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Thursday, September 3, 2020

IMPLICATVRA -- XXVI -- XXII

rossi: Francesco della marca d’ancona -- Francesco della Marca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Francesco della Marca (c. 1290 – dopo il 1344) è stato un francescano, teologo e filosofo italiano[1][2].  Fu un attivo teologo fra Pietro Aureolo e Gregorio da Rimini, dalla parte di Guglielmo di Occam e Michele da Cesena, e oppositore di Papa Giovanni XXII, nelle dispute dei Fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine nel 1329. Aveva idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria politica.  Soprannominato nel XV secolo come "doctor succinctus"[3][4] e "doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento francescano di Bolzano, fu studiato e commentato sino all'inizio del XVI secolo, soprattutto per alcune tesi risalenti attorno al 1320 del suo Commento alle Sentenze[5]. Per Sentenze o Sententiae si intendono i Libri Quattuor Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera ha riunito di Pietro Lombardo (teologo).  Francesco della Marca torna all'attenzione degli studiosi a partire dagli agli anni venti del 1900[6], nel francescano si riconoscono l'originalità delle sue vedute[7], che contribuiscono all'evoluzione del pensiero basso-medievale.   Indice 1           Biografia 1.1                                           La questione della povertà apostolica 1.2                                  La scomunica 2                                          Filosofia 2.1                                           Diritti di Proprietà 2.2                                         Moto del Proiettile 2.3                                                Atto di volontà 3                                        Opere 4                                             Bibliografia 5                                           Note 6                                             Collegamenti esterni Biografia Francesco della Marca nacque intorno al 1285-1290 nel borgo di Appignano del Tronto in provincia di Ascoli Piceno, nella diocesi di Ascoli Piceno facente parte all'epoca della Marca di Ancona[8]da una famiglia con il nome di Rubeus o Rossi[9]. Divenne francescano dell'Ordine dei Frati Minori ed ebbe come maestro il beato Giovanni Duns Scoto. Salì nella gerarchia educativa dell'ordine, studiando teologia all'Università di Parigi intorno al 1310. Successivamente insegnò in uno studium universitario francescano non conosciuto, prima di tornare allo studium di Parigi come lettore sulle Sentenze di Pietro Lombardo nel corso di laurea in teologia dell'anno accademico 1319-1320. Francesco rimase a Parigi almeno fino al 1323, quando ormai molto probabilmente era stato promosso maestro di teologia.[10] I suoi insegnamenti più famosi erano i suoi commenti sulle Sentenze all'Università di Parigi. È probabile che le lezioni del della Marca siano state trascritte dai suoi studenti generando diverse versioni del suo commento in forma di manoscritto.[11]  Sono poche e discordanti le informazioni di questo periodo. Alcune suggeriscono che lasciò Parigi almeno temporaneamente già nel 1321[12] per essere "a consiliis" alla corte di Roberto d'Angiò, re di Napoli, capo del guelfismo italiano e legato all'ordine francescano spirituale. Alcune sembrano suggerire che Francesco della Marca rimase a Parigi almeno fino al 1323, promosso maestro di teologia[13]componendo diversi commentari accademici, tra cui due sulla Metafisica aristotelica[14]e uno sulla Fisica. Altre che ebbe modo di partecipare al Capitolo generale francescano di Perugia, sottoscrivendo, il 6 giugno 1322, la risoluzione con la quale veniva dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gli apostoli non avevano mai posseduto beni.  Un documento dell'aprile 1328[15] colloca il Della Marca come lettore nello studio del convento francescano di Avignone, sede della corte papale. L'ipotesi della permanenza del della Marca ad Avignone già dal 1324, si basa su un errore d'interpretazione[16]. Scrittori non del tempo affermarono che Francesco Della Marca fu eletto ministro provinciale francescano della Marca Anconetana, sua area di origine, nel 1327, ma studi recenti confutano definitivamente questa affermazione con delle prove[17]  Il documento del 1328[18] riguarda anche il dissidio di Della Marca con Papa Giovanni XXII per il sostegno del Ministro francescano Generale Michele da Cesena sulla questione della povertà apostolica[19].  La questione della povertà apostolica Francesco prese parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che stavano dividendo l'ordine. Insieme a Michele da Cesena, Guglielmo di Ockham e Bonagrazia di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribellò a papa Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico il Bavaro[20].  I francescani che rifiutarono la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII, vennero accusati di eresia. Questo avvicinò l'ordine allo schieramento antipapale rappresentato da Ludovico il Bavaro. Questi era divenuto ostile al Papa dopo che gli aveva rifiutato la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania nel 1314, preferendogli Federico I d'Asburgo.  Ludovico scomunicato il 23 marzo 1324, rispose, esattamente un mese dopo, con l'"Appello di Sachsenhausen". Con esso il Papa fra l'altro, veniva accusato di eresia, quindi delegittimato per la sua presa di posizione nella disputa francescana sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la conciliazione di Michele da Cesena del 1325 al capitolo di Lione fallì. Nel 1327 Michele venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a Bonagrazia da Bergamo e Guglielmo di Occam.  Francesco Della Marca, ad Avignone come lector nello Studium generale dell'Ordine, sottoscrive una protesta redatta da Michele contro l'operato del papa. Ludovico il Bavaro giunge in Italia, prende la corona imperiale e, dichiarato deposto il Papa, nomina antipapa il francescano Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V.  Scomunicato dal Papa, Francesco della Marca decide di raggiungere, fuggendo la notte tra il 26 e il 27 maggio 1328, l'imperatore germanico a Pisa con i suoi confratelli prigionieri. Francesco ancora una volta si ribellò per protestare contro la sua scomunica (1329-1331)[21]. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”[22], nel quale Giovanni XXII veniva dichiarato eretico per la sua posizione nella questione della povertà e in altre controversie. Francesco e i suoi compagni andavano però perdendo le simpatie all'interno dell'Ordine.  Il tentativo di Michele, nel novembre 1328, di impedire lo svolgimento del capitolo generale convocato a Parigi fallì, mentre la riunione dell'Ordine, svoltasi nell'aprile 1329, confermò la scomunica di Michele ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral Ot, ovvero Geraldo di Oddone, favorevole alla Curia.  La scomunica Francesco e i suoi compagni vennero condannati e il 20 aprile 1329 fu formalmente confermata la loro scomunica.  Francesco ispirò la protesta espressa nelle Allegationes religiosorum virorum[23]che dichiarava invalida la deposizione di Michele e l'elezione di Geraldo, per l'esclusione di metà degli aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro francescani, con Marsilio da Padova, entravano a far parte della curia di Ludovico; con lui, nel 1330, raggiunsero Monaco di Baviera, ove si stabilirono nel convento francescano.  Fu perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia nel 1341. Nel 1344 fece una ritrattazione formale (che doveva servire da esempio per tutti i dissidenti successivi) e si riconciliò con la chiesa e con l'ordine . La data della sua morte non è nota.  Filosofia Diritti di Proprietà Nel Improbatio, Francesco Della Marca si concentra sulla determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per sostenere la convinzione francescana che Cristo ha vissuto in povertà assoluta. Egli distingue tra due tipi di Proprietà: la proprietà prima della caduta dell'uomo e la proprietà dopo. La proprietà prima della caduta, nota anche come la proprietà dello stato prelapsario, è stato un momento in cui tutte le creature di Dio si rallegrarono nella felicità, erano profondamente collegati tra loro, e condivisa nella creazione di Dio. La proprietà dopo la caduta è stata causata dal primo peccato di Adamo, rendendo la questione dei diritti di proprietà distintamente umani[24]  Il Papa aveva negato che l'origine della proprietà era legato agli esseri umani, sostenendo che era il peccato in sé ad esserne la causa. Francesco aveva convenuto che senza peccato non ci sarebbero i diritti di proprietà, tuttavia, il peccato non ha portato immediatamente al concetto di proprietà. Francesco sostenne che la legge umana è stato responsabile della formazione dei diritti di proprietà, non la legge divina, e usato la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione[25].  Moto del Proiettile Nel corso del secolo XIV fiorirono una serie di studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina aristotelica del movimento applicata al moto dei proiettili. Per Aristotele i corpi inanimati si muovono spontaneamente verso il loro luogo naturale mentre i corpi in movimento devono alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso un’altra direzione.  Già Giovanni Filopono nel VI secolo aveva mosso logiche obiezioni a questa dottrina[26].  Con la definizione dell'impetus o Teoria dell'impeto la discussione proseguì, ripresa da Avicenna, Ruggero Bacone e Tommaso d'Aquino.  Solo con Francesco della Marca nel XIV secolo si giunse a conclusione. La teoria di Francesco della Marca sul Moto del Proiettile o Moto parabolico, indicata come virtus Derelicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una quaestio sull’efficacia dei sacramenti risalente al 1323.  Derelicta Virtus afferma: il moto di un oggetto è causato da una forza lasciata dall'oggetto che agiva su di essa, quella forza residua impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo i fenomeni naturali, la teoria della virtus derelicta di Francesco della Marca è una spiegazione che include i fenomeni naturali e soprannaturali[27].  La virtus derelicta spiega diversi tipi di moto - perpetuo e finito - ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave del Derelicta Virtus includono :  Un oggetto viene messo in moto da un altro oggetto, che lascia la forza rimanente in oggetto in movimento. All'inizio di un dato movimento, le forze rimanti possono lavorare con o contro la naturale disposizione dell'oggetto in movimento. Se funziona contro l'oggetto in movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo, cessando il moto. Se funziona con l'oggetto in movimento, la virtus derelicta rimane nell'oggetto provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi filosofi prima del tempo di Francesco della Marca, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che nel 13º secolo, sembrano disporre già di versioni della virtus derelicta, quindi non è chiaro se questa teoria sia veramente originta autonomamente dal pensiero di Della Marca. Tuttavia, filosofi come Giovanni Buridano e Gerardus Odonis hanno utilizzato la teoria del francescano italiano per affinare i propri concetti di virtus derelicta, confermando che Francesco della Marca ha giocato un ruolo chiave nell'evoluzione della filosofia sulla fisica[28].  Atto di volontà Francesco della Marca nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con conseguente colpevolezza morale: se la volontà potrebbe o agire prima, o contro giudizio razionale. Della Marchia ha sostenuto che la volontà è la causa dell'azione. Dopo che un giudizio è statoelaborato, la volontà decide di agire sia in conformità con tale sentenza o contro di essa. La volontà costituisce il termine medio tra giudizio e azione. Senza di essa, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà è sotto una legge che obbliga a compiere atti buoni. Senza questo impegno non ci sarebbe peccato[29].  Per rispondere a come la volontà potrebbe andare contro tale obbligo, Della Marca distingue tra atti apprensivi e gidicativi. Gli atti apprensivi sono necessari per far funzionare la volontà e sono frutto di cognizioni intellettuali e giudizi. Gli atti giudicative sono formati dalla conoscenza più complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non richiede atti giudicativi da eseguire, ciò spiega come gli esseri umani sono in grado di peccare. In altre parole, la volontà non dipende dal giudizio razionale[30].  Per evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo deliberativo, Della Marca offrì un'ulteriore distinzione tra conoscenza apprensiva e giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve da essere selezionato dalla volontà[31].  Opere Selezione[32]  Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla papale del Papa. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum, l'autore affronta i principali temi della dottrina cristiana su Dio: le relazioni delle persone divine all'interno della Trinità e il rapporto tra il Creatore e il mondo, la libertà di Dio nel creare, la prescienza divina e la predestinazione alla salvezza. Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus, l’autore riflette sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam Questes super metaphysicam Bibliografia Sabine Folger-Fonfara, Das 'Super'-Transzendentale und die Spaltung der Metaphysik: Der Entwurf des Franziskus von Marchia Leiden: Brill 2008. F. Stegmüller, Repertorium biblicum Medii Aevi, II, Matriti 1950, p. 317; Visita triennale del p. Orazio Civelli, in Picenum seraphicum, n.s., I (1915), p. 214; Andrea da Ratisbona, Chronica de ducibus Bavariae, a cura di G. Leidinger, in Mon. Germ. Hist., Mariano Da Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Arch. franc. hist., II (1909), p. 632; III (1910), pp. 295 s.; IV (1911), p. 569; A. Coulon - S. Clémencet, Lettres secrètes et curiales du pape Jean XXII (1316-1334)…, III, Paris 1965, pp. 24 s. nn. 3765 s. A. Emmen, Einführung in die Mariologie der Oxforder Franziskanerschule, in Franziskanische Studien, XXXIX (1957), pp. 169, 216 s.; A. Emmen, in Lex. für Theologie und Kirche, IV, Freiburg 1960, coll. 240 s.; A. 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MS Florence, Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo 31, sinistra 3, fols. 1–63 ^ Appellatio maior, most recent edition in Nicolaus Minorita, Chronica (cit. n. 12 above), 227- 424, for Francis in particular 423: Cui appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approbaverunt religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina... ^ Francesco d'Ascoli, Guglielmo di Ockham, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes religiosorum virorum, 1329 Baluze-Mansi in «Miscellanea», 3, Lucca 1762, 315a-323b, e dallo Eubel in «Bullarium Franciscanum», 5, Roma 1898, 388-396. ^ Roberto Lambertini, Francesco d'Appignano e Guglielmo d'Ockham: alcuni aspetti di un rapporto non facile in Atti del III Convegno Internazionale su Francesco d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti; pp. 89 - 104 (ISBN: 9788896783078) 2006. ^ Roberto Lambertini, Francesco d'Appignano e Guglielmo d'Ockham: alcuni aspetti di un rapporto non facile in Atti del III Convegno Internazionale su Francesco d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti; pp. 89 - 104 (ISBN: 9788896783078) 2006. ^ Giovanni Filipono, Commentari alle opere di Aristotele Sulla generazione e corruzione, Sull'anima, Analitici primi, Analitici secondi, Le Categorie, Fisica, Meteorologia ^ Fabio Zanin, Francis of Marchia, Virtus Derelicta, and Modifications of the Basic Principles of Aristotelian Physics. 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Modifica su Wikidata Franaut page Centro Studi Francesco d'Appignano Mark Thakkar, Francis of Marchia on the Heavens (PDF) Controllo di autorità                             VIAF (EN) 88897762 · ISNI (EN) 0000 0001 1576 2225 · LCCN (EN) n92000703 · GND (DE) 119038072 · BNF (FR) cb122727986 (data) · BNE (ES) XX952354 (data) · BAV (EN) 495/13641 · CERL cnp01336201 · WorldCat Identities (EN) lccn-n92000703 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Francescani italianiTeologi italianiFilosofi italiani del XIII secoloFilosofi italiani del XIV secoloScrittori italiani del XIV secoloMorti nel XIV secoloFilosofi medievaliScolastici[altre]
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rossi tomasso rossi Tommaso Rossi (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Tommaso Rossi (San Giorgio la Montagna, 21 dicembre 1673 – Benevento, 19 settembre 1743) è stato un filosofo italiano.  Biografia Il contemporaneo e celebre filosofo napoletano Giambattista Vico lo definì "il più grande e puro metafisico". Rossi, che fu ordinato prete nel 1697, esercitò il suo ministero a Montefusco in qualità di abate di Santa Maria della Piazza. Studiò teologia e giurisprudenza a Napoli fino al 1730. Scrisse diverse opere tra cui la più importante rimane Della mente sovrana del mondo.  Opere Considerazioni di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi (1724), Dell'animo dell'uomo, terminata nel 1730, e pubblicata nel 1736, Della mente sovrana del mondo, pubblicata nel 1743. Edizione moderna  Opere filosofiche, con un saggio a cura di Angelomichele De Spirito, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, ISBN 88-8498-257-X. Della mente sovrana del mondo, a cura e con un saggio di Roberto Evangelista, Napoli, ISPF-Lab, Collana "quaderni dell'ISPF" Consiglio Nazionale delle Ricerche, 2014, ISBN 9788890871207, http://www.ispf-lab.cnr.it/quaderni/2014_q01 http://www.doabooks.org/doab?func=publisher&pId=1264&uiLanguage= Collegamenti esterni Tommaso Rossi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Rossi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso Rossi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Tommaso Rossi dal sito "la voce di Fiore". Controllo di autorità                                                VIAF (EN) 5244417 · ISNI (EN) 0000 0000 6139 7882 · LCCN (EN) no2008057118 · GND (DE) 13248322X · BNF (FR) cb15563982b (data) · BAV (EN) 495/202562 · CERL cnp01093620 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2008057118 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1673Morti nel 1743Nati il 21 dicembreMorti il 19 settembreNati a San Giorgio del SannioMorti a Benevento[altre]

rossi pietro rossi Pietro Rossi (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Pietro Rossi (Torino, 07 novembre 1930) è un filosofo italiano.  È stato docente di Filosofia della storia nell'Università di Torino.   Indice 1            Biografia 2                                            Note 3                                             Bibliografia 4                                           Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia Ha studiato presso l'Università di Torino, laureandosi in Filosofia nel 1952 sotto la guida di Nicola Abbagnano e compiendo successivamente studi di perfezionamento all'Istituto Italiano per gli Studi storici di Napoli, a Milano e a Heidelberg. Libero docente dal 1956, è stato nel 1959-61 "fellow" della Rockefeller Foundation a Parigi. Professore ordinario dal 1963 a Cagliari, e dal 1967 a Torino, dopo esser stato titolare della Cattedra di storia della filosofia e, in seguito, di filosofia della storia, in questa Università, ne è stato nominato professore emerito a seguito del congedo. Nel 1975-76 è stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, mentre nel triennio 1983-86 ha fatto parte del Consiglio Universitario Nazionale. Nel semestre estivo 1985 è stato Max-Weber-Gastprofessor nell'Università di Heidelberg. È socio nazionale residente dell'Accademia delle Scienze di Torino e socio fondatore dell'Accademia Europea. Nel 2009 è divenuto - per la seconda volta - Presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino, carica da cui si è dimesso il 6 aprile 2012[1].  Pietro Rossi ha cominciato con lo studio dello storicismo contemporaneo, specialmente di Dilthey e di Max Weber di cui ha curato la traduzione italiana delle opere più importanti (Dilthey, Critica della ragione storica, Einaudi, Torino 1954: Max Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1958) dedicandosi in seguito da un lato allo studio della filosofia illuministica della storia e della concezione positivistica della società, dall'altro all'analisi dei problemi teorici della ricerca storica e delle scienze sociali contemporanee. Nel corso degli anni ottanta ha nuovamente rivolto la sua attenzione all'opera di Max Weber. Ha organizzato vari convegni e coordinato importanti ricerche su diversi temi di storiografia filosofica.  Fra le sue opere più importanti sono da menzionare: Lo storicismo tedesco contemporaneo, Einaudi, Torino 1956, 2ª ed. 1971, ora Edizioni di Comunità, Milano 1994; Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Lerici, Milano 1960; 2ª ed. Il Saggiatore, Milano 1991; La teoria della storiografia oggi, Il Saggiatore, Milano 1983; ed. tedesca Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1987; Vom Historismus zur historischen Sozialwissenschten, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1987; Max Weber: oltre lo storicismo, Il Saggiatore, Milano 1988; da Enrico Mistretta, direttore editoriale della Laterza, gli fu affidata, congiuntamente a Carlo Augusto Viano, la direzione di una fondamentale Storia della filosofia in sette volumi, che iniziò a essere pubblicata a partire dal 1993.  Note ^ Consiglio di presidenza 2009-2012 Archiviato il 13 marzo 2013 in Internet Archive., dal sito ufficiale (url consultato il 24 ottobre 2012) Bibliografia Realino Marra, Pietro Rossi e l'opera di Weber in Italia, in «Sociologia del diritto», XXXVI-1, 2009, pp. 183-93. Altri progetti  Collegamenti esterni Pietro Rossi, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Pietro Rossi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                                       VIAF (EN) 100189635 · ISNI (EN) 0000 0001 2142 4329 · SBN IT\ICCU\UBOV\001818 · LCCN (EN) n79069835 · GND (DE) 13589882X · BNF (FR) cb12019119h (data) · BNE (ES) XX1088236 (data) · BAV (EN) 495/126438 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79069835 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1930Nati a TorinoMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]

rosso Valerio Rosso Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo medici italiani Questa voce sugli argomenti medici italiani e filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Valerio Rosso (Corleone, 1572[1] – 1602) è stato un medico e filosofo italiano.  Nato a Corleone, visse a Palermo[1]. Scrisse tre manoscritti, il primo fu Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia, composto tra il 1587 e il 1601[2], il secondo, nel 1590, pubblicato dall'editore Libro Sei, con il titolo Descrizione di tutti i Luoghi Sacri della felice Città di Palermo, descriveva le chiese di Palermo[3], questa opera fu ricordata in vari altri manoscritti, anche negli anni novanta[4] e duemila[5], il terzo fu pubblicato nel 1596 con il titolo Diario Palermitano [6]  Il comune di Palermo gli ha dedicato una via cittadina.  Note  Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Volumi 1-2, 1869 ^ Mira/bibl Siciliana V1 ^ Diego Ciccarelli e Marisa Dora Valenza, La Sicilia e l'Immacolata: non solo 150 anni. Atti del convegno, 2006, 549 pagine ^ Teresa Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, 1998, 336 pagine ^ Università di Roma. Istituto di studi bizantini e neoellenici, Rivista di studi bizantini e neoellenici, 2006 ^ Gioacchino Di Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite, 1874 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1572Morti nel 1602Nati a Corleone[altre]

rota: Italian philosopher – Gian-Carlo Rota From Wikipedia, the free encyclopedia Jump to navigationJump to search Not to be confused with Carlo Rota. Gian-Carlo Rota Gian-Carlo Rota blackboard Nizza 1970.jpg Rota in 1970. Born     April 27, 1932 Vigevano, Italy Died April 18, 1999 (aged 66) Cambridge, Massachusetts, U.S. Alma mater Princeton University (A.B.) Yale University (Ph.D.) AwardsLeroy P. Steele Prize (1988) Scientific career Fields Mathematics, philosophy Institutions Massachusetts Institute of Technology Los Alamos National Laboratory The Rockefeller University Doctoral advisor Jacob T. Schwartz Notable students  Thomas H. Brylawski William Y.C. Chen Daniel I. A. Cohen Henry Crapo Peter Duren Richard Ehrenborg Mark Haiman Patrick O'Neil Richard P. Stanley Walter Whiteley Catherine Yan Gian-Carlo Rota (April 27, 1932 – April 18, 1999) was an Italian-American mathematician and philosopher.   Contents 1 Early life and education 2 Career 3 Death 4 See also 5 Notes 6 External links Early life and education Rota was born in Vigevano, Italy. His father, Giovanni, a prominent antifascist, was the brother of the mathematician Rosetta, who was the wife of the writer Ennio Flaiano.[1][2] Gian-Carlo's family left Italy when he was 13 years old, initially going to Switzerland.  Rota attended the Colegio Americano de Quito in Ecuador, and graduated with an A.B. in mathematics from Princeton University in 1953 after completing a senior thesis, titled "On the solubility of linear equations in topological vector spaces", under the supervision of William Feller. He then pursued graduate studies at Yale University, where he received a Ph.D. in mathematics in 1956 after completing a doctoral dissertation, titled "Extension Theory Of Ordinary Linear Differential Operators", under the supervision of Jacob T. Schwartz.[3][4]  Career Much of Rota's career was spent as a professor at the Massachusetts Institute of Technology (MIT), where he was and remains the only person ever to be appointed Professor of Applied Mathematics and Philosophy. Rota was also the Norbert Wiener Professor of Applied Mathematics.  In addition to his professorships at MIT, Rota held four honorary degrees, from the University of Strasbourg, France (1984); the University of L'Aquila, Italy (1990); the University of Bologna, Italy (1996); and Brooklyn Polytechnic University (1997). Beginning in 1966 he was a consultant at Los Alamos National Laboratory, frequently visiting to lecture, discuss, and collaborate, notably with his friend Stanisław Ulam. He was also a consultant for the Rand Corporation (1966–71) and for the Brookhaven National Laboratory (1969–1973). Rota was elected to the National Academy of Sciences in 1982, was vice president of the American Mathematical Society (AMS) from 1995–97, and was a member of numerous other mathematical and philosophical organizations.[5]  He taught a difficult but very popular course in probability. He also taught Applications of Calculus, differential equations, and Combinatorial Theory. His philosophy course in phenomenology was offered on Friday nights to keep the enrollment manageable. Among his many eccentricities, he would not teach without a can of Coca-Cola, and handed out prizes ranging from Hershey bars to pocket knives to students who asked questions in class or did well on tests.[6][7]  Rota began his career as a functional analyst, but switched to become a distinguished combinatorialist. His series of ten papers on the "Foundations of Combinatorics" in the 1960s is credited with making it a respectable branch of modern mathematics.[dubious – discuss] He said that the one combinatorial idea he would like to be remembered for is the correspondence between combinatorial problems and problems of the location of the zeroes of polynomials.[8] He worked on the theory of incidence algebras (which generalize the 19th-century theory of Möbius inversion) and popularized their study among combinatorialists, set the umbral calculus on a rigorous foundation, unified the theory of Sheffer sequences and polynomial sequences of binomial type, and worked on fundamental problems in probability theory. His philosophical work was largely in the phenomenology of Edmund Husserl.  Death Rota died of atherosclerotic cardiac disease on April 18, 1999, apparently in his sleep at his home in Cambridge, Massachusetts.  See also Kallman–Rota inequality Rota's conjecture Rota's basis conjecture Rota–Baxter algebra Joint spectral radius, introduced by Rota in the early 1960s Cyclotomic identity Necklace ring Twelvefold way List of American philosophers Notes  O'Connor, John J.; Robertson, Edmund F., "Gian-Carlo Rota", MacTutor History of Mathematics archive, University of St Andrews.  Palombi, Fabrizio (2011). The Star and the Whole: Gian-Carlo Rota on Mathematics and Phenomenology. CRC Press. pp. 6–7. His aunt, Rosetta Rota (1911–2003), was a mathematician associated with the renowned Rome university Institute of Physics in Via Panispenra…  "American Mathematical Society | Gian-Carlo Rota (1932–1999)" (PDF).  Rota, Gian Carlo (1956). Extension Theory Of Ordinary Linear Differential Operators (Thesis). New Haven, Connecticut: Yale University.  "MIT professor Gian-Carlo Rota, mathematician and philosopher, is dead at 66". April 22, 1999.  Wesley T. Chan (December 5, 1997). "To Teach or Not To Teach: Professors Might Try a New Approach to Classes – Caring about Teaching". The Tech. 117 (63). Retrieved 2008-02-10.  "Gian-Carlo Rota". The Tech. 119 (21). April 23, 1999. Retrieved 2008-02-10.  "Mathematics, Philosophy, and Artificial Intelligence: a dialogue with Gian-Carlo Rota and David Sharp". Archived from the original on August 11, 2007. Retrieved 2007-08-11. External links Gian-Carlo Rota at the Mathematics Genealogy Project O'Connor, John J.; Robertson, Edmund F., "Gian-Carlo Rota", MacTutor History of Mathematics archive, University of St Andrews. Kung, Joseph; Rota, Gian-Carlo; Yan, Catherine (2009). Combinatorics: The Rota Way. Cambridge Mathematical Library. Cambridge University Press. ISBN 978-0-521-73794-4. Archived from the original on 2016-03-03. Retrieved 2010-03-19. The Forbidden City of Gian-Carlo Rota (a memorial site) at the Wayback Machine (archived June 30, 2007) This page at www.rota.org was not originally intended to be a memorial web site, but was created by Rota himself with the assistance of his friend Bill Chen in January 1999 while Rota was visiting Los Alamos National Laboratory. Mathematics, Philosophy, and Artificial Intelligence: a dialogue with Gian-Carlo Rota and David Sharp at the Wayback Machine (archived August 11, 2007) "Fine Hall in its golden age: Remembrances of Princeton in the early fifties" by Gian-Carlo Rota. Tribute page by Prof. Catherine Yan (Texas A&M University), a former student of Rota Scanned copy of Gian-Carlo Rota's and Kenneth Baclawski's Introduction to Probability and Random Processes manuscript in its 1979 version. Gian-Carlo Rota (1996). Indiscrete Thoughts. Birkhäuser Boston. ISBN 0-8176-3866-0., ISBN 0-8176-3866-0; review at MAA.org The Digital Footprint of Gian-Carlo Rota: International Conference in memory of Gian-Carlo Rota, organized by Ottavio D'Antona, Vincenzo Marra and Ernesto Damiani at the University of Milan (Italy) Gian-Carlo Rota on Analysis and Probability, ISBN 978-0-8176-4275-4. Biographical Memoir of Gian-Carlo Rota, National Academy of Science Authority control Edit this at Wikidata IBNF: cb12279061m (data)GND: 119286416ISNI: 0000 0001 0928 3340LCCN: n79018095MGP: 7721NKC: skuk0004876NLI: 000224293NTA: 068390920ICCU: IT\ICCU\CFIV\054252SELIBR: 396279SNAC: w6gc4r4cSUDOC: 031608558VIAF: 98388126WorldCat Identities: lccn-n79018095 Categories: 1932 births1999 deathsPeople from Vigevano20th-century Italian mathematiciansItalian mathematicians20th-century Italian philosophers20th-century American mathematiciansAmerican philosophersCombinatorialistsAmerican people of Italian descentPrinceton University alumniYale University alumniMassachusetts Institute of Technology facultyPhenomenologists. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Rotondi Amedeo Rotondi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Crystal128-file-broken.svg Questa voce o sezione ha problemi di struttura e di organizzazione delle informazioni. Motivo: la dimensione dell'incipit è sproporzionata rispetto alle dimensioni della voce. Risistema la struttura espositiva, logica e/o bibliografica dei contenuti. Nella discussione puoi collaborare con altri utenti alla risistemazione. Amedeo Rotondi, anche conosciuto con gli pseudonimi di Amadeus Voldben e Vico di Varo[1] (Vicovaro, 27 ottobre 1908 – Roma, 11 ottobre 1999), è stato uno scrittore e filosofo italiano, studioso di tematiche spirituali ed esoteriche, autore di 26 testi. Ha svolto anche attività di libraio ed editore.   Amedeo Rotondi negli anni '60 davanti alla Libreria delle Occasioni da lui fondata a Roma nel 1941  Indice 1                                                Biografia 1.1                                           I primi anni e la nascita della "Libreria delle Occasioni" ("Libreria Rotondi") 1.2                           Gli anni dello studio e della crescita spirituale. Le prime opere pubblicate in proprio 1.3                     La fase della maturità letteraria e spirituale. I “Volontari del Bene” 1.4                                 Gli ultimi anni 2                                          Opere 2.1                                            Altre opere non in commercio 3                                    Note 4                                                Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia I primi anni e la nascita della "Libreria delle Occasioni" ("Libreria Rotondi") Amedeo Rotondi nasce a Vicovaro, piccolo centro in provincia di Roma, il 27 ottobre 1908. Nella seconda metà degli anni trenta si trasferisce a Roma dove svolge la sua attività di insegnante. Il 1941 è l'anno in cui, insieme alla moglie Annamaria, rileva una preesistente libreria di testi usati che chiamerà “Libreria delle Occasioni”, intendendo con questo nome l'opportunità per gli appassionati di reperire opere rare, curiose e introvabili[2]. La “Libreria delle Occasioni” si trova tuttora nel suo luogo originario di fondazione e cioè in via Merulana al civico 82. Tra gli amanti di rarità bibliografiche e tematiche spirituali è anche nota come “Libreria Rotondi” in omaggio alla fama del suo fondatore. I primi anni di attività della libreria sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono sanzioni. Nell'autunno del 1943 Amedeo è costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi della Repubblica Sociale Italiana. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese, inseguito dappresso da tedeschi e fascisti. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta “abitata dagli spiriti” e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambierà la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel cielo:  << Sedetti a contemplare la scena: una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso convegno. Si sentivano delle voci indistinte [3]>>  Amedeo si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con la realtà del paranormale e altre esperienze consimili saranno poi ampiamente raccontate nel libro "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenterà l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti del mondo dell'esoterismo e della spiritualità, che l'accompagnerà per tutta la vita.  Gli anni dello studio e della crescita spirituale. Le prime opere pubblicate in proprio Amedeo Rotondi, rientrato a Roma dopo la Liberazione e desideroso di conoscere la reale natura dello straordinario fenomeno accadutogli, inizia a concentrare i suoi studi sulle discipline esoteriche e spirituali facendo della “Libreria delle Occasioni” una delle prime e più importanti librerie in Italia, specializzate nel settore. Inizia un periodo molto fervido fatto di conferenze, riunioni e dibattiti che ne alimentano la fama. Antesignano delle tendenze moderne, nel 1946 fonda il “Corriere Librario”, periodico mensile per bibliofili contenente recensioni, curiosità e approfondimenti bibliografici, oltre che inserzioni per la compravendita di libri, che si diffonde rapidamente a livello nazionale e internazionale. All'inizio degli anni ‘60 pubblica in proprio i suoi primi titoli, dando forma scritta a quasi due decenni di studi e riflessioni. Si tratta dei cinque libri della collana “Le Perle”, raccolte di massime, proverbi e aforismi dell'Oriente, dell'antica Grecia, di Roma antica e del Cristianesimo. Nel ’64 dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Nel 1965 viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle del giugno 1944. Amedeo Rotondi e la sua libreria hanno svolto una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità.  La fase della maturità letteraria e spirituale. I “Volontari del Bene” Negli anni settanta partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze 77[4], una delle più importanti esperienze parapsicologiche collettive italiane. Amedeo Rotondi e la sua libreria, nella quale collabora anche la sua unica figlia Vera, sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da ogni censura. Tra il 1972 e il 1997 Amedeo Rotondi pubblica sedici titoli presso diverse case editrici (Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S.), firmandoli oltre che con il suo vero nome con l'amato pseudonimo Amadeus Voldben, acronimo di Volontario del Bene. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che Amedeo si era prefisso e che delineò nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del Bene, stampato in proprio per la prima volta nel '72. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue: esistono tuttora edizioni in inglese[5], tedesco[6], spagnolo[7], portoghese[8], greco e polacco[9]. Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in Amedeo Rotondi una guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da vecchio educatore, sempre comprensibili[10]. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a chiunque si sforzi di varcare il civico 82 di via Merulana.  Gli ultimi anni Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati da una produzione culturale ancora intensa ma, questi ultimi, anche dal profondo dolore per la perdita dell'amata figlia Vera e dell'adorata moglie Anna Maria, dolore che non intacca, anzi, semmai rafforza la sua serena consapevolezza della morte come momento di passaggio verso l'eterna felicità. Nonostante i problemi fisici che lo tormentano, continua a scrivere e a regalare gemme di saggezza e consigli fino a pochi giorni prima della morte: Amedeo Rotondi muore per questa vita e per questo mondo l'11 ottobre 1999. Oltre ai testi pubblicati in vita Amedeo lascia altri scritti, alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati postumi a partire dal 2003 su iniziativa del nipote Aldo e dei pronipoti Francesco e Barbara, i quali si sono impegnati, secondo la volontà dello zio, a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria Rotondi ha ricevuto nel 2004 il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di Roma.  Opere Saggezza dell'Oriente, Amedeo Rotondi, 1962, (vol. I della collana Le Perle, ristampato da Astrolabio nel 1981). L'arte del silenzio e l'uso della parola, Amedeo Rotondi, 1964 (ristampato dalla Libreria Rotondi nel 2004 e 2017). Saggezza di Roma antica, Amedeo Rotondi, 1965, (vol. II della collana Le Perle). Saggezza dell'antica Grecia, Amedeo Rotondi, 1966, (vol. III della collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero Cristiano, Amedeo Rotondi, 1966, (vol. IV della collana Le Perle). Il giardino della saggezza, Amedeo Rotondi, 1967, (vol. V della collana Le Perle). Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee, 1972. Un'arte di vivere: via segreta alla serenità, Mediterranee, 1976. La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS, 1979, (ristampato dalle Mediterranee nel 2000). Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo, 1984, (ristampato dalle Mediterranee nel 2000). Il protettore invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, 1985. La voce misteriosa, Astrolabio, 1986. (ristampato dalla Libreria Rotondi nel 2015) Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, 1988. I prodigi del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, 1989. Il destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, 1990. La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, 1991. La potenza del credere… e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore, Mediterranee, 1992. Una luce nel tuo dolore, Mediterranee, 1993. Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, 1994. La magica potenza della preghiera, Mediterranee, 1995. La chiave della vita, Mediterranee, 1996. La presenza divina in noi, Mediterranee, 1997. Le leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee, pubblicato postumo nel 2003. Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee, pubblicato postumo nel 2006. La potenza creatrice del pensiero, Mediterranee, pubblicato postumo nel 2007. Pensieri per una vita serena, Mediterranee, pubblicato postumo nel 2008. Altre opere non in commercio Ricordo dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del monumento ai martiri delle Pratarelle - Vicovaro, 24 ottobre 1965, Tipografia Seti, Roma, 1965. I Volontari del Bene, Libreria Rotondi Editrice, Roma, 1972. Reincarnazione e fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, 1972, (testo esaurito e ristampato con il titolo La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, 1991). Note ^ Col suo nome di battesimo ha scritto La voce misteriosa e i cinque volumi della collana Le Perle. Con lo pseudonimo di “Vico di Varo” ha scritto L’arte del silenzio e l’uso della parola. Con lo pseudonimo di “Amadeus Voldben” ha scritto tutti gli altri testi. ^ La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, Claudio Maria Messina, Roma, che ha avuto varie edizioni a partire dal 1987. ^ Amadeus Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma, 1985. ^ La partecipazione di Amedeo Rotondi agli incontri del Cerchio Firenze 77 è ricordata nei libri Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, 1978 e Oltre il silenzio, a cura di Luciana Campani Setti, Roma, Mediterranee, 1984. ^ Edizioni inglese e americana di Dopo Nostradamus: After Nostradamus. Great Prophecies for the Future of Mankind, Neville Spearman, London, 1973; After Nostradamus. Great Prophecies for the Future of Mankind, The Citadel Press, Secaucus, 1974. ^ Edizione tedesca di Dopo Nostradamus: Die großen weissagungen über die zukunft der menschheit, Langen Muller, München-Wien, 1975. ^ Queste le edizioni in lingua spagnola di Dopo Nostradamus, I prodigi del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Dopo Nostradamus. Las profecias par el año 2000, Ediciones Picazo, Barcelona, 1974; Nostradamus: las grandes profecias sobre el futuro de la humanidad, Editorial Edicomunicación, Barcelona, 1990; El milagro del pensamiento positivo, Susaeta Ediciones, Madrid, 1996; El prodigio del pensamiento positivo, Panamericana Editorial, Bogotà, 2000; Las influencias negativas, Panamericana Editorial, Bogotà, 2007; El protector invisible, Panamericana Editorial, Bogotà, 2007. ^ Queste le edizioni in lingua portoghese di Dopo Nostradamus e Le influenze negative: Nostradamus. As grandes profecias sobre o futuro da humanidade, Editora Lider, São Paulo; Depois de Nostradamus. As grandes profecias sobre o futuro da humanidade, Editora Artenova, São Cristóvão, 1984; Como evitar as influências negativas, Pensamento, São Paulo, 1984. ^ Edizione polacca di Dopo Nostradamus: Wielke przepowiednie. Nostradamus i inni, Wojciech Pogonowski, Warszawa, 1992. ^ Molte persone si rivolgevano ad Amedeo Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di questa consuetudine si trova nel romanzo di Paola Giovetti Weimar per sempre, (Edizioni Mediterranee, Roma, 2000) in cui si narra l'episodio di un giovane che si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere suggerimenti su questioni spirituali e libri. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Amedeo Rotondi Collegamenti esterni Libreria Rotondi - Libreria delle Occasioni (La libreria fondata da Amedeo Rotondi) La piccola miniera di Amedeo Rotondi (da Il Corriere della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica) Cerchio Firenze 77 (Esperienza parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta di Amedeo Rotondi, illustre vicovarese del '900 (da La Piazza di Castel Madama, pag. 25) Controllo di autorità                         VIAF (EN) 18642022 · ISNI (EN) 0000 0001 0958 0636 · LCCN (EN) n85017430 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85017430 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Religioni Portale Religioni Categorie: Scrittori italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1908Morti nel 1999Nati il 27 ottobreMorti l'11 ottobreNati a VicovaroMorti a RomaSaggisti italiani del XX secoloEditori italianiSpiritualità[altre]

