento della sua morte, per esplicita volontà testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato il 22 gennaio 1764.  La prima biblioteca pubblica a Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi; si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati, sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione di chiunque.  Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi proveniva da Venezia.  I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata.  Tartarotti e gli agiati Lo studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella istituzione.  Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con Scipione Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano.  Opere  Casa di Girolamo Tartarotti, in via della Terra 15, a Rovereto Si riporta qui una piccola selezione di alcuni lavori di Girolamo Tartarotti, da non intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e confronto.  Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana, Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion,  De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto, Apologia del Congresso notturno delle Lammie, Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di Rovereto (1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere pubblicate nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà:  Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese, Dissertazione intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza delle voci nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:  Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni  Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati G.Baldi, p.50. Fonti  M.Farina, 9-14.  Mostra Tartarotti, p.4.  Mostra Tartarotti, p.11.   Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti, (check). R.Trinco, Mostra Tartarotti,  Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti,  Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca Civica G. Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di Rovereto. 23 giugno .  Gianmario Baldi, La Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia, Calliano,Trento, Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italianaStoria e testi" XLIVtomo I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti, Rovereto, Stella, Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel Settecento. Il carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli (1740-1748), Milano, Unicopli, . Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia degli Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, testi di Serena Gagliardi, Elena Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti, 1995,  88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Accademia Roveretana degli Agiati Bianca Laura Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti Clementino Vannetti. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Girolamo Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Girolamo Tartarotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Girolamo Tartarotti.

 

Tataranni: Onofrio Tataranni (Matera), filosofo. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo napoletano.  Nacque in Basilicata, a Matera, da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica: non a caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727) nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova.  Sin da ragazzo maturò quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il Tataranni non mostrò alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la direzione della sua Paggeria.  Grazie all'incarico conferitogli dal principe di Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare, fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di società.  Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794, quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente. Con questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in quegli anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore. La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana, quandodichiaravasicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, pubblicato il 12 febbraio 1799 ebbe il compito di educare i sudditi a divenire cittadini.  Alla caduta della Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condanll'«esportazione» e sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il 27 marzo 1803.  Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e religione.  Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i giusti diritti del suo Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e la «pubblica sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica distinzione del «Merito».  Notevole importanza era, poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni affermava l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta, seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica religiosa «semplice pura e brieve».  Dunque, il Tataranni predicava il ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui, in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente Supremo d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere «esenti dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere soggetti «alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili».  Opere La prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788: il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee democratiche.  La fiducia che Tataranni riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli il 25 luglio 1789.  Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790).  Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe il 12 febbraio 1799.  Note  Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'anticoXV.  Antonio LerraXVII.  Elvira Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini, Patrizia Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi Editore. Antonio LerraXXXVI.  Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali", Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, Antonio Lerra, L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale,  II, Sapri, Ed. del Centro Librario, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in Studi Meridionali, Luciano Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, il Mulino, 1999. Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Vivarium, Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, 2007. Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006. Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un riformatore napoletano in limine , in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario, fascicolo  Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia della Basilicata  Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale.

 