Rovatti

Rovatti Pier Aldo Rovatti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Pier Aldo Rovatti Pier Aldo Rovatti (Modena, 19 aprile 1942) è un docente e filosofo italiano, ha insegnato Filosofia contemporanea all’Università di Trieste.  Ha studiato fenomenologia a Milano con Enzo Paci iniziando fin dagli anni sessanta a collaborare con la rivista di filosofia e cultura «aut aut», di cui è direttore dal 1976.  È editorialista di "Il Piccolo" di Trieste e collaboratore di "la Repubblica" e "l'Espresso". Coordina il Laboratorio di filosofia contemporanea di Trieste, attraverso cui ha fondato la Scuola di filosofia di Trieste. È membro del comitato scientifico di Vicino/lontano (Udine).  Nel 2010 è uscito un volume a lui interamente dedicato (René Scheu, Il soggetto debole. Sul pensiero di Pier Aldo Rovatti, Mimesis, Milano 2010).   Indice 1        Pubblicazioni 2                                         Bibliografia 3                                           Altri progetti 4                                           Collegamenti esterni Pubblicazioni Nel 1969 pubblica una monografia su Whitehead. Successivamente si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando nel 1973 Critica e scientificità in Marx, e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psicoanalisi. Cura anche un'edizione delle Opere di Bergson.  Nel 1983 fa uscire con Gianni Vattimo il reading Il pensiero debole che sarà ristampato molte volte e tradotto in varie lingue, e da cui è nato un ampio dibattito, all'inizio sulle pagine di «Alfabeta» (di cui era redattore), poi in diverse altre sedi non solo italiane, e che continua tuttora.  Le questioni concernenti tale forma nuova di pensiero (che hanno a che fare soprattutto con Nietzsche e Heidegger) diventano il punto di partenza della sua successiva produzione con una serie di volumi (La posta in gioco, Abitare la distanza, Il paiolo bucato, La follia in poche parole, Guardare ascoltando, L'esercizio del silenzio, Possiamo addomesticare l'altro?, Inattualità del pensiero debole). Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione attuale della soggettività.  Altri suoi scritti e interventi hanno introdotto opere di Whitehead, Sartre, Habermas, Hume, Edmond Jabès, Oskar Negt, Alexander Kluge, Ágnes Heller, Roger Caillois (ossia I giochi e gli uomini), Philippe Sollers (il libro Sul materialismo), Nicos Poulantzas, Gilles Deleuze, Jacques Derrida (nel suo rapporto con Freud), Emmanuel Lévinas, Gregory Bateson e del suo mentore Enzo Paci.  Dalla riflessione sul gioco nascono anche i libri Per gioco (con Alessandro Dal Lago, 1993), La scuola dei giochi (con Davide Zoletto, 2005) e Il gioco di Wittgenstein (2009).  Si è anche interessato alla consulenza filosofica, con La filosofia può curare? (2006).  Ha curato, nel 2011, l'antologia Il coraggio della filosofia, sui sessant'anni della rivista «aut aut».  Da anni, al venerdì, tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste col titolo di Etica minima. Ha raccolto questi "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari libri: Etica minima (2010), Noi, i barbari (2011), Un velo di sobrietà (2012).  Accanto a una sensibile sintonia con le riflessioni di Jacques Derrida, si è manifestata nella sua ricerca una particolare attenzione per il pensiero di Jacques Lacan e di Michel Foucault (in particolare sul rapporto tra potere e sapere).  Bibliografia Gli egosauri, Elèuthera, Milano 2019. Le nostre oscillazioni, Collana 180, Edizioni alpha beta Verlag, Merano 2019. L’intellettuale riluttante, Elèuthera, Milano 2018. Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Franco Basaglia, alphabeta, Merano 2013. Un velo di sobrietà, il Saggiatore, Milano 2012. Noi, i barbari. La sottocultura dominante, Raffaello Cortina, Milano 2011 ISBN 978-88-6030-409-4 Inattualità del pensiero debole, Forum, Udine 2011 ISBN 978-88-8420-714-2 Cura di Il coraggio della filosofia. aut aut, 1951-2011, il Saggiatore, Milano 2011 ISBN 978-88-428-1760-4 Etica minima. Scritti quasi corsari sull'anomalia italiana, Cortina, Milano 2010 ISBN 88-6030-328-1 La posta in gioco. Heidegger, Husserl, il soggetto, Mimesis, Milano-Udine 2010 ISBN 978-88-575-0123-9 prima edizione: Bompiani, Milano 1987 Cura di Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche, Mimesis, Milano 2009 ISBN 978-88-8483-985-5 Il gioco di Wittgenstein, EUT, Trieste 2009 ISBN 978-88-8303-245-5 Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale, Forum, Udine 2007 ISBN 978-88-8420-415-8 Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia, Raffaello Cortina, Milano 2007 ISBN 978-88-6030-119-2 prima edizione: Feltrinelli, Milano 1994 ISBN 88-07-09042-2 La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione, Raffaello Cortina, Milano 2006 ISBN 88-6030-040-1 La scuola dei giochi (con Davide Zoletto), Bompiani, Milano 2005 ISBN 88-452-3355-3 Cura di Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano 2004 ISBN 88-452-3273-5 Guardare ascoltando: filosofia e metafora, Bompiani, Milano 2003 ISBN 88-452-5403-8 prima edizione: Il declino della luce, Marietti, Genova 1988 ISBN 88-211-8640-7 L'università senza condizione (con Jacques Derrida), Raffaello Cortina, Milano 2002 ISBN 88-7078-788-5 La follia in poche parole, Bompiani, Milano 2000 ISBN 88-452-4337-0 Fare la differenza, atti del convegno del 1996, curati con Pietro Derossi, Triennale di Milano, Milano, 1998 ISBN 88-8158-157-4 Il paiolo bucato. La nostra condizione paradossale, Raffaello Cortina, Milano 1998 ISBN 88-7078-495-9 Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano 1996 ISBN 88-452-2820-7 Lettere dall'università (con Luisa Muraro), Filema, Napoli 1996 ISBN 88-86358-12-1 Per gioco: piccolo manuale dell'esperienza ludica (con Alessandro Dal Lago), Raffaello Cortina, Milano 1993 ISBN 88-7078-256-5 Trasformazioni del soggetto: un itinerario filosofico, Il poligrafo, Padova 1992 ISBN 88-7115-036-8 Dizionario dei filosofi contemporanei, Bompiani, Milano 1990 ISBN 88-452-1641-1 Elogio del pudore. Per un pensiero debole (con Alessandro Dal Lago), Feltrinelli, Milano 1989 ISBN 88-07-09020-1 Intorno a Lévinas, Unicopli, Milano 1987 ISBN 88-400-0080-1 Cura di Effetto Foucault, Feltrinelli, Milano 1986 ISBN 88-07-08041-9 Cura di Henri Bergson, Opere 1889-1896, Mondadori, Milano 1986 Il pensiero debole (con Gianni Vattimo), Feltrinelli, Milano 1983 ISBN 88-07-09001-5 Bisogni e teoria marxista (con Roberta Tomassini e Amedeo Vigorelli), Mazzotta, Milano 1976 Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser, Feltrinelli, Milano 1973 Che cosa ha veramente detto Sartre, Ubaldini, Roma 1969 La dialettica del processo. Saggio su Whitehead, prefazione di Enzo Paci, il Saggiatore, Milano 1969 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Pier Aldo Rovatti Collegamenti esterni aut aut, su autaut.ilsaggiatore.com. Scuola di filosofia di Trieste, su www.scuolafilosofia.it Laboratorio di filosofia contemporanea, su filolab.it. URL consultato il 15 luglio 2020 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2019). Università di Trieste - Facoltà di lettere e filosofia, su www2.units.it. URL consultato il 22 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2008). Vicino Lontano, su vicinolontano.it. Pier Aldo Rovatti: il pensiero debole, sul portale RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. Controllo di autorità                  VIAF (EN) 9871063 · ISNI (EN) 0000 0001 2276 2661 · SBN IT\ICCU\CFIV\000704 · LCCN (EN) n87877214 · GND (DE) 119444682 · BNF (FR) cb12072878h (data) · BNE (ES) XX961180 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n87877214 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Insegnanti italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1942Nati il 19 aprileNati a Modena[altre]


rousseau: philosopher, best known for his theories on social freedom and societal rights, education, and religion. Born in Geneva, he was largely self-educated and moved to France as a teenager. Throughout much of his life he moved between Paris and the provinces with several trips abroad including a Scottish stay with Hume and a return visit to Geneva, where he reconverted to Protestantism from his earlier conversion to Catholicism. For a time he was a friend of Diderot and other philosophes and was asked to contribute articles on music for the Encyclopedia. Rousseau’s work can be seen from at least three perspectives. As social contract theorist, he attempts to construct a hypothetical state of nature to explain the current human situation. This evolves a form of philosophical anthropology that gives us both a theory of human nature and a series of pragmatic claims concerning social organization. As a social commentator, he speaks of both practical and ideal forms of education and social organization. As a moralist, he continually attempts to unite the individual and the citizen through some form of universal political action or consent. In Discourse on the Origin and Foundation of Inequality Among Mankind 1755, Rousseau presents us with an almost idyllic view of humanity. In nature humans are first seen as little more than animals except for their special species sympathy. Later, through an explanation of the development of reason and language, he is able to suggest how humans, while retaining this sympathy, can, by distancing themselves from nature, understand their individual selves. This leads to natural community and the closest thing to what Rousseau considers humanity’s perfect moment. Private property quickly follows on the division of labor, and humans find themselves alienated from each other by the class divisions engendered by private property. Thus man, who was born in freedom, now finds himself in chains. The Social Contract or Principles of Political Right 1762 has a more ambitious goal. With an account of the practical role of the legislator and the introduction of the concept of the general will, Rousseau attempts to give us a foundation for good government by presenting a solution to the conflicts between the particular and the universal, the individual and the citizen, and the actual and the moral. Individuals, freely agreeing to a social pact and giving up their rights to the community, are assured of the liberties and equality of political citizenship found in the contract. It is only through being a citizen that the individual can fully realize his freedom and exercise his moral rights and duties. While the individual is naturally good, he must always guard against being dominated or dominating. Rousseau finds a solution to the problems of individual freedoms and interests in a superior form of moral/political action that he calls the general will. The individual as citizen substitutes “I must” for “I will,” which is also an “I shall” when it expresses assent to the general will. The general will is a universal force or statement and thus is more noble than any particular will. In willing his own interest, the citizen is at the same time willing what is communally good. The particular and the universal are united. The individual human participant realizes himself in realizing the good of all. As a practical political commentator Rousseau knew that the universal and the particular do not always coincide. For this he introduced the idea of the legislator, which allows the individual citizen to realize his fulfillment as social being and to exercise his individual rights through universal consent. In moments of difference between the majority will and the general will the legislator will instill the correct moral/political understanding. This will be represented in the laws. While sovereignty rests with the citizens, Rousseau does not require that political action be direct. Although all government should be democratic, various forms of government from representative democracy preferable in small societies to strong monarchies preferable in large nation-states may be acceptable. To shore up the unity and stability of individual societies, Rousseau suggests a sort of civic religion to which all citizens subscribe and in which all members participate. His earlier writings on education and his later practical treatises on the governments of Poland and Corsica reflect related concerns with natural and moral development and with historical and geographical considerations. Refs.: Luigi Speranza, “Rousseau and Grice and Grice on the explanatory myth of the contract,” per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Rovella Giuseppe Rovella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti scrittori italiani e insegnanti italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento insegnanti è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.  Giuseppe Rovella Giuseppe Rovella (Palazzolo Acreide, 12 dicembre 1926 – Palazzolo Acreide, 26 marzo 1989) è stato un insegnante, scrittore, drammaturgo e filosofo italiano.  Biografia Giuseppe Rovella nacque a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 12 dicembre del 1926. Apparteneva ad una famiglia contadina di solida fede cristiana. Tre fratelli ed una sorella erano sopravvissuti a 12 gravidanze. Dopo la scuola elementare frequentò la scuola media ad Ispica, in provincia di Ragusa, nel convento dei cappuccini, alla scuola dello zio cappuccino. Questa esperienza lasciò tracce indelebili nella formazione e nello sviluppo intellettuale di Giuseppe che visse all'insegna della contraddizione nella ricerca della sua strada. Contraddizione che visse sempre in termini positivi, come caratteristica dell'uomo che pensa. A Catania si iscrisse in Lettere e Filosofia e fu tra gli alunni più stimati del prof. Cleto Carbonara che insegnava filosofia teoretica. Si laureò il 2 giugno 1948 con una tesi di estetica, sul rapporto fra contenuto e forma in arte. Gli interessi per l'estetica rimasero permanenti. Insegnò storia e filosofia nei licei, di Noto e Palazzolo, dove per un breve periodo, fu anche preside, incarico dal quale si dimise per tornare all'insegnamento. Morì nella sua casa natale il 26 marzo 1989.  Opere Dopo alcune recensioni di filosofia nella rivista Sophia, rivista fondata da Carmelo Ottaviano e due raccolte di poesie pubblicate da Gastaldi Editore Milano, il suo vero esordio fu L'uomo, una filosofia, opera di filosofia teoretica, pubblicata da Giannini Napoli, nel 1975, con prefazione di Cleto Carbonara. In quest'opera Rovella in un serrato confronto con i grandi della filosofa affronta, in termini critici, la metafisica ed espone il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, nuovi, seppur rischiosi. La metafisica, sostiene Rovella, imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'autocoscienza è il compito più degno del pensiero, che pur problematico in sé non rimane imprigionato nel problematicismo. Il rapporto con Spirito e Carbonara fu stimolo attivo e personale nella ricerca di Rovella.  Deneb, romanzo, fu pubblicato nel 1977 da Salvatore Sciascia Caltanissetta - Roma con prefazione di Francesco Gallo. Si tratta di un romanzo filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica verso la metafisica e aprendo verso il mistero che, nel romanzo comporta il confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella Deneb è metafora della pulsione verso l'alto. In quest'opera abbondano i riferimenti autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandonerà finché visse, alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile narrativo è affabulante. L'autocoscienza e il "trionfo della morte" nell'ultima opera di Giovanni Gentile in AA.VV, Il pensiero di Giovanni Gentile, Enciclopedia Italiana, Roma, 1977. Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica di Gentile al cui pensiero il nostro fu sempre legato.  L'errore del cerchio, romanzo del 1979, che sarà pubblicato postumo nel 2003 dalla Provincia Regionale Siracusa, con prefazione di Emanuele Messina. Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo; un tema attraversa gli avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo contenimento.  La Fattoria delle Querce, romanzo scritto tra il 1977 e il 1981, edito da M. Selvaggio Caruso Editore Siracusa, nel 1981. Rovella considerò questo romanzo l'espressione più piena del suo pensiero e della sua capacità di scrittura. È come un'epopea, quella della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende collocate in un non luogo e in un non tempo. I discendenti Capobianco sono identici agli antenati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico fu caro al Rovella che rimase sempre legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questo lavoro un esempio di scrittura immaginifica e personale. Scrittura di non di facile consumo. Rovella dice che con quest'opera ha tracciato una nuova “Imago Siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i Racconti.  Rovella cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama la fase cristica. Scrive opere in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il tema dominante.  L'ora del destino, dramma in due atti è pubblicato dall'Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla Collina, Arezzo, 1986. L'Ora in persona di una donna consola il Crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene al suo compimento.  Vita di Gesù, pubblicato nel 1987 con Prospettive d'Arte Milano, con prefazione di Ugo Ronfani. Gesù è visto nella sua umanità, la narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici, con qualche incursione negli apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze,si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”.  L'Angelo e il Re, pubblicato nello stesso 1987, con prefazione di Roberto Pazzi per i tipi di Palomar Bari.I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Rovella fu sempre attratto, nella sua narrativa da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo smarrita.  Le Madri Racconto, Utopia Edizione, Chiaramonte Gulfi, 1988. Vi si sente l'eco di J. Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico, come scrive Guy Tosi.  Asvamedha pubblicato nel 1997 da Utopia Edizioni, Chiaramonte Gulfi, con prefazione di Ester Monachino. Raccoglie 15 racconti inediti.  Inizio d'amore pubblicato nel 2007, a cura dell'Istituto Studi Acrensi di Palazzolo Acreide. Raccoglie altri 20 racconti che l'autore pubblicò in varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo.  La vigna di Nabot, dramma in quattro quadri inedito, pubblicato nel 2013 a cura dell'Associazione Amici di G. Rovella, Palazzolo Acreide. Narra le vicende di Nabot, personaggio biblico che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza.  Bibliografia minima Ermanno Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, luglio-dicembre 1981; Giancarlo Menichelli in Esperienze letterarie, aprile-giugno 1984; Ruggero Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, gennaio-aprile 1985 Vittorio Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, gennaio- dicembre 1985; Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania 1986; Emanuele Messina, Dal bagolaro alla sequoia,, La vita e l'opera di Giuseppe Rovella, Emanuele Romeo editore, Siracusa 2008; Emanuele Messina, Alle radici del pensiero di Giuseppe Rovella. La presenza dei suoi maestri, Emanuele Romeo, 2013. Controllo di autorità           VIAF (EN) 68049767 · ISNI (EN) 0000 0000 2965 7920 · SBN IT\ICCU\CFIV\016148 · LCCN (EN) n88651996 · BNF (FR) cb12849834b (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n88651996 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Insegnanti italiani del XX secoloScrittori italiani del XX secoloDrammaturghi italiani del XX secoloNati nel 1926Morti nel 1989Nati il 12 dicembreMorti il 26 marzoNati a Palazzolo AcreideMorti a Palazzolo AcreideFilosofi italiani del XX secolo[altre]

rovere: essential Italian philosopher – His family originates in Albalonga, Savona, Liguria. Terenzio Mamiani Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà. Jump to navigationJump to search  Terenzio Mamiani Terenzio Mamiani della Rovere (1799 – 1885), filosofo, politico e scrittore italiano.   Indice 1 Citazioni di Terenzio Mamiani 2 Antonio Oroboni alla sua fidanzata 2.1 Incipit 2.2 Citazioni 3 D'un nuovo diritto europeo 3.1 Incipit 3.2 Citazioni 4 Dell'ottima congregazione umana 4.1 Incipit 4.2 Citazioni 5 Mario Pagano, ovvero, della immortalità 5.1 Incipit 5.2 Citazioni 6 Prose letterarie 6.1 Avvertenza 6.2 Prefazione alla scelta dei poeti italiani dell'età media 7 Citazioni su Terenzio Mamiani 7.1 Candido Mamini 8 Bibliografia 9 Altri progetti Citazioni di Terenzio Mamiani [...] Testimonio essendo il Pontefice [della insurrezione dell'Italia contro l'Austria] e d'altra parte abborrendo egli, pel suo ministero santissimo, dalle guerre e dal sangue ha pensato... d'interporsi fra i combattenti, e di fare intendere ai nemici della nostra comune patria, quanto crudele ed inutile impresa riesca ormai quella di contendere agli italiani le naturali frontiere... (9 giugno 1848; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 631) Antonio Oroboni alla sua fidanzata Incipit Dallo Spielberg, ai 5 d'Aprile. Del soave amor tuo, nobile spirto | Ed infelice, io vissi altera e santa: | Di quel vivrò, giuro all'eterno Iddio, | Si che il dolor nol chiuda entro al sepolcro. | Tai celesti parole in picciol foglio | Vergate, o cara, ebb'io da te quel giorno | Che tramutai le dolci aure lombarde | Con queste ignote al Sol tombe di vivi.  Citazioni Io muojo, ed al suo fine affretta | questa lunga agonia che chiaman vita | qui per istrazio. Quando suonarne il certo annunzio udrai, | non pianger tu, non piangere, o diletto | spirto d'amor, ché del mio ben migliore | Lacrimar ti disdice. [...] Il misero | che gemea quivi giù, poiché il dolore | soverchiò troppo, disperatamente | diè del capo nel sasso e del diffuso | Cerebro il tinse. [...] d'ogni affetto umano affinatrice | fiamma è il dolore, e di virtù maestra | la morte. D'un nuovo diritto europeo Incipit Il giure civile di ciascun popolo ha nel testo delle leggi positive e speciali autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agli interessi e agli ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell' acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità delle sopra citate leggi; si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo; spesso gli è forza di riandar col pensiero sulle fondamenta medesime dell'ordine sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le discrepanze tra popolo e popolo fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Citazioni Poco importa se i metafisici e i letterati si bisticciano; ma non va senza danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si disse che il fine criterio degli uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea e non l'ordina. (p. 5) La demenza degli uonini fa talvolta scandalosa la verità; laonde ella ebbe a pronunziare di se medesima: non venni a recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. (p. 11) Lo Stato essere certa congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela; tanto che sieno competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. (p. 13) Lo Stato non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e unità delle menti e degli animi. (p. 15) La libera città di Amburgo è così autonoma come l'impero di Moscovia. Il che riconosciuto e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto internazionale è primo principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna di qualchesia Stato insino a tanto che questo non provoca gli altri ad assalirlo con giusta guerra; ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. (p. 20-21) Le varie provincie spagnuole o francesi e i tre regni britanni congiunti ed unificati per la conquista o l'eredità palesarono in lungo volgere d'anni la volontà loro ferma ed unanime di perseverare in quella identità e unità di vita sociale e politica. Per lo contrario, l'incorporamento delle provincie basche nell'unità politica degli Spagnuoli fu con violenza adempiuta e poi mantenuta. Voleva ragione e giustizia che per l'azione lenta del tempo e della civiltà riconoscessero quei popoli da se medesimi la utilità di vivere al tutto vita comune coi popoli iberici. Similmente, era iniqua la condizione degl'Irlandesi quando l'irosa Inghilterra per la diversità del culto li segregava dal godimento dei diritti politici. (p. 22) L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e immortale. Ma ciò è impossibile ad un popolo intero, il quale nel servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi Gian Vincenzo Gravina chiamò assai giustamente la libertà delle nazioni sacrosanta cosa e di giure divino. (p. 25) L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da più parti la iniquità del contratto. E neppure la libertà è vendibile; e se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso da Dio con l'alito suo divino e che al dire di Omero vale una mezza anima. (p. 30) Lo Stato possiede onninamente se stesso; niuno fuori di lui può attribuirsene la padronanza. Quindi i popoli o vivono in se od in altri; cioè a dire, o provedono ai propri fini con leggi e ordini propri e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana; ovvero entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d'ufficio, come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. (p. 32) Patria, impertanto, significa quella determinata contrada e quella peculiare congregazione di uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl'istinti, i diritti, le speranze e gli affetti del vivere comune. (p.) La patria considerata nella sua morale e profonda significazione è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti verso ciascuno. (p. 36-37) Se la patria non ha debito né possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. (p. 39) Prediletta opera delle mani di Dio sono le nazioni. (p. 41) Qual nazione è pura, domandano essi, e tutta omogenea, e quale Stato in Europa non è straniero a qualche porzione de' sudditi proprii? L'Inghilterra pesa sul popolo Jonio, la Francia sull' Algerino, la Spagna sul Basco. Non nacquero forse Italiani i Corsi e Tedeschi i popoli dell'Alsazia? I Polacchi di Posen son forse Prussiani; e non è mezzo slava la Silesia? Chiameremo Russi i Lituani o i Finlandesi o gli abitanti di Riga e della Curlandia? E se tinti vediamo della medesima pece tutti i governi, se niuno, a rispetto del puro principio di nazionalità, è incolpevole, qual profitto si può dedurre d'una teorica non mai applicabile; ed anzi, come può essere teorica e vera, se i fatti in ogni luogo e tempo la contradicono? (p. 45) Lo Stato dipendente come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo; e perciò, a rigore di definizione, neppure la denominazione di Stato gli si compete. (p. 61) I prìncipi non sono, del certo, scelti da Dio immediatamente, ma sono da Dio immediatamente investiti di loro sovranità. Il popolo indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della sovranità che da Dio gli proviene. Perocché come da Dio è istituito il fine della socievole comunanza, così è istituito il mezzo nella autorità del comando. (p. 71) È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra molti errori e molte misere concussioni. (p. 75) La libertà, essendo naturale ed essenziale agli uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza; e perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d'alcuno, sia forestiere o nativo. (p. 80) Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino ardire di esprimerlo; e chi investiga la Storia, ritrova che delle proteste loro giacciono grandi fasci dimenticati negli archivi delle Cancellerie. (p. 98) Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege alla maniera dei Ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto procedere, non è conceduto a nessuno; e parlavano meglio quegli Ateniesi che alle querele dei Milesi rispondevano senza sturbarsi : il diritto è cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. (p. 113) Ogni popolo è autonomo; o con altri vocaboli, ogni Stato vero è libero ed inviolabile inverso tutti i popoli e tutti gli Stati. (p. 121) E patria nel significato morale e politico è sinonimo di Stato, in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e civile. (p. 122) S'incominci dall'avvisare chi sono costoro che si querelano dell'abusata libertà degli Stati e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare i Parlamenti e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che i parlamenti, il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. (p. 207) La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi; ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. (p. 208) Non è lecito agli uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporzionati ad esercitare diritti politici. (p. 219) Dell'ottima congregazione umana Incipit Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla noti agli antichi, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo ordinamento civile. Della qual materia stragrande fermammo in principio del libro che sarebbero da noi segnate alquante linee soltanto, scegliendo quelle che più hanno riferimento con l'indole speciale de' tempi nostri. E pur questi pochi lineamenti noi cercheremo di descriverli, come suoi fare l'artista, secondo il concetto d'una bellezza ideale ricavata e desunta con fedeltà squisita dall'essere delle cose e figurandola in mente come e quale uscirebbe dalle mani della natura, quando non la perturbassero gli scorretti accidenti. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale dei popoli, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. Citazioni Aristotile con molto senno incomincia dall'insegnar quello che spetta al buono stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale, come fu scritto nell'aforismo XIV, non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura nostra. (p. 400, I) L'organizzazione tanto è più eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. (p. 401, I) È da confessare che un gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato governo rappresentativo o parlamentare. (p. 404, I) Se dirai: carattere di nazione è la continuità e circoscrizione del suolo, i Tedeschi di qua del Reno sarebber Francesi, e non è Grecia l'Asia minore, e gli Ebrei non compongono nazione, e malamente la compongono le genti slave. Se dirai la lingua; i Baschi non sono spagnuoli, né francesi i Bretoni e quei dell' Alsazia, e non ha niente di nazione la Svizzera né l'Ungheria dove più lingue sono parlate. Se la religione; troppe smentite ci danno Germania, Inghilterra e gli Stati Uniti americani; d'altra parte, sotto il rispetto dell'unità religiosa, farebber nazione insieme Siciliani e Messicani, Irlandesi e Abissini. Se il governo; i Lombardi sono austriaci, sono turchi i Greci, francesi gli Arabi e via discorrendo. Se la letteratura e le arti ; non fanno nazione quei popoli a cui mancano lettere e arti proprie e le accattano dai forestieri, come usavano poco fa i Russi, i Boemi, gli Ungaresi ed altri, e tuttora non cessano. Se le origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana fu dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i Nizzardi essere italiani e i Francesi li fanno dei loro. Né minor controversia nasce circa cento popolazioni per la terra disseminate, che è impossibile di ben definire a qual generazione appartengano, né per sé bastano a far nazione, come Bosniaci, Bulgari, Albanesi, Illirii, Maltesi e innumerevoli altri. (p. 429, V) La compagnia civile comincia là solamente dove gli animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. (p. 2, VI) La Giustizia, secondo Omero, apre e chiude i congressi degli Dei, non quelli degli uomini. (p. 2, VI) La voce nazione nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante la mescolanza del sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche; per talché quella società distinguesi da tutte le altre per tutti gli essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua, la religione, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. (p. 2, VI) Nazione vuol significare certo novero di genti per comunanza di sangue, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e preordinate alla massima unione sociale. (p. 2, VI) Gli Svizzeri varii di lingua, di schiatta, di religione e d'usanza sonosi costituiti artificialmente e politicamente in nazione, mediante una grande e maravigliosa unità morale che turbata e rotta alcune volte di dentro è sempre riuscita gagliarda di fuori a fronte degli stranieri. (p. 5, VI) I Greci ed i Musulmani dell'Asia Minore o d'altra contrada, i quali tuttoché nati e cresciuti nel suolo stesso, pur non si chiamano concittadini, e vivono e sempre vivranno stranieri l'uno accanto dell'altro. (p. 8, VII) Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi; e ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. (p. 11, VII) Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che fu da Dio coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gli emendati persecutori. (p. 13, VII) S'io credessi quelle armi che assiepano il Foro, dicea Cicerone, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto fu che quelle armi nel Foro inducevano per se sole una fiera minaccia, tanto ch'egli parlò poco e male, e la paura ammazzò l'eloquenza. (p. 18, VIII) Dal riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che tra le nazioni civili il governo straniero non può vantarsi mai né della legittimità che abbiamo chiamata interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito delle popolazioni. (p. 20-21, IX) Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. (p. 21, IX) Ogni cosa nell'uomo è principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta. (p. 30, XI) Mario Pagano, ovvero, della immortalità Incipit Francesco Pignatelli — Giuseppe Poerio Pignatelli: Voi stesso l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso era con lui in una prigione medesima? Pignatelli: E fu la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto fu la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Mario Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Stava per mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantonè. Nel Castel Nuovo e in quella carcere proprio dove era Francesco Mario Pagano, stava il fratel vostro maggiore, principe di Strangoli, stava io, il Conforti, Cirillo, Granali, Eusebio Palmieri, Vincenzo Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un marchese di Genzano, bello come l'Appollino e di cui sentiva il Pagano particolare compassione.  Citazioni Poerio: V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto fu fatto capace. Tale contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si chieda dunque perché Dio è permettitore del male, ma chiedasi in quella vece perché piacque a Dio, oltre all'infinito, che sussistesse pure il finito. (p. 16) Poerio: Se il vivere nostro presente fosse condito di molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità. (p. 17) Poerio: Col presupposto della immortalità, bene avvertiva il Bruno, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. (p. 18) Poerio: Quando fosse possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. (p. 18) Prose letterarie Avvertenza I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querelava; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose del Giordani si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la critica angusta e slombata. Il Colletta era stimato dai più uno storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra il Goldoni ed Alberto Nota. Tale il gusto e il criterio comune. Pochi grandi intelletti non mancavano neppure a quei giorni. Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica; Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati gli affetti. Letteratura vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non metafisica. Non appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo capo. IX. — Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi ? Barone. Sapere l'essenza del bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare ? Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono ; e tu pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce). Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti creste degli ardui scogli.  La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse. Che vuoi ? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della felicità. La coda. Perché lo chiedi a me ? Barone. Tu sai la fine ultima delle cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda. Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino ; e ogni mio moto è un cenno di oracolo ; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i cieli di Galileo e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute, ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Prefazione alla scelta dei poeti italiani dell'età media Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu derivata ne' primi nostri verseggiatori. Dante egli pure non se ne astenne affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la canzone lambiccatissima della Pietra. (II) Sa ognuno che nel seicento, con lo scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa; e dico ai moderni italiani, perché appresso gli stranieri non ne mancano esempj ; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma ; nuova maniera e poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. (II) Non può né deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori ; e la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente commossi. (VI) In Inghilterra il Milton fierissimo repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. (VI) Riuscirà sempre a gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente la perfezione del tutto. (VII) Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell' Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. (VIII) L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze, l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. (IX) Ci venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con Dante essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. (X) Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. (XI) Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. (XII) Il troppo incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti dell'animo. (XII) Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e commiserazione e il sommo della terribilità. (XIII) Il Tasso, anima pia e generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme (XIX) Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. (XX) L'Ariosto significò la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove Dante fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. (XXI) Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi [di Luís Vaz de Camões] ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta ; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. (XXII) Scusabile mi si fa il Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi ; e per lungo tempo assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre Alpe ; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. (XXIII) Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni. (XXIV) [Dal cinquecento al secolo XVII] [...] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. (XXV) Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche ; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano ; né mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. (XXV) Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. (XXVI) Mai né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. (XXVI) Nel Guidi allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. (XXVI) Certo, se ad Alessandro Guidi fosse toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. (XXVI) A me sonerà sempre caro ed insigne il nome di Alfonso Varano, perché da lui segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana ; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. (XXVIII) Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. (XXVIII) Varano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; il Gozzi con li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a Virgilio : Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. (XXVIII)  Citazioni su Terenzio Mamiani Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare nel conte Terenzio Mamiani della Rovere (1799-1885) l'ultimo anello della catena che dal Galluppi si continuò in Rosmini e Gioberti, unanime fu il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. (Eugenio Garin) Candido Mamini La teoria del Rosmini fu più scolastica, quella del Mamiani più civile; quella quasi sterile in politica, questa molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quella fu timida, questa coraggiosa; quella arrivò a rifiutare sul terreno pratico le-conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; questa per lo contrario tutta intrepida si sostenne colla gloria di una vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione. Rosmini in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia dell'Indice; Mamiani è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso. Nel suo ultimo libro, intitolalo Di un nuovo diritto europeo, si ammira il coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di Stato. Riguardo poi ai pregi della forma, Rosmini fu semplicemente filosofo, Mamiani un filosofo-oratore; nel primo spicca la pura meditazione, nel secondo si unisce il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate astrazioni. Nel primo vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del lettore; nel secondo vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della ritentiva e della ragione. Bibliografia Terenzio Mamiani, Antonio Oroboni alla sua fidanzata, da un libro anonimo del 1929. Terenzio Mamiani, D'un nuovo diritto europeo, Tipografia Scolastica, Torino, 1861. Terenzio Mamiani, Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità, Rivista contemporanea, vol. 2-3, Pelazza Tipografia Subalpina, Torino, 1855. Terenzio Mamiani, Mario Pagano, ovvero, della immortalità, Dai Torchi della Signora De Lacombe, Parigi, 1845. Terenzio Mamiani, Prose letterarie, G. Barbera Editore, Firenze, 1867. Altri progetti Collabora a Wikipedia Wikipedia contiene una voce riguardante Terenzio Mamiani Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Terenzio Mamiani Collabora a Commons Commons contiene immagini o altri file su Terenzio Mamiani Categorie: Filosofi italianiPatrioti italianiPoeti italianiPolitici italianiScrittori italiani. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Rucellai Orazio Ricasoli Rucellai Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Orazio Ricasoli Rucellai Orazio Ricasoli Rucellai (Firenze, 23 aprile 1604 – Firenze, 6 febbraio 1673) è stato un letterato, filosofo e scienziato italiano.   Stemma Rucellai  Indice 1             Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Voci correlate 6                                            Altri progetti 7                                           Collegamenti esterni Biografia Fu il Rucellai discepolo di Galileo e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni metafìsiche professate dal suo maestro.[1] Di più: Quell'Orazio Ricasoli Rucellai in cui la scuola di Galileo ebbe uno dei maggiori lumi.[2]  Rucellai affermava di essere amico e confidente di Galileo Galilei ma ciò non corrisponde al vero. In verità si erano incontrati solo una volta quando era stato suo ospite, con altri, nella villa di Arcetri[3]. Men che meno era stato suo studente. Quanto poi alla metafisica di Galileo, i Dialoghi Filosofici parlano da soli.  Quando cominciò a comporre i Dialoghi a Firenze presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche questa era una bufala. Il fatto è che Rucellai, ogni volta che componeva un dialogo, amava recitarlo a casa sua davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che a casa Ricasoli-Rucellai, una delle più ricche di Firenze, mangiavano e bevevano gratis[4]. Quindi più dialoghi recitava, più si gozzovigliava: per questo lo incitavano a continuare.  La verità è che Orazio Rucellai, in filosofia, non volle, non seguitò la ragione; chiudendo gli occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco[5]. Altro che discepolo di Galileo anche se a Firenze, a questa panzana, ci credevano in molti.  Non è un caso dunque se i Dialoghi furono pubblicati per la prima volta solo nel 1823 e non per meriti filosofici ma soltanto linguistici. Tali dialoghi vengon citati dal vocabolario della Crusca ed ottimo avviso sarebbe stato il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à [sic] gran ricchezza di voci e frasi convenienti agli studj speculativi[6].  Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel Granducato, la sua stella sembro' non tramontare mai. Nel 1634 fu ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV di Polonia e poi alla corte dell'imperatore Ferdinando III. Nel 1657 venne nominato soprintendente della Biblioteca Laurenziana, successivamente gli fu affidata la direzione degli studi del principe Francesco Maria, e infine, il 27 settembre 1667, fu acclamato Priore dell'Accademia della Crusca con lo pseudonimo di Imperfetto. Strano perché lui, invece, era un perfetto: un perfetto bugiardo.  Opere In ordine di prima pubblicazione:  Descrizione della presa d'Argo e de gli amori di Linceo con Hipermestra, 1658 Opuscoli inediti di celebri autori toscani, 1807 Prose e rime inedite d'Orazio Rucellai a cura di Tommaso Buonaventura, 1822 Saggio dei dialoghi filosofici d'Orazio Rucellai: testo di lingua; inedito, 1823 Saggio di lettere d'Orazio Rucellai a cura di Anton Maria Salvini, 1826 Degli officii per la società umana; dialogo filosofico inedito d'Orazio Rucellai, 1848 Della provvidenza: dialoghi filosofici, 1868 Della morale; dialogo filosofico inedito d'Orazio Ricasoli-Rucellai, 1849 Prose e rime inedite d'Orazio Rucellai a cura di Tommaso Buonaventura, 1822 Note ^ Terenzio Mamiani della Rovere, Dialoghi di scienza prima, Parigi, 1846, Vol. I, pag. 128 ^ Cesare Guasti, I dialoghi di Torquato Tasso, Firenze, 1858, Vol. I, pag. 60. ^ Antonio Maria Salvini, Saggio di lettere d'Orazio Rvcellai e di testimonianze autorevoli in lode e difesa dell'Accademia della Crusca, Firenze, 1826, pag. 72 ^ Antonio Maria Salvini, cit. pag. 70 ^ Rivista universale: pubblicazione periodica, Vol. 18, Firenze, 1873, Pag. 371 ^ Terenzio Mamiani della Rovere, cit. Vol. I, pag. 128 Bibliografia Giovan Battista Clemente Nelli, Vita e commercio letterario di Galileo Galilei, Losanna, 1793 Augusto Alfani, Della Vita E Degli Scritti Di Orazio Ricasoli Rucellai: Studio Critico, Firenze, 1872 Terenzio Mamiani della Rovere, Dialoghi di scienza prima, Parigi, 1846 Cesare Guasti, I dialoghi di Torquato Tasso, Firenze, 1858 Antonio Maria Salvini, Saggio di lettere d'Orazio Rvcellai e di testimonianze autorevoli in lode e difesa dell'Accademia della Crusca, Firenze, 1826 Rivista universale: pubblicazione periodica, Vol. 18, Firenze, 1873 Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, 1796, Vol. VIII Voci correlate Galileo Galilei Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Orazio Ricasoli Rucellai Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Orazio Ricasoli Rucellai Collegamenti esterni Orazio Ricasoli Rucellai, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata Controllo di autorità         VIAF (EN) 47111431 · ISNI (EN) 0000 0000 6142 5601 · LCCN (EN) n97875096 · ULAN (EN) 500354170 · BAV (EN) 495/37006 · WorldCat Identities (EN) lccn-n97875096 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Letterati italianiFilosofi italiani del XVII secoloScienziati italianiNati nel 1604Morti nel 1673Nati il 23 aprileMorti il 6 febbraioNati a FirenzeMorti a FirenzeRucellai[altre]

Ruffolo Nicola Ruffolo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nicola Ruffolo (Cosenza, 2 aprile 1914 – Roma, 31 gennaio 1995) è stato un notaio, scrittore e filosofo italiano.  Nipote del pianista e compositore Alfonso Rendano e fratello del designer Sergio Ruffolo e dell'economista e uomo politico Giorgio Ruffolo.   Indice 1              Biografia 2                                            Opere Letterarie 3                                            Premi e riconoscimenti 4                                        Note Biografia Tornato a Roma nel 1942 dal fronte della Campagna Greco-Albanese della Seconda Guerra pluridecorato con 4 medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui venne ferito con arma da fuoco trapassante il petto, organizzò in seno al Ministero dell'Interno una cellula di resistenza partigiana, che gli valse l'attestazione di Partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore Partigiano.  Per via della delazione di un componente del gruppo di Resistenza del fratello Sergio, fu arrestato insieme al fratello, all'alba dell'8 maggio dalla Banda Pollastrini-Koch e incarcerato dapprima alla Pensione Jaccarino in via Romagna, poi trasferito verso metà maggio 1944, in Regina Coeli insieme al fratello Sergio, dove ebbero a condividere la cella con Pintor e Salinari discutendo del dopo liberazione.  Trasferito sempre insieme al fratello Sergio, a via Tasso fu interrogato da Herbert Kappler e separato dal fratello. L'iniziale sentenza di morte venne commutata in deportazione. La mattina del 4 giugno, qualche ora prima dell'ingresso degli alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei Tedeschi, fu fatto uscire dal carcere insieme a un centinaio di prigionieri, per essere avviato su uno dei 3 torpedoni in attesa a Piazza San Giovanni per essere deportato in Germania. Il quarto torpedone fu invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove venne ucciso Bruno Buozzi. A questo proposito riferisce nel suo resconto, che quella mattina del 4 giugno, le SS gli impedirono il suo proposito di salire proprio su quel 4° torpedone, scostato dagli altri, avvalorando la tesi che l'eccidio era premeditato e non una reazione impulsiva del comandante. Quindi costretto a salire su uno dei restanti 3 torpedoni, Nicola Ruffolo si gettò da uno di essi, mentre il convoglio era in marcia, nella notte tra il 4 e il 5 giugno. Riuscì a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le SS avessero fermato il convoglio e lo avessero inseguito nella campagna nei pressi di Ficulle .  Di tale arresto e prigionia è dato conto in un suo racconto "Roma 1944 , storia della mia cattura e fuga dalle SS" pubblicato nel 2014 su ilmiolibro.it a cura del figlio Andrea Ruffolo.  Al termine della guerra, avviò la carriera di Notaio a Grosseto. Fu uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. Nell'estate 1958 fu operato alle corde vocali per un tumore e si trasferì con la famiglia a Roma.  Nel 1972 in occasione della trasmissione RAI "Testimoni oculari" di Sergio Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, fu probabile causa della mancata intervista.  Tuttavia egli non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello Sergio omise di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme.  Fu amico e intrattenne corrispondenza tra gli altri, con Ruggero Orlando, Carlo Levi, Ludovico Ragghianti, Iolena Baldini (giornalista di Paese Sera come Berenice), Antonello Trombadori, Franca Valeri, Marcello Morante ( fratello di Elsa), Carlo Cassola, il giornalista dell'Unità Mario Melloni ( Fortebraccio) per idee e per la comune patologia tumorale, Antonio del Guercio, Angelo Maria Ripellino, Francesco Gabrielli, Mario Rigoni Stern.  Notevole la mole dei suoi scritti rimasti inediti e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati .  Nicola Ruffolo è stato uno scrittore e filosofo italiano, vincitore del premio Presidenza del Consiglio dei Ministri 1978 con l'opera poetico filosofica 'La Cosmologica'.  Fondatore del pensiero metafisico possibilista basato sulle nuove teorie della relatività generale di Albert Einstein e della fisica dei quanti di Niels Bohr.  Tra le sue opere letterarie pubblicate: "America... come pretesto" con la prefazione di Ruggero Orlando, "Il possibilismo" con la prefazione di Walter Mauro, "Guazzabuglio" con prefazione dell'orientalista Francesco Gabrieli e illustrazioni di Andrea Ruffolo.  Opere Letterarie Quadri di una esposizione, Roma, Barone 1972 Cosmologica, Roma, A. Signorelli, 1977 Guazzabuglio, Roma, Remo Croce 1982 Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico, Roma, C. Mancosu 1991 Oltre le ali di Icaro, Roma, C. Mancosu 1991 America... come pretesto, Roma, Il ventaglio 1993 Roma 1944: storia della mia cattura e fuga dai nazisti, ilmiolibro, 2012, ristampato da Feltrinelli nel 2014 con revisione a cura di Andrea Ruffolo[1] Premi e riconoscimenti 1978 - premio Nazionale Presidenza del Consiglio dei Ministri con l'opera poetico filosofica La Cosmologica Note ^ Roma 1944. Storia della mia cattura e fuga | LaFeltrinelli. URL consultato il 2 novembre 2016. Categorie: Notai italianiScrittori italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1914Morti nel 1995Nati il 2 aprileMorti il 31 gennaioNati a CosenzaMorti a Roma[altre]

Ruggiero Guido De Ruggiero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Guido De Ruggiero Guido De Ruggiero.jpg Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia Durata mandato            18 giugno 1944 – 10 dicembre 1944 Presidente                        Ivanoe Bonomi Predecessore                                     Adolfo Omodeo Successore                                    Vincenzo Arangio Ruiz Deputato della Consulta Nazionale Italiana Durata mandato                   25 settembre 1945 – 25 giugno 1945 Legislature                         Consulta nazionale Sito istituzionale Dati generali Partito politico                            Partito d'Azione Professione                                      Docente universitario Guido De Ruggiero (Napoli, 23 marzo 1888 – Roma, 29 dicembre 1948) è stato uno storico della filosofia, professore universitario e politico italiano.   Indice 1                               Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                                Voci correlate 6                                            Altri progetti 7                                           Collegamenti esterni Biografia Figlio di Eugenio De Ruggiero e di Filomena d'Aiello, si laureò nel 1910 in giurisprudenza all'Università di Napoli. Egli era particolarmente versato per gli studi filosofici e poté collaborare in riviste specializzate come «La Cultura», la «Rivista di filosofia» e «La Critica» di Benedetto Croce, il quale favorì la pubblicazione, nel 1912, del suo primo lavoro d'impegno, La filosofia contemporanea.  Collaboratore del Resto del Carlino di Mario Missiroli e della «Voce» di Giuseppe Prezzolini, nel 1914 pubblicò in volume la Critica del concetto di cultura, cui Croce rimproverò la mancata distinzione tra cultura e falsa cultura.[1] In filosofia, De Ruggiero fu sempre idealista, senza aderire né allo storicismo crociano né all'attualismo di Gentile, e in politica fu liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal Partito liberale.  De Ruggiero tenne l'insegnamento di storia della filosofia prima presso l'Università di Messina (dal 1923), quindi presso la facoltà di magistero della Università di Roma (dal 1925).  Avendo aderito all'idealismo con Giovanni Gentile e Benedetto Croce, la sua rivendicazione insieme a quest'ultimo dei valori del liberalismo lo rese un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo nell'ambito intellettuale. Nel novembre del 1924 aderì all'Unione Nazionale di Giovanni Amendola; nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Per non perdere la cattedra universitaria, nel 1931 prestò il giuramento di fedeltà al fascismo[2] ma ciò non gli impedì di essere destituito dall'insegnamento alcuni anni dopo (1942) e poi arrestato. Fu liberato alla caduta del fascismo (luglio 1943).  In seguito fu rettore dell'Università di Roma dal 1943 al 1944. Il suo impegno politico si manifestò nel Partito d'Azione, del quale fu tra i primi ad aderire. Ricoprì l'incarico di Ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Bonomi II (1944) e successivamente fu nominato deputato della Consulta Nazionale (giugno-settembre 1945).  Fu autore, tra le altre opere, di una imponente Storia della filosofia in 13 volumi, pubblicata tra il 1918 e il 1948, e di una Storia del liberalismo europeo pubblicata nel 1925, entrambe presso Laterza.  È stato anche presidente generale del Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani (CNGEI).  In seguito alla sua morte avvenuta a Roma, il 29 dicembre 1948, le spoglie mortali furono portate e tuttora riposano nella cappella gentilizia di Brusciano (Napoli), luogo d'origine della famiglia De Ruggiero, sulla sua tomba è ancora possibile leggere l'epitaffio scritto da Benedetto Croce:  «Dalla cattedra e con gli scritti indagò nella storia del pensiero la potenza di libertà costruttrice del mondo degli uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione fu alle nuove generazioni d'Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.»  Opere Storia della filosofia. Parte I. La filosofia greca', voll. I-II, Bari, Laterza, 1918 Storia della filosofia. Parte II. La filosofia del Cristianesimo, voll. I-II-III, Bari, Laterza, 1920 Storia della filosofia. Parte III. Rinascimento, riforma e controriforma, voll. I-II, Bari, Laterza, 1930 Storia della filosofia, Parte IV. La filosofia moderna., vol. I: L'età cartesiana, Bari, Laterza, 1933 Storia della filosofia, Parte IV. La filosofia moderna., vol. II: L'età dell'Illuminismo, Bari, Laterza, 1939 Storia della filosofia, Parte IV. La filosofia moderna., vol. III: Da Vico a Kant, Bari, Laterza, 1941 Storia della filosofia, Parte IV. La filosofia moderna., vol. IV: L'età del Romanticismo, Bari, Laterza, 1943 Storia della filosofia. Parte IV. La filosofia moderna, vol. V, Hegel, Bari, Laterza, 1947 La filosofia contemporanea, Bari, Laterza, 1912 Critica del concetto di cultura, Catania, Battiato, 1914 La filosofia contemporanea, 2 voll., 2ª edizione, Bari, Laterza, 1920 Il pensiero politico meridionale nel secolo XVIII e XIX, Bari, Laterza, 1921 L'impero britannico dopo la guerra, Firenze, Vallecchi, 1921 Storia del liberalismo europeo, Bari, Laterza, 1925 La filosofia contemporanea, 2 voll., 3ª edizione, Bari, Laterza, 1929 Filosofi del Novecento, Bari, Laterza, 1934 L'esistenzialismo, Bari, Laterza, 1942 Scritti politici, 1912-1926, a cura di R. De Felice, Bologna, Cappelli, 1963 Lezioni sulla libertà, a cura di F. Mancuso, Napoli, Guida Editore, 2007 ISBN 978-88-6042-281-1 Carteggio Croce-De Ruggiero, a cura di A. Schinaia e N. Ruggiero, Bologna, Il Mulino, 2009 ISBN 978-88-15-12860-7 Note ^ B. Croce, La Critica, 12, 1914, p. 312. ^ Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica, 16 aprile 2000. URL consultato il 18 febbraio 2016. Bibliografia Clementina Gily Reda, Guido De Ruggiero: un ritratto filosofico, Napoli, Società editrice napoletana, 1981 Maria Luisa Cicalese, L'impegno di un liberale. Guido De Ruggiero tra filosofia e politica, Firenze, Le Monnier, 2007 ISBN 880084149X Voci correlate Deputati della Consulta Nazionale Italiana Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Guido De Ruggiero Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guido De Ruggiero Collegamenti esterni Guido De Ruggiero, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Guido De Ruggiero / Guido De Ruggiero (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Guido De Ruggiero, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Guido De Ruggiero, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Opere di Guido De Ruggiero, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Guido De Ruggiero, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Guido De Ruggiero, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Guido De Ruggiero, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata M. Griffo, Guido De Ruggiero, la coscienza critica del liberalismo, su loccidentale.it. URL consultato l'11 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). V. Sgambati, Guido de Ruggiero tra pensiero e azione, tra ethos e pathos, su lacropoli.it. URL consultato l'11 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Predecessore             Rettore dell'Università "La Sapienza"                                      Successore                                             Sapienza stemma.png Pietro De Francisci                                   1943 - 1944                                        Giuseppe Carania                                          V · D · M Giovanni Gentile Controllo di autorità                              VIAF (EN) 120694790 · ISNI (EN) 0000 0001 0939 7081 · SBN IT\ICCU\CFIV\054605 · LCCN (EN) n50052067 · GND (DE) 119388359 · BNF (FR) cb12993406r (data) · BNE (ES) XX1249164 (data) · BAV (EN) 495/71688 · WorldCat Identities (EN) lccn-n50052067 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Storia Portale Storia Categorie: Nati nel 1888Morti nel 1948Nati il 23 marzoMorti il 29 dicembreNati a NapoliMorti a RomaAntifascisti italianiFilosofi italiani del XX secoloPolitici del Partito d'AzioneRettori della SapienzaMinistri della pubblica istruzione del Regno d'ItaliaDeputati della Consulta nazionaleGoverno Bonomi II[altre]

rule of law, the largely formal or procedural properties of a well-ordered legal system. Commonly, these properties are thought to include: a prohibition of arbitrary power the lawgiver is also subject to the laws; laws that are general, prospective, clear, and consistent capable of guiding conduct; and tribunals courts that are reasonably accessible and fairly structured to hear and determine legal claims. Contemporary discussions of the rule of law focus on two major questions: 1 to what extent is conformity to the rule of law essential to the very idea of a legal system; and 2 what is the connection between the rule of law and the substantive moral value of a legal system? 

Russell: “not really a philosopher,” as Grice puts it, by either education or practice, he was born of Celtic Highland stock into an aristocratic family in Wales (then part of England), Russell always divided his interests between politics, philosophy, and the ladies (he married six times). Orphaned at four, he was brought up by his grandmother, who educated him at home with the help of “rather dull” tutors. He studied mathematics at Cambridge and then, as his grandmother says, ‘out of the blue,’ he turned to philosophy. At home he had absorbed J. S. Mill’s liberalism, but not his empiricism. At Cambridge he came under the influence of neo-Hegelianism, especially the idealism of McTaggart, Ward his tutor, and Bradley. His earliest logical views were influenced most by Bradley, especially Bradley’s rejection of psychologism. But, like Ward and McTaggart, he rejected Bradley’s metaphysical monism in favor of pluralism or monadism. Even as an idealist, he held that scientific knowledge was the best available and that philosophy should be built around it. Through many subsequent changes, this belief about science, his pluralism, and his anti-psychologism remained constant. In 5, he conceived the idea of an idealist encyclopedia of the sciences to be developed by the use of transcendental arguments to establish the conditions under which the special sciences are possible. Russell’s first philosophical book, An Essay on the Foundations of Geometry 7, was part of this project, as were other mostly unfinished and unpublished pieces on physics and arithmetic written at this time see his Collected Papers, vols. 12. Russell claimed, in contrast to Kant, to use transcendental arguments in a purely logical way compatible with his anti-psychologism. In this case, however, it should be both possible and preferable to replace them by purely deductive arguments. Another problem arose in connection with asymmetrical relations, which led to contradictions if treated as internal relations, but which were essential for any treatment of mathematics. Russell resolved both problems in 8 by abandoning idealism including internal relations and his Kantian methodology. He called this the one real revolution in his philosophy. With his Cambridge contemporary Moore, he adopted an extreme Platonic realism, fully stated in The Principles of Mathematics 3 though anticipated in A Critical Exposition of the Philosophy of Leibniz 0. Russell’s work on the sciences was by then concentrated on pure mathematics, but the new philosophy yielded little progress until, in 0, he discovered Peano’s symbolic logic, which offered hope that pure mathematics could be treated without Kantian intuitions or transcendental arguments. On this basis Russell propounded logicism, the claim that the whole of pure mathematics could be derived deductively from logical principles, a position he came to independently of Frege, who held a similar but more restricted view but whose work Russell discovered only later. Logicism was announced in The Principles of Mathematics; its development occupied Russell, in collaboration with Whitehead, for the next ten years. Their results were published in Principia Mathematica 013, 3 vols., in which detailed derivations were given for Cantor’s set theory, finite and transfinite arithmetic, and elementary parts of measure theory. As a demonstration of Russell’s logicism, Principia depends upon much prior arithmetization of mathematics, e.g. of analysis, which is not explicitly treated. Even with these allowances much is still left out: e.g., abstract algebra and statistics. Russell’s unpublished papers Papers, vols. 45, however, contain logical innovations not included in Principia, e.g., anticipations of Church’s lambda-calculus. On Russell’s extreme realism, everything that can be referred to is a term that has being though not necessarily existence. The combination of terms by means of a relation results in a complex term, which is a proposition. Terms are neither linguistic nor psychological. The first task of philosophy is the theoretical analysis of propositions into their constituents. The propositions of logic are unique in that they remain true when any of their terms apart from logical constants are replaced by any other terms. In 1 Russell discovered that this position fell prey to self-referential paradoxes. For example, if the combination of any number of terms is a new term, the combination of all terms is a term distinct from any term. The most famous such paradox is called Russell’s paradox. Russell’s solution was the theory of types, which banned self-reference by stratifying terms and expressions into complex hierarchies of disjoint subclasses. The expression ‘all terms’, e.g., is then meaningless unless restricted to terms of specified types, and the combination of terms of a given type is a term of different type. A simple version of the theory appeared in Principles of Mathematics appendix A, but did not eliminate all the paradoxes. Russell developed a more elaborate version that did, in “Mathematical Logic as Based on the Theory of Types” 8 and in Principia. From 3 to 8 Russell sought to preserve his earlier account of logic by finding other ways to avoid the paradoxes  including a well-developed substitutional theory of classes and relations posthumously published in Essays in Analysis, 4, and Papers, vol. 5. Other costs of type theory for Russell’s logicism included the vastly increased complexity of the resulting sysRussell, Bertrand Arthur William Russell, Bertrand Arthur William 802    802 tem and the admission of the problematic axiom of reducibility. Two other difficulties with Russell’s extreme realism had important consequences: 1 ‘I met Quine’ and ‘I met a man’ are different propositions, even when Quine is the man I met. In the Principles, the first proposition contains a man, while the second contains a denoting concept that denotes the man. Denoting concepts are like Fregean senses; they are meanings and have denotations. When one occurs in a proposition the proposition is not about the concept but its denotation. This theory requires that there be some way in which a denoting concept, rather than its denotation, can be denoted. After much effort, Russell concluded in “On Denoting” 5 that this was impossible and eliminated denoting concepts as intermediaries between denoting phrases and their denotations by means of his theory of descriptions. Using firstorder predicate logic, Russell showed in a broad, though not comprehensive range of cases how denoting phrases could be eliminated in favor of predicates and quantified variables, for which logically proper names could be substituted. These were names of objects of acquaintance  represented in ordinary language by ‘this’ and ‘that’. Most names, he thought, were disguised definite descriptions. Similar techniques were applied elsewhere to other kinds of expression e.g. class names resulting in the more general theory of incomplete symbols. One important consequence of this was that the ontological commitments of a theory could be reduced by reformulating the theory to remove expressions that apparently denoted problematic entities. 2 The theory of incomplete symbols also helped solve extreme realism’s epistemic problems, namely how to account for knowledge of terms that do not exist, and for the distinction between true and false propositions. First, the theory explained how knowledge of a wide range of items could be achieved by knowledge by acquaintance of a much narrower range. Second, propositional expressions were treated as incomplete symbols and eliminated in favor of their constituents and a propositional attitude by Russell’s multiple relation theory of judgment. These innovations marked the end of Russell’s extreme realism, though he remained a Platonist in that he included universals among the objects of acquaintance. Russell referred to all his philosophy after 8 as logical atomism, indicating thereby that certain categories of items were taken as basic and items in other categories were constructed from them by rigorous logical means. It depends therefore upon reduction, which became a key concept in early analytic philosophy. Logical atomism changed as Russell’s logic developed and as more philosophical consequences were drawn from its application, but the label is now most often applied to the modified realism Russell held from 5 to 9. Logic was central to Russell’s philosophy from 0 onward, and much of his fertility and importance as a philosopher came from his application of the new logic to old problems. In 0 Russell became a lecturer at Cambridge. There his interests turned to epistemology. In writing a popular book, Problems of Philosophy 2, he first came to appreciate the work of the British empiricists, especially Hume and Berkeley. He held that empirical knowledge is based on direct acquaintance with sense-data, and that matter itself, of which we have only knowledge by description, is postulated as the best explanation of sense-data. He soon became dissatisfied with this idea and proposed instead that matter be logically constructed out of sensedata and unsensed sensibilia, thereby obviating dubious inferences to material objects as the causes of sensations. This proposal was inspired by the successful constructions of mathematical concepts in Principia. He planned a large work, “Theory of Knowledge,” which was to use the multiple relation theory to extend his account from acquaintance to belief and inference Papers, vol. 7. However, the project was abandoned as incomplete in the face of Vitters’s attacks on the multiple relation theory, and Russell published only those portions dealing with acquaintance. The construction of matter, however, went ahead, at least in outline, in Our Knowledge of the External World 4, though the only detailed constructions were undertaken later by Carnap. On Russell’s account, material objects are those series of sensibilia that obey the laws of physics. Sensibilia of which a mind is aware sense-data provide the experiential basis for that mind’s knowledge of the physical world. This theory is similar, though not identical, to phenomenalism. Russell saw the theory as an application of Ockham’s razor, by which postulated entities were replaced by logical constructions. He devoted much time to understanding modern physics, including relativity and quantum theory, and in The Analysis of Matter 7 he incorporated the fundamental ideas of those theories into his construction of the physical world. In this book he abandoned sensibilia as fundamental constituents of the world in favor Russell, Bertrand Arthur William Russell, Bertrand Arthur William 803    803 of events, which were “neutral” because intrinsically neither physical nor mental. In 6 Russell was dismissed from Cambridge on political grounds and from that time on had to earn his living by writing and public lecturing. His popular lectures, “The Philosophy of Logical Atomism” 8, were a result of this. These lectures form an interim work, looking back on the logical achievements of 510 and emphasizing their importance for philosophy, while taking stock of the problems raised by Vitters’s criticisms of the multiple relation theory. In 9 Russell’s philosophy of mind underwent substantial changes, partly in response to those criticisms. The changes appeared in “On Propositions: What They Are and How They Mean” 9 and The Analysis of Mind 1, where the influence of contemporary trends in psychology, especially behaviorism, is evident. Russell gave up the view that minds are among the fundamental constituents of the world, and adopted neutral monism, already advocated by Mach, James, and the  New Realists. On Russell’s neutral monism, a mind is constituted by a set of events related by subjective temporal relations simultaneity, successiveness and by certain special “mnemic” causal laws. In this way he was able to explain the apparent fact that “Hume’s inability to perceive himself was not peculiar.” In place of the multiple relation theory Russell identified the contents of beliefs with images “imagepropositions” and words “word-propositions”, understood as certain sorts of events, and analyzed truth qua correspondence in terms of resemblance and causal relations. From 8 to 4 Russell lived in the United States, where he wrote An Inquiry into Meaning and Truth 0 and his popular A History of Western Philosophy 5. His philosophical attention turned from metaphysics to epistemology and he continued to work in this field after he returned in 4 to Cambridge, where he completed his last major philosophical work, Human Knowledge: Its Scope and Limits 8. The framework of Russell’s early epistemology consisted of an analysis of knowledge in terms of justified true belief though it has been suggested that he unintentionally anticipated Edmund Gettier’s objection to this analysis, and an analysis of epistemic justification that combined fallibilism with a weak empiricism and with a foundationalism that made room for coherence. This framework was retained in An Inquiry and Human Knowledge, but there were two sorts of changes that attenuated the foundationalist and empiricist elements and accentuated the fallibilist element. First, the scope of human knowledge was reduced. Russell had already replaced his earlier Moorean consequentialism about values with subjectivism. Contrast “The Elements of Ethics,” 0, with, e.g., Religion and Science, 5, or Human Society in Ethics and Politics, 4. Consequently, what had been construed as self-evident judgments of intrinsic value came to be regarded as non-cognitive expressions of desire. In addition, Russell now reversed his earlier belief that deductive inference can yield new knowledge. Second, the degree of justification attainable in human knowledge was reduced at all levels. Regarding the foundation of perceptual beliefs, Russell came to admit that the object-knowledge “acquaintance with a sensedatum” was replaced by “noticing a perceptive occurrence” in An Inquiry that provides the non-inferential justification for a perceptual belief is buried under layers of “interpretation” and unconscious inference in even the earliest stages of perceptual processes. Regarding the superstructure of inferentially justified beliefs, Russell concluded in Human Knowledge that unrestricted induction is not generally truthpreserving anticipating Goodman’s “new riddle of induction”. Consideration of the work of Reichenbach and Keynes on probability led him to the conclusion that certain “postulates” are needed “to provide the antecedent probabilities required to justify inductions,” and that the only possible justification for believing these postulates lies, not in their self-evidence, but in the resultant increase in the overall coherence of one’s total belief system. In the end, Russell’s desire for certainty went unsatisfied, as he felt himself forced to the conclusion that “all human knowledge is uncertain, inexact, and partial. To this doctrine we have not found any limitation whatever.” Russell’s strictly philosophical writings of 9 and later have generally been less influential than his earlier writings. His influence was eclipsed by that of logical positivism and ordinary language philosophy. He approved of the logical positivists’ respect for logic and science, though he disagreed with their metaphysical agnosticism. But his dislike of ordinary language philosophy was visceral. In My Philosophical Development 9, he accused its practitioners of abandoning the attempt to understand the world, “that grave and important task which philosophy throughout the ages has hitherto pursued.” 

RECTVM -- DE-RECTUM -- directum. “Searle thought he was being witty when adapting my implicaturum to what he called an Indirect Austinian thing. Holdcroft was less obvious!” – Grice. – indirectum -- indirect discourse, also called oratio obliqua, the use of words to report what others say, but without direct quotation. When one says “John said, ‘Not every doctor is honest,’ “ one uses the words in one’s quotation directly – one uses direct discourseto make an assertion about what John said. Accurate direct discourse must get the exact words. But in indirect discourse one can use other words than John does to report what he said, e.g., “John said that some physicians are not honest.” The words quoted here capture the sense of John’s assertion (the proposition he asserted). By extension, ‘indirect discourse’ designates the use of words in reporting beliefs. One uses words to characterize the proposition believed rather than to make a direct assertion. When Alice says, “John believes that some doctors are not honest,” she uses the words ‘some doctors are not honest’ to present the proposition that John believes. She does not assert the proposition. By contrast, direct discourse, also called oratio recta, is the ordinary use of words to make assertions. Grice struggled for years as to what the ‘fundamentum distinctionis’ is between the central and the peripheric communicatum. He played with first-ground versus second-ground. He played with two different crtieria: formal/material, and dictive-non-dictive. Refs.: H. P. Grice, “Holdcroft on direct and indirect communication.”