Tasso: Ritratto anonimo del Tasso, intorno al 1590 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544Roma, 25 aprile 1595) poeta, scrittore, drammaturgo e filosofo italiano.   Stemma dei Tasso di Cornello. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è la Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemme.   Il padre Bernardo Tasso. Torquato nacque a Sorrento l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola, e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna e pisane da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.  Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico ricordo, rimpiangendo  «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»  (Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore. All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con il quale poi restò in corrispondenza epistolare.  Ebbe un'educazione cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni (dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco forse i nov'anni», come scrisse egli stesso. Due anni dopo la sorella Cornelia, che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale, rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo rimase impresso nella sua memoria.   Guidobaldo II Della Rovere. Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote». Nella città pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.  La situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo.  A Urbino Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di Guidobaldo, e a Guidobaldo Del Monte, poi illustre matematico. In questo periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode della corte.  Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi in laguna nella primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al Rinaldo. Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate 413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel Tasso un talento straordinario.  Periodo universitario  Sperone Speroni Nel novembre 1560 Torquato si iscrisse per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule universitarie, affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace. Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione poetica che allo studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le dissertazioni teoriche tassesche futureprime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello Speronie lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica.  È in quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio a fare la conoscenza dei familiari del suo protettore. Torquato conobbe nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi.  Lucrezia, quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al risentimento e alla delusione.  Intanto, l'entourage cominciava ad avvedersi del talento del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal padre), e nel 1561 e 1562 gli furono commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due raccolte, furono le prime poesie pubblicate da Torquato.  Ancora più notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco, incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni.  Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i corsi universitari. Dopo due anni a Padova, Tasso proseguì gli studi all'Bologna, ma durante il secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante, alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare il percorso di formazione.  Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità. Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara.  Secondo questa versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga. La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo, rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto rassegnarsi al secondo scacco.  Ricerche recenti hanno tuttavia collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che fosse lei la seconda musa del Tasso.  I due canzonieri amorosi andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese.  Si legò anche all'Accademia degli Infiammati.  A Ferrara  Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este, al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana.  Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti simpatie.  La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso.  Nel 1568 diede alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M. G. B. Pigna, dove emerge la concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più tardi.  Compose anche i quattro Discorsi dell'arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino.  Nell'ottobre 1570 partì per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia, c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira.  Per il Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei canti era salito almeno a otto.  Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel periodo urbinate.  Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara, il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del cardinale.  Credeva incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la penisola, facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II.  In questo periodo continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del successo, nello stesso 1573 Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo.  Il capolavoro e la revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto», ma si deve aspettare fino al 6 aprile 1575 per avere l'annuncio del completamento del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo: «Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi presenti [...] E le giuro che se le condizioni del mio stato non m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così tosto, né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande piacere con cui da più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue angosce.[28]  Nel 1576 scrisse Allegoria, con cui rivisitava tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere religioso assunsero la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di assoluzione.[29]   Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno dopo, costituirono un intermezzo piacevoleforse l'ultimoin mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che, com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de genre e non rivelano altro che una sincera amicizia.[30]  Ma il Tasso si era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera le condizioni del mio stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga.  Le «condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia.[32]  L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la corte estense. Nel 1576 Torquato aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì più volte con un bastone.  Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che, durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano ottenendone una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne posso accertare».[33]  A far precipitare il rapporto con il duca e la corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]), attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35]  Le accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale. Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino, l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere a repentaglio i rapporti con la Santa Sede,vitali per casa d'Esteinformò immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno.[36] Alfonso mise il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli scagliò contro un coltello.   Il Castello Estense Tasso rimase nella prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S. Francesco.[37]  Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese invano perdono al suo signore.[38]  Tasso era indubbiamente provato dalle fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i critici non sono mai riusciti a trovare un accordo.  Intanto la prigionia el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna, proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39]  A Sorrento rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece inviare da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato, almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi della sua benignità».[40]  Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma, tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia nell'animo alcuno spirito di nobiltà».[41] Paura, instabilità?  Quello che è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venierche lo aveva incontrato a Veneziasembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia: «sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che pazzia».[42]  Anche gli scambi epistolari intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il dolore.[43] Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della propria vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:  «In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni»  Intanto continuava a vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe riuscito a entrare nella cittàera stato respinto dai doganieri perché in stato pietosose Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43]  Prigionia a Sant'Anna In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova Guglielmo.  Fu ospitato da Luigi d'Este, ma nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale Albano, recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo stipendio precedente.[47]  A questo punto i fatti precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tra l'11 e il 12 marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso nella prigione di Sant'Anna.[49]  Pare sicuro anche che le parole offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse (forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in pubblico, chiedevano una risoluzione drastica.  Il duca Alfonso II rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi "del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.   Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale, visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre anni coincisero con una sorta di isolamento.  Scrisse comunque ininterrottamente a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga, alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi anni di reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie, simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che, rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone.  Le condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle offese personali.  Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno 1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso «inetto al comporre».[53]  Si può poi ammettere che «il Tasso non fu semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio.  Dopo l'edizione veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel 1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicatenel tentativo di porre rimedio alla sciagurata operazionea Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni, Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande successo.  Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora più preciso pochi mesi dopo.[55]  Queste traversie editoriali addolorarono il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia. La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56]   Leonardo Salviati Il testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello, magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi. Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso di barbarismi e poco chiaro.[58]  La polemica continuò, visto che il Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso (testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di chese si esclude un ulteriore scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588)per qualche tempo le acque si calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura italiana.  Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e dialoghi[60]: fra i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583), Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[61]  Queste opere sviluppano tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario, diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del principe».[62]  Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici.  Tasso scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà (1579, 1581, modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o vero del Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il titolo Il Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di interagire amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà. Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il padre di famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata (1580, 1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o vero del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore (1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli (1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584, 1587).  In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe, dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]  Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il titoloGli intrichi d'amoredal Perini, uno degli attori dell'Accademia di Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66]  L'opera, ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e «profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco D'Ovidio.[68]   F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586 finì la prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico.  A Mantova Tasso ritrovò qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del secondo attoe che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo, ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71]  Si trattava comunque di una "libertà vigilata", e i fatti dell'autunno 1587 lo dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini, sedicente amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo di essere tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal Pontefice.[72] Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il peso della presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del settentrione.   Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone «a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è tanto più intessuta di travaglio e sofferenza:  «Vedi, che fra' peccati egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace fango.»  Torquato fu a Roma nell'autunno 1587 e fino alla primavera successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché. Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia.[74]  Vista l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile del 1588 Tasso ritornò nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua morte.  Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una medicina al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'operaun resoconto encomiastico delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo Tolomei, il fondatore della Congregazioneè fortemente intessuta di spirito cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima ottava.[76]  Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica. Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre Eugenio Donadoni utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti.  In ogni caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che erano state descritte, nel 1580, nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche lui lo avrebbe considerato un "folle".   Ferdinando I de' Medici A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si sentì di nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati: il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però, furono disattese.  Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]  Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga, egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86]  Gli ultimi anni del Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli, adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto ormai suo confidente.[87]  A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga, sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento scudi.[90]  Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta: «Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92] Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una pura chimera.  Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi; m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò, sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93]   Il Palazzo Ducale di Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di un'anima senza pace.[94]  Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591), accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del 4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.  Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga, uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio, accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del Taro.[97]  La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così, ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze. Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli.[98]  Ultimi anni  Cinzio Aldobrandini A questo punto, inaspettatamente, ci fu spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano, durato dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non tradì, né per quanto riguarda l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi meglio, e di conseguenza poté dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[100]  Gli ultimi tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri: compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.Tasso aveva intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata.  Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano osti negarlo e a considerarla un'invenzione del poeta.[102] «È veramente degno il Signor Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera ad Alfonso II, risalente all'agosto del 1593.[103]  Lo stesso Tasso è esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia».[104] Sennonché, pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio, per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595.  A Napoli rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine dell'anno ritornò a Roma.  Cambiò città per l'ultima volta: la fine era dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno, tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo». Il 1º aprile entrò al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita [...] Non è più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia conversazione in cielo».[106]   Monumento in Sant'Onofrio Il 25 aprile, all'«undecima ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La morte  del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo.  Presso il monastero, accanto alla strada è ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta spesso sedeva per riposarsi.  Albero genealogico Reinerius de Tassis[109] (1117) SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111] SconosciutaBenedetto Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco (†1504)Pasimo (o Paxio) de Tassis. (†1496) SconosciutaPietro Tasso. SconosciutaGiovanni Tasso[116] Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato Tasso Opere  Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di rilievo. Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello del capolavoro della maturità.  Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del paladino della tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli "antichi" (Omero e Virgilio), in parte i "moderni" (Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato culturalmente.  Rime Torquato Tasso compose un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581 uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei testi, distinguendo rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non realizzò il progetto.  Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa.  Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro, intessuta di elementi autobiografici.  Le Rime religiose sono caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e l'espiazione.  Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.  Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della favola».[118]  Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il sublime e il mediocre a seconda dei casi.  Aminta Magnifying glass icon mgx2.svg Aminta (Tasso).  Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione … L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice". Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze, movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo. Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione, e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.»  (Francesco De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel 1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto fine.  Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso.  Re Torrismondo Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista. L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno.  L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza.  Trama Torrismondo è intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso degli eventi ormai già predisposti.  Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti degli Intrichi d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e rivaleggiava con le migliori del tempo».[124]  Gerusalemme liberata Magnifying glass icon mgx2.svg Gerusalemme liberata.  Torquato Tasso con la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559 durante il soggiorno a Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata integralmente nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la Liberata.  Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione del Forno overo de la Nobiltà.  La dialogistica tassiana è stata da sempre relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo impegno fino alla morte.  Una valutazione più precisa è fornita da Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però, non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far rabbrividire i moderni filologi.  Un grande passo in avanti nella fortuna dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi, continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale.  Questo criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto anticipare una successiva edizione completa.  Negli ultimi anni gli studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel "Manso" di Torquato Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei "Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il premio Tasso  (Le virtù del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana[127]), preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso[128]).  L'edizione critica di Raimondi fornisce il testo dei venticinque dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari dialoghi:  Il Forno overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza; Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un poema in endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica. Il poema venne pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido riflesso.  Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della "poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento, scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della morte.  Influenze culturali  Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe il dramma Torquato Tasso (1790)[129].  In età romantica il poeta divenne il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio (commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (una delle Operette morali).  Molta parte della poesia recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno «concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta.  In generale, l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito" conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo.  Il poeta vicentino ottocentesco Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato appunto Il Torquato Tasso.  Nei primi anni del ventesimo secolo il compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo).  Torquato Tasso nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di Roberto Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel 1913 e nel 1918 ne farà due remake;  Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni (1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968).  Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTH). Laurea poetica (postuma) nastrino per uniforme ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma, 1595  Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso (1604), ed. da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», Giovan Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), B. Basile, Roma, Salerno Editrice, 1995 Pier Antonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp. Locatelli, 1790², 2 to. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935 Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, 1943 Capitoli di storie letterarie Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Cecchi e N. Sapegno, Milano, Garzanti, Marziano Guglielminetti, in Storia della civiltà letteraria italiana, dir. G. Barberi Squarotti, Torino, Utet, 1990,  III,  303–355 Guido Baldassarri, in Storia generale della letteratura italiana, N. Borsellino e W. Pedullà,  V. L'età della Controriforma. 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Dal petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Massimo Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 14, .[133] Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla letteratura del Rinascimento, cit.,  200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», Arnaldo Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», LIX-LXI (-),  89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto, Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, Pasquale Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, ,  365–376. Angelo Chiarelli, «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», ,  121, nº1,  34-43. Raimondi Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino 1994,  189-217. Bozzola Sergio, «Questo quasi arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi» Tassiani, in «Italianistica, Rivista di Letteratura Italiana», LIX 1998,  71-79. Baldassarri Guido, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in «Studi Tassiani», XX 1970,  5-46. Note  Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato TassoL'uomo, in Letteratura italianaGuida storica: Dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli Editore, Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997,  3, pag. 91; L. Tonelli, Tasso, Torino 193540  Lettere di Torquato Tasso, Firenze, Le Monnier, 1901,  II90  L. Tonelli, cit.42  G. Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943,  13-14.  G. Natali, cit.,  14-16  A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino 1895,  I,  51-52. Altri pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al periodo patavino o addirittura a quello bolognese.  G. Natali, cit.,   Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997,  3, pag. 96  G. Natali, cit.,  21-22  G. Natali, cit.20  L. Tonelli, cit.68  G. Natali, cit.22; L. Tonelli, cit.60  E. Durante, A. Martellotti, «Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso, Firenze, Olschki,   W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari 198110  Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia, 1994,  2/1653  L. Tonelli, cit.,  72-73; il rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, 1908  L. Tonelli, cit.82  Lettere, cit., I22  L. Tonelli, cit.89  L. Tonelli, cit.,  99-100  Lettere, cit., I49  Secondo Maria Luisa Doglio la data non è casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe infatti visto per l'unica volta Laura il 6 aprile 1327; cfr. M. L. Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma 200221  Lettere, cit., I61  Lettere, cit., I67  Lettere, cit., I114  Si tratta di un'epistola al Gonzaga del luglio 1575; Lettere, cit., I103  L. Tonelli117  S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996,  2/A367  L. Tonelli, cit.,  94-95  Lettere, cit, I141  Si trattava comunque di uno stipendio oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la sopravvivenza; L. Tonelli, cit.172  Lettere, L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, 1967303  A. Solerti, cit., II,  118-119  A. Solerti, cit., II,  120-121  A. Solerti, cit., II124  L. Tonelli, cit.176  G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, 1724,  IXXVIII  M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di preziosi codici tasseschi, Torino, 192519  M. Vattasso, cit.8  A. Solerti, cit., II139  L. Tonelli, cit.181  M. L. Doglio, cit.23  I. De Bernardi, F. Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana,  2, SEI, Torino, 1987  Lettere, cit., I298  Lettere, cit., I299  A. Solerti, cit., II143; così scrive al cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo  L. Tonelli, cit.182  Lettere, cit., II89  L. Tonelli, cit.187  A. Solerti, cit., I,  313-314  T. Tasso, Lettere, Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857, I,  166-168  A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto Lombardo548  L. Tonelli, cit.,  118-119  M. L. Doglio, cit.,  41 e ss.  Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e Franchi, 1724,  V412  L. Tonelli, cit.,  207-211  Infarinato era il nome accademico assunto dal Salviati  Tra parentesi sono indicate le date di pubblicazione  L. Tonelli, cit.216  Opere, cit., II276  Tra parentesi si indicano due date, quella di composizione e quella di pubblicazione  Lettere, cit., II56  La prima versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta  L. Tonelli, cit.238  L. Tonelli, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I475  L. Chiappini, cit303  L. Tonelli, cit.188  L.Tonelli,  247-248  A. Solerti, cit., II,  277 e ss.  Lettere, cit., IV,  8-9  L. Tonelli, cit.,  266-267  Lettere, cit., IV55  L. Tonelli, cit.,  270-273  G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, IIXI  E. Donadoni, Torquato Tasso, Firenze, Battistelli, 1921,  II225  G. B. Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di Torquato Tasso, Firenze 1724, cit.,  XLVI-XLVII  Lettere, cit., IV, p.152  Così al Costantini; Lettere, cit., IV149  Lettere, IV180  L. Tonelli, cit.275  Passo riportato in A. Solerti, cit., II323  A. Solerti, cit., II326  L. Tonelli, cit.276  Lettere, cit., IV265  Lettere, cit., IV,  296-297  Lettere, cit., IV334  Lettere, cit., IV333: "A niuno sono più obligato che a Vostra Eccellenza, ed a niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa da animo grato l'esser capace de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho voluto più lungamente ricusare il secondo suo dono di cento scudi, bench'io non abbia mostrato ancora alcuna gratitudine del primo; ma la conservo ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno sarà forse eterna, e ne l'altre durerà tanto, quanto la memoria de le mie fatiche. Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il promessogli poema Tancredi normando.  Lettera a Scipione Gonzaga, Lettere. E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio, in Cultura, aprile-giugno 1933,  310-311  Lettere, cit., V6  L. Tonelli, cit.278  Lettere, cit., V62  L. Tonelli, cit.,  278-279  C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,  I  L. Tonelli, cit.281  G. B. Manso, cit.LXVI  L.Tonelli, cit.,  282-283  L. Tonelli, cit.284  E. Rossi, c A. Solerti, cit.,  II  Lettere, cit., V194  Lettere, cit., V200  Lettera ad Antonio Costantini, in Lettere, cit., V203  Lettera di Maurizio Cataneo a Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II363  Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan Battista Strozzi, 28 aprile 1595; A. Solerti, cit., II361   Almanach du gotha, de J.-H. de Randeck, Les plus anciennes familles du monde: répertoire encyclopédique des 1.400 plus anciennes familles du monde, encore existantes, originaires d'Europe,   de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit433.   de A. M. H. J. Stokvis, Manuel d'histoire: Les états de Europe et leurs colonies, 1893.  de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato Tasso8.  de Niccolò Morelli di Gregorio, Della vita di Torquato Tasso7.  de Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso10.  (DE) de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit434.   de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie pendant le Moyen-âge125.  T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (C. Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875  Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15  A. Solerti, cit, I556; F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, U. Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento, Teramo, E. Donadoni, cit.,  II,  91-92  G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,  LXXXIV  L. Tonelli, cit.253  Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco, Res, 2007,  978-88-85323-53-7. 12 agosto .  Risposta di Roma a Plutarco e marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su storiaeletteratura.it. 12 agosto  12 agosto ). Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», ,  121, n°1,  34-43.. 12 agosto . «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», a. XLI, 2 ,  257-70.pdf . 12 agosto .  Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio, a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del poeta custodita all'interno dell'edificio sacro  Ad Angelo Mai, v. 124  G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Milano, Paravia, 2001,  3/A570  S. E. Failla, Ante Musicam Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma, Bonanno, Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella | Griselda Online, su griseldaonline.it. 29 marzo .  Torquato Tasso, commedia goldoniana Torquato Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a Ferrara Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Torquato Tasso Collabora a Wikiquote Citazionio su Torquato Tasso Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torquato Tasso  Torquato Tasso, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Torquato Tasso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 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Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll., Pisa, presso Niccolò Capurro, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, I dialoghi, Cesare Guasti, Firenze, Felice Le Monnier, Le rime di Torquato Tasso. Edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe Angelo Solerti, 4 voll., Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, Opere di Torquato Tasso