Rusca Pietro Martire Rusca (1615-1674) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il teologo domenicano, vedi Pietro Martire Rusca (1480-1578). Pietro Martire Rusca, O.F.M.Conv. vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop.svg   Incarichi ricoperti                          Vescovo di Caorle (1656-1674)   Nato                               1615 circa a Venezia Nominato vescovo                                 10 gennaio 1656 da papa Alessandro VII Consacrato vescovo                      20 febbraio 1656 dal cardinale Marcantonio Bragadin Deceduto                       29 aprile 1674 a Venezia   Manuale Pietro Martire Rusca (Venezia, 1615 – Venezia, 29 aprile 1674) è stato un vescovo cattolico, filosofo e scrittore italiano.   Indice 1                                             Biografia 1.1                                           Gioventù e carriera ecclesiastica 1.2                                         Vescovo di Caorle 2                                        Genealogia episcopale 3                                        Note 4                                             Voci correlate 5                                                Collegamenti esterni Biografia Gioventù e carriera ecclesiastica Nasce a Venezia intorno al 1615[1], figlio di Giovanni Rusca, nativo di Lugano che si era trasferito nella città lagunare, cugino di Girolamo Rusca, padre domenicano e vescovo di Cattaro e Capodistria, appartenenti all'antica famiglia comasca dei Rusca[2]. Altre fonti lo indicano di «famiglia padovana»[3], riferendosi probabilmente alla sua carriera religiosa. Entrò infatti a far parte dei frati francescani conventuali, sebbene non del convento padovano ma di quello veneziano dei frari[4], conseguì la laurea in teologia e in filosofia e servì come vicario generale di Padova della Congregazione del Sant'Uffizio[2][5]. Ricoprì quindi il ruolo di Inquisitore di Adria-Rovigo[2][6][7], e in questo periodo diede alle stampe l'opera Syllogistica methodus, dedicata a Pietro Ottobono, e fece stampare diverse opere di Matteo Ferchio (il De caelesti substantia, il De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis e l' Epitome theologica)[5].   Lo stemma araldico della famiglia Rusca, il cui scudo fu anche utilizzato da Pietro Martire Rusca per il suo stemma episcopale[8]. Vescovo di Caorle Il 10 gennaio 1656, papa Alessandro VII nomina il Rusca vescovo di Caorle[9][7][8], sebbene il Gauchat collochi la nomina il 14 febbraio dello stesso anno[10]. Fu consacrato il successivo 20 febbraio dal cardinale Marcantonio Bragadin[1].  In qualità di vescovo di Caorle, fu uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gli imponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina[10][6][7]. Durante questi restauri ricoprì il soffitto della cattedrale con stucchi e diede all'edificio una struttura barocca[8]. Quindi, non esistendo notizia storica della data della precedente consacrazione della cattedrale[11], provvide a riconsacrarla, apponendo alle pareti dodici croci in cotto, tuttora conservate. Inoltre fece completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Santo Stefano protomartire, Santa Margherita di Antiochia e San Gilberto di Sempringham), fatti iniziare dal predecessore Giorgio Darmini, e provvide al rinforzo della struttura del campanile[8]. Al completamento di tutti i lavori, nel 1665, volle che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia[7]. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, ora affisse alla parete sinistra del duomo (un tempo posta sopra il portone d'ingresso), che recita:  «D.O.M. LÆVITÆ STEPHANO PROTOMARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS· CONSECRAVIT· MARINO VIZZAMANO PRÆTORE M·D·C·L·XV·III CAL SEP·»  (A Dio ottimo massimo - al levita Stefano protomartire - fra' Pietro Martire Rusca vescovo - consacrò - essendo podestà Marino Vizzamano - 1665, 3 (giorni alle) calende di settembre.) L'interpretazione della data è da sempre stata dubbia; alcuni infatti ritengono che si riferisca al 1º settembre, attaccando il III all'anno, che così diverrebbe il 1668. Tuttavia la versione oggi comunemente accettata è quella riportata sopra, cosicché il giorno della dedicazione della chiesa è celebrato il 30 agosto. Questa è anche la versione esplicitamente riportata dal Gams[12].  Il vescovo Rusca è anche ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche della diocesi. Ripristinò la mensa episcopale[5] e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternita[9][8]. Inoltre, come si evince dai suoi atti, si adoperò per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi[7]. Il 14 gennaio 1671 fece erigere nella cattedrale un altare dedicato a Sant'Antonio di Padova, in seguito ricostruito dal vescovo Francesco Trevisan Suarez, poi asportato all'inizio del 1900 ed oggi conservato nel Santuario della Madonna di Monte Santo di Gorizia[7][8]. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare del Santo con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita:  «ILL.MI ET RMI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE, ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D. OCTAVII RODVLPHI NOT. VEN. DIEI XIV MENSIS IAN. MDCLXXI AB INCAR. FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT»  (Illustrissimi e reverendissimi vescovi caprulensi, abbiate cura che una messa letta quotidiana e due cantate in qualsivoglia mese siano celebrate a questo altare di S. Antonio, ne sono tenuti come dagli atti del signor Ottavio Rodolfo notaio veneziano del giorno 14 mese di gennaio 1671 dall'Incarnazione. Fra' Pietro Martire Rusca vescovo di Caorle eresse, unì, dispose.) Sempre nello stesso anno consacrò la chiesa di Santa Maria Elisabetta al Lido di Venezia[7].  Morì il 29 aprile 1674 nel convento dei Frari a Venezia, tra le lacrime di molti fedeli[9][5][7][8].  Genealogia episcopale Cardinale Guillaume d'Estouteville, O.S.B.Clun. Papa Sisto IV Papa Giulio II Cardinale Raffaele Riario Papa Leone X Papa Paolo III Cardinale Francesco Pisani Cardinale Alfonso Gesualdo Papa Clemente VIII Cardinale Pietro Aldobrandini Cardinale Laudivio Zacchia Cardinale Antonio Marcello Barberini, O.F.M.Cap. Cardinale Marcantonio Bragadin Pietro Martire Rusca, O.F.M.Conv. Note  Bishop Pietro Martire Rusca O.F.M. Conv., su catholic-hierarchy.org.  Roberto Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Nicola Giacinto Marta, Venezia, 1675 ^ Bonaventura Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne Basilica di S. Antonio di Padova, Padova, 1796 ^ Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Giovanni Manfrè, Padova, 1758  (LA) Giovanni Giacinto Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Romae 1806  Trino Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, nella Tipografia di Pietro Bernardi, Venezia, 1811  Giovanni Musolino, Storia di Caorle, La Tipografica, Venezia, 1970  Paolo Francesco Gusso e Renata Candiago Gandolfo, Caorle Sacra, Marcianum Press, Venezia, 2012  (LA) Ferdinando Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium, Venezia, apud Sebastianum Coleti, 1720  Patrick Gauchat, Hierarchia Catholica Medii Et Recentioris Aevi (Vol IV), Münster, Libraria Regensbergiana, 1935 ^ Riporta l'Ughelli che la data di costruzione è il 1038, ma non è riportato l'atto di consacrazione dell'edificio ^ (LA) Pius Bonifacius Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Leipzig, 1931, p. 781 Voci correlate Rusca (famiglia) Duomo di Caorle Diocesi di Caorle Collegamenti esterni (EN) David M. Cheney, Pietro Martire Rusca, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Predecessore                                      Vescovo di Caorle                                         Successore                                             BishopCoA PioM.svg Giorgio Darmini                             10 gennaio 1656 - 29 aprile 1674                               Francesco Antonio Boscaroli                                      Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Vescovi cattolici italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVII secoloScrittori italiani del XVII secoloNati nel 1615Morti nel 1674Morti il 29 aprileNati a VeneziaMorti a VeneziaRuscaVescovi di Caorle[altre]

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Rusconi Gian Enrico Rusconi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Gian Enrico Rusconi (Meda, 10 febbraio 1938) è uno storico, politologo e filosofo italiano.   Indice 1                    Biografia 2                                            Vita privata 3                                            Opere 4                                             Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia Professore emerito di Scienze politiche presso l'Università di Torino, laureato in filosofia, esordì come docente di Sociologia nel 1968 presso la facoltà di sociologia di Trento. Nel 1975 fu chiamato, per la medesima materia, presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino, dove poi si trasferì alla cattedra di Scienza della politica. Dopo una monografia dal titolo La teoria critica della società, si è dedicato soprattutto allo studio della società tedesca e della storia della Germania nel Novecento, in un continuo raffronto con la situazione italiana.  Tra il 1980 e il 1983 fu tra gli animatori della rivista Laboratorio politico. È stato direttore dell'Istituto storico italo-germanico di Trento dal 2005 al 2010.  Editorialista del quotidiano La Stampa, è stato anche Visiting Professor presso la Freie Universität di Berlino.  Vita privata È sposato con la sociologa Chiara Saraceno.  Opere La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, (Einaudi 1977) Scambio, minaccia, decisione. Elementi di sociologia politica (Il Mulino 1984) Capire la Germania. Un diario ragionato sulla questione tedesca (Il Mulino 1990) Se cessiamo di essere una nazione (Il Mulino 1993), in cui ripercorre il dibattito italiano e europeo sulla nazione e il suo rapporto con l'etnia (osservando come da certi punti di vista la nazione italiana è plurietnica) Resistenza e postfascismo (Il Mulino 1995) Come se Dio non ci fosse (Einaudi 2000) Germania Italia Europa. Dallo Stato di potenza alla «potenza civile» (Einaudi 2003) Cefalonia. Quando gli italiani si battono (Gli struzzi 583. Einaudi 2005) L'azzardo del 1915 (Il Mulino 2005) Cavour e Bismarck. Due leader fra liberalismo e cesarismo (Il Mulino 2009) Cosa resta dell'Occidente (Laterza 2012) Marlene e Leni. Seduzione, cinema e politica (Feltrinelli 2013) 1914: Attacco a occidente (Il Mulino 2014) Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gian Enrico Rusconi Collegamenti esterni Opere di Gian Enrico Rusconi / Gian Enrico Rusconi (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Registrazioni di Gian Enrico Rusconi, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Gian Enrico Rusconi, su treccani.it. Controllo di autorità                                  VIAF (EN) 267881344 · ISNI (EN) 0000 0001 0925 9447 · LCCN (EN) n81027947 · GND (DE) 12184806X · BNF (FR) cb12021940t (data) · BNE (ES) XX1423676 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n81027947 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Politica Portale Politica Sociologia Portale Sociologia Storia Portale Storia Categorie: Storici italiani del XXI secoloPolitologi italianiFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1938Nati il 10 febbraioNati a MedaSociologi italiani[altre]

Ruta Enrico Ruta Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento filosofi è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Enrico Ruta (Belmonte Castello, 1869 – Napoli, 1939) è stato un filosofo, studioso di dottrine politiche e scrittore italiano.  Visse prevalentemente a Napoli, dove conobbe e frequentò Benedetto Croce, e dove nel 1930 lo troviamo docente di dottrina politica presso l'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali. Ingegno versatile, ha lasciato opere di narrativa e di scienze politiche e sociali. Importante è stata anche la sua opera di traduttore di testi di Nietzsche e Treitschke. Fu collaboratore del quotidiano napoletano Il Mattino. Negli anni trenta sviluppò teorie politiche in armonia con l'ideologia del regime fascista.  Opere Narrativa  Il gusto d'amare, 1895. (Nuova ed. Millennium, 2006) Insaniapoli, 1911. (Nuova ed. Edizioni Campus, 1999) Il segreto di Partenope, Napoli, 1924. (Nuova ed. Millennium, 2003) Saggi  Visioni d'oriente e d'occidente: saggi di scienza della storia e della poesia , 1894 e 1924. La psiche sociale. Milano-Palermo-Napoli, Sandron Editore, 1909. Il ritorno del genio: a proposito di una nuova edizione della "Scienza Nuova" di G.B. Vico. Bari, 1913. Politica e ideologia. 2 voll., Milano, Corbaccio, 1929. La necessità storica dell'Italia nuova, Napoli 1931. Traduzioni  Otto Braun, Diario e lettere, traduzione e preparazione di E.R. Bari, 1923. Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo, traduzione e prefazione di E.R. Bari, 1919. Heinrich von Treitschke, La Francia dal primo impero al 1871, traduzione di E.R. Bari, 1916. Heinrich von Treitschke, La politica, traduzione di E.R. Bari, 1916. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Enrico Ruta Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Enrico Ruta Collegamenti esterni Anche i filosofi si innamorano di Ezio Pelino, 6 marzo 2011, sito "Cultura in Abruzzo". Controllo di autorità                     VIAF (EN) 29665154 · ISNI (EN) 0000 0000 6131 6341 · LCCN (EN) n2001154101 · BNF (FR) cb12993405d (data) · BAV (EN) 495/260356 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2001154101 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1869Morti nel 1939Nati a Belmonte CastelloMorti a NapoliSociologi italianiScrittori italiani del XX secolo[altre]


ryle: the waynflete professor of metaphysical philosophy, known especially for his contributions to the philosophy of mind and his attacks on Cartesianism. His best-known work is the masterpiece The Concept of Mind 9, an attack on what he calls “Cartesian dualism” and a defense of a type of logical behaviorism. This dualism he dubs “the dogma of the Ghost in the Machine,” the Machine being the body, which is physical and publicly observable, and the Ghost being the mind conceived as a private or secret arena in which episodes of sense perception, consciousness, and inner perception take place. A person, then, is a combination of such a mind and a body, with the mind operating the body through exercises of will called “volitions.” Ryle’s attack on this doctrine is both sharply focused and multifarious. He finds that it rests on a category mistake, namely, assimilating statements about mental processes to the same category as statements about physical processes. This is a mistake in the logic of mental statements and mental concepts and leads to the mistaken metaphysical theory that a person is composed of two separate and distinct though somehow related entities, a mind and a body. It is true that statements about the physical are statements about things and their changes. But statements about the mental are not, and in particular are not about a thing called “the mind.” These two types of statements do not belong to the same category. To show this, Ryle deploys a variety of arguments, including arguments alleging the impossibility of causal relations between mind and body and arguments alleging vicious infinite regresses. To develop his positive view on the nature of mind, Ryle studies the uses and hence the logic of mental terms and finds that mental statements tell us that the person performs observable actions in certain ways and has a disposition to perform other observable actions in specifiable circumstances. For example, to do something intelligently is to do something physical in a certain way and to adjust one’s behavior to the circumstances, not, as the dogma of the Ghost in the Machine would have it, to perform two actions, one of which is a mental action of thinking that eventually causes a separate physical action. Ryle buttresses this position with many acute and subtle analyses of the uses of mental terms. Much of Ryle’s other work concerns philosophical methodology, sustaining the thesis which is the backbone of The Concept of Mind that philosophical problems and doctrines often arise from conceptual confusion, i.e., from mistakes about the logic of language. Important writings in this vein include the influential article “Systematically Misleading Expressions” and the book Dilemmas. Ryle was also interested in Grecian philosophy throughout his life, and his last major work, Plato’s Progress, puts forward novel hypotheses about changes in Plato’s views, the role of the Academy, the purposes and uses of Plato’s dialogues, and Plato’s relations with the rulers of Syracuse. Refs: H. P. Grice, “What neither Ryle nor Austin ever taught me!” --. “What I mislearned from ‘The Concept of Mind.’”

idem, ipse, sui, de se -- Same -- Sameness -- Griceian – One of Grice’s favourite essays ever was Wiggins’s “Sameness and substance” -- Griceian différance, a  coinage deployed by Derrida in De la Grammatologie 7, where he defines it as “an economic concept designating the production of differing/deferring.” Différance is polysemic, but its key function is to name the prime condition for the functioning of all language and thought: differing, the differentiation of signs from each other that allows us to differentiate things from each other. Deferring is the process by which signs refer to each other, thus constituting the self-reference essential to language, without ever capturing the being or presence that is the transcendent entity toward which it is aimed. Without the concepts or idealities generated by the iteration of signs, we could never identify a dog as a dog, could not perceive a dog or any other thing as such. Perception presupposes language, which, in turn, presupposes the ideality generated by the repetition of signs. Thus there can be no perceptual origin for language; language depends upon an “original repetition,” a deliberate oxymoron that Derrida employs to signal the impossibility of conceiving an origin of language from within the linguistic framework in which we find ourselves. Différance is the condition for language, and language is the condition for experience: whatever meaning we may find in the world is attributed to the differing/ deferring play of signifiers. The notion of différance and the correlative thesis that meaning is language-dependent have been appropriated by radical thinkers in the attempt to demonstrate that political inequalities are grounded in nothing other than the conventions of sign systems governing differing cultures.

Sacchi Defendente Sacchi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Defendente Sacchi Defendente Sacchi (Casa Matta di Siziano, 22 ottobre 1796 – Milano, 20 ottobre 1840) è stato un giornalista, filosofo e scrittore italiano.  La sua produzione fu molto abbondante e abbracciò i campi più diversi, dalla filosofia agli studi storici, alla letteratura, alla storia e critica d'arte, senza trascurare la scrittura di romanzi e novelle. A differenza di altri poligrafi del tempo la sua scrittura era basata su una solida formazione e un sapere quasi enciclopedico, per cui i suoi scritti, pur influenzati -soprattutto nella forma- dalle mode culturali del tempo, mantengono anche oggi un indubbio valore.   Indice 1                         Biografia 1.1                                           Studi 1.2                                           Il breve matrimonio 1.3                                       L'attività editoriale 1.4                                          Ritratto 1.5                                            Gli ultimi anni 2                                          Opere 3                                             Bibliografia 3.1                                          Su Defendente Sacchi 3.2                                      Di Defendente Sacchi 4                                                Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia Studi Nato nei pressi della città universitaria di Pavia, in questa città condusse i suoi studi, che dapprincipio si indirizzarono soprattutto alla filosofia. Tra i suoi maestri vi fu Gian Domenico Romagnosi; fu corrispondente di Fauriel e di Melchiorre Gioia.  Il breve matrimonio Il 14 gennaio 1829 si sposò con Erminia Rossi, di Milano, e l'anno successivo la coppia si trasferì nel capoluogo lombardo, dove però ben presto la sposa morì di parto (il 12 aprile 1831), il che costituì per lui una perdita che lo afflisse per il resto dei suoi giorni. A riprova del grande affetto e dell'altrettanto grande dolore che egli nutrì per la moglie, oltre a ciò che scrive esplicitamente nella propria autobiografia (composta nel 1835), "Morì con la forza d'animo d'un filosofo, colla soavità d'un angelo …Io l'amo ancora come se fosse viva, e l'amo a segno che qualche momento mi pare di vederla e di parlarle…", si può rilevare un personaggio di un suo racconto del 1832, in cui è facile scorgere un ritratto della sua dolce Erminia, morta appena un anno prima: «Era presente una zia, tutta buona, tutta soave, che amava tanto i fanciulli; e di recente sposa e contenta, solo desiderava che il cielo anche di questi la facesse beata a compenso delle afflizioni sostenute nella sua giovinezza; ma l’infelice avea un desiderio, del quale l’essere esaudita dovea riescirle mortale. (…) Una lagrima intanto di compiacenza spuntava sul ciglio dello sposo, sventurato! e non sapeva essere foriera dell’interminato pianto che l’attendeva, quando in breve, perdendola, dovea rimanere il più misero dei viventi.»  (Defendente SACCHI, Cose inutili, Milano, 1832, vol. 1) L'attività editoriale Oltre ai romanzi ed alle monografie maggiori, innumerevoli sono gli articoli da lui pubblicati nelle più importanti riviste culturali del tempo: lo «Spettatore Italiano», la «Minerva Ticinese», gli «Annali universali di Statistica», la «Gazzetta Privilegiata di Milano», il «Pirata», il «Cosmorama pittorico», l'«Annotatore piemontese», la «Vespa», la «Farfalla», l'«Eco», «Il Barbiere di Siviglia», l'«Indicatore lombardo», il «Ricoglitore», la «Rivista Europea».  In particolare, dal 1835 fino alla morte fu direttore del «Cosmorama Pittorico»; inoltre era riconosciuto di fatto come l'animatore e il personaggio di spicco della «Gazzetta Privilegiata di Milano» (diretta da Angelo Lambertini).  La sua feconda attività e la sua facilità espositiva si spiegano anche col fatto che, per problemi fisici alla mano, era solito dettare i suoi testi.  Ritratto Un "Ritratto di Defendente Sacchi", opera di Pelagio Palagi, è conservato presso la Galleria d'Arte Moderna di Bologna. In esso l'autore ha alle spalle i volumi di quella che doveva essere la sua ricca biblioteca, a sottolineare l'attaccamento di Sacchi alle lettere e al sapere. L'immagine sembra confermare le impressioni sul suo aspetto fisico da parte di G.B. Cremonesi nell'introduzione ad una ristampa del 1841 di L'albero dei sospiri: "Era piccolo di persona e non bello di aspetto, benché i suoi lineamenti presentassero un non so che di piacevole nel tutt'insieme e di sereno" (p. XXVI).  Gli ultimi anni La sua ricca e documentata attività editoriale gli valse numerosi riconoscimenti (ad esempio, nel 1836 fu ammesso come socio nella "Reale Accademia delle Scienze di Torino"). Nel 1840, a coronamento dei suoi interessi artistici, istituì a Pavia una Civica Scuola di Pittura.  La sua prematura scomparsa venne imputata alla gracilità del fisico, spesso malato e provato da dolori, cui si aggiungevano le pene per la perdita della moglie e della figlia ("La natura gli aveva data un costituzione gracile; l'applicazione e più sventure l'indebolirono" ... "Tre anni e più fu egli travagliato da forti dolori" - Cremonesi 1841, p. XXI-XXIV)  Opere Nella molteplicità della sua produzione, si segnalano in particolare:  La Storia della filosofia greca in 6 volumi; La Collezione dei Classici Metafisici pubblicata insieme al professore Rolla e all'avvocato Germani in 62 volumi; La Vita di Lorenzo Mascheroni, con la raccolta di alcuni suoi scritti inediti; Il romanzo storico I Lambertazzi e i Geremei, (di cui vennero fatte diverse edizioni); L'altro romanzo di successo, La pianta dei sospiri (due edizioni; tradotta anche in francese) Le Antichità romantiche d'Italia, in due volumi, (cui collaborò anche il cugino Giuseppe Sacchi); La traduzione del Diritto pubblico universale, o sia Diritto di Natura e delle Genti di Giovanni Maria Lampredi (voll. 8-12 della "Biblioteca Scelta di opere tradotte dal latino") I Saggi su gli Uomini Utili e Benefattori del Genere Umano (voll. 417-418 della stessa "Biblioteca scelta") I suoi biografi ricordano anche che egli si riproponeva di pubblicare un lavoro di grande respiro dal titolo I voti dell'Italia, il cui manoscritto però avrebbe egli stesso dato alle fiamme.  Bibliografia Su Defendente Sacchi Innocenzio De Cesare, Defendente Sacchi, in "L'Omnibus Pittoresco", a.III (1841), n.48, pp. 377–379; "Defendente Sacchi", Cenni di G. B. Cremonesi in: D. Sacchi La pianta dei sospiri, Milano, Silvestri, 1841, pp. VII-XXVIII Autobiografia di Defendente Sacchi (prefazione e commento di Maria Fanny Sacchi), Pavia, Bizzoni, 1899 Defendente Sacchi. Filosofo, critico, narratore (presentazione di Emilio Gabba e Dante Zanetti), Milano, Cisalpino, 1992 ["Fonti e studi storia dell'Università di Pavia" - 18] (ISBN 88-205-0690-4) Di Defendente Sacchi Defendente Sacchi, Storia della filosofia greca, Pavia, Capelli, 1818 - 6 voll. Defendente Sacchi, Elogio di Condillac, Pavia, Bizzoni, 1819 Defendente Sacchi, Della filosofia di Socrate (dissertazione), Pavia, Bizzoni, 1820 Defendente Sacchi, I trovatori e le galanterie nel Medio evo, Milano, Ripamonti Carpano, 1820 Defendente Sacchi, Oriele o Lettere di due amanti, Pavia, Bizzoni, 1822 (rist. Milano, Borroni e Scotti 1851; Genova, Dario Rossi 1851) Lorenzo Mascheroni, Poesie edite ed inedite ... Raccolte e pubblicate per cura di Defendente Sacchi, Pavia, Bizzoni, 1823 Defendente Sacchi, La pianta dei sospiri (romanzo), Lodi, Orcesi, 1824; 2ª ed. Milano, Silvestri, 1841 facsimile del testo online dalla Biblioteca Braidense (FR) Defendente Sacchi, Marcellina, ou l'Arbre des soupirs, roman de Defendente Sacchi, traduit de l'italien, par M. Camille de Lagracinière, Paris, C. Béchet, 1827 Defendente Sacchi, Geltrude. Romanzo italiano con note storiche, Milano, Bettoni, 1825 Diritto pubblico universale di Gio. Maria Lampredi volgarizzato da Defendente Sacchi, Milano, Silvestri, 1828 Defendente Sacchi e Giuseppe Sacchi, "I fregi simbolici di San Michele in Pavia", Antichita romaniche d'Italia, v. 1., 1828 Defendente Sacchi e Giuseppe Sacchi, Antichità romantiche d'Italia epoca prima -seconda, Milano, Stella, 1828-1829 - 2 v. Defendente Sacchi e Giuseppe Sacchi, Della condizione economica, morale e politica degli italiani nei bassi tempi. Saggio primo intorno all'architettura simbolica, civile e militare, usata in Italia nei secoli 6°, 7° e 8° e intorno all'origine de' Longobardi, alla loro dominazione in Italia, alla divisione dei due popoli ed ai loro usi, culto e costumi, Milano, Stella, 1828 Defendente Sacchi, Della condizione economica, morale e politica degli Italiani ne' tempi municipali. Sulle feste, e sull'origine, stato e decadenza de' municipii italiani nel Medioevo. Saggi due, Milano, Stella, 1829 Defendente Sacchi, Della condizione, economica, morale e politica degli Italiani nei tempi Municipali, Annali universali di statistica economia pubblica, storia, viaggi e commercio (1830 giu, Serie 1, Volume 24, Fascicolo 71 e 72) Defendente Sacchi, Intorno all'indole della letteratura italiana nel sec. XIX, ossia della letteratura civile, con un'appendice intorno alla poesia eroica, sacra e alle belle arti. Saggio, Pavia, Luigi Landoni, 1830 Defendente Sacchi e Giuseppe Sacchi, Intorno alle dighe marmoree o murazzi alla laguna di Venezia ed alla istituzione del porto franco, Milano, Editori degli Annali Universali delle Scienze e dell'Industria, 1830 Defendente Sacchi, Miscellanea di lettere ed arti, Pavia, Bizzoni, 1830 Defendente Sacchi, I Lambertazzi e i Geremei o le fazioni di Bologna nel secolo 13° : cronaca di un trovatore, Milano, Stella, 1830 L'arca di Sant'Agostino : monumento in marmo del secolo 14. ora esistente nella chiesa cattedrale di Pavia, colle illustrazioni di Defendente Sacchi, Pavia, Fusi e C., 1832 Defendente Sacchi, Varietà letterarie, o Saggi intorno alle costumanze, alle arti, agli uomini e alle donne illustri d'Italia del secolo presente, Milano, Stella, 1832 Defendente Sacchi, A Cesare Cantu : intorno alla pasta, alla smania musicale del secolo, a Volta e a' progetti pel monumento da erigersegli in Como ed a qualche buona o cattiva moda della capitale: lettera inutile, Milano, Stella, 1832 Defendente Sacchi, Cose inutili, Milano, Visaj, 1832 Defendente Sacchi, Teodote : storia del secolo VIII, Milano, Nervetti, 1832) Defendente Sacchi, Le belle arti in Milano nell'anno 1832, Nuovo Raccoglitore nº 93 (settembre 1832) Defendente Sacchi, "Nuove questioni sull'architettura rituale in relazione alle opinioni del conte Cordero di San Quintino e dell'avvocato Robolini", in Annali Universali di Statistica, gen. 1832 Defendente Sacchi e Giuseppe Sacchi, Le arti e l'industria in Lombardia nel 1832, Milano, Visaj, 1833 Leopoldo Cicognara, Del bello: ragionamenti (con le notizie su la vita e le opere dell'autore compilate da Defendente Sacchi), Milano, Silvestri, 1834 Defendente Sacchi, Instituti di beneficenza a Torino (relazione), Milano, a Società degli editori degli annali universali delle scienze e dell'industria, 1835 - 54 p. Lezioni d'un parroco sul cholera pubblicate da Defendente Sacchi, Milano, Bravetta, 1836 Defendente Sacchi (a cura di), Gli asili dell'infanzia: loro utilità ed ordinamento. Memorie popolari italiane e tradotte, Milano, Manini, 1836 Defendente Sacchi, Novelle e racconti, Milano, Manini, 1836, 2 v. testo in pdf L' Arco della Pace a Milano descritto e illustrato da Defendente Sacchi ... e pubblicato per la fausta inaugurazione fatta da S.M.I.R.A. Ferdinando 1, Milano, Manini, 1838 Defendente Sacchi, Bernardino Luino, Cosmorama pittorico n. 23 (1838) p. 178-182 Defendente Sacchi, Le streghe. Dono del folletto alle signore, Milano, Manini, 1839 Defendente Sacchi, Uomini utili e benefattori del genere umano (saggi), Milano, Silvestri, 1840, 2 v. Defendente Sacchi, Amori e vicende dei quattro sommi poeti italiani: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Studi storici-biografici, Milano, Vallardi, s. a. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Defendente Sacchi Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Defendente Sacchi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Defendente Sacchi Collegamenti esterni Defendente Sacchi, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Defendente Sacchi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Defendente Sacchi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Defendente Sacchi, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Defendente Sacchi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Defendente Sacchi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Defendente Sacchi, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata Controllo di autorità      VIAF (EN) 18025589 · ISNI (EN) 0000 0000 6140 6267 · LCCN (EN) no89010231 · GND (DE) 119162075 · BNF (FR) cb104840087 (data) · BAV (EN) 495/120190 · CERL cnp00404341 · WorldCat Identities (EN) lccn-no89010231 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Giornalisti italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloScrittori italiani del XIX secoloNati nel 1796Morti nel 1840Nati il 22 ottobreMorti il 20 ottobreNati a SizianoMorti a MilanoStudenti dell'Università degli Studi di Pavia[altre]

Sacheli Calogero Angelo Sacheli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Calogero Angelo Sacheli Calogero Angelo Sacheli (Canicattì, 20 giugno 1890 – Taormina, 27 novembre 1946) è stato un filosofo, scrittore e docente universitario italiano.   Indice 1                                        Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia Nato a Canicattì, in provincia di Girgenti, il 20 giugno 1890 da Vincenzo e Calogera Rinaldi, rimase orfano di padre a 13 anni[1], frequentò le scuole primarie nella sua cittadina natale per poi trasferirsi a Caltanissetta, dove, ospite di uno zio materno, frequentò il liceo.[1]  Nel 1915 fu iniziato in Massoneria nella loggia Felice Cavallotti di Agrigento, e nel 1917 divenne Maestro massone.[2]  Laureato in filosofia all'Università di Palermo nel 1922 - dove fu allievo di Giovanni Antonio Colozza e Cosmo Guastella[3] - fu dapprima insegnante di scuola superiore a Bologna, Girgenti, Caltanissetta e Bressanone, e dal 1926 insegnante al Liceo ginnasio Andrea D'Oria di Genova.[3] Nel capoluogo ligure, Sacheli iniziò nel 1934 la sua carriera accademica come libero docente di pedagogia all'Università di Genova.[3] Successivamente insegnò la stessa disciplina alle università di Cagliari e di Messina, dove nel 1940 conseguì la docenza ordinaria.[3]  Morì a Taormina, in provincia di Messina, il 27 novembre 1946 all'età di 56 anni, dove si era stabilito per sfuggire ai violenti bombardamenti alleati che colpirono Messina nel 1943.[3]  Con i suoi saggi diede un apporto all'approfondimento della pedagogia e all'interpretazione della filosofia di Sant'Agostino, di San Tommaso e di Jean-Jacques Rousseau. Numerose sono le opere filosofiche e pedagogiche da lui composte. "La carità del natio loco" lo spinse anche a scrivere sulle tradizioni, i miti e le leggende di Canicattì, collaborando con la rivista Sicania e pubblicando i risultati delle sue ricerche nelle Linee di folklore canicattinese.  Opere Linee di Folklore canicattinese, Acireale, tip. Popolare, 1914 Indagini etiche: i criteri, il problema dell'etica, Milano, Remo Sandron, 1920 Atto e valore, Firenze, Sansoni, 1938 Ragion pratica: preliminari critici, Firenze, Sansoni, 1938 Crisi della Pedagogia, Roma, Perrella, 1940 Concetto di didattica, Messina, G. D'Anna, 1943 Note  C. Ottaviano, Sophia: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia, CEDAM, 1946, p. 233. ^ V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo, 2005, p. 245.  Calogero Angelo Sacheli, su liberliber.it. URL consultato il 05-06-2018. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Calogero Angelo Sacheli Collegamenti esterni Opere di Calogero Angelo Sacheli, su Liber Liber. Modifica su Wikidata G. Ferrante, Biografia di Calogero Angelo Sacheli, su canicatti-centrodoc.it. URL consultato il 05-06-2018. Controllo di autorità                      VIAF (EN) 283924553 · ISNI (EN) 0000 0003 9029 7719 · SBN IT\ICCU\SBLV\235105 · WorldCat Identities (EN) viaf-283924553 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani del XX secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel 1890Morti nel 1946Nati il 20 giugnoMorti il 27 novembreNati a CanicattìMorti a TaorminaMassoni[altre]

Saitta Giuseppe Saitta Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo vescovo, vedi Giuseppe Saitta (vescovo).  Giuseppe Saitta. Giuseppe Saitta (Gagliano Castelferrato, 7 novembre 1881 – Bologna, 20 dicembre 1965) è stato un filosofo e storico della filosofia italiano[1]. Allievo di Gentile, fu seguace e interprete del suo idealismo attuale.[2]   Indice 1                                           Biografia 1.1                                           Direttore della «Vita Nova» 1.2                                     L'idealismo attuale di Saitta 1.3                                       Gli ultimi anni 2                                          Opere 2.1                                            Storiografia filosofica 3                                         Note 4                                             Bibliografia 5                                           Voci correlate 6                                            Collegamenti esterni Biografia Nato in provincia di Enna da Giovanni Saitta e Angela Confalone, una famiglia di agricoltori e proprietari terrieri,[1] fu mandato a studiare in seminario nel collegio di Nicosia e quindi nel liceo di Monreale, per essere avviato alla carriera ecclesiastica. Ricevuti gli ordini sacri il 24 settembre 1904,[3] conseguì due anni dopo la laurea in lettere a Palermo, ma dismetterà l'abito sacerdotale a seguito di una crisi interiore che lo indusse ad allontanarsi dalla Chiesa cattolica.[1]  Frequentando le lezioni di Giovanni Gentile, si accostò al suo idealismo, laureandosi in filosofia nel 1909 col massimo dei voti. Aveva cominciato intanto a insegnare lettere nei licei di Terranova e Lucera, mentre a partire dal 1910 divenne professore di filosofia nei licei statali di Cagliari, Sassari, Fano, Faenza, e negli istituti Galvani e Minghetti di Bologna, fino al 1923.[1]  Nel periodo scolastico 1923-24 ottenne una cattedra universitaria di filosofia nel Regio Istituto di Magistero di Firenze,[1][4] per passare negli anni seguenti all'università di Cagliari, di Pisa, e infine dal 1932 a quella di Bologna. Qui insegnerà filosofia morale, poi teoretica, fino al 1952.[2]  Direttore della «Vita Nova» Aveva inoltre collaborato a varie riviste come il «Giornale critico della filosofia italiana», «Levana»,[1] e poi soprattutto «Vita Nova», periodico mensile bolognese fondato da Leandro Arpinati e vicino a Gentile, di cui Saitta assunse la direzione il 15 marzo 1925, mantenendola fino alla sua soppressione nel 1933.[1] Della rivista, organo dell'Università fascista di Bologna,[5] curò la rubrica Noi e gli altri – Spunto polemico, firmando i suoi interventi con lo pseudonimo di "Rusticus",[6] distinguendosi per i toni accesi e le posizioni anticlericali e anti-concordatarie, che lo portarono a scontrarsi con esponenti cattolici della stessa scuola gentiliana, in particolare Armando Carlini.[7]  Saitta aderiva infatti a una concezione movimentistica e rivoluzionaria del regime fascista del suo tempo,[8] che interpretava come il compimento dei valori romantici del Risorgimento, intendendo la nazione in senso hegeliano quale sintesi tra individuale e universale.[9] Rispetto a Carlini che appariva più freddo e accademico,[10] Saitta col suo attivismo riusciva a esercitare una forte capacità di attrazione verso i giovani, tra cui un suo allievo universitario, Delio Cantimori,[11] che ebbe come collaboratore alla «Vita Nova».[7]  «Così si sviluppò quella tendenza a preferire la scuola di storia della filosofia [di Saitta] dove la preparazione di tipo scolastico e le esigenze tecniche erano minori, ma dove si sentiva un calore ideale, una passione filosofica, un fervore per la verità, e una forza di convinzione spesso dura, e più che dura, ma più vicina a quei sentimenti e a quelle esigenze giovanili, una decisione innovatrice suggestiva e che sembrava offrire un orientamento non meramente accademico per la soluzione di quei problemi.»  (Delio Cantimori, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana», XVI, pp. 86-88, 1935, ora in Politica e storia contemporanea, pag. 131, a cura di Luisa Mangoni, Einaudi, 1991[12]) L'idealismo attuale di Saitta Saitta del resto, accogliendo la concezione gentiliana dell'atto come perenne autocreazione del pensiero che tutto comprende, aveva sviluppato una visione attualistica dell'idealismo non riducibile a una teoria statica, bensì intesa come azione e continuo dinamismo, che lo portava a esaltare la libertà creativa della ragione umana contro ogni forma di oggettività e di dogmatismo.[13] Da qui la sua accentuazione della polemica anti-religiosa,[5] e la riscoperta, nel solco delle tesi formulate da Bertrando Spaventa e dallo stesso Gentile, delle correnti immanentistiche della filosofia rinascimentale italiana che egli poneva a fondamento della genesi dell'idealismo moderno.[14]  Questo immanentismo, per il quale Dio si esprime nell'attività dello spirito umano, è per Saitta un «reale umanismo» che rende possibile la libertà dell'individuo, nella quale consiste la «nuova coscienza illuministica» della religione moderna da lui contrapposta a quella tradizionale, oppressiva e decadente, della trascendenza.[15]  Per difendere la libertà del soggetto da ogni autoritarismo e sopraffazione, Saitta si è schierato tuttavia non solo contro il dualismo platonico, la teologia di impianto tomistico e la neoscolastica, ma in parte anche contro lo stesso idealismo di Hegel che ha finito per oggettivare la ragione facendone un sistema assoluto da lui ritenuto «all'origine degli schiavismi moderni».[16]  Persino nell'attualismo di Gentile sarebbe rimasto un retaggio della vecchia teologia trascendente, quando esso attribuisce lo Spirito ad un Io assoluto anziché ai singoli individui: sono costoro per Saitta i veri creatori di valori spirituali, coloro cioè in cui va identificato il Soggetto trascendentale.[16] Egli in tal modo intendeva preservare la portata stessa dell'atto creativo del pensiero dell'idealismo gentiliano, rivestendolo di significati empirici, positivistici, contigenti, ripresi anche da autori come Rousseau e Feuerbach.[1]  Gli ultimi anni Dopo il ritiro dall'insegnamento, Saitta condusse negli ultimi anni una vita sempre più appartata, durante i quali si sarebbe progressivamente riavvicinato alla fede cattolica.[17]  A Gagliano Castelferrato, suo paese nativo, gli è stata intitolata una piazza dove è stato collocato un parco giochi per bambini. Molti anni prima gli era stata intitolata una strada che usualmente, però, ha continuato ad essere chiamata Via Roma. Più tardi gli venne intitolato l'Istituto Professionale Femminile di Stato.  Opere Lo spirito come eticità (Bologna, Zanichelli, 1921); 2ª ed. corretta e accresciuta La teoria dello spirito come eticità (Bologna, Zanichelli, 1948)[18] La personalità umana e la nuova coscienza illuministica (Genova, Emiliano Degli Orfini, 1938) La libertà umana e l'esistenza (Firenze, Sansoni, 1940) Il problema di Dio e la filosofia dell'immanenza (Bologna, Cesare Zuffi, 1953) Storiografia filosofica Oltre alle opere di natura propriamente filosofica, Saitta si è a lungo occupato di storia della filosofia, dai greci all'età moderna, soffermandosi sul Rinascimento e i pensatori italiani, in particolare Ficino:[19]  La scolastica del secolo XVI e la politica dei Gesuiti (Torino, Bocca, 1911) Le origini del neotomismo nel secolo XIX (Bari, Laterza, 1912) Il pensiero di Vincenzo Gioberti (Messina, Principato, 1917; 2ª Firenze, Vallecchi 1927) La filosofia di Marsilio Ficino (Messina, Principato, 1923); riedita come Marsilio Ficino e la filosofia dell'Umanesimo (Bologna, Fiammenghi & Nanni, 19543) L'educazione dell'umanesimo in Italia (Venezia, La Nuova Italia, 1928) Filosofia italiana ed umanesimo (Venezia, La Nuova Italia, 1928) Leone Ebreo, su treccani.it, 1933. Gioberti Vincenzo, su treccani.it, 1933. Il carattere della filosofia tomistica (Firenze, Sansoni, 1934) La teoria dell'amore e l'educazione del Rinascimento (Bologna, U.P.E.B., 1947) L'illuminismo della sofistica greca (Milano, Bocca, 1938) Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento, in 3 volumi (Bologna, Cesare Zuffi, 1949-1951) Cusano e l'Umanesimo italiano, con altri saggi sul Rinascimento (Bologna, Tamari, 1957) Note  Ettore Centineo, Ricordo di Giuseppe Saitta, articolo su «Giornale critico della filosofia italiana», XLV, n. 2, pp. 171-186, Firenze, Sansoni, aprile-giugno 1966.  Giuseppe Saitta, su treccani.it, 1961. ^ Albano Sorbelli, L'Archiginnasio: bollettino della Biblioteca comunale di Bologna, pag. 379 e segg., direzione di Franco Bergonzoni, Regia tipografia dei fratelli Merlani, 1981. ^ Università degli studi di Firenze, su siusa.archivi.beniculturali.it.  Simona Salustri, L'Università fascista di Bologna: un modello di Accademia per il regime?, in «Accademie e scuole: istituzioni, luoghi, personaggi, immagini della cultura e del potere», pp. 386-388, a cura di Daniela Novarese, Milano, Giuffrè, 2011. ^ Vittore Pisani, Paideia, vol. XXXI, pag. 13, Casa editrice Paideia, 1976.  Roberto Pertici, Storia della storiografia, vol. 31, pagg. 32 e 45, Jaca Book, 1997. ^ Luisa Mangoni, L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, pp. 186-194, Bari, Laterza, 1974. ^ Roberto Pertici, Storia della storiografia, op.cit., pag. 45. ^ Roberto Pertici, Storia della storiografia, op.cit., pag. 32, nota 24. ^ Cantimori ricorderà con commozione l'«irrequietezza spirituale della scuola di Saitta» e la sua «attenzione volta ad argomenti quasi ignorati dalla cultura italiana» (cit. da Bruno Valerio Bandini, Storia e storiografia: studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi il 7-8 ottobre 1978, pag. 161, Editori Riuniti, 1979). ^ Cit. in Roberto Pertici, Storia della storiografia, op. cit., pag. 32, nota 24. ^ Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1960, II volume, pag. 424 e segg., Bari, Laterza, 1966. ^ Gianfranco Morra, L'immanentismo assoluto di Giuseppe Saitta, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana», XXXIII, n. 3, pp. 392-400, 1954. ^ «Il Saitta, forse meglio di ogni altro, intese dell'attualismo l'istanza realmente umanistica, e di un "reale umanismo": e questa appunto volle sottolineare e difendere contro ogni mistificazione. Così lo vediamo ridurre tutta la dialettica gentiliana a lotta sempre risorgente fra ragione umana liberatrice e costruttrice di una società di uomini liberi, e religione tradizionale cristallizzata nelle oppressioni di strutture chiesastiche portatrici di una "filosofia di morte"» (Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1960, op. cit., pag. 425).  Roberto Melchiorre, Storiografi italiani del Novecento, alla voce «Giuseppe Saitta», Aletti Editore, 2012. ^ Ricordo di Giuseppe Saitta (PDF), su archiviostorico.unibo.it. ^ Sommario dei libri, su gaglianocastelferrato.com. URL consultato il 13 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2013). ^ «La filosofia moderna come celebrazione della soggettività è quasi tutta sbozzata con Marsilio Ficino. Con lui, anziché col Campanella, come da altri è stato frequentemente ripetuto, s'inizia quella teoria della conoscenza, che sbocca con profonda e potente originalità in Kant» (Giuseppe Saitta, Marsilio Ficino e la filosofia dell'Umanesimo, pag. 157, Bologna, Fiammenghi & Nanni, 19543). Bibliografia Ettore Centineo, Ricordo di Giuseppe Saitta, su «Giornale critico della filosofia italiana», XLV, n. 2, pp. 171–186, Firenze, Sansoni, aprile-giugno 1966 Gianfranco Morra, L'immanentismo assoluto di Giuseppe Saitta, su «Giornale critico della filosofia italiana», XXXIII, n. 3, pp. 392–400, 1954 Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1960, volume II, Bari, Laterza, 1966 Roberto Melchiorre, Storiografi italiani del novecento (2010), Villalba di Guidonia, Aletti Editore, 2012 Voci correlate Attualismo (filosofia) Filosofia rinascimentale Idealismo italiano Delio Cantimori Giovanni Gentile Collegamenti esterni Ricordo di Giuseppe Saitta (PDF), su archiviostorico.unibo.it. Giuseppe Saitta, su treccani.it, 1961. Giuseppe Saitta, su bibliotecasalaborsa.it. V · D · M Giovanni Gentile V · D · M Idealismo Controllo di autorità         VIAF (EN) 21631386 · SBN IT\ICCU\CFIV\044835 · LCCN (EN) nb91021640 · BNF (FR) cb11084978b (data) · BAV (EN) 495/111669 · WorldCat Identities (EN) lccn-nb91021640 Biografie Portale Biografie Fascismo Portale Fascismo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloStorici della filosofia italianiNati nel 1881Morti nel 1965Nati il 7 novembreMorti il 20 dicembreMorti a BolognaIdealisti[altre]

Salutati Coluccio Salutati Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search (LA) «Video ignoras quam sit dulcis amor patrie: si pro illa tutanda augendave expediret, non videretur molestum nec grave vel facinus paterno capiti securim iniicere, fratres obterere, per uxoris uterum ferro abortum educere...»  (IT) «Vedo che ignori quanto sia dolce l'amor di patria: se ciò fosse utile alla difesa e all'ampliamento [della patria], non [ti] sembrerebbe un crimine penoso, nè un delitto scellerato, il fracassare con la scure il capo del proprio padre, o ammazzare i fratelli, o cavare con la spada dal grembo della moglie il figlio prematuro...»  (Epistolario, 1, X, a Ser Andrea di Conte, p. 28) Lino Coluccio Salutati Raising of the Son of Teophilus and St. Peter Enthroned 16.jpg Masaccio, presunto ritratto di Coluccio Salutati, particolare tratto dalla Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, uno degli affreschi che ornano la Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, Firenze. Cancelliere di Firenze Durata mandato                      19 aprile 1375 – 4 maggio 1406 Predecessore                            Niccolò Ventura Successore                                       Leonardo Bruni Dati generali Titolo di studio                              Studi giuridici Università                                       Università di Bologna Professione                                   politico, notaio, letterato Lino Coluccio Salutati (Stignano, 16 febbraio 1332[N 1] – Firenze, 4 maggio 1406) è stato un politico, letterato e filosofo italiano, Cancelliere di Firenze dal 1375 al 1406. Figura culturale di riferimento dell'umanesimo a Firenze, in qualità di discepolo del Boccaccio e precettore di Poggio Bracciolini e Leonardo Bruni.  Considerato uno dei più importanti uomini di governo tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, Coluccio Salutati, nei suoi trent'anni di cancelliere della Repubblica di Firenze, svolse un importantissimo ruolo diplomatico nel frenare le ambizioni del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, intenzionato a creare uno Stato comprendente l'Italia centro-settentrionale. Nel contesto di questa lotta elaborò la sua dottrina della libertas fiorentina. Oltre all'impegno politico, il Salutati svolse un importante ruolo nella diffusione dell'umanesimo petrarchesco e boccacciano, divenendone l'esponente più importante e il praeceptor della prima generazionedegli umanisti[1]. Il suo lascito più importante presso i posteri fu la codificazione "civile" dell'umanesimo, cioè l'uso dello spirito e dei valori dell'antichità classica all'interno dell'agone politico internazionale. Grazie a Salutati (autore tra l'altro di un vastissimo epistolario e di trattati politici, filosofici e letterari), difatti, il mito della florentina libertas, cioè di quel complesso di valori ispirati alla libertà promosso dall'ordinamento politico fiorentino, si rafforzò enormemente sotto il suo cancellierato, e fu utilizzato quale strumento diplomatico per accrescere il prestigio di Firenze presso gli altri Stati della Penisola.   Indice 1                         Biografia 1.1                                           Origini e formazione giuridica 1.2                                    Cancelliere di Firenze 1.2.1                                        Premesse 1.2.2                                           La guerra degli Otto Santi (1375-1378) 1.2.3                            Dal tumulto dei Ciompi alla restaurazione oligarchica (1378-1382) 1.2.4                     La guerra contro Gian Galeazzo Visconti (1385-1402) 1.2.5                                                Gli ultimi anni e la morte 2                                        Coluccio umanista 2.1                                       La guida dell'umanesimo italiano 2.1.1                                 La formazione umanistica 2.1.2                                     Tra Santo Spirito e la sua casa. L'educazione dei giovani umanisti 2.1.3                        La fondazione della cattedra di greco a Firenze (1397) 2.1.4                            Il pensiero 2.1.4.1                                         La proposta etica e cristiana del Salutati 2.1.4.2                                   Le humanae litterae non sono antitetiche agli studia divinitatis 2.1.4.3                         La poesia vehiculum ad Deum 2.1.5                                 L'attività filologico-paleografica 2.1.5.1 La Biblioteca del Salutati 2.1.5.2 La questione dell'Africa 2.1.5.3 L'inizio della scrittura umanistica 3 Opere 3.1 Epistolario 3.1.1 Premessa 3.1.2 Epistolario privato 3.1.3 Epistolario pubblico 3.2 Trattati 3.2.1 Politici 3.2.1.1 De Tyranno (1400) 3.2.1.2 Invectiva ad Antonium Luschum (1403-1404) 3.2.2 Gli scritti filosofico-teologici 3.2.2.1 De seculo et religione (1381-1382) 3.2.2.2 De fato et fortuna (1396-1397) 3.2.2.3 De Nobilitate legum et medicine (1399) 3.2.3 De Laboribus Herculis (1383 e 1391) 3.2.4 Altre 3.2.4.1 Carmen de morte Francisci Petrarce 3.2.4.2 De verecundia (1390) 4 Ascendenza e discendenza 5 Note 5.1 Esplicative 5.2 Riferimenti 6 Bibliografia 6.1 Antiche 6.2 Moderne 7 Voci correlate 8 Altri progetti 9 Collegamenti esterni Biografia La casa natale di Coluccio Salutati a Stignano, frazione di Buggiano. Origini e formazione giuridica Nato a Stignano in Valdinievole (oggi frazione di Buggiano, in provincia di Pistoia), Lino Coluccio Salutati fu costretto, a pochi mesi dalla nascita, ad abbandonare il luogo natìo per raggiungere il padre Piero (detto dal Villani «di buoni costumi e di prudenzia laudabile»[2]) a Bologna, ove il genitore serviva il signore della città Taddeo Pepoli[3], che a sua volta garantiva protezione alla famiglia Salutati[4][5]. Nella città felsinea Coluccio compì, per volontà paterna[2] (ma più probabilmente del Pepoli che, morto Piero Salutati nel 1341, aveva preso sotto la sua protezione la famiglia e il giovane Coluccio in particolare), studi giuridici, benché fosse maggiormente interessato alle discipline letterarie[6], e seguì le lezioni di logica e di grammatica di Pietro da Moglio[7][8].  Nel 1350 Coluccio, ormai diciannovenne, lascia Bologna[9] a causa anche della caduta dei Pepoli[10] e ritorna a Stignano, dove un rogito testimonia la sua presenza nel 1353[4]. Gli anni successivi all'allontanamento da Bologna (1351-1367), videro Salutati esercitare il mestiere di notaio in vari centri toscani (specialmente in Valdinievole)[11], coltivando, come si vedrà nella sezione dedicata alla passione umanistica, lo studio dei classici, come dimostra la lettera a Luigi de' Gianfigliazzi del 1362, colto politico fiorentino col quale Coluccio discute su Valerio Massimo e altri autori antichi[12].  Cancelliere di Firenze Premesse Nel frattempo, la carriera amministrativa del Salutati lo spinse ad intraprendere anche la carriera politica: cancelliere del Comune di Todi prima (1367)[4][13], della Repubblica di Lucca poi (1372), ed infine, dopo essere giunto nel 1374 a Firenze ed avervi esercitato per breve periodo l'incarico di scriba omnium scrutinorum, Cancelliere di quella città[N 2][11] proclamato il dì 19 aprile 1375. Coluccio tenne, pertanto, nelle sue mani la carica più importante della diplomazia della Repubblica fiorentina[14] dal 1375 fino alla morte, divenendo un personaggio di spicco della politica italiana di fine Trecento[11]. Demetrio Marzi, importante studioso di Coluccio per la sua attività istituzionale, sottolinea che, nei trentun anni in cui tenne ininterrottamente la sua carica, Coluccio:  «Costantemente rieletto e confermato dal 1375 al 1406, con le stesse ingerenze, lo stesso stipendio e i soliti privilegi, Coluccio lasciò nell'Ufficio un numero grande di minutari e registri, di lettere e istruzioni, per lo più di sua mano, e solo in parte de' suoi coadiutori, che non sembrano molti. Da questi libri e da altri della Cancelleria, apparisce com'egli fosse costantemente in Palazzo, presente a innumerevoli atti del Comune, dei Consigli, degli uffici più svariati...»  (Marzi, p. 134)  L'Europa Occidentale al principio dello Scisma d'Occidente. La frattura in seno alla Chiesa Cattolica spinse il papa "romano" Urbano VI a firmare la pace coi fiorentini. La guerra degli Otto Santi (1375-1378) Magnifying glass icon mgx2.svg                                   Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra degli Otto Santi. Nel 1375, le relazioni tra Santa Sede (all'epoca ad Avignone) e la Repubblica fiorentina degenerarono rapidamente a causa della volontà di papa Gregorio XI (1370-1378) di ritornare a Roma e ripristinarvi l'autorità della Chiesa. La paura che si formasse, nel centro Italia, un forte stato ecclesiastico allarmò sia Firenze (intimorita di essere inglobata nel nuovo Stato) che le città degli Stati Pontifici, che a causa della lontananza del Papato avevano acquisito una grande forza ed indipendenza. La guerra, durata tre anni, finì frettolosamente a causa della scissione interna alla Chiesa stessa tra cardinali francesi ed italiani, fatto che portò alla nascita del gravoso Scisma d'Occidente (1378-1417). Il nuovo papa, l'italiano Urbano VI (1378-1389), assolse Firenze dalla scomunica per avere alleati contro l'antipapa Clemente VII[15].  Tra gli scomunicati, c'era anche Coluccio Salutati, in quanto figura chiave della politica dell'epoca. «Coluccium Pieri de Florentia, excellentissimum cancellarium comuni Florentie»[16], ricevette l'assoluzione da parte del Papa tramite i legati Simone Pagani, vescovo di Volterra, e Francesco d'Orvieto, frate appartenente all'ordine degli Eremitani, il 26 ottobre del 1378[17].  Dal tumulto dei Ciompi alla restaurazione oligarchica (1378-1382) Magnifying glass icon mgx2.svg      Lo stesso argomento in dettaglio: Tumulto dei Ciompi e Storia di Firenze § L'ascesa degli Albizi. Firenze, mentre stava stipulando la pace con papa Urbano VI, fu sconvolta dalla rivolta del popolo minuto che, già soggiogato e perseguitato dalla prepotenza politico-economica del popolo grasso, fu sobillato dagli operai salariati (i ciompi) a rivoltarsi. Nell'estate del 1378 si ebbero i primi scontri e i ciompi, risultati vincitori, imposero Michele di Lando quale gonfaloniere di Giustizia e riformatore della Signoria in senso democratico. L'animosità degli sconfitti si fece sentire molto presto: dopo aver chiuso gli opifici riducendo alla fame gli operai, la grande borghesia e l'aristocrazia riuscirono a trarre dalla loro parte Michele di Lando che, dopo aver disperso i capi dei ciompi, si dimise dalla carica di gonfaloniere e ridando il potere ai magnati, tra i quali primeggiarono gli Albizi che instaureranno un regime oligarchico durato fino alla venuta di Cosimo de' Medici nel 1434[18].  Dall'epistolario di Coluccio, sappiamo che egli informò Domenico Bandini di Arezzo dei tumulti avvenuti in città e stimando gli uomini assurti al potere quali degni e pieni di considerazione[19]. L'atteggiamento emerso in quest'epistola, datata il mese d'agosto, si rivelerà contrario a quanto Coluccio in realtà pensasse del nuovo governo. Marco Cirillo ci descrive lo stato d'animo del Cancelliere e la sua scelta di rimanere in tale carica nonostante l'avversione per i Ciompi:  «Dalle lettere di Coluccio Salutati, riferite all'estate del 1378, si evince come il cancelliere non fosse soddisfatto del governo instaurato dal Popolo Minuto, ed è probabile che il cancelliere conoscesse anche i “piani politici” di chi voleva ritornare al potere. Questo ci permette di ipotizzare che, la decisione di ritornare al proprio ufficio si legava sia alle necessità familiari dell'umanista, sia all'amore che egli nutriva per il proprio lavoro ma anche, alla conoscenza dell'imminente ritorno del Popolo Grasso al potere, unito alla convinzione della mancanza di conoscenze politiche adeguate per governare una città come Firenze da parte dei Ciompi stessi.»  (Cirillo)  Massima estensione dei domini viscontei alla morte del Duca Gian Galeazzo nel 1402. La guerra contro Gian Galeazzo Visconti (1385-1402) Coluccio ebbe un ruolo decisamente più attivo ed importante nell'animare Firenze perché si difendesse dalle ambizioni di conquista di Gian Galeazzo Visconti (1385-1402), duca di Milano, desideroso di sottomettere l'intera Penisola al suo controllo schiacciando le resistenze delle Signorie dell'Italia Settentrionale (1385-1390)[20]. Dopo il 1390, Galeazzo spostò infatti le sue attenzioni sulla Repubblica di Firenze, e Coluccio giocò un ruolo importante in questa situazione spronando il popolo fiorentino a difendere la sua tradizionale libertà (la florentina libertas) e rispondendo egli stesso dalle accuse dei nemici attraverso l'opera Invectiva in Antonium Loscum (1403-4). La situazione per i fiorentini, all'inizio del conflitto, era alquanto drammatica, in quanto si ritrovarono praticamente circondati dai domini di Gian Galeazzo[21] e solo l'ausilio di bande mercenarie, guidate da Giovanni Acuto, riuscirono a frenare i piani di dominio del Visconti. La guerra, che riprese dopo una momentanea tregua a partire dal 1396, vide la formazione di una vasta coalizione antiviscontea di cui fecero parte tutti gli stati italiani del centro-nord, tenuti assieme dalla politica estera fiorentina e da quella veneziana[22]. Nonostante gli alleati fossero stati gravemente surclassati dalle forze milanesi, i fiorentini riuscirono a salvare la loro indipendenza resistendo a dodici anni di guerra, cioè fino alla morte improvvisa di Gian Galeazzo nel 1402 a causa della peste[23], lasciando Firenze in una posizione di potenza nell'Italia centro-settentrionale.  Gli ultimi anni e la morte Coluccio trascorse gli ultimi anni della sua vita terrena celebrato sia per la sua posizione di guida dell'umanesimo, sia per l'abilità politica dimostrata contro il Visconti, ma anche in grandi amarezze a causa dei lutti (morte della seconda moglie il 28 febbraio 1396 e la morte di alcuni dei suoi figli in occasione della pestilenza del 1400)[24]. Quando poi morì, la sera del martedì 4 maggio 1406[25], la Signoria, il giorno successivo[25], gli fece celebrare funerali solenni in Santa Maria del Fiore[26], ponendo sulla sua bara una ghirlanda d'alloro per le sue virtù poetiche[27]. I suoi discepoli Leonardo Bruni suo successore, Poggio Bracciolini, futuro cancelliere e Pier Paolo Vergerio lo piansero amaramente, ricordandolo come un padre e come il più grande decoro di Firenze[N 3].  Coluccio umanista La guida dell'umanesimo italiano «[Salutati] fu per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»  (Dionisotti)  Miniatura che ritrae Coluccio Salutati, proveniente da un codice della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Alla morte del Boccaccio (1375), Coluccio Salutati, sia per ragioni anagrafiche (era di una generazione sita tra quella di Petrarca e Boccaccio e la successiva degli umanisti del XV secolo), sia per la propria grandezza letteraria e filosofica, fu il principale esponente dell'umanesimo italiano, come ricorda infatti Carlo Dionisotti e altri studiosi[N 4], quel «trait d'union tra la generazione che aveva vissuto in prima linea il rinnovamento petrarchesco e quella dei nuovi umanisti già pienamente quattrocenteschi»[28]. Il Salutati ebbe, sia per il ruolo istituzionale sia per quello culturale, rapporti anche con i Paesi europei: tenne corrispondenza con un colto cortigiano di Carlo VI di Francia, Jean de Montreuil[29][30], e con l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, conosciuto mentre il presule inglese si trovava a Firenze[31]. Fecondo scrittore, apologeta "diplomatico" della classicità contro gli attacchi degli aristotelici e di alcuni ecclesiastici ostili all'antropologia umanista, Coluccio alternerà il suo magistero culturale con quello politico, difendendo la libertà repubblicana di Firenze adottando lo stile e il genere degli antichi trattatisti.  La formazione umanistica Nonostante Lino avesse preso definitivamente l'attività notarile, come testimonia il suo primo rogito effettuato nella nativa Stignano (1353), l'amore per la cultura e la letteratura non venne meno. Anzi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Coluccio divenne il segretario di Francesco Bruni, amico a sua volta di Francesco Petrarca[32]: iniziò, come esposto dalla Senile XI, 4[33] (datata 4 ottobre 1368[34]), un rapporto epistolare a distanza, che permise al Salutati di avvicinarsi alle proposte umanistiche del poeta aretino[32]. Nel periodo che intercorse tra questa prima epistola e la morte del Petrarca, Coluccio entrò sempre più nella mentalità classicista del maestro, grazie anche ai contatti che egli ebbe con l'altro grande umanista e allievo del Petrarca stesso, Giovanni Boccaccio[35], quest'ultimo animatore del circolo umanista di Santo Spirito a Firenze[36].  Tra Santo Spirito e la sua casa. L'educazione dei giovani umanisti Seguendo la scia del maestro Boccaccio, sinceramente pianto dal Salutati al momento del trapasso[37], il Cancelliere della Repubblica continuò il suo magistero a Santo Spirito[N 5], tenendovi lezioni cui partecipavano umanisti non solo fiorentini (si ricordano, tra i più importanti, Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini), ma anche di altre regioni italiane (quali il vicentino Antonio Loschi e il già ricordato Pier Paolo Vergerio)[38][39]. Nel convento degli agostiniani Salutati, aiutato nel suo magistero culturale dal coltissimo frate Luigi Marsili[40], non si fece soltanto portavoce degli ideali dell'umanesimo classicista petrarchesco, ma continuò a tenere in alta considerazione Dante Alighieri, deprecato da una cerchia dei giovani umanisti in quanto scrittore volgare e pessimo latinista[N 6].  La fondazione della cattedra di greco a Firenze (1397) Oltre al suo compito di formazione dei giovani umanisti che andranno a diffondere il nuovo sapere presso gli altri centri culturali italiani, Salutati ebbe il merito non solo di affidare le cattedre tradizionali dello Studium fiorentino ad umanisti discepoli di Petrarca (quali Giovanni Malpaghini), ma soprattutto quello di far rifiorire in Italia il greco classico. Grazie all'incontro avvenuto a Venezia tra i giovani umanisti Roberto de' Rossi e Giacomo Angeli da Scarperia e i due colti bizantini Manuele Crisolora e Demetrio Cidone[41], il Salutati iniziò, usufruendo dei poteri di Cancelliere, ad intessere rapporti con Crisolora per invitarlo ufficialmente a Firenze quale docente di greco classico nello Studium[N 7]. Questi, giunto nell'Europa Occidentale per conto dell'imperatore Manuele II Paleologo per cercare alleanze contro i turchi ottomani, cercò di instaurare rapporti di amicizia con gli Stati che visitava trasmettendo la conoscenza del greco classico ai nascenti circoli umanistici, edotti di latino ma non della lingua di Omero[42]. Pertanto Crisolora accettò l'offerta del Salutati, rimanendo nella città toscana dal 1397[43] al 1400 e lasciando in eredità ai suoi discepoli (e amici) fiorentini gli Erotematà, compendi linguistici di greco classico caratterizzati da una sinossi con la grammatica latina[42].  Il pensiero La proposta etica e cristiana del Salutati  Beato Angelico, Giovanni Dominici, medaglione facente parte del ciclo La crocifissione e i santi, situato nel Convento di San Marco, a Firenze. L'umanesimo incontrò, durante la sua diffusione, il sospetto e l'ostilità di alcuni ambienti religiosi a causa della libertà e responsabilità etica del singolo uomo che Coluccio andava insegnando[N 8], e del suo progetto di conciliare la natura della cultura classica con quella cristiana. I principali antagonisti dell'umanesimo fiorentino, il camaldolese Giovanni di San Miniato e il domenicano Giovanni Dominici (quest'ultimo poi cardinale), intendevano sostanzialmente mantenere l'istruzione e la morale rigidamente nelle mani della gerarchia, rifiutando la ventilata autonomia spirituale dei pagani e riaffermando la loro interpretazione allegorica[N 9].  Le humanae litterae non sono antitetiche agli studia divinitatis Coluccio, davanti a questi attacchi, sostenne la necessità, anche da parte dei laici, di avere coscienza di ciò che dicono e professano nella vita attiva, ribadendo il valore positivo di questo modello di vita[44] e combattendo il vuoto nominalismo tomista che la cultura ecclesiastica ufficiale difendeva strenuamente[45], quest'ultimo visto come nocivo perché, avendo ormai intriso la stessa Bibbia di sillogismi filosofici, allontanava dalla Verità gli uomini:  «Senza la capacità di intendere in fondo i termini, la lingua, non si dà conoscenza della scrittura, della parola di Dio. Ogni conoscenza seria è comunicazione. In tal modo gli studia humanitatis come mezzo per ritrovare nella lettera l'inseparabile spirto, nel corpo l'anima indisgiungibile, sono strettamente connessi con gli studia divinitatis.»  (Garin, p. 39) La poesia vehiculum ad Deum La disputa sulla verità teologica della poesia, genere privilegiato nella conoscenza di Dio, è quello che impegnerà maggiormente Salutati. Seguendo il tracciato delle Genealogie deorum gentilium del maestro Boccaccio, Coluccio Salutati risponde alle accuse dell'immoralità della poesia a Giovanni di San Miniato, in una lettera del 21 settembre del 1401, affermando non solo che ogni verità proviene da Dio stesso[46], ma anche che Dio ha usufruito della poesia attraverso i salmisti, Giobbe e Geremia: per cui la poesia è il genere letterario più vicino a Dio[47]. Tale tesi verrà poi ulteriormente rinforzata nell'incompiuto De laboribus Herculis, in cui si arriverà a sostenere una vera e propria poesia teologica, per cui anche gli antichi poeti pagani, con le loro opere, si avvicinavano a Dio.  L'attività filologico-paleografica La Biblioteca del Salutati  Un'edizione a stampa veneziana dell'Affrica del 1501. Il poema epico del Petrarca, per la sua incompletezza e il latino ancora un po' rozzo, suscitò delusione nei simpatizzanti dell'umanesimo. Salutati formò, impiegando gran parte delle sue retribuzioni, una biblioteca di più di 100 volumi[48], collezione molto grande per l'epoca e simbolo del suo fervore culturale. Coluccio possedette un manoscritto delle tragedie di Seneca ricopiato ottimamente di suo pugno con l'aggiunta dell'Ecerinide del preumanista padovano Albertino Mussato[48], ma anche esemplari di autori poco conosciuti nel Medioevo quali Tibullo[49] e Catullo[N 10], ed una rarissima copia d'età carolingia delle Ad familiares di Cicerone[50], scoperta dall'amico e cancelliere milanese Pasquino Capelli a Vercelli[51]. A questa scoperta in terra di Lombardia, si aggiunse negli anni seguenti anche le Epistole ad Atticum, rendendo il Salutati «il primo dopo secoli a possedere entrambe le raccolte di lettere [di Cicerone]»[52]. Remigio Sabbadini riporta che, nella sua biblioteca, Coluccio «fu il primo a possedere il De agricultura di Catone, il Centimeter di Servio, il commento di Pompeo all'Ars maior di Donato, le Elegie di Massimiano e le Differentiae pseudociceroniane»[53], mentre Francesco Tateo continua elencando «i Dialoghi di Gregorio Magno e l'esame dei vari manoscritti di Cicerone, di Lattanzio, di Agostino, di Seneca, di Ovidio [e] di Stazio»[54] in suo possesso.  Nonostante questa passione da bibliofilo, che rese la biblioteca del Salutati la più significativa dopo quella del Petrarca agli albori del XV secolo, Coluccio non sfoggiò mai eccellenti doti filologiche, al contrario del Petrarca stesso o del suo discepolo Leonardo Bruni[55].  La questione dell'Africa Coluccio cercherà, inoltre, di avere da parte di Lombardo della Seta, fedele discepolo del Petrarca, una copia dell'Africa perché fosse poi pubblicata[56]. Gli sforzi di Salutati e dei primi umanisti risultarono sempre più insistenti nel corso degli anni settanta: Lombardo aveva timore a pubblicare un'opera «rimasta in un testo incompiuto ed incerto», rischiando così di oscurare la gloria del Petrarca[57]. Quando poi, al principio del 1377, giunge a Firenze il sospirato poema epico dell'Aretino, «...il Salutati è afflitto dalle sospensioni, dalle lacune e certamente anche dalla pesantezza d'ala del poema tanto vantato e sognato»[58]. La delusione, trasmessa in una lettera a Francescuolo da Brossano, spinse il Salutati a non farsi più editore e commentatore dell'opera[59].  L'inizio della scrittura umanistica Coluccio intervenne anche nel campo della paleografia. Nel vivo studio dei classici, Coluccio fece un'introduzione fondamentale: dopo aver adottato, per gran parte della sua vita, «una scrittura cancelleresca e una libraria 'semigotica'»[60], a partire dal 1400 lesse e trascrisse un codice delle Lettere di Plinio il Giovane contenente nessi e legature che si erano persi nel corso del Medioevo: «l'uso di -s diritta in fine di parola, i nessi e le legature ae, ę e &, di cui si era persa memoria. Con questo esperimento inizia la storia della scrittura umanistica»[61].  Opere  Cristofano Allori dell'Altissimo, Ritratto di Coluccio Salutati, 1587, dipinto ad olio, Galleria degli Uffizi, Firenze Epistolario Premessa Composto da 344 lettere[26], l'epistolario di Coluccio, «documento fondamentale di questa lunga ed efficace opera di rinnovamento»[11] culturale, tratta dei temi più disparati. Organicamente, la raccolta si divide in due filoni: le lettere private, indirizzate ad amici e conoscenti, e quelle pubbliche, scritte a nome della Repubblica diFirenze. Stilisticamente, l'epistolario di Coluccio spicca per l'uso di uno stile che si allontana da quello delle lettere medioevali, fitte della retorica della ars dictandi, per lasciare il posto ad una serenità cordiale e stoica che si richiamava alle Familiares di Cicerone[62] e al repertorio lessicale degli altri autori classici, determinando così quello che è stato definito «latino misto»[63].  Epistolario privato Nella prima categoria, le lettere scritte a nome dell'umanista Coluccio mettono in mostra le tendenze socio-culturali del primo umanesimo italiano. Da un lato, la percezione del divario cronologico tra i contemporanei e gli antichi, eredità diretta della sensibilità petrarchesca; dall'altro, l'esposizione in più punti del suo pensiero, dalla rivendicazione del valore della vita attiva contro i monaci e quegli ecclesiastici che sottolineavano invece l'eccellenza della vita claustrale al valore della poesia[64]. Immancabile è la tematica politica, esposta nella lunga lettera a Carlo di Durazzo[65] e ritenuta essere il sunto del pensiero politico del primo umanesimo[N 11].  Epistolario pubblico Queste lettere, scritte in qualità di cancelliere della Repubblica, sono di carattere puramente politico, in quanto rivolte a contrastare l'azione egemonica di Gian Galeazzo Visconti. Riprendendo i modelli dei classici latini (Seneca, Sallustio, Cicerone), Coluccio additava Gian Galeazzo quale tiranno in contrasto con la florentina libertas. Il tono di queste lettere doveva essere così grave e tagliente che, secondo la tradizione, il duca di Milano rispondeva che un'epistola del Salutati era più deleteria di una sconfitta militare di Milano in campo aperto[66]. Dal punto di vista più tecnico, come fa notare Marco Cirillo: «...il lavoro svolto presso la cancelleria di Firenze ha reso Coluccio Salutati uno dei più noti cancellieri del Medioevo; tale notorietà si deve al metodo di lavoro che egli ha adottato nel trentennio in cui ha ricoperto tale carica. Effettivamente, i cambiamenti che il Salutati ha apportato, soprattutto nel campo dell'epistolografia politica medievale, pur non essendo certo radicali, ebbero una notevole influenza su molte corti d'Europa. La letteratura sull'argomento è unanime nell'affermare che, Coluccio Salutati, pur utilizzando la formula prevista dall'epistolografia cancelleresca medievale, che prevedeva: la Salutatio, il Proverbium, la Narratio, la Petitio e la Conclusio; ebbe modo di personalizzare ogni fase dell'epistola in base alle proprie esigenze narrative. È frequente perciò trovare nelle sue lettere una Salutatio piuttosto breve ed un Proverbium – soprattutto quando egli esprimeva teorie politiche – piuttosto lungo.»  (Cirillo) Trattati Politici  Vincenzo Camuccini, Morte di Giulio Cesare, particolare, olio su tela, 1798, Museo nazionale di Capodimonte, Napoli De Tyranno (1400) Epistola-trattato inviata a Francesco Zabarella, filosofo padovano, il De Tyranno (basato sull'omonimo trattato di Bartolo da Sassoferrato e sul Polycraticus di Giovanni di Salisbury[67]) riflette sulla nascita della tirannide e sulla liceità dell'assassinio del tiranno stesso. Indotto a fare questa riflessione su spunto del giovane Antonio dell'Aquila, studente padovano che aveva chiesto al Salutati la liceità dell'assassinio di Giulio Cesare, e dalla volontà di difendere la scelta dantesca di porre Bruto e Cassio nelle fauci di Lucifero[68], Coluccio ammette la liceità di un tale gesto nei confronti di un despota, ma negandola però al generale romano, in quanto «fu un benemerito capo di stato, che fu tradito dagli stessi uomini che erano stati da lui beneficiati»[69][70].  Invectiva ad Antonium Luschum (1403-1404) Scritta contro un suo ex discepolo, Antonio Loschi, cancelliere dell'ormai defunto Gian Galeazzo (morto nel 1402) e autore di una perduta Invectiva in florentinos[71], ha un tono più concreto rispetto al teorico De Tyranno. Nell'Invectiva Coluccio mostra la partigianeria repubblicana sostenitrice della florentina libertas, emula dell'Atene di Pericle fautrice della concordia partium tra lei e i suoi alleati[72]. Salutati ricorda al Loschi come Firenze sia nel giusto perché è sottoposta alle leggi, che non possono essere violate, mentre a Milano il diritto è strumento arbitrario nelle mani di un vero e proprio tiranno, che sta al di sopra delle leggi[73][74].  Gli scritti filosofico-teologici De seculo et religione (1381-1382) Scritta all'amico Niccolò di Lapo da Uzano (che prese poi il nome di Girolamo appena entrato nell'ordine dei camaldolesi[11]) si articola in due libri[75] ed è datata 1381, in quanto Coluccio inviò a Fra' Gerolamo da Uzzano una lettera d'accompagnamento insieme al testo da lui realizzato[76]. L'opera tratta di una esortazione assai fervida alla vita claustrale, ma rivendica anche la validità della vita quale laico, in quanto strada «valida nell'ambito gerarchico delle occupazioni umane, a cui egli rimane ancora legato»[11]. L'opera del Salutati, esaltante la vita ritirata prendendo spunto anche da Cicerone, Livio, Macrobio e Omero[75], tratta anche della condanna morale di cui è afflitta la Chiesa, dai papi fino ai predicatori.  De fato et fortuna (1396-1397)  Facsimile del codice Laurenziano Pl. CX sup. 41, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze, riportante una lettera del Salutati. Diviso in cinque libri, il trattato espone l'argomento del libero arbitrio e del rapporto che esiste tra quest'ultimo e gli avvenimenti che possono ostacolarne i progetti. La tematica, assai complessa ed erede di una lunga tradizione teologico-filosofica (i modelli sono Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e il De bona fortuna di Aristotele), si sviluppa nel tentativo di dimostrare come l'esistenza umana si inquadri in una “causa prima” (Dio), la quale opera in comunione, talvolta incontrandosi, talvolta scontrandosi, con la volontà dell'uomo[77].  De Nobilitate legum et medicine (1399) Trattato che cerca di proporre una gerarchia dei saperi, proponendo la legge come valore supremo sulla medicina, intesa come sapere tecnico-scientifico: come l'anima è superiore al corpo, così le leggi (che si rifanno al campo spirituale) sono superiori alla medicina, che fa parte della meccanica[78]. Le leggi, infatti, regolano la vita sociale, determinano il convivere civile, stabiliscono l'ordine e devono essere ottime perché possano produrre uomini migliori[79]. Coluccio continua affermando che le leggi, dal momento che appartengono alla sfera spirituale e quindi celeste, sono legate direttamente a Dio: gli uomini, perciò, possono collaborare con Dio nella costruzione perfetta della società grazie al fatto che esse sono ispirate dalla divinità medesima[80].  De Laboribus Herculis (1383 e 1391) Opera di grande impegno intellettuale, Coluccio lavorò per più di vent'anni su questo vasto saggio di poesia, com'è testimoniato dalla versione del 1383 e da quella del 1391[81]. Quest'ultima, divisa in 4 libri e lasciata incompiuta, intende continuare il progetto culturale di Boccaccio delle Genealogie, vale a dire una difesa della poesia a livello universale basata sulle vicende terrene dell'eroe mitologico Ercole[82], reinterpretate in senso allegorico e indirizzate verso la via della virtù (Salutati si basò su Ercole anche per la radice etimologica del nome greco, risalente ad ερος κλερος (heros cleos), cioè uomo forte e glorioso[81]).  Per Coluccio, come aveva già scritto a Giovanni di San Miniato, infatti, la poesia ha un valore universale in quanto il senso interpretativo di un testo classico supera la dimensione culturale in cui è stato scritto: per cui le opere dei pagani, se piene di valori positivi, non devono essere rigettate, ma accolte in quanto provenienti da Dio stesso[81].  Altre Carmen de morte Francisci Petrarce Carme in latino commemorativo del Petrarca e accennato in varie epistole a Roberto Guidi conte di Battifolle, a Benvenuto da Imola e a Francescuolo da Brossano, del quale è quasi dubbio il completamento[83].  De verecundia (1390) Trattatello in forma epistolare indirizzato ad Antonio Baruffaldi sulla natura positiva o negativa della verecundia (cioè il rispetto)[82].  Ascendenza e discendenza Grazie agli studi genealogici di Francesco Novati, si è potuti ricostruire l'ascendenza e la discendenza del cancelliere fiorentino, appartenente al ramo dei Salutati di Stignano. Qui sotto è riportato un albero genealogico che espone l'ascendenza e la discendenza di Coluccio Salutati[N 12]:  Ignota                          Coluccio Ignota, figlia di un tal Lino                                   Piero Lino Coluccio ~ 1366, donna ignota; ~ 1372-73, Piera di Simone Riccomi[84]        Andrea                                              Corrado                                             Giovanni                                            Sorella ignota, sposata a uno dei Giovannini di Stignano                          sorella ignota, sposata ad uno dei Dreucci di Pistoia Piero (1371-1400), morto di peste                  Andrea (1375-13 luglio/14 agosto 1400), morto di peste                       Bonifazio (1376/77-pre 1427) ~ 1420 ca Monna Checca de' Baldovinetti                 Arrigo (1378-1428/29) ~ 1416 Margherita d'Andrea de' Medici                     Antonio (1º maggio 1381 - 1460/65) ~ 1417 ca Duccia di Guernieri de' Rossi; Nonnina                                            Filippo (1383 ca-post 1407)                                   Simone (6 gennaio 1385- pre 1430)                               Lionardo (1387 ca - 1437), chierico                                  Salutato (1391 ca - 1485/86), chierico                                 Lorenzo (incerto) Note Esplicative ^ A lungo si è ritenuta corretta la data del 1331, Campana, (pp. 237-242), Martelli, (pp. 238-239 e p. 239, nota 1), Nuzzo, (p. 30, nota 5) e altri studiosi hanno dimostrato che la data corretta è 1332. ^ Villani, Coluccio Salutati, p. XXVII, nota 20 racconta l'ascesa politica di Coluccio ad una delle più prestigiose cariche politiche fiorentine. Nominato segretario grazie all'influenza del Gonfaloniere Bonaiuto Serragli, Coluccio fu poi eletto Cancelliere (il 18 di aprile) in sostituzione di Niccolò Monaci, uomo politico con cui il Serragli fu in disputa. ^ Si veda Epistolario, 4.2, pp. 470-471 per le addolorate missive inviate dal Bruni e da Poggio all'amico in comune Niccolò Niccoli («tali parente» nell'epistola di Bruni; «patris nostri» in quella di Poggio). In Ivi, pp. 478-479, l'istriano Pier Paolo Vergerio, in una lettera a Francesco Zabarella, lo descrive come il primo e straordinario decoro di Firenze («...urbis illius primum atque precipuum decus, Linum Colucium Salutatum»). ^ Della stessa opinione anche: Cappelli, p. 76, in cui si ricorda, al momento dei funerali, il commosso addio dell'allievo Pier Paolo Vergerio, che chiamò Salutati communis omnium magister («maestro comune di tutti [noi]»); Vasoli, p. 40; Contini, p. 869; Gargan, p. 141. ^ Luogo significativo per continuare le riunioni dei nuovi umanisti, in quanto vi viveva quel fra' Martino da Signa erede universale degli scritti del Boccaccio. Si vedano Contini, p. 869; e Petoletti, p. 42: «... [Boccaccio] dispose per testamento di lasciare la sua biblioteca all'agostiniano Martino da Signa con l'indicazione che alla morte del frate i volumi fossero negli armaria del convento fiorentino di Santo Spirito. Così avvenne...»  ^ La grandezza di Dante, ma anche di Petrarca e dello stesso Boccaccio, furono messi in discussione dal più acceso degli umanisti classicisti, Niccolò Niccoli, all'interno dei Dialogi ad Petrum Histrum di Leonardo Bruni (1402). L'accusa principale consisteva nella barbaria del loro latino e nel, caso di Dante, nel fraintendimento del senso di alcuni passi virgiliani. Solamente l'intervento del vecchio Salutati, nel I libro, riesce a capovolgere la situazione, salvando Dante dalle accuse feroci del Niccoli: «Come anche risulta da un dialogo del Bruni, che di quella polemica antidantesca è il documento principe, l'intervento del S[alutati] riuscì ad assicurare la continuità, proporzionata all'età nuova, della tradizione dantesca a Firenze.»  (Dionisotti) ^ I contatti tra Costantinopoli e Firenze erano facilitati dalla presenza, nella capitale bizantina, dello stesso Giacomo da Scarperia, che decise di riaccompagnare Crisolora in patria per apprendere greco da lui stesso. Si veda: Tateo, p. 50. ^ La visione "laica" dell'umanesimo non si deve confondere con la proposta "laicista", dal punto di vista etico e antropologico. Mantenendo sempre un'attenzione ossequiosa verso la Chiesa e una sincera devozione verso le Verità cristiane, Coluccio intende nel contempo «esaltare e rivendicare la responsabilità umana al di fuori di qualsiasi determinismo meccanicista e ponendo in valore la libertà personale del singolo» (Cappelli, p. 85). Abbagnano, p. 19 sintetizza in modo più stringente il rapporto tra libero arbitrio e volontà divina, affermando che il primo sia «conciliabile con l'infallibile ordine del mondo stabilito da Dio». ^ Si è condensato, in questi due punti, l'attacco generale del mondo ecclesiastico contro l'umanesimo. Come sottolinea Cappelli, p. 78, la questione sul valore della poesia riguarda la disputa con Giovanni di San Miniato tenutasi nel 1401 (cfr. Epistolario, 3, Fratri Johanni de Angelis, XX, pp. 539-543); quella con Dominici riguarda il valore positivo dell'umanesimo e risale al 1405 (cfr. Epistolario, 4, pp. 170-205). ^ Il codice di Catullo facente parte della biblioteca del Salutati (cod. Paris. 14137) entrò nelle mani del cancelliere fiorentino il 19 ottobre del 1375 grazie alle pressioni che esercitò sull'erudito veronese Gasparo de Broaspini, secondo quanto riporta Sabbadini, p. 34. Della stessa opinione anche Francesco Novati che, in Epistolario, 1, p. 222 nota 2, giunge alla stessa conclusione del Sabbadini in quanto vi ha trovato delle postille autografe del Salutati. ^ Così la definisce Cappelli, pp. 76-77. L'epistola, datata 1381, è importante perché, dopo l'elogio di Carlo per la fortunata impresa militare della conquista del Regno di Napoli e il paragone con gli eroi antichi, Coluccio enumera i doveri di un buon sovrano: cercare l'unità religiosa della Chiesa, spaccata dallo Scisma (cfr. Epistola, 2, pp. 27-28); gestire con moderazione il potere e imparare a gestire le proprie emozioni (Epistola, 2, p. 32: «incipe prius tibi quam aliis imperare; rege te ipsum, noli regendorum subditorum studium tuimet derelinquere moderamen.») per evitare di cadere nei vizi e di essere classificato come un tiranno (Epistola, 2, p. 33). Esaltandolo alla virtù, alla temperanza e alla giustizia, Coluccio insomma tratteggia il modello del sovrano ideale, cavalleresco, formato sull'esempio dei classici (continua è la comparazione con gli antichi statisti e sovrani) e timorato di Dio. ^ Le informazioni, ricavate attraverso una minuziosissima ricerca d'archivio da parte del Novati, sono prese in ordine sparso da Epistolario, 4.2, Tavole genealogiche dei Salutati, 384-408, ove vengono fornite indicazioni biografiche sui nonni, genitori e figli di Coluccio. Per consultare le informazioni sui fratelli del cancelliere, si consulti sempre Epistolario, 4.2, pp. 409-412. Riferimenti ^ Dionisotti.  Villani, Coluccio Salutati, p. XXI, ^ Marzi, p. 113.  Carrara. ^ Contini, p. 869. ^ Carrara: «Fu avviato agli studî giuridici, inameni a lui che era "pierius" (così foggiò il suo patronimico: figlio di Pietro, e devoto alle Pieridi, le Muse).»  ^ Garin, p. 35. ^ Epistolario, 1, 1, Magistro Petro de Moglio, p. 3. ^ Epistolario, 1, 1, Petro da Moglio, p. 3, nota 1. ^ Marzi, p. 114, nota 1.  Tateo, p. 43. ^ Epistolario, 1, 4, Eloquentissimo legum doctori domino Loygio de Gianfigliaziis, pp. 9-12. ^ In Epistolario, 1, 16, Reverendo patri et domino domino Francisci Bruni de Florentia summi pontificis secretario, domino suo, p. 44, Coluccio si lamenta della sua mansione di cancelliere nella cittadina umbra, così come farà nelle Ep. 1, 17 e 18. ^ Marzi, p. 14: «Vero è che nel secolo XV invalse l'uso di chiamare Cancelleria Fiorentina l'ufficio del quale era capo il Dettatore, che aveva la particolare ingerenza di scrivere le lettere e di trattare le faccende della politica esterna...»  ^ Per le informazioni in generale, si veda Bosisio, p. 248. ^ Epistolario, 4.2, p. 441. ^ Epistolario, 4.2, p. 429 e Ibidem, nota 2. ^ Per l'intera vicenda, si veda Bosisio, p. 249. ^ Epistolario, 2, p. 291: (LA) «Unum dicam, quod emerserunt et ad tante sunt reipublice gubernacula sublimati, quos oportuit pro salute cunctorum.»  (IT) «Dirò una cosa, cioè che al governo di una così grande repubblica emersero e vi sono [uomini], i quali bisognò [vi fossero] per la salvezza di tutti.»  Inoltre, sempre in Ivi, nota 2, il Novati annota che Coluccio fu così favorevole al nuovo governo in quanto fu uno dei pochissimi a non essere proscritto dalle cariche istituzionali. ^ Bosisio, pp. 259-260. ^ Come riporta Bosisio, p. 260, Siena si sottomise a Gian Galeazzo in funzione anti-fiorentina, mentre il signore di Milano (dal 1395 duca per investitura imperiale) si alleò con Lucca e altre città umbro-marchigiane. ^ Bosisio, p. 260. ^ Bosisio, p. 261. ^ Marzi, p. 133.  Marzi, p. 148.  Cappelli, p. 76. ^ Villani, Coluccio Salutati, p. XXII, nota 5. ^ Cappelli, p. 86. ^ Marzi, pp. 145-146. ^ Epistolario, 4.2, pp. 331-332. ^ Marzi, p. 146.  Wilkins, p. 259. ^ Senili, 2, pp. 152-153. ^ Cesareo, p. 26, nota 20. ^ La prima epistola riportata dal Novati in cui Coluccio risponde ad una missiva del Certaldese risale al 20 dicembre 1367 (cfr. Epistolario 1, Lib. III, 28, Facundissimo domino Iohanni Boccacci de Certaldo..., pp. 48-49) ma, come fa notare lo stesso Novati, i toni sono troppo famigliari per essere la prima epistola scambiata tra i due (Ivi, p. 48 n° 1). ^ Branca, p. 183. ^ (LA) «Inclyte cur vates, humili sermone locutus, / de te pertransis? [...] te vulgo mille labores / percelebrem faciunt: etas te nulla silebit.»  (IT) «Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, / avanzi nel corso del tempo? [...] Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo / : nessuna epoca tacerà sul tuo conto.»  (Branca, p. 193) Si veda anche Epistolario, 1, Egrigio viro Franciscolo de Brossano domini Francisci Petrarce genero, Ep. XXV, p. 225, ove Coluccio piange sia la scomparsa del Petrarca, ma annuncia anche quella del Boccaccio: (LA) «Fallebar enim, et dum Franciscum fleo, dum suis laudibus intentus decantantes, novo commento, veterum pene dimissa sententia, depingo Camenas, ecce nove lacrime nobis merore novi funeris occurrerunt, incepti cursum operis reprimentes. Vigesima quidem prima die decembris Boccaccius noster interiit...»  (IT) «Infatti ero ingannato, e mentre piango Francesco e mentre, attento alle sue lodi, adorno le Camene con un nuovo commento, quasi tralasciata la sentenza degli antichi, ecco che nuove lacrime si aggiunsero a noi con il dolore di una nuova morte, frenando il corso di un'opera che inizia. Il nostro Boccaccio spirò il ventuno di dicembre [del 1375]...»  ^ Tateo, p. 41. ^ Cappelli, pp. 87-88, ricorda anche che Salutati era solito mettere a disposizione dei suoi allievi la sua stessa biblioteca personale. Pertanto, i luoghi di incontro erano due: Santo Spirito e l'abitazione del Cancelliere, come dimostra anche Tateo, p. 42. ^ Tateo, p. 42: «Gli animatori di questi incontri, il Salutati e il Marsili, l'uno nella propria casa, l'altro nella sua cella di Santo Spirito, ricevevano i giovani più promettenti della nobilità fiorentina, e li iniziavano al gusto delle lettere antiche.»  ^ Chines, pp. 204-205 riporta come data il 1391, mentre Sabbadini, p. 43 il 1394.  Cappelli, p. 109. ^ Sabbadini, p. 43 riporta che l'erudito greco era già a Firenze il 2 febbraio del 1397. ^ Garin, p. 36 sintetizza, prendendo spunto dal De saeculo et religione e dall'Epistolario, 2, pp. 303-307, l'ideale di vita attiva propria dell'essere umano inteso come cittadino del mondo: «Terrestre è la vocazione umana. L'impegno nostro è nella costruzione della città terrena, nella società». ^ Garin, pp. 38-39: «Il Salutati...insisteva sul valore della educazione nuova [...] essa insegnava a ritrovare sub corticem il valore intenzionale dei termini, smarrito nella consuetudo, penetrando l'espressione nel suo significato intimo come direzione spirituale. Parola e cosa, insiste il Salutati, non possono disgiungersi.»  ^ Epistolario, 3, Fratri Johanni de Angelis, XX, pp. 539-540: (LA) «Noli, venerabilis in Christo frater, sic austere me ab honestis studiis revocare. Noli putare quod, cum vel in poetis vel aliis Gentilium libris veritas queritur, in vias Domini non eatur. Omnis enim veritas a Deo est, imo, quo rectius loquar, aliquid est Dei.»  (IT) «Non volere, o venerabile fratello in Cristo, allontanarmi in modo così austero da studi degni di ammirazione. Non voler ritenere che, quando si cerca la verità o nei poeti o in altri libri degli scrittori pagani, non si cammini lungo le vie del Signore. Ogni verità, infatti, proviene da Dio e, per parlare fino in fondo rettamente, alcuna cosa è propria di Dio.»  ^ Epistolario, 3, XX, p. 541: (LA) «Nullum enim dicendi genus maius habet cum divinis eloquiis et ipsa divinitate commertium quam eloquium poetarum.»  (IT) «Nessun genere letterario, infatti, ha un maggior legame con le parole divine e con la stessa divinità quanto la parola dei poeti.»   Gargan, p. 141. ^ Sabbadini, p. 25. ^ Gargan, p. 142: «Il manoscritto di Vercelli fu alla fine portato a Firenze, ove rimane (Laur. 49, 9), unica copia carolingia esistente delle Epistole di Cicerone.» ^ Sabbadini, p. 34. ^ Gargan, p. 142. ^ Sabbadini, pp. 34-35. ^ Tateo, p. 49. ^ Gargan, p. 140 ritiene che «la sua filologia non fu di altissima classe...». ^ Billanovich, p. 16. Fitta la corrispondenza tra Salutati e Della Seta, come testimonia la prima lettera inviata dal cancelliere fiorentino il 25 gennaio del 1376 (Epistolario, 1, Insigni viri Lombardo...optimo civi patavino, Lib. IV, 1, pp. 229-241). ^ Billanovich, p. 11. ^ Billanovich, p. 52. ^ Epistolario, 1, Franciscolo de Brossano, Lib. IV, V, pp. 250-254. ^ Bischoff, p. 211. ^ Bischoff, pp. 211-212. ^ Cappelli, p. 77. ^ Cesareo, p. 289. ^ Cfr. la già citata Epistolario, 3, Fratri Johanni de Angelis, XX, pp. 539-540. ^ Epistolario, 2, Epistola Coluci Salutati florentina ad Carolum regem Neapolitanum, 1, 6, pp. 11-46. ^ Canfora, p. 13. Villani, Coluccio Salutati, p. XXIII, nota 6 riporta la veemenza con cui Salutati "fulminava" Gian Galeazzo con le sue lettere, riportando tra l'altro la testimonianza di Enea Silvio Piccolomini cui quest'aneddoto è attribuita la paternità. ^ Canfora, pp. 14-15. ^ Pastore Stocchi, p. 68. ^ Sia la citazione che il contesto in cui fu scritto il De Tyranno sono esposti in Canfora, pp. 14-16. ^ Così Cappelli, p. 82: «In altri termini, se Cesare, pur giunto al potere in modo "tirannico" o violento, seppe poi legittimare tale potere attraverso un esercizio virtuoso di esso (ex parte exercitii) in grado di suscitare l'approvazione popolare, la sua uccisione non fu legittima, mentre lo sarebbe quella di un tiranno che esercitasse come tale.»  ^ Per la figura di Loschi, si rimanda alla voce biografica a cura di Viti. ^ Canfora, pp. 13-14 ipotizza, a p. 14, l'aiuto di Leonardo Bruni nello sviluppare il paragone Firenze-Atene, in quanto Coluccio Salutati «non [era] molto esperto di quella lingua e di quella cultura». ^ Cappelli, p. 83. ^ Vasoli, p. 40: «Così il Salutati, rivolgendosi al cancelliere milanese Antonio Loschi, nella Invectiva in Antonium Luschum, dopo aver contrapposto i guasti del regime tirannico milanese ai vantaggi di quello libero e repubblicano di Firenze, glorifica la sua città come "fiore d'Italia" e come esempio di vita serena e armoniosa.»   Cappelli, p. 84. ^ Epistolario, 2, V, p. 15, di cui si riporta interamente il breve messaggio d'accompagnamento: (LA) «Mitto tibi munusculum istis paucis noctibus correctionis studio lucubratum. In quo si quid proficies tu vel alii, laus sit omnium conditori Deo, cui placeat me in tuis sanctis orationibus commendare. Vale felix et diu. Colucius tuus.»  (IT) «Ti mando un piccolo pensiero composto in queste poche notti dopo un'opera di revisione. Attraverso questo [trattato], se tu o altri ne trarrete giovamento, la lode di tutti voi sia per lodare Dio, al quale è piaciuto che io mi affidi alle tue sante orazioni. Sta felice a lungo. Il tuo Coluccio.»  ^ Cappelli, pp. 84-85, ^ Tateo, p. 46: «[Nel De Nobilitate Coluccio] ribadiva, attraverso un discorso più ampio e articolato, la distinzione della medicina, designata medievalmente come "arte meccanica", ossia tecnica, dalla giurisprudenza, considerata scienza della vita spirituale e quindi superiore all'altra.»  ^ Cappelli, p. 81, ^ Garin, p. 40: «Le leggi...sono veramente un sigillo divino, con cui dopo il primo peccato Dio ha offerto alle comunità degli uomini la vita per riconquistare il bene...Ispirate da Dio agli uomini, inscritte nell'anima umana, esse hanno un'altra superiorità, rispetto alle leggi naturali: possono essere conosciute nella loro pienezza integrale, con una certezza che non si troverà mai nelle scienze della natura.»   Cappelli, p. 80.  Tateo, p. 46. ^ Cfr. Epistolario, 2, p. 224, nota 1 per la storia del codice contenente il carme. Si riporta, come testimonianza, quanto scritto nell'epistola XVIII a pp. 200-201, in cui Coluccio annuncia a Benvenuto da Imola il suo progetto: (LA) «Sed ut ad Franciscum nostrum redeam, opusculum metricum de ipsius funere iam incepi...»  (IT) «Ma per ritornare al nostro Francesco, ho già iniziato [a stendere] un opuscolo metrico sulla cerimonia funeraria dello stesso...»  ^ Marzi, p.115. Bibliografia Antiche Filippo Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini, a cura di Giammaria Mazzuchelli, Venezia, Giambatista Pasquali, 1747, SBN IT\ICCU\TO0E\005826. URL consultato il 9 gennaio 2015. Moderne Nicola Abbagnano, La filosofia del Rinascimento, in Nicola Abbagnano (a cura di), Storia della filosofia, vol. 3, Milano, TEA, 1995, ISBN 88-7819-721-1. Giuseppe Billanovich, Gli inizi della fortuna di Francesco Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1947, SBN IT\ICCU\TO0\0319832. URL consultato il 18 dicembre 2015. Bernhard Bischoff, Paleografia latina. 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V · D · M Giovanni Boccaccio Controllo di autorità                                             VIAF (EN) 61554735 · ISNI (EN) 0000 0001 2101 7539 · SBN IT\ICCU\BVEV\012242 · LCCN (EN) n80081447 · GND (DE) 118605178 · BNF (FR) cb119869086 (data) · BNE (ES) XX1344501 (data) · NLA (EN) 36557652 · BAV (EN) 495/53177 · CERL cnp01319919 · WorldCat Identities (EN) lccn-n80081447 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Rinascimento Portale Rinascimento Wikimedaglia Questa è una voce di qualità. È stata riconosciuta come tale il giorno 24 marzo 2016 — vai alla segnalazione. Naturalmente sono ben accetti altri suggerimenti e modifiche che migliorino ulteriormente il lavoro svolto. Segnalazioni  ·  Criteri di ammissione  ·  Voci di qualità in altre lingue  Categorie: Politici italiani del XIV secoloPolitici italiani del XV secoloLetterati italianiFilosofi italiani del XIV secoloFilosofi italiani del XV secoloNati nel 1332Morti nel 1406Nati il 16 febbraioMorti il 4 maggioNati a BuggianoMorti a FirenzeScrittori italiani del XIV secoloUmanisti italiani[altre]