 

tautologum: The difference between a truth and a tautological truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand Russell’s theory of types” is possibly true. “It is not the case that a three-year old is an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins note, by coining implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN implying this or that, as opposed to what the man implies implying this or that. So, in Strawson and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be distinguished with the logical and necessary implication, i. e., the ‘tautological’ implication. Grice uses ‘tautological’ variously. It is tautological that we smell smells, for example. This is an extension of ‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without ‘analytic’ there is no ‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different wordstautologyMart. Cap. 5, § 535; Charis242 P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “ττὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2Phld. Po.Herc.994.30Hermog.Inv.3.15. Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic, Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war. 4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr. Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den Tatsachen durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind im negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum, worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den ganzen—unendlichen—logischen Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen logischen Raum und lässt der Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann daher die Wirklichkeit irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheit der Tautologie ist gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion unmöglich. (Gewiss, möglich, unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener Gradation, die wir in der Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD | →P/M] Das logische Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie der Satz. Also ist jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das Wesentliche des Symbols nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER [→OGD | →P/M] Einer bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine bestimmte logische Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i eb i g e Verbindung entspricht nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für jede Sachlage wahr sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn sonst könnten ihnen nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen. (Und keiner logischen Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der Gegenstände.) Tautologie und Kontradiktion sind die Grenzfälle der Zeichenverbindung, nämlich ihre Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich sind auch in der Tautologie und Kontradiktion die Zeichen noch mit einander verbunden, d. h. sie stehen in Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen sind bedeu- tungslos, dem S y m b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In the one case the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities. The truth-conditions are self-contradictory. In the first case we call the proposition a tautology, in the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER | →P/M] The proposition shows what it says, the tautology and the contradiction that they say nothing. The tautology has no truth-conditions, for it is unconditionally true; and the contradiction is on no condition true. Tautology and contradiction are without sense. (Like the point from which two arrows go out in opposite directions.) (I know, e.g. nothing about the weather, when I know that it rains or does not rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are, however, not nonsensical; they are part of the symbol- ism, in the same way that “0” is part of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are not pictures of the reality. They present no possible state of affairs. For the one allows every possible state of affairs, the other none. In the tautology the conditions of agreement with the world—the presenting relations— cancel one another, so that it stands in no presenting relation to reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions determine the range, which is left to the facts by the proposition. (The proposition, the picture, the model, are in a negative sense like a solid body, which restricts the free movement of another: in a positive sense, like the space limited by solid substance, in which a body may be placed.) Tautology leaves to reality the whole infinite logical space; contradiction fills the whole logi- cal space and leaves no point to reality. Neither of them, therefore, can in any way determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth of tautology is certain, of propositions possible, of contradiction impossible. (Certain, possible, impossible: here we have an indication of that gradation which we need in the theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The logical product of a tautology and a proposition says the same as the proposition. Therefore that product is identical with the proposition. For the essence of the symbol cannot be altered without altering its sense. 4.466 OGD [→GER | →P/M] To a definite logical combination of signs corresponds a definite logical combination of their meanings; every arbitrary combination only corresponds to the unconnected signs. That is, propositions which are true for ev- ery state of affairs cannot be combinations of signs at all, for otherwise there could only correspond to them definite combinations of objects. (And to no logical combination corresponds no combination of the objects.) Tautology and contradiction are the limiting cases of the combination of symbols, namely their dissolution. 4.4661 OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also combined with one another in the tautology and contradiction, i.e. they stand in relations to one another, but these relations are meaningless, unessential to the symbol. 4.46 P/M [→GER | →OGD] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In one of these cases the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities: the truth-conditions are contradictory. In the first case we call the proposition a tautology; in the second, a contradiction. 4.461 P/M [→GER | →OGD] Propositions show what they say: tautolo- gies and contradictions show that they say nothing. A tautology has no truth-conditions, since it is unconditionally true: and a contradiction is true on no condition. Tautologies and contradictions lack sense. (Like a point from which two arrows go out in opposite directions to one another.) (For example, I know nothing about the weather when I know that it is either raining or not raining.) 4.4611 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not, however, nonsensical. They are part of the symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic. 4.462 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of reality. They do not represent any possible situations. For the former admit all possible situations, and latter none. In a tautology the conditions of agreement with the world—the representational relations—cancel one another, so that it does not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M [→GER | →OGD] The truth-conditions of a proposition determine the range that it leaves open to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the negative sense, like a solid body that restricts the freedom of movement of others, and, in the positive sense, like a space bounded by solid substance in which there is room for a body.) A tautology leaves open to reality the whole—the infinite whole—of logical space: a contradiction fills the whole of logical space leaving no point of it for reality. Thus neither of them can determine reality in any way. 4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is certain, a proposition’s possible, a contradiction’s impossible. (Certain, possible, impossible: here we have the first indication of the scale that we need in the theory of probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product of a tautology and a proposition says the same thing as the proposition. This product, therefore, is identical with the proposition. For it is impossible to alter what is essential to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER | →OGD] What corresponds to a determinate logical combination of signs is a determinate logical combination of their meanings. It is only to the uncombined signs that absolutely any combination corresponds. In other words, propositions that are true for every situation cannot be combinations of signs at all, since, if they were, only determinate combinations of objects could correspond to them. (And what is not a logical combination has no combination of objects corresponding to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed the disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD] Admittedly the signs are still combined with one another even in tautologies and contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but these relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice would often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes ‘analyticity,’ or rather the analytic-synthetic distinction. Is it contradictory, or a self-contradiction, to say that one’s neighbour’s three-year-old child is an adult? Is there an implicaturum for ‘War is not war’? Grice refers to Bayes in WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as Peter Achinstein does (Newton was crazy, but not Bayesy).  We can now, in principle, characterize the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions, which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such action has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or) E2) and to their combination. If we suppose that, for each possible action, these desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose that one particular possible action scored higher (in actiondesirability relative to these ends) than any alternative possible action; and that this is the action which wins out; that is, is the action which is, or at least should, end p.105 be performed. (The computation would in fact be more complex than I have described, once account is taken of the fact that the ends involved are often not definite (determinate) states of affairs  (like becoming President), but are variable in respect of the degree to which they might be realized (if ones end is to make a profit from a deal, that profit might be of a varying magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood of a particular actions realizing the end of making a profit, but also the likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling the "Crazy-Bayesy" one I have just described. Grice was fascinated by the fact that paradox translates the Grecian neuter paradoxon. Some of the paradoxes of entailment, entailment and paradoxes. This is not the first time Grice uses paradox. As a classicist, he was aware of the nuances between paradox (or paradoxon, as he preferred, via Latin paradoxum, and aporia, for example. He was interested in Strawsons treatment of this or that paradox of entailment. He even called his own paradox involving if and probablility Grices paradox. tautologicum: Grice gives two examples: War is war, and Women are women“Note that “Men are men” sounds contingent.” tautology, a proposition whose negation is inconsistent, or self- contradictory, e.g. ‘Socrates is Socrates’, ‘Every human is either male or nonmale’, ‘No human is both male and non-male’, ‘Every human is identical to itself’, ‘If Socrates is human then Socrates is human’. A proposition that is or is logically equivalent to the negation of a tautology is called a self-contradiction. According to classical logic, the property of being Tao Te Ching tautology 902   902 implied by its own negation is a necessary and sufficient condition for being a tautology and the property of implying its own negation is a necessary and sufficient condition for being a contradiction. Tautologies are logically necessary and contradictions are logically impossible. Epistemically, every proposition that can be known to be true by purely logical reasoning is a tautology and every proposition that can be known to be false by purely logical reasoning is a contradiction. The converses of these two statements are both controversial among classical logicians. Every proposition in the same logical form as a tautology is a tautology and every proposition in the same logical form as a contradiction is a contradiction. For this reason sometimes a tautology is said to be true in virtue of form and a contradiction is said to be false in virtue of form; being a tautology and being a contradiction tautologousness and contradictoriness are formal properties. Since the logical form of a proposition is determined by its logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’, etc., a tautology is sometimes said to be true in virtue of its logical terms and likewise mutatis mutandis for a contradiction. Since tautologies do not exclude any logical possibilities they are sometimes said to be “empty” or “uninformative”; and there is a tendency even to deny that they are genuine propositions and that knowledge of them is genuine knowledge. Since each contradiction “includes” implies all logical possibilities which of course are jointly inconsistent, contradictions are sometimes said to be “overinformative.” Tautologies and contradictions are sometimes said to be “useless,” but for opposite reasons. More precisely, according to classical logic, being implied by each and every proposition is necessary and sufficient for being a tautology and, coordinately, implying each and every proposition is necessary and sufficient for being a contradiction. Certain developments in mathematical logic, especially model theory and modal logic, seem to support use of Leibniz’s expression ‘true in all possible worlds’ in connection with tautologies. There is a special subclass of tautologies called truth-functional tautologies that are true in virtue of a special subclass of logical terms called truthfunctional connectives ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical writings use ‘tautology’ exclusively for truth-functional tautologies and thus replace “tautology” in its broad sense by another expression, e.g. ‘logical truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many other logicians have used the word in its broad sense, but use of it in its narrow sense is widespread and entirely acceptable. Propositions known to be tautologies are often given as examples of a priori knowledge. In philosophy of mathematics, the logistic hypothesis of logicism is the proposition that every true proposition of pure mathematics is a tautology. Some writers make a sharp distinction between the formal property of being a tautology and the non-formal metalogical property of being a law of logic. For example, ‘One is one’ is not metalogical but it is a tautology, whereas ‘No tautology is a contradiction’ is metalogical but is not a tautology. 