Samuel -- Hillel ben Samuel -- Hillel ben Samuel Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Hillel ben Samuel da Verona (1220 – Forlì, 1295) è stato un rabbino, filosofo e medico italiano, noto anche come Lelio di Samuele o Hillel di Forlì.   Indice 1                                                Biografia 2                                            Note 3                                             Bibliografia 4                                           Voci correlate 5                                            Collegamenti esterni Biografia Prende parte attivamente alla polemica per l'accettazione o meno dell'opera di Mosè Maimonide, da molti accusato di eccessivo razionalismo, sostenendo a chiare lettere le posizioni del grande maestro, anche con l'opera Tagmulé ha-Nefesh (o Tagmulei ha-Nefesh) (Retribuzioni dell'anima), che scrive a Forlì, nel 1288-1291. In quest'opera, infatti, "si mantiene sulla stessa linea del maestro [...] Per lui l'intelletto è la forma attuale dell'anima e ne guida tutte le operazioni"[1]. Una presentazione schematica dell'opera si trova, in lingua inglese, nella Jewish Virtual Library. Il Tagmulé ha-Nefesh influenza, tra gli altri, anche il rabbino Shem Tov ben Yosef Falaquera.  Sempre da Forlì, Hillel scrive due famose lettere a Maestro Gaio (Isacco ben Mordecai), medico papale, chiedendo di non aderire al movimento favorevole alla condanna di Maimonide.  Hillel, oltre al pensiero ebraico, conosce bene quello arabo e molto bene quello cristiano[2]: in particolare, è molto attratto da Tommaso d'Aquino, tanto da essere definito "il primo tomista ebreo della storia" [1]. Ad esempio, nel Tagmulé ha-Nefesh riporta ampiamente una traduzione del De Unitate Intellectus di Tommaso, del quale riprende anche gli argomenti per dimostrare l'immortalità individuale dell'anima. Oltre alla traduzione della prima parte del De unitate intellectus[3], Hillel si dimostrò a tal punto estimatore di Tommaso d'Aquino da salutarlo come "il Maimonide della sua epoca, capace persino di rispondere a domande che il Maestro aveva lasciato irrisolte"[4]  Hillel probabilmente non è nato a Verona, anche se la sua famiglia sembra provenirne, visto che suo nonno è Eliezer di Verona, ma è comunque rappresentante di una cultura ghibellina, filoimperiale, come quella della città scaligera. Lo dimostra anche il fatto che decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in quella roccaforte del ghibellinismo italiano che è la Forlì degli Ordelaffi e del consigliere imperiale Guido Bonatti.  Hillel studia il Talmud a Barcellona con Yonah ben Abraham Gerondi[5] e la medicina a Montpellier.  Secondo la maggior parte degli storici, Hillel, a Capua, esercita una forte influenza sul celebre mistico Abramo Abulafia, aiutandolo ad apprezzare Mosè Maimonide. È altresì molto probabile che le sue opere ed il suo pensiero abbiano potuto influenzare Dante Alighieri, a causa di alcuni parallelismi che sono stati riscontrati tra la Divina Commedia e gli autori ebrei.  Hillel in effetti opera, dopo Capua, a Napoli, a Roma, a Ferrara, e soprattutto a Forlì, città dove anche Dante vive per qualche tempo, pochi anni dopo la sua morte. La circostanza è invocata a favore della possibilità che Dante ne abbia conosciuto le opere [2].  Negli anni novanta del Duecento, in pieno periodo forlivese dunque, disputa con Zeraḥyah Ḥen su quale sia la lingua originaria: per Hillel, si tratta dell'ebraico[5].  La data della morte non è sicura.  Note ^ La cultura ebraica (a c. di P. Reinach Sabbadini), Einaudi, Torini 2000, p. 139. ^ Cf. Die Pseudo-aristotelische Schrift Ueber das reine Gute bekannt unter dem Namen Liber de Causis (in tedesco), BiblioBazaar, 2009, pp. 308ss. ^ Jean-Pierre Torrell, OP, Saint Thomas Aquinas, Volume I: The Person and His Work, translated by Robert Royal, CUA Press, 2005, p. 316. ^ A. Wohlmann, Thomas d'Aquin et Maïmonnide, pp. 325-326. and note 11, pp. 394-395, Cerf, 2007.  M. Zonta in Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in Collegamenti esterni. Bibliografia Hillel ben Shemu'el, Sefer Tagmulé ha-Nefesh, Jerusalem 1981 (a cura di G. Sermoneta, in ebraico). W. Peeters, Hillel ben Samuel, philosophe du XIIIe siècle, in Revue Philosophique de Louvain, 1946, Vol. 44, N. 2, pp. 271–290 (in francese). Voci correlate Comunità ebraica di Forlì Collegamenti esterni (EN) Hillel ben Samuel, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Mauro Zonta, Hillel ben Samuel, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Hillel ben Samuel, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                  VIAF (EN) 53044840 · ISNI (EN) 0000 0001 0830 4568 · LCCN (EN) n82156703 · GND (DE) 102500436 · BNF (FR) cb16515031j (data) · NLA (EN) 35831624 · BAV (EN) 495/62847 · CERL cnp00292310 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82156703 Biografie Portale Biografie Ebraismo Portale Ebraismo Categorie: Rabbini italianiFilosofi italiani del XIII secoloMedici italianiNati nel 1220Morti nel 1295Morti a ForlìFilosofi medievaliTraduttori dal latino[altre]



sanction, anything whose function is to penalize or reward. It is useful to distinguish between social sanctions, legal sanctions, internal sanctions, and religious sanctions. Social sanctions are extralegal pressures exerted upon the agent by others. For example, others might distrust us, ostracize us, or even physically attack us, if we behave in certain ways. Legal sanctions include corporal punishment, imprisonment, fines, withdrawal of the legal rights to run a business or to leave the area, and other penalties. Internal sanctions may include not only guilt feelings but also the sympathetic pleasures of helping others or the gratified conscience of doing right. Divine sanctions, if there are any, are rewards or punishments given to us by a god while we are alive or after we die. There are important philosophical questions concerning sanctions. Should law be defined as the rules the breaking of which elicits punishment by the state? Could there be a moral duty to behave in a given way if there were no social sanctions concerning such behavior? If not, then a conventionalist account of moral duty seems unavoidable. And, to what extent does the combined effect of external and internal sanctions make rational egoism or prudence or self-interest coincide with morality?

sanctis: essential philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettres – and his field of expertise is when stylists stopped using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia..

sanseverino Gaetano Sanseverino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Gaetano Sanseverino Gaetano Sanseverino (Napoli, 7 agosto 1811 – Napoli, 16 novembre 1865) è stato un presbitero, teologo e filosofo italiano, considerato uno fra i massimi precursori del neotomismo.   Indice 1                             Biografia 2                                            L'opera 3                                            Opere pubblicate (selezione) 4                                       Bibliografia 5                                           Voci correlate 6                                            Altri progetti 7                                           Collegamenti esterni Biografia Si trasferì in giovanissima età a Nola dalla natia Napoli per frequentare il seminario diocesano dove suo zio era rettore. Dopo l'ordinazione, continuò lo studio della filosofia con l'intento di confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui godeva particolare credito in Italia, all'epoca, quello cartesiano. Lo studio comparato dei vari sistemi gli permise una conoscenza più approfondita della Scolastica, soprattutto delle opere di Tommaso d'Aquino, e del legame intimo tra la Scolastica e la Patristica. Da allora, e fino alla fine della sua vita, la sua unica preoccupazione fu la restaurazione della filosofia scolastica, non solo con scritti, ma anche con lezioni, conferenze e discussioni. La sua preparazione in materie filosofiche gli permise di divenire, non ancora trentenne, professore di logica e metafisica presso il seminario di Napoli. Fu anche canonico della cattedrale della propria città. Nel 1840 fondò la rivista La Scienza e la Fede che continuò ad uscire fino al 1887, a cura dei suoi discepoli Nunzio Signoriello e Antonio D'Amelio, a oltre vent'anni di distanza dalla morte del filosofo. Nel 1851 venne chiamato da Ferdinando II a insegnare filosofia morale nell'Università di Napoli, e venne incaricato anche di preparare un manuale "ufficiale" per le scuole del Regno delle Due Sicilie; Sanseverino scrisse allo scopo il manuale "I principali sistemi della filosofia del criterio, discussi colla dottrina de' Santi Padri e de' Dottori del Medio Evo". Con l'unità d'Italia Sanseverino venne progressivamente emarginato e messo in condizione di abbandonare l'insegnamento universitario. Continuò tuttavia ad insegnare presso il seminario di Napoli. Morì nella città partenopea nel corso di un'epidemia di colera all'età di 54 anni.  L'opera Profondo conoscitore di San Tommaso e della filosofia medievale, il Sanseverino diede alle stampe, negli anni quaranta dell'Ottocento, alcuni interessanti saggi sui filosofi moderni, fra cui Emanuele Kant e Baruch Spinoza. Nel 1849 iniziò ad occuparsi più specificamente di San Tommaso e della dottrina tomista con La dottrina di S. Tommaso sull'origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, cui fece seguito, otto anni più tardi, un Saggio di teologia scolastica in difesa dell'angeologia di S. Tommaso d'Aquino contro i sofismi di G. Reynaud (1857).  Fra il 1850 e il 1853, esce il ponderoso I principali sistemi della filosofia del criterio, discussi colla dottrina de' Santi Padri e de' Dottori del Medio Evo, un'ampia e dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista del Settecento e su quella a lui contemporanea (fra cui quella dello stesso Gioberti) confutata sulla base della logica dei più alti rappresentanti del cristianesimo medievale.  Il suo capolavoro, in cinque volumi, fu però pubblicato solo fra il 1862 e il 1865. Si tratta del celebre saggio, redatto in lingua latina, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, che ha per oggetto la storia della logica nell'ambito della filosofia cristiana. Un sesto volume, già progettato, non vide mai la luce a causa dell'improvviso decesso dell'autore. L'opera fu ripresa in alcune sue parti dallo stesso Sanseverino ad uso dei suoi studenti nel suo Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium, uscita nel 1866. Fra il (1865-1870), venne pubblicata a Napoli la versione definitiva degli Elementa. L'opera, letta e molto citata nella seconda metà dell'Ottocento e durante tutto il Novecento, si articola in quattro tomi, di cui gli ultimi due, Antropologia e Teologia naturale, uscirono postumi rispettivamente tre e cinque anni dopo la morte del filosofo grazie all'iniziativa di un suo allievo, Nunzio Signoriello. Quest'ultimo si assunse anche l'onere di dirigere, dopo la scomparsa del proprio fondatore (1865), le pubblicazioni della rivista di Sanseverino La Scienza e la Fede, che, fino al 1887, mantenne vivo l'interesse, a Napoli e in Italia, sulla filosofia cristiana medievale e sul tomismo.  Opere pubblicate (selezione) Delle teorie kantiane difese da O. Colecchi nella sua opera che per titolo: sopra alcune questioni le più importanti della filosofia, Napoli, La Scienza e la fede, 1843-1844. Il razionalismo teologico dei più celebri filosofi tedeschi e francesi da Kant insino ai nostri giorni, in La Scienza e la Fede, 1843-1845. Spinoza e i moderni razionalisti, Napoli, La Scienza e la fede, 1845-1847. La dottrina di s. Tommaso sull'origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, Napoli, (I edizione, 1849), nuova edizione (con introduzione di F. Di Mieri), Napoli, Giannini, 1997. Saggio di teologia scolastica in difesa dell'angeologia di S. Tommaso d'Aquino contro i sofismi di G. Reynaud, Napoli, Tip. Manfredi (?), 1857. Elementa philosophiae theoreticae ad usum cleri neapolitani, Napoli, Tipografia Manfredi, 1858. Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, in cinque volumi, Napoli, Tip. Manfredi, 1862-1866. Institutiones seu Elementa philosophiae christianae cum antiqua et nova comparata, in tre volumi e 4 tomi, Napoli, Tip. Manfredi, 1865-1870. Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium, in 2 volumi, Napoli, Tip. Manfredi, 1866. Compendio della filosofia cristiana comparata con le dottrine de' filosofi antichi e moderni, in 2 volumi (versione italiana della precedente latina), Napoli, Biblioteca cattolica, 1872. Bibliografia Ugo Dovere, Gaetano Sanseverino filosofo tomista, tentativo di ricostruzione, in Doctor communis 31 (1978), pp. 374s. Ugo Dovere, Gli orientamenti del periodico napoletano La scienza e la fede (1841-1880), in Campania sacra, 1980-1981. Pasquale Naddeo, Le origini del neotomismo e la scuola di Gaetano Sanseverino, in Storia della filosofia, Società editrice italiana, Torino 1940, vol. II, pp. 354–362. Pasquale Orlando, Il neotomismo a Napoli e G. Sanseverino, in Asprenas 9 (1962), pp. 277–303. Pasquale Orlando, Vita e opere di Gaetano Sanseverino secondo i documenti, in Aquinas 8 (1965), pp. 222–228. Pasquale Orlando, L'Accademia tomista a Napoli, storia e filosofia (pag. 141-219), in Saggi sulla rinascita del tomismo, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, 1974. Carmine Matarazzo, Per una "rivoluzione del cuore". La visione dell'umano in Giacomo Leopardi nella lettura critica di Gaetano Sanseverino tra antropologia cristiana e istanze pastorali, Alessandro Polidoro Editore, Napoli 2015. Voci correlate Tomismo Neotomismo Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gaetano Sanseverino Collegamenti esterni Gaetano Sanseverino, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Gaetano Sanseverino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaetano Sanseverino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Gaetano Sanseverino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Biografia di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it. Bibliografia di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it. Controllo di autorità                 VIAF (EN) 19845661 · ISNI (EN) 0000 0001 1556 3963 · SBN IT\ICCU\TO0V\092884 · LCCN (EN) n79009223 · GND (DE) 1055162356 · BNF (FR) cb135650137 (data) · CERL cnp01983985 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79009223 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Presbiteri italianiTeologi italianiFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1811Morti nel 1865Nati il 7 agostoMorti il 16 novembreNati a NapoliMorti a Napoli[altre]

santilli Angelo Santilli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Angelo Andrea Silvestro Santilli Angelo Andrea Silvestro Santilli (Sant'Elia Fiumerapido, 28 ottobre 1822 – Napoli, 15 maggio 1848) è stato un filosofo, giornalista, poeta e patriota italiano.  Biografia Angelo Santilli, nativo di Sant'Elia Fiumerapido (oggi in provincia di Frosinone ma all'epoca solo Sant'Elia, in Provincia di Terra di Lavoro), e figlio del medico santeliano Silvestro, sindaco del paese dal 1827 al 1829, atredici anni si trasferì a Napoli con la madre Giuseppa Mancini, figlia del medico Evangelista Mancini di Picinisco ma residente a San Germano (oggi Cassino), e i tre fratelli, per completare gli studi. A Napoli, il giovane Angelo Santilli seguì il corso liceale presso la Scuola di Francesco Murro. All'Università fu discepolo del filosofo Pasquale Galluppi e amico, fra gli altri, di Luigi Settembrini, Giuseppe Fiorelli e Francesco De Sanctis. A soli venti anni, nel 1842, si laureò in filosofia e giurisprudenza, aprendo anche una Scuola di Diritto Morale e Costituzionale.  Fervente giobertiano, fu attivo propugnatore, nei circoli culturali napoletani, di un'Italia federata sotto la guida di papa Pio IX. Ebbe frequenti rapporti epistolari con Terenzio Mamiani, con il cardinale Gizzi e con il filosofo eclettico francese Victor Cousin. Quest'ultimo lo introdusse nel giro culturale del socialismo utopistico europeo e soprattutto francese, ma Santilli modulò il suo socialismo secondo i propri valori cristiani ed umanitari, rifiutando la logica della lotta di classe.  Ebbe comunque a scrivere che nel Regno di Napoli occorreva "una savia distribuzione della ricchezza"[1]. Fu presidente della Società Dantesca di Napoli e prolifico filosofo, giornalista e poeta.  Fondò e diresse i giornali "L'Enciclopedico"[2] e il quotidiano giobertiano "Critica e Verità" (9 marzo - 14 aprile 1848), fondato durante i moti rivoluzionari del '48 napoletano in cui vivacemente sosteneva che occorreva occuparsi della piaga della povertà meridionale, scrivendo il 20 marzo che: "La nazione vuole pane e lo dimanda incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le sciagure della desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto necessario, assoluto ... il popolo non capisce la speculativa astrazione di alcune verità, non sa i titoli di libertà, di costituzione, di uguaglianza ... una riforma che dimentica affatto la fisica prosperità de' popoli non è che riforma di solo nome..."[3].  Fra le sue opere filosofiche: "Le idee soggettive", che fu testo di studio nelle scuole del Granducato di Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo filosofico dell'Autorità"; "Cenno psicologico sull'attività e la passività dello spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'Umanità razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro, industria e capitale". Le sue poesie le pubblicava sul giornale "La Gazza". Dal 1847 si batté politicamente per l'ottenimento della Costituzione da parte di re Ferdinando II di Borbone.  Malvisto e considerato individuo pericoloso dalla polizia borbonica, per i suoi scritti, la sua attività politica e i suoi discorsi pubblici, il cui numero di ascoltatori si andava infoltendo sempre di più, Santilli fu ucciso a baionettate insieme al fratello Vincenzo di 27 anni, all'amico e compaesano Filippo Picano di 18 anni e alla fantesca Carmela Rossi detta Mega da soldati svizzeri che fecero irruzione nella sua abitazione di Napoli, in Largo Monteoliveto, il 15 maggio 1848 durante i moti insurrezionali di Napoli[2][4]. Secondo i ricordi di Luigi Settembrini venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indicò come "il predicatore" alla soldataglia[5]. I fratelli Giuseppe (21 anni) e Giovanni (13 anni), si salvarono nascondendosi in casa della famiglia Leanza al piano superiore.  Lo ricordano due epigrafi: una sulla facciata della sua casa natia a Sant'Elia Fiumerapido e una sulla facciata della palazzina in cui abitò a Napoli, in Largo Monteoliveto, accanto al Palazzo Gravina. Di lui hanno scritto: Francesco De Sanctis, Guglielmo Pepe, Luigi Settembrini, Atto Vannucci, Giuseppe Massari, Vincenzo Grosso, Alberto Guzzardella, Mario Mandalari che volle raccogliere, in un unico volume, su desiderio del grande Francesco De Sanctis, tutte le opere di Santilli tramite il libro "Memorie e scritti di Angelo Santilli" (Roma, 1893)[6].  Note ^ Franco Della Peruta - Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, pagina 162  cfr. pag 174 I. Ghiron, (1883) ^ cfr. pag 162 Della Peruta, (2011) ^ Storia del quindici maggio in Napoli - Pagina 63 ^ Vedi pag.300 L. Settembrini (1880) ^ "Memorie e scritti raccolti da Mario Mandalari" Bibliografia Mario Mandalari, Memorie su Angelo Santilli, Roma, 1893. Alberto Guzzardella, Angelo Santilli, un grande cattolico socialista e martire del Risorgimento Italiano, Milano, 1973. Isaia Ghiron, Il valore italiano, Volume 1, Tip. nazionale degli editori Ghione e Lovesio, 1883. Franco Della Peruta, Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, FrancoAngeli, 2011. Benedetto Di Mambro, in Sant'Elia Fiumerapido, il Sannio, Casinum e dintorni (pag. 37-42), Roccasecca, 2017. Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita, Volume 1, Antonio Morano, 1880. Controllo di autorità                                     VIAF (EN) 233249321 · ISNI (EN) 0000 0004 1978 8037 · SBN IT\ICCU\SBLV\313590 · WorldCat Identities (EN) viaf-233249321 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Risorgimento Portale Risorgimento Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloGiornalisti italiani del XIX secoloPoeti italiani del XIX secoloNati nel 1822Morti nel 1848Nati il 28 ottobreMorti il 15 maggioNati a Sant'Elia FiumerapidoMorti a NapoliPersonalità del Risorgimento[altre]

santorio Santorio Santorio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Santorio Santorio Santorio Santorio (Capodistria, 29 marzo 1561 – Venezia, 22 febbraio 1636) è stato un medico, filosofo e fisiologo italiano considerato il padre della fisiologia sperimentale moderna. Santorio fu il primo a comprendere l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri quantitativi in medicina, per valutare i quali inventò alcuni dispositivi ancora attualmente in uso nella pratica medica, tra cui il termometro e il tachimetro. Oltre ai suoi meriti in medicina, Santorio fu filosofo e studiò sperimentalmente la struttura della materia, di cui descrisse la struttura corpusculare e meccanica sin dal 1603, anticipando le ricerche successive di Galileo e Descartes.  Indice 1                                                Biografia 2                                            Attività scientifica 3                                            Opere principali 4                                          Note 5                                             Bibliografia 6                                           Altri progetti 7                                           Collegamenti esterni Biografia Completati gli studi di medicina a Padova, nel 1582, esercitò la professione per molti anni in Croazia, Polonia e Ungheria. Nel 1599 tornò a Venezia dove fece amicizia con Paolo Sarpi (1552-1623), Giovanni Francesco Sagredo (1571-1620) e Galileo Galilei (1564-1642). Il suo adattamento del pendolo alla pratica medica precede gli esperimenti condotti da Galileo con i pendoli, ed era noto ai professori dello studio di Padova sin dal 1600[1]. Fu un pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia usata per studiare l'equilibrio omeostatico e le trasformazioni metaboliche Tra i soggetti che si prestarono alla sperimentazione vi fu anche il collega Galileo Galilei. Nel 1611 fu nominato professore di 'Medicina Teorica' (corrispondente all'attuale fisiologia generale) a Padova. In quella città pubblicò descrizioni di congegni termometrici e di precisione che divennero di largo uso nella pratica medica. Nel 1624 rinunciò alla cattedra per dedicarsi alla pratica privata.  Attività scientifica Fu un pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia (stadera medica) usata per studiare le trasformazioni metaboliche in soggetti sperimentali tra i quali vi fu lo stesso Galileo. Fu pioniere nell'uso del metodo sperimentale di cui comprese l'importanza e la necessità replicando i suoi esperimenti per circa trent'anni. Considerato a torto il fondatore della iatromeccanica, ne fu tuttavia ispiratore con i suoi importanti studi sul metabolismo e sulla termoregolazione umana. Fu il primo a quantificare la perspiratio insensibilis e ad introdurre in medicina l'uso del termometro clinico che egli stesso ideò.  Santorio inventò anche altri strumenti (pulsilogio, igrometro, "letto artificioso", "eolopila medica", "termometro lunare") intesi a tradurre in numero e determinare con esattezza matematica i parametri vitali umani.  Opere principali Le sue opere ebbero numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità fino al '700. Classico il De statica medica: uno dei libri più importanti della storia della fisiologia.  (LA) Santorio Santorio, Sanctorii Sanctorii ... Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica contingunt libri quindecim. Nunc primum accessit eiusdem authoris De inventione remediorum liber, P. Aubert, 1630 [1603], p. PP5. (EN) Santorio Santorio, Ars de statica medicina, Leida, David Lopes de Haro, 1642 [1612]. Commentaria in artem medicinalem Galeni, 1614. Nova pulsuum praxis morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens, sine eorum relatione, 1624. Commentaria in primam fen primi libri canonis Auicennae, 1625. Commentaria in primam sectionem Aphorismorum Hippocratis, 1629. Opera omnia, 1660. Note ^ Fabrizio Bigotti e David Taylor, The Pulsilogium of Santorio: New Light on Technology and Measurement in Early Modern Medicine, in Societate si politica, vol. 11, n. 2, 2017, pp. 53–113. URL consultato il 7 aprile 2020. Bibliografia Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Castiglioni A.,: Storia della Medicina, II, Mondadori, Milano, 1948. Pazzini A.,: Storia della Medicina, II, Società Editrice Libraria, Milano, 1947, pp. 23, 46, 65, 81-85, 114, 124, 350, 532. Premuda L.,: Storia della Medicina, Cedam, Padova, 1960, pp. 22, 81, 144, 154-155. Premuda L.,: Storia della Fisiologia, Del Bianco Editore, Udine, 1966. Voce: Santorio Santorio in Enciclopedia Italiana, XXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1936. Voce Santorio Santorio in Enciclopedia Biografica Universale Treccani, XXVII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2007, p. 215. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Santorio Santorio Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santorio Santorio Collegamenti esterni (EN) Santorio Santorio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Santorio Santorio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Santorio Santorio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Santorio Santorio, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Museo Galileo, su catalogo.museogalileo.it. Un importante progetto di ricerca internazionale su Santorio Santorio e la nascita della quantificazione in medicina è attualmente organizzato e promosso dalla Wellcome Trust presso il Centre for Medical History dell'Università di Exeter (UK) Un video in inglese sulla vita e le opere di Santorio qui Controllo di autorità   VIAF (EN) 29643046 · ISNI (EN) 0000 0001 0856 2954 · SBN IT\ICCU\PUVV\362758 · LCCN (EN) n86828439 · GND (DE) 124548881 · BNF (FR) cb12529992v (data) · BAV (EN) 495/96127 · CERL cnp00994814 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86828439 Biografie Portale Biografie Medicina Portale Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloFisiologi italianiNati nel 1561Morti nel 1636Nati il 29 marzoMorti il 22 febbraioNati a CapodistriaMorti a VeneziaPersone legate all'Università degli Studi di Padova[altre]

santucci

sanzo Ubaldo Sanzo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ubaldo Sanzo (Roma, 9 aprile 1934) è uno storico e filosofo italiano.   Indice 1                                  Biografia 2                                            Note 3                                             Bibliografia 4                                           Collegamenti esterni Biografia Conseguita la laurea in filosofia insegna nei Licei Statali della provincia di Brindisi. Nel 1969, ammesso alla Scuola di Perfezionamento in Filosofia della Scienza dell'Università Statale di Milano, lavora alle dirette dipendenze di Ludovico Geymonat. Consegue, quindi, tutti i gradi accademici nell'Università del Salento, dove termina la carriera in qualità di professore ordinario e Coordinatore del Corso di Dottorato in Sociologia.[1] Nel 2009, ha fondato l'Associazione Culturale di Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”.  Ha subito il fascino delle filosofie in auge negli anni della sua giovinezza, esistenzialismo e neorazionalismo. Ha rivolto la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società del periodo a cavallo fra Otto e Novecento. Si è occupato di autori quali H. Becquerel, P. Boutruox, O. M. Corbino, L. Couturat, P. e M. Curie, F. Enriques, E. Fermi, E. Frola, L. Geymonat, E. Husserl, G. Peano, H. Poincaré, B. Russell, G. Vailati.  Note ^ Università del Salento - Archivio dell'Ufficio Personale Docente - Fascicolo: Ubaldo SANZO - Matricola n. 924. Bibliografia Jules-Henri Poincaré, Sui fondamenti della geometria, ed. it. a cura di Ubaldo Sanzo, Brescia, Editrice La Scuola, Collana "Il Pensiero", 1990, pp. 60, ISBN 88-350-8269-2. Ubaldo Sanzo, L’artificio della lingua, Milano, Franco Angeli, Collana di Epistemologia diretta da Emilio Agazzi, 1991, pp. 114, ISBN 88-204-6758-5. Guido Cimino; Ubaldo Sanzo; Gabriella Sava (a cura di), Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo Editore, Collana di Filosofia diretta da G. Papuli, 1991, pp. 445, ISBN 88-7786-496-6. Jules-Henri Poincaré, Scritti di fisica-matematica, a cura di Ubaldo Sanzo, Torino, UTET, I Classici della Scienza, Collana diretta da Ludovico Geymonat, 19931, 19952, pp. 714, ISBN 88-02-04760-X. Ubaldo Sanzo, Poincaré e i filosofi, Lecce, Edizioni Milella, 2000, pp. 121, ISBN 88-7048-364-9. Orso Mario Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e commentati da Ubaldo Sanzo, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/hestia diretta da M. Castellana, 2003, pp. 160, ISBN 88-7533-002-6. Jules-Henri Poincaré, Scritti di fisica-matematica, a cura di Ubaldo Sanzo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Collana "I Classici del pensiero", pubblicata su licenza della Unione Tipografico - Editrice Torinese di Torino, 2009. Collegamenti esterni (EN) Opere di Ubaldo Sanzo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata SCIENTIA - Rivista internazionale di sintesi scientifica [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Poincaré di Ubaldo Sanzo [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Philosophie et science dans la pensée de Louis Couturat di Ubaldo Sanzo [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Associazione Culturale di Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”, su apollolicio.it. Museo Galileo di Firenze - Catalogo della Biblioteca Controllo di autorità                                          VIAF (EN) 24660543 · WorldCat Identities (EN) lccn-n93063586 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Storici italiani del XX secoloStorici italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1934Nati il 9 aprileNati a RomaFilosofi della scienza[altre]

SarloDe

Sarno Antonio Sarno Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Antonio Sarno (Napoli, 1887 – 25 febbraio 1932) è stato un filosofo italiano. Sconosciuto durante la sua vita, interprete originale di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, fu riscoperto nel 1959 da Francesco Flora.   Indice 1                       Biografia 2                                            Pensiero 3                                            Opere 3.1                                            Traduzioni 4                                          Bibliografia 5                                           Collegamenti esterni Biografia Si hanno poche notizie sulla sua vita, riportate da Benedetto Croce nel volume Pensiero e Poesia.  Collaborò al Giornale critico della filosofia italiana con saggi su Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giambattista Vico. Tradusse nel 1909, per la Casa editrice Giuseppe Laterza e figli, l'opera di Georges Sorel, Considerazioni sulla violenza.  Si suicidò il 25 febbraio 1932, con un colpo di rivoltella.  Pensiero Antonio Sarno si interessò a Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Avrebbe trascorso la sua vita in incognito, se non per l'interesse di Benedetto Croce e Francesco Flora. Croce stesso curò l'edizione di alcuni scritti di Sarno con il titolo Pensiero e poesia (1943), a cui Flora fece seguire una seconda edizione dal titolo Filosofia poetica (1959), aggiungendovi testi esclusi da Croce e con un'antologia critica in appendice.  La riscoperta di Sarno è dovuta al filosofo italiano Mario Perniola:  «“Il suo punto di partenza – egli scrive – è l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso, essenzialmente interiore (sensus sui) ed un sentire esteriore, che si tramuta nelle cose di cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose, affinché esse vivano in lui”.»  (M. Perniola, Enigmi. Il momento egizio nella società e nell’arte) Una collezione dei testi più significativi che erano già inclusi nell'edizionde del 1959 sono stati pubblicati sotto il titolo Filosofia del sentire (1995) a cura di A. Marroni.  Opere Pensiero e poesia, a cura di B. Croce, Laterza, Bari 1943 Filosofia poetica, a cura di F. Flora, Laterza, Bari 1959. Filosofia del sentire, a cura di A. Marroni, Pescara, Tracce, 1995. Traduzioni Giorgio Sorel, Considerazioni sulla violenza, tradotte da Antonio Sarno, con introduzione di Benedetto Croce, Bari, Giuseppe Laterza e figli, 1909. Bibliografia M. Perniola, Enigmi. Il momento egizio nella società e nell'arte, Costa & Nolan, Genova 1990, ISBN 88-7648-109-5. A. Marroni, Sarno filosofo del “farsi altro” in A. Sarno, Filosofia del sentire, a cura di A. Marroni, Tracce, Pescara 1995. P. D'Angelo, L'estetica italiana del Novecento, Laterza, Bari 1997, ISBN 88-420-5190-X . A. Marroni, Antonio Sarno e la passione per il presente in Filosofie dell'intensità. Quattro maestri occulti del pensiero italiano contemporaneo, Mimesis, Milano 1997, ISBN 88-85889-81-6. A. Marroni, "Antonio Sarno e i carmina in foliis volitantia" in Agalma 14, settembre 2007, p. 96-102. ISBN 88-8353-599-5 Collegamenti esterni Filosofia del sentire, su lett.unitn.it. URL consultato il 28 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2007). Giornale Critico di Filosofia Italiana, su lelettere.it. Controllo di autorità                                            VIAF (EN) 13068139 · GND (DE) 116807423 · WorldCat Identities (EN) viaf-13068139 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1887Morti nel 1932Morti il 25 febbraioNati a NapoliSuicidi per arma da fuoco[altre]