 

telementationalism: see psi-transmission. The coinage is interesting. Since Grice has an essay on ‘modest mentalism,’ and would often use ‘mental’ for ‘psychological,’ it does make sense. ‘Ideationalism’ is analogous. this is a special note, or rather, a very moving proem, on Grices occasion of delivering his lectures on ‘Aspects of reason and reasoning’ at Oxford as the Locke Lectures at Merton. Particularly apt in mentioning, with humility, his having failed, *thrice* [sic] to obtain the Locke lectureship, Strawson did, at once, but feeling safe under the ægis of that great English philosopher (viz. Locke! always implicated, never explicited) now. Grice starts the proem in a very moving, shall we say, emotional, way: I find it difficult to convey to you just how happy I am, and how honoured I feel, in being invited to give these lectures. Difficult, but not impossible. I think of this university and this city, it has a cathedral, which were my home for thirty-six years, as my spiritual and intellectual parents. The almost majestic plural is Grices implicaturum to the town and gown! Whatever I am was originally fashioned here; I never left Oxford, Oxford made me, and I find it a moving experience to be, within these splendid and none too ancient walls, once more engaged in my old occupation of rendering what is clear obscure, by flouting the desideratum of conversational clarity and the conversational maxim, avoid obscurity of expression, under be perspicuous [sic]!. Grices implicaturum on none too ancient seems to be addressed to the truly ancient walls that saw Athenian dialectic! On the other hand, Grices funny variant on the obscurum per obscurius ‒ what Baker found as Grices skill in rendering an orthodoxy into a heterodoxy! Almost! By clear Grice implicates Lewis and his clarity is not enough! I am, at the same time, proud of my mid-Atlantic [two-world] status, and am, therefore, delighted that the Old World should have called me in, or rather recalled me, to redress, for once, the balance of my having left her for the New. His implicaturum seems to be: Strictly, I never left? Grice concludes his proem: I am, finally, greatly heartened by my consciousness of the fact that that great English philosopher, under whose ægis I am now speaking, has in the late afternoon of my days extended to me his Lectureship as a gracious consolation for a record threefold denied to me, in my early morning, of his Prize. I pray that my present offerings may find greater favour in his sight than did those of long ago. They did! Even if Locke surely might have found favour to Grices former offerings, too, Im sure. Refs.: The allusions to Locke are in “Aspects.” Good references under ‘ideationalism,’ above, especially in connection with Myro’s ‘modest mentalism,’ The H. P. Grice Papers, BANC.

 

telesio: philosopher whose empiricism influences Francis Bacon and Galileo. Telesio studies in Padova, where he completed his doctorate,  and practiced philosophy in Naples and Cosenza without holding any academic position. His major oeuvre, “De rerum natura iuxta propria principia,” contains an attempt to interpret nature on the basis of its own principles, which Telesio identifies with the two incorporeal active forces of heat and cold, and the corporeal and passive physical substratum. As the two active forces permeate all of nature and are endowed with sensation, Telesio argues that all of nature possesses some degree of sensation. Human beings share with animals a material substance produced by heat and coming into existence with the body, called spirit. They are also given a mind by God. Telesio knew various interpretations of Aristotle. However, Telesio  broke with foreign exegeses, criticizing Aristotle’s Physics and claiming that nature is investigated better by the senses than by the intellect. Bernardino Telesio (n. Cosenza) filosofo. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fece il "primo dei moderni" che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico.  Telesio è nato da genitori nobili in Cosenza , una città in Calabria, Italia meridionale. È stato istruito a Milano dallo zio, Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova . I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici , scienza e filosofia, che costituivano il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, ha iniziato il suo attacco sul aristotelismo medievale che poi fiorì a Padova e Bologna . Nel 1553 si sposò e si stabilì a Cosenza, diventando il fondatore dell'Accademia Cosentina . Per un certo periodo ha vissuto nella casa di Alfonso III Carafa , duca di Nocera. Nel 1563, o forse due anni più tardi, apparve la sua grande opera De Rerum Natura Iuxta Propria Principia ( Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi ), seguito da un gran numero di opere scientifiche e filosofiche di importanza sussidiaria. Le opinioni eterodosse, che ha mantenuto suscitato l'ira della Chiesa per conto del suo amato aristotelismo , e poco tempo dopo la sua morte i suoi libri sono stati immessi sul Index.  Steepto  Teoria della materia, calore e freddo Invece di postulare materia e forma, si basa l'esistenza sulla materia e la forza. Questa forza ha due elementi opposti: calore, che si espande, e fredde, che i contratti. Questi due processi rappresentano tutte le diverse forme e tipi di esistenza, mentre la massa su cui opera la forza rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo il suo moto avvantaggia il resto. I difetti evidenti di questa teoria, (1) che solo i sensi possono non comprendere materia stessa, (2) che non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da queste due forze, pensato non è meno convincente di Aristotles caldo / freddo , secca spiegazione / umido, e (3) che ha addotto alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo dal suo allievo, Patrizzi .  Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto era destinato a confutazione per mano di Copernico . Allo stesso tempo, la teoria era sufficientemente coerente per fare una grande impressione sul pensiero italiano. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra superlunar e fisica sublunare era certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando Telesio ha continuato a spiegare la relazione tra mente e materia, era ancora più eterodossa. Forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire; questione deve anche essere stato fin dal primo dotato di coscienza. Per la coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo lo porta a una forma di ilozoismo . Anche in questo caso, l'anima è influenzato dalle condizioni materiali; di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Ha inoltre dichiarato che tutta la conoscenza è sensazione ( "non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità.  Alla fine del suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi, ha aggiunto un elemento che era completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria percettiva.  L'intero sistema di Telesio mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le successive dell'empirismo , scientifico e filosofico, e segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di sperimentare e individuale responsabilità. Il ricorso a dati sensoriali  Statua di Bernardino Telesio in Piazza XV Marzo, Cosenza Telesio era il capo del grande movimento italiano del sud, che ha protestato contro l'autorità accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di Tommaso Campanella e Giordano Bruno , di Francis Bacon e René Descartes , con i loro risultati ampiamente divergenti. Egli, quindi, ha abbandonato la sfera puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua teoria della percezione sensoriale era essenzialmente una rielaborazione della teoria di Aristotele dal De anima ).  Telesio scrive all'inizio del Proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix ... "che la costruzione del mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagli antichi, ma è da intendersi per mezzo di osservazione." ( Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam. ) Questa affermazione, che si trova sulla prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria / freddo della materia informata, una teoria che non è chiaramente informato dalla nostra idea moderna di osservazione. Per Telesio, l'osservazione ( sensu percipiendam ) è un processo mentale molto più grande di una semplice registrazione dei dati, l'osservazione comprende anche il pensiero analogico.  Anche se Francis Bacon è generalmente accreditato al giorno d'oggi, con la codificazione di un induttiva metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a suggerire che la percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a Telesio. Bacone si riconosce Telesio come "il primo dei moderni" ( De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e Scientiis utilem, e nonnullorum Placitorum emendatorem & novorum hominum primum agnoscimus. , Da Bacon De principiis atque originibus ) per mettere l'osservazione di sopra di tutti gli altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di Telesio. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a Telesio e questa frase, invariabilmente fuori contesto, ha facilitato un malinteso generale della filosofia naturale telesiana dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in Telesio un alleato nella lotta contro l'antica autorità, ma ha poco positivo da dire su specifiche teorie di Telesio.  Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di Telesio di meccanizzare il più possibile. Telesio si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia informati dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agli esseri umani che introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute la mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un'anima. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe Dio impensabile e chiaramente questo non era il caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa di Dio.  Telesii, Bernardini (1586). De Rerum Natura Iuxta Propia Principii, Libri IX . Horatium Saluianum, Napoli. Oltre a De Rerum Natura , ha scritto:  de Somno De la quae in aere fiunt de Mari De cometis et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti Riferimenti Neil C. Van Deusen, Telesio: primo dei moderni (New York, 1932) link esterno  Wikimedia Commons ha mezzi relativi a Bernardino Telesio . Stanford Encyclopedia of Philosophy entry De La sua, Quae in aere Sunt, & de Terraemotibuspiena facsimile digitale a Linda Hall Library. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

tempus: cited by Grice and Myro in the Grice-Myro theory of identity. tense logic, an extension of classical logic introduced by Arthur Prior Past, Present, and Future, 7, involving operators P and F for the past and future tenses, or ‘it was the case that . . .’ and ‘it will be the case that . . .’. Classical or mathematical logic was developed as a logic of unchanging mathematical truth, and can be applied to tensed discourse only by artificial regimentation inspired by mathematical physics, introducing quantification over “times” or “instants.” Thus ‘It will have been the case that p,’ which Prior represents simply as FPp, classical logic represents as ‘There [exists] an instant t and there [exists] an instant tH such that t [is] later than the present and tH [is] earlier than t, and at tH it [is] the case that pH, or DtDtH t o‹t8tH ‹t8ptH, where the brackets indicate that the verbs are to be understood as tenseless. Prior’s motives were in part linguistic to produce a formalization less removed from natural language than the classical and in part metaphysical to avoid ontological commitment to such entities as instants. Much effort was devoted to finding tense-logical principles equivalent to various classical assertions about the structure of the earlierlater order among instants; e.g., ‘Between any two instants there is another instant’ corresponds to the validity of the axioms Pp P PPp and Fp P FFp. Less is expressible using P and F than is expressible with explicit quantification over instants, and further operators for ‘since’ and ‘until’ or ‘now’ and ‘then’ have been introduced by Hans Kamp and others. These are especially important in combination with quantification, as in ‘When he was in power, all who now condemn him then praised him.’ As tense is closely related to mood, so tense logic is closely related to modal logic. As Kripke models for modal logic consist each of a set X of “worlds” and a relation R of ‘x is an alternative to y’, so for tense logic they consist each of a set X of “instants” and a relation R of ‘x is earlier than y’: Thus instants, banished from the syntax or proof theory, reappear in the semantics or model theory. Modality and tense are both involved in the issue of future contingents, and one of Prior’s motives was a desire to produce a formalism in which the views on this topic of ancient, medieval, and early modern logicians from Aristotle with his “sea fight tomorrow” and Diodorus Cronos with his “Master Argument” through Ockham to Peirce could be represented. The most important precursor to Prior’s work on tense logic was that on many-valued logics by Lukasiewicz, which was motivated largely by the problem of future contingents. Also related to tense and mood is aspect, and modifications to represent this grammatical category evaluating formulas at periods rather than instants of time have also been introduced. Like modal logic, tense logic has been the object of intensive study in theoretical computer science, especially in connection with attempts to develop languages in which properties of programs can be expressed and proved; variants of tense logic under such labels as “dynamic logic” or “process logic” have thus been extensively developed for technological rather than philosophical motives. Refs.: H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” applied by H. P. Grice and G. Myro in the so-called “Grice-Myro theory of identity,” a time-relative identity, drawing from A. N. Prior, of Oxford, D. Wiggins, Wykeham professor of logic at Oxford, and Geach (married to an Oxonian donna),  time, “a moving image of eternity” Plato; “the number of movements in respect of the before and after” Aristotle; “the Life of the Soul in movement as it passes from one stage of act or experience to another” Plotinus; “a present of things past, memory, a present of things present, sight, and a present of things future, expectation” Augustine. These definitions, like all attempts to encapsulate the essence of time in some neat formula, are unhelpfully circular because they employ temporal notions. Although time might be too basic to admit of definition, there still are many questions about time that philosophers have made some progress in answering by analysis both of how we ordinarily experience and talk about time, and of the deliverances of science, thereby clarifying and deepening our understanding of what time is. What follows gives a sample of some of the more important of these issues. Temporal becoming and the A- and B-theories of time. According to the B-theory, time consists in nothing but a fixed “B-series” of events running from earlier to later. The A-theory requires that these events also form an “A-series” going from the future through the present into the past and, moreover, shift in respect to these determinations. The latter sort of change, commonly referred to as “temporal becoming,” gives rise to well-known perplexities concerning both what does the shifting and the sort of shift involved. Often it is said that it is the present or now that shifts to ever-later times. This quickly leads to absurdity. ‘The present’ and ‘now’, like ‘this time’, are used to refer to a moment of time. Thus, to say that the present shifts to later times entails that this very moment of time  the present  will become some other moment of time and thus cease to be identical with itself! Sometimes the entity that shifts is the property of nowness or presentness. The problem is that every event has this property at some time, namely when it occurs. Thus, what must qualify some event as being now simpliciter is its having the property of nowness now; and this is the start of an infinite regress that is vicious because at each stage we are left with an unexpurgated use of ‘now’, the very term that was supposed to be analyzed in terms of the property of nowness. If events are to change from being future to present and from present to past, as is required by temporal becoming, they must do so in relation to some mysterious transcendent entity, since temporal relations between events and/or times cannot change. The nature of the shift is equally perplexing, for it must occur at a particular rate; but a rate of change involves a comparison between one kind of change and a change of time. Herein, it is change of time that is compared to change of time, resulting in the seeming tautology that time passes or shifts at the rate of one second per second, surely an absurdity since this is not a rate of change at all. Broad attempted to skirt these perplexities by saying that becoming is sui generis and thereby defies analysis, which puts him on the side of the mystically inclined Bergson who thought that it could be known only through an act of ineffable intuition. To escape the clutches of both perplexity and mysticism, as well as to satisfy the demand of science to view the world non-perspectivally, the B-theory attempted to reduce the A-series to the B-series via a linguistic reduction in which a temporal indexical proposition reporting an event as past, present, or future is shown to be identical with a non-indexical proposition reporting a relation of precedence or simultaneity between it and another event or time. It is generally conceded that such a reduction fails, since, in general, no indexical proposition is identical with any non-indexical one, this being due to the fact that one can have a propositional attitude toward one of them that is not had to the other; e.g., I can believe that it is now raining without believing that it rains tenselessly at t 7. The friends of becoming have drawn the wrong moral from this failure  that there is a mysterious Mr. X out there doing “The Shift.” They have overlooked the fact that two sentences can express different propositions and yet report one and the same event or state of affairs; e.g., ‘This is water’ and ‘this is a collection of H2O molecules’, though differing in sense, report the same state of affairs  this being water is nothing but this being a collection of H2O molecules. It could be claimed that the same holds for the appropriate use of indexical and non-indexical sentences; the tokening at t 7 of ‘Georgie flies at this time at present’ is coreporting with the non-synonymous ‘Georgie flies tenselessly at t 7’, since Georgie’s flying at this time is the same event as Georgie’s flying at t 7, given that this time is t 7. This effects the same ontological reduction of the becoming of events to their bearing temporal relations to each other as does the linguistic reduction. The “coreporting reduction” also shows the absurdity of the “psychological reduction” according to which an event’s being present, etc., requires a relation to a perceiver, whereas an event’s having a temporal relation to another event or time does not require a relation to a perceiver. Given that Georgie’s flying at this time is identical with Georgie’s flying at t 7, it follows that one and the same event both does and does not have the property of requiring relation to a perceiver, thereby violating Leibniz’s law that identicals are indiscernible. Continuous versus discrete time. Assume that the instants of time are linearly ordered by the relation R of ‘earlier than’. To say that this order is continuous is, first, to imply the property of density or infinite divisibility: for any instants i 1 and i 2 such that Ri1i 2, there is a third instant i 3, such that Ri1i 3 and Ri3i 2. But continuity implies something more since density allows for “gaps” between the instants, as with the rational numbers. Think of R as the ‘less than’ relation and the i n as rationals. To rule out gaps and thereby assure genuine continuity it is necessary to require in addition to density that every convergent sequence of instants has a limit. To make this precise one needs a distance measure d ,  on pairs of instants, where di m, i n is interpreted as the lapse of time between i m and i n. The requirement of continuity proper is then that for any sequence i l , i 2, i 3, . . . , of instants, if di m i n P 0 as m, n P C, there is a limit instant i ø such that di n, iø  P 0 as n P C. The analogous property obviously fails for the rationals. But taking the completion of the rationals by adding in the limit points of convergent sequences yields the real number line, a genuine continuum. Numerous objections have been raised to the idea of time as a continuum and to the very notion of the continuum itself. Thus, it was objected that time cannot be composed of durationless instants since a stack of such instants cannot produce a non-zero duration. Modern measure theory resolves this objection. Leibniz held that a continuum cannot be composed of points since the points in any finite closed interval can be put in one-to-one correspondence with a smaller subinterval, contradicting the axiom that the whole is greater than any proper part. What Leibniz took to be a contradictory feature is now taken to be a defining feature of infinite collections or totalities. Modern-day Zenoians, while granting the viability of the mathematical doctrine of the continuum and even the usefulness of its employment in physical theory, will deny the possibility of its applying to real-life changes. Whitehead gave an analogue of Zeno’s paradox of the dichotomy to show that a thing cannot endure in a continuous manner. For if i 1, i 2 is the interval over which the thing is supposed to endure, then the thing would first have to endure until the instant i 3, halfway between i 1 and i 2; but before it can endure until i 3, it must first endure until the instant i 4 halfway between i 1 and i 3, etc. The seductiveness of this paradox rests upon an implicit anthropomorphic demand that the operations of nature must be understood in terms of concepts of human agency. Herein it is the demand that the physicist’s description of a continuous change, such as a runner traversing a unit spatial distance by performing an infinity of runs of ever-decreasing distance, could be used as an action-guiding recipe for performing this feat, which, of course, is impossible since it does not specify any initial or final doing, as recipes that guide human actions must. But to make this anthropomorphic demand explicit renders this deployment of the dichotomy, as well as the arguments against the possibility of performing a “supertask,” dubious. Anti-realists might deny that we are committed to real-life change being continuous by our acceptance of a physical theory that employs principles of mathematical continuity, but this is quite different from the Zenoian claim that it is impossible for such change to be continuous. To maintain that time is discrete would require not only abandoning the continuum but also the density property as well. Giving up either conflicts with the intuition that time is one-dimensional. For an explanation of how the topological analysis of dimensionality entails that the dimension of a discrete space is 0, see W. Hurewicz, Dimension Theory, 1. The philosophical and physics literatures contain speculations about a discrete time built of “chronons” or temporal atoms, but thus far such hypothetical entities have not been incorporated into a satisfactory theory. Absolute versus relative and relational time. In a scholium to the Principia, Newton declared that “Absolute, true and mathematical time, of itself and from its own nature, flows equably without relation to anything external.” There are at least five interrelated senses in which time was absolute for Newton. First, he thought that there was a frame-independent relation of simultaneity for events. Second, he thought that there was a frame-independent measure of duration for non-simultaneous events. He used ‘flows equably’ not to refer to the above sort of mysterious “temporal becoming,” but instead to connote the second sense of absoluteness and partly to indicate two further kinds of absoluteness. To appreciate the latter, note that ‘flows equably’ is modified by ‘without relation to anything external’. Here Newton was asserting third sense of ‘absolute’ that the lapse of time between two events would be what it is even if the distribution and motions of material bodies were different. He was also presupposing a related form of absoluteness fourth sense according to which the metric of time is intrinsic to the temporal interval. Leibniz’s philosophy of time placed him in agreement with Newton as regards the first two senses of ‘absolute’, which assert the non-relative or frame-independent nature of time. However, Leibniz was very much opposed to Newton on the fourth sense of ‘absolute’. According to Leibniz’s relational conception of time, any talk about the length of a temporal interval must be unpacked in terms of talk about the relation of the interval to an extrinsic metric standard. Furthermore, Leibniz used his principles of sufficient reason and identity of indiscernibles to argue against a fifth sense of ‘absolute’, implicit in Newton’s philosophy of time, according to which time is a substratum in which physical events are situated. On the contrary, the relational view holds that time is nothing over and above the structure of relations of events. Einstein’s special and general theories of relativity have direct bearing on parts of these controversies. The special theory necessitates the abandonment of frame-independent notions of simultaneity and duration. For any pair of spacelike related events in Minkowski space-time there is an inertial frame in which the events are simultaneous, another frame in which the first event is temporally prior, and still a third in which the second event is temporally prior. And the temporal interval between two timelike related events depends on the worldline connecting them. In fact, for any e  0, no matter how small, there is a worldline connecting the events whose proper length is less than e. This is the essence of the so-called twin paradox. The general theory of relativity abandons the third sense of absoluteness since it entails that the metrical structure of space-time covaries with the distribution of mass-energy in a manner specified by Einstein’s field equations. But the heart of the absoluterelational controversy  as focused by the fourth and fifth senses of ‘absolute’  is not settled by relativistic considerations. Indeed, opponents from both sides of the debate claim to find support for their positions in the special and general theories. H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” Tempus is ne of Arsitotle’s categories, along with spacecfr. Kantand Grice on Strawson’s “Individuals” -- time slice: used by Grice in two different contexts: personal identity, and identity in general. In identity in general, Grice draws from Geach and Wiggins, and with the formal aid of Myro, construct a system of a first-order predicate calculus with time-relative identity -- a temporal part or stage of any concrete particular that exists for some interval of time; a three-dimensional cross section of a fourdimensional object. To think of an object as consisting of time slices or temporal stages is to think of it as related to time in much the way that it is related to space: as extending through time as well as space, rather than as enduring through it. Just as an object made up of spatial parts is thought of as a whole made up of parts that exist at different locations, so an object made up of time slices is thought of as a whole made up of parts or stages that exist at successive times; hence, just as a spatial whole is only partly present in any space that does not include all its spatial parts, so a whole made up of time slices is only partly present in any stretch of time that does not include all its temporal parts. A continuant, by contrast, is most commonly understood to be a particular that endures through time, i.e., that is wholly present at each moment at which it exists. To conceive of an object as a continuant is to conceive of it as related to time in a very different way from that in which it is related to space. A continuant does not extend through time as well as space; it does not exist at different times by virtue of the existence of successive parts of it at those times; it is the continuant itself that is wholly present at each such time. To conceive an object as a continuant, therefore, is to conceive it as not made up of temporal stages, or time slices, at all. There is another, less common, use of ‘continuant’ in which a continuant is understood to be any particular that exists for some stretch of time, regardless of whether it is the whole of the particular or only some part of it that is present at each moment of the particular’s existence. According to this usage, an entity that is made up of time slices would be a kind of continuant rather than some other kind of particular. Philosophers have disputed whether ordinary objects such as cabbages and kings endure through time are continuants or only extend through time are sequences of time slices. Some argue that to understand the possibility of change one must think of such objects as sequences of time slices; others argue that for the same reason one must think of such objects as continuants. If an object changes, it comes to be different from itself. Some argue that this would be possible only if an object consisted of distinct, successive stages; so that change would simply consist in the differences among the successive temporal parts of an object. Others argue that this view would make change impossible; that differences among the successive temporal parts of a thing would no more imply the thing had changed than differences among its spatial parts would.  H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.”

 

TERMINATVM – TERMINANS – TERMINATURUM -- Terminus horos -- Cicero’s transliteration of the Greianism --. terminist logic, a school of semantics until its demise in the humanistic reforms. The chief goal of ‘terminisim’or terministic semantics -- is the elucidation (or conceptual analysis) of the  form, the “exposition,” of a proposition advanced in the context of Scholastic disputation. The cntral theory of terminisitc semantics concerns this or that property of this or that term, especially the suppositum. Terminisic semantics does the work of modern quantification theory. Important semanticists in the school include Peter of Spain, Sherwood, Burleigh (Burlaeus), Heytesbury, and Paolo Veneto. terminus a quo-terminus a quem distinction, the: used by Grice for the starting point of some process, as opposed to the terminus ad quem, the ending point. E. g., change is a process that begins from some state, the terminus a quo, and proceeds to some state at which it ends, the terminus ad quem. In particular, in the ripening of an apple, the green apple is the terminus a quo and the red apple is the terminus ad quem.

 

tertulliano: RomanGrice says that ‘you’re the cream in my coffee’ is absurd“Can you believe it?” -- Adored by Grice because he believed what he thought was absurd.  theologian, an early father of the Christian church. A layman from Carthage, he laid the conceptual and linguistic basis for the doctrine of the Trinity. Though appearing hostile to philosophy “What has Athens to do with Jerusalem?” and to rationality “It is certain because it is impossible”, Tertullian was steeped in Stoicism. He denounced all eclecticism not governed by the normative tradition of Christian doctrine, yet commonly used philosophical argument and Stoic concepts e.g., the corporeality of God and the soul. Despite insisting on the sole authority of the New Testament apostles, he joined with Montanism, which taught that the Holy Spirit was still inspiring prophecy concerning moral discipline. Reflecting this interest in the Spirit, Tertullian pondered the distinctions to which he gave the neologism trinitas within God. God is one “substance” but three “persons”: a plurality without division. The Father, Son, and Spirit are distinct, but share equally in the one Godhead. This threeness is manifest only in the “economy” of God’s temporal action toward the world; later orthodoxy e.g. Athanasius, Basil the Great, Augustine, would postulate a Triunity that is eternal and “immanent,” i.e., internal to God’s being.  Tertulliano  Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai cercando il nome proprio di persona, vedi Tertulliano (nome).  Tertulliano Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (in latino: Quintus Septimius Florens Tertullianus; Cartagine, 155 circa230 circa) , conosciuto semplicemente come Tertulliano, è stato uno scrittore romano, filosofo e apologeta cristiano, fra i più celebri del suo tempo. Negli ultimi anni della sua vita entrò in contatto con alcune sette ritenute eretiche, come quella riconducibile al prete Montano; per questo motivo fu l'unico apologeta cristiano antico, insieme ad Origene Adamantio, a non ottenere il titolo di Padre della Chiesa.Tertulliano nacque a Cartagine verso la metà del II secolo (intorno al 155) da genitori pagani (patre centurione proconsulari, figlio di un centurione proconsolare) e, dopo essere stato verosimilmente iniziato ai misteri di Mitra, compì gli studi di retorica e diritto nelle scuole tradizionali imparando il greco. Visse durante l'impero di Settimio Severo e Caracalla.  Dopo una giovinezza dissipata esercitò la professione di avvocato dapprima in Africa e in seguito a Roma; ritornò quindi nella città natale e probabilmente verso il 195 si convertì al cristianesimo, attratto forse dall'esempio dei martiri (Cfr. Apol. 50,15; Ad Scap. 5,4) Nel 197 scrisse la sua prima opera, Ad nationes ("Ai pagani").  Presi gli ordini sacerdotali, adottò posizioni religiose molto intransigenti e nel 213 aderì alla setta religiosa dei montanisti, nota proprio per la sua intransigenza e il suo fanatismo. Anche nel periodo montanista, per Tertulliano la Chiesa è sempre "Madre".  Negli ultimi anni della sua vita abbandonò il gruppo per fondarne uno nuovo, quello dei tertullianisti. Quest'ultima setta era ancora esistente all'epoca di sant'Agostino, che riferisce di averla fatta rientrare nell'alveo dell'ortodossia. Le ultime notizie che si possiedono su Tertulliano risalgono al 222, quando attaccò polemicamente il pontefice romano Callisto. La sua morte si data dopo il 230.  Pensiero Tertulliano è un grande teorico e un acuto pensatore che assume un posto di rilievo nel panorama letterario del suo tempo.  Dottrina trinitaria È considerato un grande teologo cristiano soprattutto perché pensa ed esprime la teologia trinitaria attraverso una terminologia latina rigorosa. A lui si deve l'introduzione del termine "persona", nella teologia Trinitaria.  Tertulliano fu storicamente il primo scrittore ecclesiastico ad utilizzare la parola latina trinitas ("Trinità") con riferimento al Dio biblico e a definire Dio come unam substantiam in tribus cohaerentibus (Adversus Praxean, 12:7), chiamati anche personae, mutuando i termini di persona e di sostanza dalla metafisica stoica. In questo modo, distingueva l'unicità della sostanza divina rispetto alla pluralità delle tre persone, tra loro coeterne e consustanziali in un piano paritetico (per quanto concerne la sostanza).  Tertulliano sottolineò il fatto che la processione presume la superiorità del Padre Dio rispetto al Figlio Dio e allo Spirito Santo Dio, da Lui inviati, pur non negando la loro consustanzialità e coeternità "paritetica" dal punto di vista della sostanza. Da queste considerazioni derivò il fatto che la relazione fra il Padre Dio e il Figlio Dio non è coeterna, bensì l'effetto della libera volontà di Dio di creare l'universo. Tertulliano elaborò un concetto di economia della salvezza, che vede la generazione del Figlio già in qualità di Salvatore e di Redentore e che assorbe il Logos all'interno del mistero trinitario.  La dottrina di Tertulliano anticipava di circa un secolo il concilio di Nicea. La sua importanza storica fu notevolmente rivalutata dalla teologia moderna. Il teologo Roger Olson lo definì come il padre della dottrina trinitaria, mentre il gesuita francese Joseph Moingt, nella sua opera Théologie trinitaire de Tertullien affermò che il Contra Praxeam fu il primo trattato trinitario nella storia della Chiesa. La sua dottrina non fu considerata perfettamente conforme alla formula nicena. Alcuni Padri della Chiesa lo accusarono di coltivare una forma di subordinazionismo affine all'arianesimo.  La dottrina dell'anima naturaliter cristiana Nell'Apologeticum, Tertulliano afferma che l'anima "sebbene rinchiusa nel carcere del corpo [...] come dopo l'ubriachezza [...] nomina Dio con un solo nome". Tali espressioni linguistiche sono per il pensatore cartaginese, testimonianze dell'anima chenonostante l'assenza di sovrastrutturespontaneamente menziona Dio. Tale "scoperta", per Tertulliano, ha come obiettivo quello di dimostrare la naturalezza del sentimento religioso senza dover ricorrere alle astrusità dei filosofi.  Tertulliano dedica uno scritto apposito a tale questione: il De testimonio animae (La testimonianza dell'anima). In questo piccolo libro, l'apologeta cristiano dichiara espressamente di non voler essere aiutato da chi in precedenza abbia, in modo artificiale, utilizzato le fonti pagane per "documentare che noi cristiani non abbiamo abbracciato alcuna dottrina nuova o mostruosa" ma suo obiettivo è andare a ricercare le fonti dell'anima nella loro purezza più originaria.  Quest'operazione, nella sua formulazione, ha un impianto di derivazione stoica e più precisamente si rivedono echi della dottrina dell'anticipazione. Come dice I. Vecchiotti "ciò che interessa di più in questa sede è l'accento messo sull'ambiente tertullianeo e il modo come questo accento è messo. È messo cioè in modo da supporre che effettivamente il sentimento religioso costituisca un primum rispetto ad ogni altra determinazione: quando questa intervienevuol dire che essa rappresenta una maculazioneeconomica o psicologicasulla nobiltà del sentimento originario".  Dunque, Tertulliano riconosce che il "concetto di Dio" (per lo più quando lo si esprime, quando lo si dice) viene fuori nel momento in cui il soggetto umano si allontana da tutti i tipi di costruzioni artificiali: e tale spontaneità è sintomo dell'intrinseca presenza della religione cristiana all'interno di ogni soggettività ed è l'indicazione fondamentale della superiorità della religione cristiana rispetto alle molteplici religioni pagane.  Il Credo quia absurdum È attribuita a Tertulliano la famosa locuzione latina Credo quia absurdum. In realtà l'apologeta cristiano non parla mai di "assurdità" del concetto di Dio ma ritiene che dalla "incomprensibilità" di quest'ultimo possa essere compresa la sua realtà.   «Hoc est, quod deum aestimari facit, dum aestimari non capit.» «Questo è ciò che ci fa comprendere Dio, il fatto che non lo si può comprendere.»  (Apologeticum, 17, 3,) Un'altra affermazione che si immette nel solco sin qui delineato è quella che si trova in De Carne Christi V, 4: "Natus est Dei Filius; non pudet, quia pudendum est: et mortuus est Dei Filius; prorsus credibile est, quia ineptum est" che si traduce in: "Nacque il Figlio di Dio; non è vergognoso, perché v'è da vergognarsi: e il Figlio di Dio è morto: che è del tutto credibile, poiché è del tutto incredibile".  La tecnica della praescriptione Importantissima risulta storicamente e dogmaticamente la sua opera De praescriptione haereticorum, in cui egli giunge alla conclusione fondamentale che è inutile disputare con gli eretici sulla base della Scrittura, poiché essi continueranno a loro volta a fare lo stesso. La regula fidei contiene l'interpretazione autorevole della Scrittura ed essa è trasmessa integralmente e fedelmente solo dove sussiste la successione apostolica, cioè dai vescovi legittimi, appartenenti all'unica Chiesa cattolica e ortodossa. Ruolo primaziale nella conservazione dell'autentico deposito della fede lo ha la sede vescovile di Roma.  Altri aspetti del pensiero Alcune opere di Tertulliano (De spectaculis, De virginibus velandis, De cultu feminarum) sono improntate ad un estremo rigorismo morale che condanna ogni mondanità e diletto terreno come un'insidia diabolica; la donna stessa, discendente di Eva, è vista come una creatura del demonio. Tale rigorismo indusse Tertulliano ad aderire al montanismo che predicava l'imminenza della resurrezione della carne e l'avvento del regno di Cristo, rifiutava la gerarchia della Chiesa e prescriveva una vita ascetica distaccata dal mondo.  Degna di nota è la sua affermazione: “Caro salutis est cardo”, “la carne è il cardine della salvezza”.  Come molti pensatori del tempo anche Tertulliano era contrario alla pratica della contraccezione, celebre è infatti il principio da lui esposto secondo il quale: "Impedire la nascita di un bambino significa commettere un omicidio anticipato".  Linguaggio Alla fine del II secolo e all'inizio del III, Tertulliano è fra i primi scrittori cristiani in lingua latina e sicuramente uno dei primissimi teologi che scrivono in questa lingua. Usa nei suoi scritti un linguaggio specificamente tecnico preso dal gergo avvocatizio e costruisce i periodi in modo volutamente irregolare, con interrogazioni, esclamazioni, battute ad effetto, giochi di parole, anastrofe, metafore, così da rendere più incisivo il discorso. Lo stile è veemente, polemico e aspro.  L'espressione libero arbitrio è entrata nel vocabolario filosofico con Tertulliano, che per primo usò il termine «liberum arbitrium» per tradurre il greco αὐτεξούσιος (autexousios) di Epitteto.  Opere  Septimi Florensis Tertulliani Opera, 1598 Sono pervenute trenta opere teologiche e polemiche contro i pagani, contro gli avversari religiosi e contro alcuni cristiani che non condividevano le sue tesi.  Periodo cristiano (197-206)  Ad nationes (197): in difesa del Cristianesimo contro i pagani; Apologeticum (197): una impetuosa difesa in nome della libertà di coscienza, sia contro i delitti manifesti imputati ai cristiani, sia contro i cosiddetti crimina occulta, come incesti, infanticidi e altre depravazioni morali pagane; De testimonio animae (198/200); Adversus Iudaeos (prima del 207); opera di polemica dottrinale contro gli Ebrei; Ad martyras: esortazione ad un gruppo di cristiani incarcerati e condan morte; De spectaculis: opera in cui vengono considerati immorali gli spettacoli teatrali e circensi; De oratione; De patientia; De cultu feminarum; Ad uxorem; De praescriptione haereticorum: contro i cristiani che contaminano la fede con filosofie pagane e con interpretazioni troppo libere della Bibbia; Adversus Hermogenem; De baptismo; De paenitentia. Periodo influenzato dal montanismo (207-212)  Ad Scapulam (212): l'opera è indirizzata al governatore dell'Africa proconsolare che stava conducendo una campagna contro i cristiani; De idolatria: contro quelle attività economiche legate in qualche modo al paganesimo; De corona: contro il servizio militare che non poteva essere compatibile con chi si professava cristiano; De exhortatione castitatis; De virginibus velandis: opera in cui vengono fatte considerazioni sulla donna, considerata alla stregua di un essere inferiore; per esempio, secondo Tertulliano, deve apparire rigorosamente velata; Adversus Marcionem, Adversus Praxean e altre: opere (trattati) di carattere violentemente polemico contro avversari religiosi; Adversus Valentinianos; De Scorpiace; De anima: (212) è l'opera più importante, nella quale Tertulliano rielabora anche fonti pagane; De carne Christi; De resurrectione mortuorum. Periodo apertamente montanista (213-220)  De fuga in persecutione; De pallio; Adversus Praxean; (prima definizione della formula del rapporto tra una sola sostanza e tre Persone). De ieiunio adversus Psychicos; De Monogamia; De pudicitia: contro i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Note  I requisiti per essere definito Padre della Chiesa sono elencati in Johannes Quasten, Patrologia, Torino, Marietti, 1980,  112.  San Girolamo, De viris illustribus, 53.  Battista Mondin, Storia della teologia.  1: Epoca patristica, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, Tertulliano, Difesa del cristianesimo = Apologeticum, Marta Sordi, Attilio Carpin, Moreno Morani, San Clemente, Adversus Praxean, 27, 11: "Videmus duplicem statum, non confusum sed coniunctum in una persona Deum et hominem Iesum", (Noi osserviamo una duplice condizione, non confusa ma congiunta in una sola persona, Dio e l'uomo Gesù", trad. di G. Scarpat, Torino, SEI, 1985143)  Bryan M. Liftin, Tertullian on the Trinity (XML), in Perichoresis: The Theological Journal of Emanuel University, Roger Olson, The Story of Christian Theology: Twenty Centuries of Tradition and Reform. Downers Grove, IL: InterVarsity,  Parigi, Aubier, 1966, 4 volumi; la citazione è nel volume I53.  Tertulliano, Apologeticum, 17, 5-6.  Tertulliano, De testimonio animae, 1, 2.  Icilio Vecchiotti, La filosofia di Tertulliano, Pubblicazioni dell'Urbino, Argalia editore. Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, ed. Paravia, Torino, De carnis resurrectione, 8,3.  Tertulliano, Apologeticum, 9,2.8.  De anima, 21, 6.  "Che cos'è, dunque, che fa l'uomo incoercibile e padrone di se stesso? (αὐτεξούσιον)" Epitteto, Diatribe, IV, 1, 62.  René Braun, Deus christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullien, Parigi, Études augustiniennes, 1977 (seconda edizione ampliata, prima edizione 1962). A. Capone, “Il problema del male in Tertulliano: l'eresia” in Pagani e Cristiani alla ricerca della salvezza (secoli I-III), Atti del XXXIV Incontro di studiosi dell'antichità cristiana. Roma, 5-7 maggio 2005, Roma, A. Capone, “Plinio il Vecchio e Tertulliano: scrittura e riscrittura”, Auctores Nostri, A. Capone, “Osservazioni sull'ironia di Tertulliano nell'Adversus Valentinianos”, Auctores Nostri Gosta Claesson, Index Tertullianeus, Parigi, Études augustiniennes, Pietro Podolak, Introduzione a Tertulliano, Brescia, Morcellaiana, Tertulliano, [Opere], Parisiis, apud Laurentium Sonnium, via Iacobaea, Icilio Vecchiotti, La filosofia di Tertulliano, Pubblicazioni dell'Urbino, Argalia editore, 1970. Dario Annunziata, Temi e problemi della giurisprudenza severiana. Annotazioni su Tertulliano e Menandro, Editoriale Scientifica, Napoli. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tertulliano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tertulliano, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Tertulliano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Tertulliano, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  (DE) Tertulliano, su ALCUIN, Ratisbona.   Opere di Tertulliano, su Musisque Deoque.  Opere di Tertulliano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tertulliano, . Tertulliano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina, su documentacatholicamnia.eu. con indici analitici a traduzioni in francese, inglese, russo e tedesco. Chronica Tertullianea et Cyprianea, su etudes-augustiniennes.paris-sorbonne.fr.  esaustiva della letteratura cristiana fino alla morte di Cipriano (258) Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Tertulliano tenuta durante l'Udienza generale.

 

tessitore: Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Deputato della Repubblica Italiana LegislatureXV Legislatura Gruppo parlamentarePD-Ulivo CoalizioneL'Unione CircoscrizionecircoscrizioneXIXCollegioCampania1Incarichiparlamentari Membro della 7ª Commissione (Cultura, scienza e istruzione) dal 6 giugno 2006 Sito istituzionale Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXIV Legislatura Gruppo parlamentareDemocratici di Sinistral'Ulivo CircoscrizioneCollegio: 2 (Napoli Bagnoli) Incarichi parlamentari Membro della Commissione per la biblioteca dal 30 luglio 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) dal 22 giugno 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) dal 7 ottobre 2003 al 27 aprile 2006 Sito istituzionale Dati generali Partito politicoDemocratici di Sinistra Titolo di studioLaurea in giurisprudenza UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II ProfessioneDocente universitario. Fulvio Tessitore (Napoli), filosofo. Si è laureato in giurisprudenza (la sua tesi ricevette dignità di stampa) presso l'Università degli Studi di Napoli, allievo di Pietro Piovani. -- è libero docente "per meriti eccezionali" in Filosofia del diritto; l'anno successivo diventa Professore. Ha dapprima insegnato, dal 1965 al 1975, Storia delle dottrine politiche; quindi, dal 1975 in poi, Storia della filosofia. È stato preside della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno dal 1968 al 1973. Dal 1978 al 1993 è stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore dal 1993 al 2001.  Dal dicembre del 1983 è socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie nazionali italiane e straniere. È professore emerito della Facultad de Humanidades dell'Università Centrale del Venezuela, con sede a Caracas, e professore onorario della Università dell'Avana (Cuba). Ha tenuto lezioni nelle Düsseldorf, Erlangen-Nürnberg (Norimberga), Braunschweig, Valencia, Halle-Wittenberg, Salamanca, Siviglia e molte altre. Ha diretto il Centro di studi vichiani del CNR dal 1970 al 1995 ed oggi fa parte del Consiglio scientifico dello stesso Centro.  È presidente della Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani e del Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo". È presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Internazionale D'Amato onlus. È socio onorario dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso Nallino” di Roma. È vicepresidente della Fondazione "Guido e Roberto Cortese". Siede inoltre nel Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce. È stato componente del Consiglio Scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. È stato componente, dal 1989 al 1997, del Consiglio Universitario Nazionale, in cui è stato presidente del Comitato di Lettere, Lingue e Magistero (fino al 1993). È stato vice presidente della Fondazione Teatro di San Carlo (1997–2007), componente del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli dal 2000 al 2006, del Consiglio direttivo dal 1997 al 1998 e vice presidente dal 1999 al 2000 della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane.  È Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica italiana nella XIV legislatura (dal 30 maggio 2001 al 27 aprile 2006) nelle file dei Democratici di SinistraL'Ulivo e deputato nella XV Legislatura (dall'aprile 2006 all'aprile 2008) nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura (1983) e della Scienza e della cultura (1996). È autore di una vastissima  di oltre 1500 titoli, tra i quali 26 volumi, ai quali sono stati assegnati numerosi premi.  Opere principali Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano dopo il 1860, Morano, Napoli, 1962 Crisi e trasformazioni dello Stato. Ricerche sul pensiero giuspubblicistico italiano tra 800 e 900, I ed. Morano, Napoli, 1963; III ed. Giuffrè, Milano, 1988 I fondamenti della filosofia politica di Wilhelm von Humboldt, Morano, Napoli, 1965. Stampato in una nuova edizione nel  per Liguori editore, con un saggio di Claudio Cesa e con la  aggiornata dei lavori di Fulvio Tessitore su W. von Humboldt Friedrich Meinecke storico delle idee, Le Monnier, Firenze, 1969 Profilo dello storicismo politico, UTET, Torino (traduzione spagnola 1993) Introduzione allo storicismo, Laterza, Roma-Bari, 1991, (V ed. ) Introduzione a Meinecke, Laterza, Roma-Bari, 1998 Filosofia, storia e politica in Vincenzo Cuoco, Marco, Lungro (CS), 2002 Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo (voll. 5), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, Nuovi contributi alla storia e alla Teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e letteratura, Roma  (II rist. 2004) Altri contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2007, Kritischer Historismus, Böhlau, KölnWeimarWien, 2005. Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2008 (trad. spagnola, Barcellona, 2007). Contributi alla storiografia arabo-islamica tra Otto e Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma (III rist. 2008) Ultimi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, voll. 3, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma . La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri, Grimaldi, Napoli, 1998. Letture quotidiane (voll. 7), Editoriale scientifica, Napoli, 1988-, che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Diltehy a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo, con una nora introduttiva di E. Massimilla, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma,  Da Cuoco a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, 2 voll., con una nota introduttiva di D. Conte, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, . Ha fondato e dirige i seguenti periodici scientifici:  Bollettino del Centro di Studi Vichiani (dal 1971), diretto con G. Giarrizzo e G. Cacciatore, e (dal ) con G. Cacciatore, E. Nuzzo e M. Sanna. Archivio di Storia della Cultura (dal 1988), diretto dal  con D. Conte e E. Massimilla. Civiltà del Mediterraneo: I serie, diretta con G. Galasso e S. Moscati; II serie 2002 …, diretta con F. Lomonaco. Una biografia  , su pontaniana.unina.it. 18 settembre . Curriculum del Prof. Fulvio Tessitore , su filosofia.unina.it. Tessitóre, Fulvio, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

Testa: Alfonso Testa (Borgonovo Val Tidone), filosofo. Nasce nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e dalla madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della Collegiata il 23 febbraio 1784 alla presenza dei genitori e del conte Andrea Arcelli, padrino e parente di Alfonso. Fu Sacerdote cattolico dal 1807, rifiutò la cattedra filosofica dell'Pisa nel 1849 e preferì lavorare all'Parma, divenendone nel 1859 presidente dell'area filosofica.  Dal 1848 fu deputato al Parlamento Sabaudo. Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa, pubblicato dalla Lir (Libreria internazionale Romagnosi) di Piacenza  Alfonso Testa, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Alfonso Testa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Alfonso Testa, su storia.camera.it, Camera dei deputati.

 

testing: Grice: “A token proving testability.” Grice: “We need a meta-test: a test for a test for implicatura.” late 14c., "small vessel used in assaying precious metals," from Old French test, from Latin testum "earthen pot," related to testa "piece of burned clay, earthen pot, shell" (see tete).  Sense of "trial or examination to determine the correctness of something" is recorded from 1590s. The connecting notion is "ascertaining the quality of a metal by melting it in a pot." Test Act was the name given to various laws in English history meant to exclude Catholics and Nonconformists from office, especially that of 1673, repealed 1828. Test drive (v.) is first recorded 1954. In the sciences, capacity of a theory to undergo experimental testing. Theories in the natural sciences are regularly subjected to experimental tests involving detailed and rigorous control of variable factors. Not naive observation of the workings of nature, but disciplined, designed intervention in such workings, is the hallmark of testability. Logically regarded, testing takes the form of seeking confirmation of theories by obtaining positive test results. We can represent a theory as a conjunction of a hypothesis and a statement of initial conditions, H • A. This conjunction deductively entails testable or observational consequences O. Hence, H • A P O. If O obtains, H • A is said to be confirmed, or rendered probable. But such confirmation is not decisive; O may be entailed by, and hence explained by, many other theories. For this reason, Popper insisted that the testability of theories should seek disconfirmations or falsifications. The logical schema H • A P O not-O not-H • A is deductively valid, hence apparently decisive. On this view, science progresses, not by finding the truth, but by discarding the false. Testability becomes falsifiability. This deductive schema modus tollens is also employed in the analysis of crucial tests. Consider two hypotheses H1 and H2, both introduced to explain some phenomenon. H1 predicts that for some test condition C, we have the test result ‘if C then e1’, and H2, the result ‘if C then e2’, where e1 and e2 are logically incompatible. If experiment falsifies ‘if C then e1’ e1 does not actually occur as a test result, the hypothesis H1 is false, which implies that H2 is true. It was originally supposed that the experiments of J. B. L. Foucault constituted a decisive falsifcation of the corpuscular theory of the nature of light, and thus provided a decisive establishment of the truth of its rival, the wave theory of light. This account of crucial experiments neglects certain points in logic and also the role of auxiliary hypotheses in science. As Duhem pointed term, minor testability 908   908 out, rarely, if ever, does a hypothesis face the facts in isolation from other supporting assumptions. Furthermore, it is a fact of logic that the falsification of a conjunction of a hypothesis and its auxiliary assumptions and initial conditions not-H • A is logically equivalent to not-H or not-A, and the test result itself provides no warrant for choosing which alternative to reject. Duhem further suggested that rejection of any component part of a complex theory is based on extra-evidential considerations factors like simplicity and fruitfulness and cannot be forced by negative test results. Acceptance of Duhem’s view led Quine to suggest that a theory must face the tribunal of experience en bloc; no single hypothesis can be tested in isolation. Original conceptions of testability and falsifiability construed scientific method as hypothetico-deductive. Difficulties with these reconstructions of the logic of experiment have led philosophers of science to favor an explication of empirical support based on the logic of probability. Grice: “Linguists never take ‘testability’ too conceptually, as one can witness in Saddock’s hasty proofs!”Refs: H. P. Grice, “On testing for testing for conversational implicatura.”

 

testis: n., pl. testes; Latin testis "testicle," usually regarded as a special application of testis "witness" (see testament), presumably because it "bears witness to male virility" [Barnhart]. Stories that trace the use of the Latin word to some supposed swearing-in ceremony are modern and groundless.  Compare Greek parastatai "testicles," from parastates "one that stands by;" and French slang témoins, literally "witnesses." But Buck thinks Greek parastatai "testicles" has been wrongly associated with the legal sense of parastates "supporter, defender" and suggests instead parastatai in the sense of twin "supporting pillars, props of a mast," etc. Or it might be a euphemistic use of the word in the sense "comrades." OED, meanwhile, points to Walde's suggestion of a connection between testis and testa "pot, shell, etc." (see tete). testis "witness," from PIE *tri-st-i- "third person standing by," from root *tris- "three" (see three) on the notion of "third person, disinterested witness." -- as Grice notes, “it is etymologically  -- or etymythologically -- related to ‘testicles,’” --  Grice proposes an analysis of ‘testify’ in terms of necessary and sufficient conditions, “t is a testimony iff t is an act of telling, including any assertion apparently intended to impart information, regardless of social setting.” In an extended use, personal letters and messages, books, and other published material purporting to contain factual information also constitute testimony. As Grice notes, “testimony may be sincere or insincere” -- and may express knowledge or baseless prejudice. When it expresses knowledge, and it is rightly believed, this knowledge is disseminated to its recipient, near or remote. Second-hand knowledge can be passed on further, producing long chains of testimony; but these chains always begin with the report of an eye-witness or expert. In any social group with a common language there is potential for the sharing, through testimony, of the fruits of individuals’ idiosyncratic acquisition of knowledge through perception and inference. In advanced societies specialization in the gathering and production of knowledge and its wider dissemination through spoken and written testimony is a fundamental socio-epistemic fact, and a very large part of each person’s body of knowledge and belief stems from testimony. Thus, the question when a person may properly believe what another tells her, and what grounds her epistemic entitlement to do so, is a crucial one in epistemology. Reductionists about testimony insist that this entitlement must derive from our entitlement to believe what we perceive to be so, and to draw inferences from this according to familiar general principles. See e.g., Hume’s classic discussion, in his “Enquiry into Human Understanding,” section X. On this view, I can perceive that someone has told me that p, but can thereby come to know that p only by means of an inference  one that goes via additional, empirically grounded knowledge of the trustworthiness of that person. Anti-reductionists insist, by contrast, that there is a general entitlement to believe what one is told just as such defeated by knowledge of one’s informant’s lack of trustworthiness her mendacity or incompetence, but not needing to be bolstered positively by empirically based knowledge of her trustworthiness. Anti-reductionists thus see testimony as an autonomous source of knowledge on a par with perception, inference, and memory. One argument adduced for anti-reductionism is transcendental: We have many beliefs acquired from testimony, and these beliefs are knowledge; their status as knowledge cannot be accounted for in the way required by the reductionist, i. e., the reliability of testimony cannot be independently confirmed; therefore, the reductionist’s insistence on this is mistaken. However, while it is perhaps true that the reliability of all the beliefs one has that depend on past testimony cannot be simultaneously confirmed, one can certainly sometimes ascertain, without circularity, that a specific assertion by a particular person is likely to be correct  if, e.g.,one’s own experience has established that that person has a good track record of reliability about that kind of thing. Grice: “Sometimes I use testimonium.” Refs.: H. P. Grice, “Trust and rationality.”

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