sarpi: very important Italian philosopher. Paolo Sarpi (n. Venezia, 14 agosto 1552 – Venezia, 15 gennaio 1623) è stato un religioso, teologo, storico e scienziato italiano cittadino della Repubblica di Venezia, appartenente all'Ordine dei Servi di Maria.  Teologo, astronomo, matematico, fisico, anatomista, letterato e storico, fu tanto versato in molteplici campi dello scibile umano da essere definito da Girolamo Fabrici d'Acquapendente «Oracolo del secolo».[1] Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all'Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all'Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, "agnosco stilum Curiae romanae", che negò tuttavia ogni responsabilità.   Indice 1 Biografia 1.1 L'infanzia 1.2 A Mantova 1.3 Il ritorno a Venezia 1.4 Seconda denuncia all'Inquisizione 1.5 L'interdetto del papa contro Venezia 1.6 Gli attentati 1.7 La corrispondenza europea e la morte 2 Sarpi nella storia della letteratura e della scienza 3 Sarpi e la Chiesa 4 Opere 4.1 Edizioni 4.2 Manoscritti 5 Note 6 Bibliografia 7 Voci correlate 8 Altri progetti 9 Collegamenti esterni Biografia L'infanzia «[ ... ] era una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così servò in tutta la sua vita, et all'occasioni diceva non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutriva così poco, che restava meraviglia come stasse vivo»  (F. Micanzio, Vita di padre Paolo)  Istoria del Concilio tridentino, 1935 Nell'anno in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V era in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adottava un Libro di preghiere d'ispirazione luterana, Pietro, questo il nome secolare del Sarpi, nacque a Venezia da Francesco di Pietro Sarpi, di famiglia di lontane origini friulane (precisamente di San Vito al Tagliamento[2]) e mercante a Venezia eppure, scrive il biografo Micanzio, per la sua indole violenta «più dedito all'armi ch'alla mercatura»;[3] la madre, veneziana, «d'aspetto umile e mite»,[4] si chiamava Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con Pietro e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello Ambrosio Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora.  Con lo zio, «uomo d'antica severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità [...] addottrinando nella grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà»,[4] fece i primi studi, imparando presto e con facilità. A dodici anni, nel 1564, anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibiti - tra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, Telesio, Machiavelli ed Erasmo - passò alla scuola del padre Giovanni Maria Capella, teologo cremonese dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Giovanni Duns Scoto, il quale gli insegnò logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che «il maestro istesso confessava non aver più che insegnargli».[5] Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica.  «Con la familiarità e co' studii entrò Pietro anco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro»,[6] malgrado l'opposizione della madre e dello zio Ambrogio che lo voleva prete nella sua chiesa, il 24 novembre 1566 entrò nel monastero veneziano dei servi di Maria.  A Mantova Qui continuò ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché nel 1567, in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine servita, fu mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni», difendendo «318 delle più difficili proposizioni della sacra teologia e della filosofia naturale. Il qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare».[7]   Convento e chiesa di San Barnaba a Mantova Essersi così distinto a soli quindici anni gli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga - «prencipe di grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si discerneva qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica» -[8] mentre il vescovo Gregorio Boldrino gli affidò la cattedra di «teologia positiva di casi di coscienza e delli sacri canoni».[9] Stabilito nel convento di San Barnaba, perfezionò la conoscenza della lingua ebraica e iniziò, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi storici.  Fu certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequentò Camillo Olivo, già segretario di Ercole Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagli «inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore»,[10] ma che ora, dopo la morte del pontefice, «viveva privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceveva fra Paolo in conversare con lui era perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, aveva avuto gran maneggio in quelle azioni e sapeva tutte le particolarità de' negozii più secreti, et aveva anco molte memorie, nell'intendere le quali fra Paolo riceveva molto piacere».[8]  Erano gli anni in cui in Italia continuava con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V: Pietro Carnesecchi venne decapitato nel 1567, nel 1569 gli ebrei furono espulsi dallo Stato pontificio - tranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiedere - e nel 1570 fu impiccato l'umanista Aonio Paleario; il papa scomunicò Elisabetta d'Inghilterra nel 1570, organizzò la Lega contro i turchi nel 1571, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, la notte del 23 agosto 1572 migliaia di ugonotti furono massacrati: in quest'anno Sarpi fece la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupò per la prima volta nel 1573, a seguito della denuncia di un confratello, un tale Claudio, che lo accusò di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della Trinità: ma, poiché effettivamente di Trinità divina non vi è traccia nel Vecchio Testamento, l'Inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso.  Il ritorno a Venezia Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, nel 1574 fu invitato a Milano da Carlo Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità spagnole, contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, aveva avviato un processo di riforma del clero. L'anno successivo ottenne di essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove fu incaricato dell'insegnamento della filosofia e continuò i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversò a Venezia dal 1575 al 1577, facendo 50.000 vittime - tra le quali Tiziano - fra' Paolo rimase immune dal contagio, ma perdette la madre.  Nel 1578, dopo essersi addottorato in teologia nell'Università di Padova, venne nominato reggente del convento di Venezia e, l'anno dopo, priore della provincia veneta. Quello stesso anno, durante il Capitolo generale tenutosi a Parma, nel quale venne rieletto priore generale Giacomo Tavanti, tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, Alessandro Farnese e Giulio Antonio Santori. Sarpi fu uno dei tre «saggi», insieme con Cirillo Franco e Alessandro Giani, incaricati di preparare una riforma della regola: «il carico suo speziale fu d'accommodare quella parte che toccava i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de' giudizii [...] quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo stato claustrale [...] Lasciò in questo carico in Roma fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conveniva conferire tutte le leggi che si facevano, ma anco fu necessario molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritornò al suo governo».[11]  Nel giugno del 1585 si tenne a Bologna il nuovo Capitolo dell'Ordine servita e Sarpi viene eletto procuratore generale, «la suprema dignità di quell'ordine dopo il generale [...] il carico porta seco di difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la religione»[12] Dovette pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e «prese strettissima familiarità col padre Bellarmino [...] poi cardinale, e durò l'amicizia sin al fine della vita», grazie al quale forse poté prendere visione di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il Concilio di Trento. Conobbe anche il dottor Navarro, teologo spagnolo difensore dell'arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza, accusato di eresia, il gesuita Nicolás Alfonso de Bobadilla e il cardinale Castagna, che fu poi papa Urbano VII. Ebbe occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli e «conversare con quel famoso ingegno Giovanni Battista della Porta, il quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come di non ordinario personaggio».[13]  Scaduto il periodo di carica a procuratore generale dell'Ordine servita, Sarpi ritornò a Venezia nel 1589, frequentandovi i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Bernardo Sechini e nella casa del nobile veneziano Andrea Morosini, dove conobbe anche Giordano Bruno, mentre a Padova frequentava la casa di Gian Vincenzo Pinelli, «il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi»,[14] dove poté incontrare Galileo e forse ancora il Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia nel maggio del 1592. Seconda denuncia all'Inquisizione  Ottavio Leoni (?): papa Paolo V Nel 1594 si dovette scegliere il nuovo generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, Lelio Baglioni e Gabriele Dardano, Sarpi si espresse a favore del primo. Il rancore spinse il Dardano a denunciare Paolo Sarpi al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei veneziani e allegando una lettera che fra' Paolo gli scrisse anni prima da Roma, nella quale erano contenute «alcune parole in discredito della corte, come che in quella si venisse alle dignità con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla».[15]  Sarpi, senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, fu subito prosciolto da ogni accusa ma il cardinale di Santa Severina, Giulio Antonio Santori, protettore dell'Ordine e capo del Sant'Uffizio, «mostrò però implacabile indignazione al padre» utilizzando tutta la sua autorità per escludere gli amici del frate «dalli gradi et onori [...] con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo».[16]  Sarpi continuò i suoi studi mentre non cessavano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore, il 1º giugno 1597, Angelo Montorsoli, che morì tre anni dopo, succedendogli così, nel 1601, Gabriele Dardano, accanito avversario del Sarpi. Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva circondato, cercò invano di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in Dalmazia, che però gli vennero rifiutati a causa delle negative informazioni che di lui il Dardano e Ludovico Gagliardi, preposito della casa veneziana dei gesuiti, diedero al papa: essi avrebbero «sentito mormorare alle volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori».[17] Non solo: nel Capitolo, il Dardano accusò padre Paolo di portare «una berretta in capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recitasse lo Salve Regina».[18] Ma Sarpi fu assolto anche da queste accuse.  L'interdetto del papa contro Venezia  Rivendicazioni sulla non validità dell'Interdetto, Venezia, 1606 La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, era ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che avrà la sua sanzione alla fine del Settecento. Alla prudente politica dei vecchi patrizi, rassegnati alla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero.  Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo 1605 un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini, reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati. Il 10 dicembre 1605 il papa Paolo V emanò due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.  Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare il 14 gennaio 1606 i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Il Sarpi difese le ragioni della Repubblica con numerosi scritti: sono di questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all'appellazione al concilio, la Scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva Istoria dell'interdetto. In quell'opera è contenuta anche la traduzione in italiano, fatta dal Sarpi stesso, del trattato di Jean Gerson sulla validità della scomunica, che fu attaccato dal cardinale Bellarmino, al quale fra' Paolo rispose allora con l'Apologia per le opposizioni del cardinale Bellarmino.  Mentre il frate servita Fulgenzio Micanzio - suo futuro biografo - iniziava a collaborare con Paolo Sarpi, il 6 maggio, dopo che il 17 aprile Paolo V aveva scomunicato il Consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Stato veneto, Venezia pubblicò il Protesto del monitorio del pontefice, scritto ancora da Sarpi, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito «nullo e di nessun valore», mentre impedì la pubblicazione della bolla pontificia.   Rubens; il cardinale Joyeuse incorona Maria de' Medici. Obbedendo alle disposizioni del papa, il 9 maggio i gesuiti rifiutarono di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reagì espellendoli insieme con cappuccini e teatini: «partirono la sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo partiva con loro. Concorse moltitudine di populo [...] e quando il preposto, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario patriarcale [...] si levò una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana gridò loro dicendo "Andé in malora!" [...]».[19] A Roma si sperava che l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma «li gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine partì, li divini uffizi erano celebrati secondo il consueto [...] il senato era unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservarono quietissimi nell'obbedienza»[20]  Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, il 10 agosto soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcarono a Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione fu facilmente scoperta e i turchi offrirono a Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa e la Spagna. Il 30 ottobre l'Inquisizione intimò a Sarpi di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose «temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche» contenute nei suoi scritti ma il frate naturalmente si rifiutò. Invano il papa - che il 5 gennaio 1607 aveva scomunicato Sarpi e Micanzio - si dichiarava favorevole a portare guerra a Venezia: la sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non poteva sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale francese François de Joyeuse. Il 21 aprile Venezia rilasciò i due ecclesiastici incarcerati e ritirò il suo Protesto al papa in cambio della revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non poterono rientrare nella Repubblica.  Gli attentati In quel tempo Sarpi ricevette la visita dell'ex-luterano ed erudito tedesco Kaspar Schoppe, molto intimo dei segreti affari della Curia romana, il quale gli confidò che «il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui gravemente offeso non poteva succedergli se non male, e che se sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del papa era averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare; asserendo d'aver in carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione».[21]   Monumento a Sarpi a Venezia, in Campo Santa Fosca, presso il luogo dell'attentato Lo Schoppe, ambiguo provocatore, intendeva convincere il frate a mettersi nelle mani dell'Inquisizione come miglior partito che il Sarpi potesse prendere, tanto «parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre»,[22] ma i disegni omicidi erano reali: il 5 ottobre 1607, «circa le 23 ore, ritornando il padre al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, fu assaltato da cinque assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e restò l'innocente padre ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto».[23]  I sicari, fuggendo, trovarono rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera s'imbarcarono per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato fu Rodolfo Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato Scipione Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. Fu coadiuvato da tre uomini d'arme, tali Alessandro Parrasio, Giovanni da Firenze e Pasquale da Bitonto, mentre «la spia, o guida, fu un prete, Michiel Viti bergamasco, solito offiziare in Santa Trinità di Venezia, che non lasciò dubitare quanti mesi precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce; poi che questo prete la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro Fulgenzio, andava ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente trattava con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continuò di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima».[24]  Il pugnale non aveva tuttavia leso organi vitali e il Sarpi riuscì a sopravvivere; il noto chirurgo Girolamo Fabrici d'Acquapendente, che l'operò, disse di non aver mai medicato una ferita più strana, rispondendo allora Sarpi con la famosa espressione: «eppure il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae».[25] Le conseguenze furono la rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il 27 ottobre 1607 il Senato, dichiarando il Sarpi «persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù», gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Sarpi rifiutò la casa ma si servì da allora di una barca che gli evitasse i pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane.  Poco più di un anno dopo, nel gennaio del 1609, fu sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato del cardinale Lanfranco Margotti, da due frati serviti, Giovanni Francesco da Perugia e Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave della camera di Sarpi, «volevano secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente padre».[26]  La corrispondenza europea e la morte Sarpi inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana: fra questi ultimi, Jacques Leschassier e Jacques Gillot, che pubblicò nel 1607 gli Actes du concile de Trente en l'an 1562 e 1563, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano Francesco Castrino, i francesi Jean Hotman de Villiers, Isaac Casaubon, Jacques-Auguste de Thou, Philippe Duplessis-Mornay, i tedeschi Achatius e Christoph von Dohna. Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali europei, Sarpi acquisì «quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato moderno», che gli permise di «arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica» e lo condusse «a incidere sulla sua posizione religiosa, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un mondo nuovo, che gli faceva sentire più soffocante, più viziata, la vita italiana».[27]  Incontrò a Venezia nel 1607 l'inglese William Bedell, che riferì di lui e del Micanzio come essi fossero «completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione» e, nel 1608, Cristoph von Dohna, inviato dal principe tedesco Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e il pastore ginevrino Giovanni Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua italiana, fatta da quest'ultimo, del Nuovo Testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo.  Altre polemiche suscitano, nel marzo del 1609, le prediche quaresimali di Fulgenzio Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. Sarpi è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi «che, o prima o dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole», mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia.[28] Sarpi sperava in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia: «Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme; l'Inquisizione cesserà e l'Evangelio avrà corso».[29] E andrà bene anche per le libertà civili di Venezia: qui, anche se «il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata dall'Inquisizione [...] Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio».[30]  Ai primi giorni del 1623 si ammalò gravemente, e morì il 15 gennaio. Secondo la versione ufficiale l'8 gennaio, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. La mattina del 12 gennaio, fatto chiamare il priore del convento, lo pregò che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegnò tutte le cose concesse a suo uso. Si fece vestire, si confessò e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli fu quindi amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. Il 14 mattina fu visitato dal medico che gli disse che aveva poche ore di vita. Egli, sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio! A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione (quella di morire). Fu udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama!. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state: Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, 846, p. 340-344). Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più vicino al culto protestante.  Sarpi nella storia della letteratura e della scienza Figura assai complessa di pensatore, Sarpi occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della letteratura e della scienza. Fu uno dei più grandi scrittori del suo secolo.  «La sua prosa (è) una delle più maschie ed efficaci di tutta la letteratura nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere rievocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole»  (Arturo Carlo Jemolo.) Giovanni Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, l'ha definita:  «un modello di lucidità narrativa... e di prosa semplice, esatta e rapida (Scritti filosofici inediti, p. 3)»  Nel campo delle scienze poi ha lasciato orme indelebili in vari campi: nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galileo Galilei fu suo grande amico, e non disdegnò di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo avvertimento a Galilei nel 1616, Sarpi (che non visse abbastanza a lungo per assistere alla condanna del 1633) scrisse:  «Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gli uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo.»  Sarpi scoperse, per primo, la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene (Enciclopedia Treccani, vol. XXX, p. 879). I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio - dice Bianchi-Giovini - il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli dal Sarpi, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni (v. p. 74). Sopra la sua sapienza matematica si citava l'autorevole giudizio di Galileo Galilei (Papini, p. 4). Robertson non ha stentato ad appellare Sarpi il più grande dei veneziani. Daniel Georg Morhof ha appellato Sarpi la Fenice del suo tempo.  Galileo Galilei non esitò a dire: Paolo de' Servi... del quale posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Europa in cognizione di queste scienze (matematiche) (contro alle calunnie ed imposture di B. Capra, in ediz. naz., Firenze, 1932, II, 549). La teoria di Galileo delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende idee di Sarpi, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici (in particolare nei pensieri 569 e 571).  Giovanni Battista Della Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da Fra Paolo, lo proclamò splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis, L. VII, p. 127). Il cardinale Domenico Passionei definì il Sarpi dottissimo oltre ogni espressione (cfr. Opuscoli, I, p. 331-334).   Un busto regalato alla città di Udine nel 1912 dai Mazziniani italiani emigrati in Argentina. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi vissuti tra il 1450 e il 1850, Sarpi si posizionò al quinto posto, al pari del più noto matematico Pascal (cit. "The Early Mental Traits of Three Hundred Geniuses" di Catharine M. Cox, in "Genetic Studies of Genius" di Lewis M. Terman. Copyright 1926, Stanford University Press).  Sarpi e la Chiesa Il Sarpi alla grande intelligenza unì anche - come riconosciutagli da tutti - un'esemplare integrità di vita. Arturo Carlo Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande intorno alla sua ortodossia, ha dato questa risposta:  «Gli elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che circonda Fra Paolo. - Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera...»  (Arturo Carlo Jemolo, p. (10).) Fondamentalmente lo scontro di Paolo Sarpi con la Curia romana fu legato ad un progetto politico volto a contenere il potere della Chiesa in ambito esclusivamente spirituale e a promuovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica antimperiale e fortemente antispagnola. Per questo intrattenne contatti con i riformati (Lettere ai protestanti). Inoltre la sua visione della Chiesa era un vago ritorno verso la chiesa primitiva: egli quindi era indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul Concilio. Nel 1616 il Sarpi strinse amicizia con Marcantonio de Dominis, arcivescovo di Spalato, che tendeva all'apostasia. Quest'ultimo nel 1619 pubblicò a Londra, senza il consenso dell'autore, la sua Istoria del Concilio Tridentino, che costituisce il suo capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. Il 22 novembre 1619 l'opera fu condannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti.  Nel 1611 furono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi mons. Roberto Ubaldini «compromettenti carteggi di Sarpi con l'ambasciatore veneziano Antonio Foscarini e con l'ugonotto Francesco Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si veniva denunciando, che quel frate, che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai responsabili politici veneziani, altri non era che un protestante, al servizio delle forze ereticali europee: dunque infedele e ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non darà tregua alla figura sarpiana lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, dal dotto curiale Girolamo Aleandro, che ricevuta da Nicolas de Peiresc nel 1624 la sarpiana Istoria dell'Interdetto appena edita rispondeva all'illustre erudito francese con fare perentorio che  quel fra Paolo servita [...] era nero ministro del Diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel Diavolo né in Dio[31],  al prelato friulano Giusto Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della vita di Fra Paolo Sarpi servita, al celebre cardinal Domenico Passionei, che credeva di avere le carte per dimostrare che l'idea del frate furfante era di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora ricordava nel secolo scorso il dotto cardinale Angelo Mercati.»[32]  Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della Chiesa di Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, dove Sarpi viene definito: «un ipocrita che fino all'ultimo fece la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa.»[33]  Opere Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato, 1606. Apologia per le opposizioni fatte dal cardinale Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche, 1606. Considerationi sopra le censure della santità del papa Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, 1606. Istoria del Concilio Tridentino, 1619. Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), 1622. Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, 1638. Trattato delle materie beneficiarie, 1676. Opinione del Padre Paolo Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, 1681. La storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo[34] Edizioni  Scritti giurisdizionalistici, 1958 Istoria del Concilio Tridentino, 1619. Istoria del Concilio tridentino, In Geneua, Pierre Aubert, 1629. Istoria del Concilio Tridentino, 3 voll., Franco Pagnoni Editore, Milano, 1895. Giovanni Gambarin (a cura di), Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 151, vol. 1, Bari, Laterza, 1935. Giovanni Gambarin (a cura di), Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 152, vol. 2, Bari, Laterza, 1935. Giovanni Gambarin (a cura di), Istoria del Concilio tridentino, Scrittori d'Italia 153, vol. 3, Bari, Laterza, 1935. Istoria del Concilio Tridentino, 2 voll., testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di Renzo Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, 1966, pp. 1086; II ed. 1982. Lettere inedite di Fra Paolo Sarpi a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, 1615, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Serie 4, Miscellanea 12, Venezia, Fratelli Visentini, 1892. Pagine scelte, a cura di Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, 1924, pp.71. Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia 136, vol. 1, Bari, Laterza, 1931. Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia 137, vol. 2, Bari, Laterza, 1931. Antologia degli scritti politici e storici. A cura di Francesco T. Roffarè, CEDAM, Padova, 1937, pp. 118. Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inediti, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 179, vol. 1, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 180, vol. 2, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 181, vol. 3, Bari, Laterza, 1940. Romano Amerio (a cura di), Scritti filosofici e teologici, Scrittori d'Italia 202, Bari, Laterza, 1951. Pensieri naturali, metafisici e matematici. Manoscritto dell'iride e del calore - Arte di ben pensare - Pensieri medico-morali - Pensieri sulla religione - Fabulae - Massime e altri scritti. Edizione integrale commentata a cura di Luisa Cozzi e Libero Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1951-1956-1996, ISBN 978-88-78-17504-4, pp. XCIV-902. Scritti giurisdizionalistici, Scrittori d'Italia 216, Bari, Laterza, 1958. Lettere ai Gallicani, a cura di Boris Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner, 1961. La Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, 1965. Scritti scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, a cura di Giovanni Da Pozzo, Collezione di Classici Italiani n.14, UTET, Torino, I ed. 1968- 1974-1982, ISBN 978-88-02-01847-8, pp. 708. Storici, Politici, e Moralisti del Seicento, a cura di Luisa e Gaetano Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi vol.35, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969-1997. Istoria del Concilio Tridentino. Seguita dalla «Vita del padre Paolo» di Fulgenzio Micanzio. A cura di Corrado Vivanti, 2 voll., Collana NUE n.156, Einaudi, Torino, 1974, pp. CLX-XV-1472; Collana Piccola Biblioteca. Nuova Serie, Einaudi, Torino, 2011, ISBN 978-88-06-20875-2. Pensieri. A cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, 1976, ISBN 978-88-06-45039-7, pp. CXLVI-74. Considerazioni sopra le censure di papa Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto, a cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1977, ISBN 978-88-06-48223-7, pp. XIII-91. Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. A cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1978, ISBN 978-88-06-10900-4, pp. 217. Gli ultimi consulti. 1612-1623. A cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi n.100, Einaudi, Torino, 1979, ISBN 978-88-06-24976-2, pp. 122. Dai «Consulti», il carteggio con l'ambasciatore inglese sir Dudley Carleston. A cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1979, ISBN 978-88-06-12971-2, pp. XIV-253. Dal «Trattato di pace et accomodamento» e altri scritti sulla pace d'Italia. 1617-1620. A cura di Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1979, pp. XII-138. Consulti, 2 voll., a cura di Corrado Pin, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001. Letteratura e vita civile. Paolo Sarpi, Collana I Classici del Pensiero Italiano n. 23, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore, Milano, 2006, pp. XIII-562. Della potestà de' prencipi, a cura di Nina Cannizzaro, Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, 2007. Scritti filosofici inediti. Tratti da un manoscritto della Marciana a cura di G. Papini, Collana Cultura dell'anima, Rocco Carabba, Editore Lanciano, 2008 (ristampa anastatica del 1910), ISBN 978-88-63-44004-1, pp. 126. Manoscritti Consulti: incipit - vol. III, p. 17, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.1. Consulti: vol. III, p. 18 - vol. VI, p. 99, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.2. Consulti: vol. VI, p. 100 - explicit, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.3. Note ^ O. Ceretti, Cinque pugnali non bastarono a troncare la sua parola, in «Historia», 264, febbraio 1980 ^ Touring club italiano, Touring Editore, 1982 pp 450 ^ F. Micanzio, Vita del padre Paolo, in «Istoria del Concilio tridentino», Torino 1974, p. 1275  F. Micanzio, cit., p. 1276 ^ F. Micanzio, cit., p. 1278 ^ F. Micanzio, cit., pp. 1277-78 ^ F. Micanzio, cit., p. 1279  Ibidem ^ F. Micanzio, cit., p. 1280 ^ F. Micanzio, cit., p. 1281 ^ F. Micanzio, cit., p. 1290 ^ F. Micanzio, cit., p. 1295 ^ F. Micanzio, cit., p. 1296 ^ F. Micanzio, cit., p. 1308 ^ F. Micanzio, cit., p. 1296. Scriveva tra l'altro Sarpi nella lettera: «E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura?». I cenedi sono i giovani che si prostituiscono ^ F. Micanzio, cit., p. 1298 ^ G, Cozzi, in Paolo Sarpi, Opere, 1969, p. 28 ^ F. Micanzio, cit., p. 1328 ^ P. Sarpi, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, 1940, p. 51 ^ Ivi, p. 52 ^ F. Micanzio, cit., p. 1346 ^ Ivi, p. 1347 ^ Ivi, p. 1348 ^ Ivi, p. 1350 ^ Ivi, p. 1351, dove stilo può significare sia stile che stiletto ^ Ivi, p. 1364 ^ G. Cozzi, cit., p. 227 ^ Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», I, pp. 18 e 78 ^ Ivi, p. 120 ^ Lettera a Francesco Castrino, 18 agosto 1609, in «Lettere ai protestanti», II, pp. 46-47 ^ Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, 1965, p. 74. ^ Corrado Pin, Paolo Sarpi senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto del 1606, in Marie Viallon (a cura di), Paolo Sarpi. Politique et religion en Europe, Paris, Classiques Garnier, 2010, pp. 65-66, ISBN 9782812401244. ^ Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, Storia della Chiesa. La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo, Città Nuova, 2001, p. 391, ISBN 9788831192583. ^ Borgna Romain, Faggion Lucien (dir.), Le Prince de Fra' Paolo. Pratiques politiques et forma mentis du patriciat à Venise au XVII° Siécle, Aix-en-Provence, Université de Provence, 2011 Bibliografia Fulgenzio Micanzio, Vita del padre Paolo, dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, 1646. Ed. moderna in P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, Torino, Einaudi, 1974 F. Griselini, Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto f. Paolo Servita, Losanna, presso M. Mic. Bousquet e Comp., 1760; F. Griselini, Del genio di f. Paolo Sarpi in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita, Venezia, Basaglia, 1785 P. 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Modifica su Wikidata Paolo Sarpi, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Paolo Sarpi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Paolo Sarpi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Paolo Sarpi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Paolo Sarpi, su Liber Liber. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Paolo Sarpi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Paolo Sarpi, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Per l'epistolario di Paolo Sarpi, consultare il portale: correspondance-sarpi.univ-st-etienne.fr (Marie Viallon, dir.) Controllo di autorità VIAF (EN) 76363633 · ISNI (EN) 0000 0001 1557 1576 · SBN IT\ICCU\RAVV\043315 · LCCN (EN) n79124620 · GND (DE) 118751336 · BNF (FR) cb12197369z (data) · BNE (ES) XX998582 (data) · NLA (EN) 35476266 · BAV (EN) 495/38224 · CERL cnp00883241 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79124620 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Storia Portale Storia Categorie: Religiosi italianiTeologi italianiStorici italiani del XVI secoloStorici italiani del XVII secoloNati nel 1552Morti nel 1623Nati il 14 agostoMorti il 15 gennaioNati a VeneziaMorti a VeneziaScienziati italianiServitiStudenti dell'Università degli Studi di PadovaCanonisti italianiSepolti nel Cimitero di San Michele di Venezia[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sarpi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Sasso Gennaro Sasso Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Gennaro Sasso (Roma, 25 giugno 1928) è un filosofo, storico della filosofia e accademico italiano.   Indice 1                                           Biografia 2                                          Scritti 3                                              Note 4                                             Bibliografia 5                                         Collegamenti esterni Biografia Ha studiato all'Università di Roma dal 1946 al 1950, anno in cui ha conseguito la laurea discutendo una tesi sul pensiero di Niccolò Machiavelli avendo come relatore Carlo Antoni e correlatore Federico Chabod. Durante gli anni universitari seguì le lezioni di Pantaleo Carabellese, Guido De Ruggiero, Luigi Scaravelli, Bruno Nardi, Raffaele Pettazzoni, Natalino Sapegno, Giuseppe Gabetti, Gennaro Perrotta e Gaetano De Sanctis.  Borsista all'Istituto italiano per gli Studi Storici nell'anno 1951-52, ha insegnato dal 1962 Storia delle dottrine politiche all'Università di Urbino e successivamente Storia delle dottrine politiche (dal 1966), Storia della filosofia (dal 1968) e Filosofia teoretica (dal 1994) all'Università "La Sapienza" di Roma, di cui è stato nominato professore emerito nel 2005.  Direttore dal 1986 al 2010 dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli fondato nel 1946 da Benedetto Croce, dal 1987 lo è anche della storica rivista di filosofia, storia e letteratura "La Cultura"[1] .  I suoi studi hanno riguardato soprattutto l'idealismo italiano (in particolare l'opera di Benedetto Croce), le opere politiche e storiografiche di Niccolò Machiavelli e per quanto riguarda la sua riflessione più propriamente teoretica, le problematiche di ontologia fondamentale. È inoltre autore di sette libri e innumerevoli saggi danteschi. Si è inoltre occupato di Platone, Polibio, Lucrezio, Guicciardini, Shakespeare e Thomas Mann.  È presidente della "Fondazione Giovanni Gentile"[2] , presidente dell'"Edizione nazionale delle Opere di Benedetto Croce" e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei.  Scritti Machiavelli e Cesare Borgia. Storia di un giudizio, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1966. Studi su Machiavelli, Napoli, Morano, 1967. Passato e presente nella storia della filosofia, Bari, Laterza, 1967. Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, 1975. Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, 1978. L'illusione della dialettica. Profilo di Carlo Antoni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982. Per Francesco Guicciardini. Quattro studi, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 1984. Essere e negazione, Napoli, Morano, 1987. Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 4 voll., Milano-Napoli, Ricciardi, 1987-97. Tramonto di un mito. L'idea di "progresso" fra Otto e Novecento, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 1988 [1ª ed. 1984]. Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. L'essere e le differenze. Sul "Sofista" di Platone, Bologna, Il Mulino, 1991. Variazioni sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura" (1882-1935), Il Mulino, 1992. Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993. Comprende: vol. I, Il pensiero politico, 3ª ed. ampliata [1ª ed. Napoli, IISS, 1958; 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 1980 - Premio Viareggio 1981 di Saggistica[3]]; vol. II, La storiografia. La fedeltà e l'esperimento, F. Scarpelli, F.S. Trincia e M. Visentin interrogano Gennaro Sasso, Bologna, Il Mulino, 1993. Filosofia e idealismo, 6 voll., Napoli, Bibliopolis, 1994-2012. Comprende: Benedetto Croce, 1994. ISBN 88-7088-368-X. Giovanni Gentile, 1995. ISBN 88-7088-342-6. De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, 1997. ISBN 88-7088-338-8. Paralipomeni, 2000. ISBN 88-7088-375-2. Secondi paralipomeni, 2007. ISBN 978-88-7088-513-2. Ultimi paralipomeni, 2012. ISBN 978-88-7088-614-6. Tempo, evento, divenire, Bologna, Il Mulino, 1996. La potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia, 1998. Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 1998. La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, 1999. Ernesto De Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, 2001. Il guardiano della storiografia. Profilo di Federico Chabod e altri saggi, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 2002 [1ª ed. Napoli, Guida, 1985; 1ª ed. del Profilo di Federico Chabod, Bari, Laterza, 1961]. Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2002. Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis, 2004. Il principio, le cose, Torino, Aragno, 2005. Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 2005. ISBN 8876421610. 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Studi su Dante, Torino, Aragno, 2018. Purgatorio e Antipurgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella, 2019. Croce e le letterature e altri saggi, Napoli, Bibliopolis, 2019. Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella, 2020. Note ^ il Mulino - Riviste - La Cultura, su www.mulino.it. URL consultato il 18 gennaio 2016. ^ Fondazione Gentile | Dipartimento di Filosofia | Sapienza - Università di Roma Archiviato il 10 novembre 2013 in Internet Archive. ^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019. Bibliografia Croce in un recente libro di Gennaro Sasso. Dibattito, Il Cannocchiale, 1-2/1978, pp. 93-132 [interventi di: G. Arnaldi, G. Calabrò, A. Jannazzo, G, Sasso, V. Stella, F. Valentini, M. Visentin]. G. Arnaldi, Gennaro Sasso. Uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli 2010, pp. 593-606. A. 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Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos/Kosmos - Libri ed eventi, n. 13, 2013, pp. 316-24: http://193.205.139.95/ojs/index.php/babelonline/search/authors/view?firstName=Sara&middleName=&lastName=Zurletti&affiliation=&country=. Collegamenti esterni Gennaro Sasso, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gennaro Sasso, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Gennaro Sasso, su Goodreads. Modifica su Wikidata Registrazioni di Gennaro Sasso, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Gennaro Sasso, Progresso, in Enciclopedia del Novecento, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975-2004. Gennaro Sasso, Giovanni Gentile, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 53, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Gennaro Sasso, «Giambattista Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», s. IX, vol. XXIX, 3/2012, pp. 597-606. Gennaro Sasso, costituzione mista, Benedetto Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, eternità del mondo, Francesco De Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, a cura di G. Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2014. Gennaro Sasso, Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura italiana e europea, a cura di M. Ciliberto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2016. V · D · M Vincitori del Premio Viareggio per la saggistica Controllo di autorità                                                VIAF (EN) 108966448 · ISNI (EN) 0000 0001 2147 2013 · SBN IT\ICCU\CFIV\045413 · LCCN (EN) n80164442 · GND (DE) 119513838 · BNF (FR) cb12031166h (data) · BNE (ES) XX1134501 (data) · NLA (EN) 36116572 · BAV (EN) 495/123984 · NDL (EN, JA) 00455348 · WorldCat Identities (EN) lccn-n80164442 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1928Nati il 25 giugnoNati a RomaAntifascisti italianiPolitici del Partito d'AzioneVincitori del Premio Viareggio per la saggisticaAccademici dei LinceiStudenti della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università degli Studi di UrbinoProfessori della Sapienza - Università di Roma[altre]

Sava Roberto Sava Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo medici italiani Questa voce sugli argomenti filosofi italiani e medici italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento medici è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Roberto Sava (Belpasso, 2 novembre 1802 – Foligno, 5 ottobre 1880) è stato un medico, filosofo, naturalista e letterato italiano.  Biografia Lavorò per 15 anni come medico e nel 1864 gli venne conferita l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro su proposta del Ministero dell'Agricoltura; collaborò inoltre alla quarta e quinta edizione della Nuova Enciclopedia Popolare Italiana.  Ha scritto circa 95 libri e il suo libro Sui pregi e Doveri dei medici, pubblicato nel 1845, è stato tradotto e pubblicato nello stesso anno in lingua inglese col titolo On the Deserts and Duties of the Physician[1]. Nel 2009 gli è stato dedicato il libro Roberto Sava - La vita e l'opera di Agostino Prezzavento[2].  Dopo la morte, il paese natale di Belpasso, ha dedicato al suo ricordo la biblioteca comunale[3], istituita nel 1989[4]; è intitolato al suo nome, inoltre, un premio di laurea[5].  Note ^ British and foreign medical review: or quarterly journal of .. su Google Libri ^ Repertorio di libri e pubblicazioni su adamoli ^ Biblioteca comunale Roberto Sava su lineaamica ^ Biblioteca comunale su comunebelpasso ^ Alba Dicembre Speciale Archiviato il 9 ottobre 2010 in Internet Archive. su l'Alba Biografie Portale Biografie Medicina Portale Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XIX secoloNaturalisti italianiNati nel 1802Morti nel 1880Nati il 2 novembreMorti il 5 ottobreNati a BelpassoMorti a FolignoDecorati con l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro[altre]

satisfactoriness-condition: a state of affairs or “way things are,” most commonly referred to in relation to something that implies or is implied by it. Let p, q, and r be schematic letters for declarative sentences; and let P, Q, and R be corresponding nominalizations; e.g., if p is ‘snow is white’, then P would be ‘snow’s being white’. P can be a necessary or sufficient condition of Q in any of several senses. In the weakest sense P is a sufficient condition of Q iff if and only if: if p then q or if P is actual then Q is actual  where the conditional is to be read as “material,” as amounting merely to not-p & not-q. At the same time Q is a necessary condition of P iff: if not-q then not-p. It follows that P is a sufficient condition of Q iff Q is a necessary condition of P. Stronger senses of sufficiency and of necessity are definable, in terms of this basic sense, as follows: P is nomologically sufficient necessary for Q iff it follows from the laws of nature, but not without them, that if p then q that if q then p. P is alethically or metaphysically sufficient necessary for Q iff it is alethically or metaphysically necessary that if p then q that if q then p. However, it is perhaps most common of all to interpret conditions in terms of subjunctive conditionals, in such a way that P is a sufficient condition of Q iff P would not occur unless Q occurred, or: if P should occur, Q would; and P is a necessary condition of Q iff Q would not occur unless P occurred, or: if Q should occur, P would.  -- satisfaction, an auxiliary semantic notion introduced by Tarski in order to give a recursive definition of truth for languages containing quantifiers. Intuitively, the satisfaction relation holds between formulas containing free variables such as ‘Buildingx & Tallx’ and objects or sequences of objects such as the Empire State Building if and only if the formula “holds of” or “applies to” the objects. Thus, ‘Buildingx & Tallx’, is satisfied by all and only tall buildings, and ‘-Tallx1 & Tallerx1, x2’ is satisfied by any pair of objects in which the first object corresponding to ‘x1’ is not tall, but nonetheless taller than the second corresponding to ‘x2’. Satisfaction is needed when defining truth for languages with sentences built from formulas containing free variables, because the notions of truth and falsity do not apply to these “open” formulas. Thus, we cannot characterize the truth of the sentences ‘Dx Buildingx & Tallx’ ‘Some building is tall’ in terms of the truth or falsity of the open formula ‘Buildingx & Tallx’, since the latter is neither true nor false. But note that the sentence is true if and only if the formula is satisfied by some object. Since we can give a recursive definition of the notion of satisfaction for possibly open formulas, this enables us to use this auxiliary notion in defining truth.  -- satisfiable, having a common model, a structure in which all the sentences in the set are true; said of a set of sentences. In modern logic, satisfiability is the semantic analogue of the syntactic, proof-theoretic notion of consistency, the unprovability of any explicit contradiction. The completeness theorem for first-order logic, that all valid sentences are provable, can be formulated in terms of satisfiability: syntactic consistency implies satisfiability. This theorem does not necessarily hold for extensions of first-order logic. For any sound proof system for secondorder logic there will be an unsatisfiable set of sentences without there being a formal derivation of a contradiction from the set. This follows from Gödel’s incompleteness theorem. One of the central results of model theory for first-order logic concerns satisfiability: the compactness theorem, due to Gödel in 6, says that if every finite subset of a set of sentences is satisfiable the set itself is satisfiable. It follows immediately from his completeness theorem for first-order logic, and gives a powerful method to prove the consistency of a set of sentences. 

satisfice: to choose or do the good enough rather than the most or the best. ‘Satisfice’, an obsolete variant of ‘satisfy’ (“much as ‘implicate’ is an explicated form of ‘imply’” – Grice) has been adopted by Simon and others to designate nonoptimizing choice or action. According to some economists, limitations of time or information may make it impossible or inadvisable for an individual, firm, or state body to attempt to maximize pleasure, profits, market share, revenues, or some other desired result, and satisficing with respect to such results is then said to be rational, albeit less than ideally rational. Although many orthodox economists think that choice can and always should be conceived in maximizing or optimizing terms, satisficing models have been proposed in economics, evolutionary biology, and philosophy. Biologists have sometimes conceived evolutionary change as largely consisting of “good enough” or satisficing adaptations to environmental pressures rather than as proceeding through optimal adjustments to such pressures, but in philosophy, the most frequent recent use of the idea of satisficing has been in ethics and rational choice theory. Economists typically regard satisficing as acceptable only where there are unwanted constraints on decision making; but it is also possible to see satisficing as entirely acceptable in itself, and in the field of ethics, it has recently been argued that there may be nothing remiss about moral satisficing, e.g., giving a good amount to charity, but less than one could give. It is possible to formulate satisficing forms of utilitarianism on which actions are morally right even if they contribute merely positively and/or in some large way, rather than maximally, to overall net human happiness. Bentham’s original formulation of the principle of utility and Popper’s negative utilitarianism are both examples of satisficing utilitarianism in this sense  and it should be noted that satisficing utilitarianism has the putative advantage over optimizing forms of allowing for supererogatory degrees of moral excellence. Moreover, any moral view that treats moral satisficing as permissible makes room for moral supererogation in cases where one optimally goes beyond the merely acceptable. But since moral satisficing is less than optimal moral behavior, but may be more meritorious than certain behavior that in the same circumstances would be merely permissible, some moral satisficing may actually count as supererogatory. In recent work on rational individual choice, some philosophers have argued that satisficing may often be acceptable in itself, rather than merely second-best. Even Simon allows that an entrepreneur may simply seek a satisfactory return on investment or share of the market, rather than a maximum under one of these headings. But a number of philosophers have made the further claim that we may sometimes, without irrationality, turn down the readily available better in the light of the goodness and sufficiency of what we already have or are enjoying. Independently of the costs of taking a second dessert, a person may be entirely satisfied with what she has eaten and, though willing to admit she would enjoy that extra dessert, turn it down, saying “I’m just fine as I am.” Whether such examples really involve an acceptable rejection of the momentarily better for the good enough has been disputed. However, some philosophers have gone on to say, even more strongly, that satisficing can sometimes be rationally required and optimizing rationally unacceptable. To keep on seeking pleasure from food or sex without ever being thoroughly satisfied with what one has enjoyed can seem compulsive and as such less than rational. If one is truly rational about such goods, one isn’t insatiable: at some point one has had enough and doesn’t want more, even though one could obtain further pleasure. The idea that satisficing is sometimes a requirement of practical reason is reminiscent of Aristotle’s view that moderation is inherently reasonable  rather than just a necessary means to later enjoyments and the avoidance of later pain or illness, which is the way the Epicureans conceived moderation. But perhaps the greatest advocate of satisficing is Plato, who argues in the Philebus that there must be measure or limit to our desire for pleasure in order for pleasure to count as a good thing for us. Insatiably to seek and obtain pleasure from a given source is to gain nothing good from it. And according to such a view, satisficing moderation is a necessary precondition of human good and flourishing, rather than merely being a rational restraint on the accumulation of independently conceived personal good or well-being.

Satisgrice: to satisfice in a Griceian fashion – after C. E. L., of the Grice Club.

Scala Giuseppe Scala Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Giuseppe Scala Giuseppe Scala (Noto, 1556 – Sabbioneta, 1585) è stato un medico, filosofo, matematico e astronomo italiano.   Indice 1               Biografia 2                                            Pubblicazioni 3                                         Note 4                                             Bibliografia 5                                           Voci correlate Biografia Giuseppe Scala [1], insieme a Giuseppe Moleti da Messina, fu uno dei due studiosi che parteciparono, nel 1582, alla commissione dei cinque dotti creata da papa Gregorio XIII per la riforma del calendario [2]. Chiamato dall'Università di Padova per insegnare matematica, fu costretto a rifiutare per le sue precarie condizioni di salute [3]. Morì, infatti, giovanissimo a soli ventinove anni.  Pubblicazioni L'Efemeridi del mag.co et eccel.te sig. Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall'anno di Christo nostro Sig. 1589. & finiscono nel fine di dicembre dell'anno 1600. ... Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni dell'efemeridi dell'eccell. sig. Gioseppe Moleto matematico et dal detto signor Gioseppe Scala ridotto all'uso delle presenti efemeridi, In Venetia: appresso i Giunti, 1589. (Ephemerides Iosephi Scalae Siculi Noetini art. et med. doc. ad annos duodecim, incipientes ab anno Domini 1589). Vnà cum introductionibus ephemeridum excel. d. Iosephi Moletii mathematici. Ab eodem d. Iosepho Scala, ad vsum suarum, restitutis. Venetiis: Lucantonio Giunta il giovane, 1589) Note ^ Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo Astrofili di Noto ^ Santi Correnti, Quello che la Sicilia ha dato all'Italia e al mondo[collegamento interrotto] ^ Vedi Giuseppe Emanuele Ortolani, Biografia degli uomini illustri di Sicilia ornata de' loro rispettivi ritratti, Tomo II, Napoli, 1818. Bibliografia Corrado Spataro, L'astronomo netino Giuseppe Scala jr. e la "nuova scienza" del Cinquecento, 2011. Voci correlate Calendario gregoriano Controllo di autorità                          VIAF (EN) 98555789 · ISNI (EN) 0000 0000 7089 8873 · BAV (EN) 495/376494 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2006181747 Biografie Portale Biografie Sicilia Portale Sicilia Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVI secoloMatematici italiani del XVI secoloNati nel 1556Morti nel 1585Nati a Noto (Italia)Morti a SabbionetaAstronomi italiani[altre]

Scalafari Eugenio Scalfari Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.Jump to navigationJump to search Eugenio Scalfari Eugenio Scalfari 2016.jpeg Deputato della Repubblica Italiana Durata mandato                           5 giugno 1968 – 24 maggio 1972 Legislature                        V Gruppo parlamentare                                       Socialista Collegio                                          Torino Incarichi parlamentari Componente della quinta commissione (Bilancio e partecipazioni statali) (10 luglio 1968 – 24 maggio 1972) Componente della dodicesima commissione (Industria e commercio) (27 marzo 1970 – 24 maggio 1972) Sito istituzionale Dati generali Partito politico                                    PNF (1942-1943) PLI (1945-1955) PR (1955-1962) PSI (1962-1972) Indipendente (dal 1972) Titolo di studio                                     Laurea in giurisprudenza Università                                    Università degli Studi di Genova e Università “La Sapienza” Professione                        giornalista Eugenio Scalfari (Civitavecchia, 6 aprile 1924) è un giornalista, scrittore e filosofo italiano.  Considerato, anche dai suoi "avversari", uno dei più grandi giornalisti italiani del XX secolo[1][2][3] contribuì, con altri, a fondare il settimanale l'Espresso ed è fondatore del quotidiano la Repubblica. I campi principali dell'analisi di Scalfari sono l'economia e la politica. La sua ispirazione politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la filosofia[4].   Indice 1                            Biografia 1.1                                           Formazione e vita privata 1.2                                      Esordi giornalistici durante il fascismo 1.3                                   Carriera giornalistica nel dopoguerra 1.4                                   Fondazione e direzione de la Repubblica 1.5                               Ritiro dalla direzione de la Repubblica 2                                   Controversie 3                                          Premi ed onorificenze 4                                        Opere 5                                             Note 6                                             Bibliografia 7                                           Voci correlate 8                                            Altri progetti 9                                           Collegamenti esterni Biografia Formazione e vita privata Nasce a Civitavecchia (Roma) il 6 aprile del 1924 [5]. Scalfari si iscrive al Liceo Mamiani di Roma, ma è a Sanremo (dove la famiglia, di origini calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore artistico del Casinò) che completerà gli studi liceali, al liceo classico G.D. Cassini, avendo come compagno di banco Italo Calvino.[6]  Nel 1950 si sposa con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, morta nel 2006.  Dalla fine degli anni settanta Scalfari è sentimentalmente legato a Serena Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta.[7]  Eugenio Scalfari è ateo[8].  Esordi giornalistici durante il fascismo Tra le prime esperienze giornalistiche di Scalfari c'è Roma Fascista[9], organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza. Negli anni successivi Scalfari continua a collaborare con riviste e periodici legati al fascismo, come NuovoOccidente, diretto dall'ex squadrista e fascista cattolico Giuseppe Attilio Fanelli. Nel 1942 Scalfari sarà nominato caporedattore di Roma Fascista.[10]  All'inizio del 1943[11] scrive una serie di corsivi non firmati sulla prima pagina di Roma Fascista in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell'EUR. Questi articoli portarono alla sua espulsione dai GUF per opera di Carlo Scorza, allora vicesegretario del PNF. Di fronte al gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, il giovane Scalfari aveva ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Il gerarca accusò poi il giovane di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il bavero strappandogli le mostrine dalla divisa del partito[11].  Carriera giornalistica nel dopoguerra Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il neonato Partito Liberale Italiano, conoscendo giornalisti importanti nell'ambiente. Nel 1950, mentre lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro, diventa collaboratore, prima a Il Mondo e poi a L'Europeo, di due personalità che spesso richiama nei suoi scritti: Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti. Ricorderà poi, con orgoglio, di essere stato licenziato dalla BNL per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione.[12]  Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: Scalfari è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.  Nel 1963 somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che Scalfari continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa.   Eugenio Scalfari nella foto da deputato Sempre nel 1967 Scalfari pubblica insieme a Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di Stato chiamato piano Solo. Il generale De Lorenzo li querela e i due giornalisti vengonocondannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato[13].  Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972[14]. Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso.  Nel 1971 sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel 2017, dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore"[15].  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi[16]. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata[17], Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato[13].  Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972[14]. Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso.  Nel 1971 sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel 2017, dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore"[15].  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi[16]. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata[17], Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per avereun pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da Giulio Andreotti, grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di Scalfari, "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite".   Scalfari nel 2011 Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita[18], Scalfari s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale[19] contro cui si scagliava l'anima della sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente", candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, già negli anni ottanta; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier nel 1992; apprezza Guido Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. Il 27 gennaio 1994 incomincia, dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi [20]. Sconfitto Vittorio Sgarbi [21], il 7 maggio 2008 è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la potenziale pericolosità di Beppe Grillo [22][23]. Il 13 aprile 2019 è il primo a preconizzare una possibile, futura alleanza fra Matteo Renzi e Matteo Salvini [24].  Ritiro dalla direzione de la Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascesa editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore nel 1996, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti; gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominati - anche per la loro lunghezza - "la messa cantata della domenica"[25]. Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato). Il 6 luglio 2007, sul Venerdì di Repubblica (il magazine settimanale che esce dal 1987), annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra.  Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici con Giovanni Floris.  Controversie Nel 2013 e nel 2014, le sue "interviste" con papa Francesco hanno causato per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole attribuite da Scalfari al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni[26][27]. Il 29 marzo 2018 il Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando he il Papa avesse rilasciato un’intervista a Scalfari e sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua ricostruzione.[28][29]  Ciononostante, Papa Francesco continua periodicamente a concedere interviste esclusive a Scalfari [30].  Premi ed onorificenze Scalfari ha ricevuto varie onorificenze. A livello giornalistico ha vinto nel 1988 il Premio Internazionale Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", nel 1996il "Premio Ischia" alla carriera, nel 1998 il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di recente, il Premio Saint-Vincent 2003. L'8 maggio 1996 è stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro mentre nel 1999 ha ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). È cittadino onorario di Velletri, città in cui risiede. Il 5 maggio 2007 ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Vinci e il 23 ottobre 2008 gli è stata conferita la cittadinanza benemerita di Sanremo. Nel 2019 vince il prestigioso Premio Viareggio[31]  Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria           Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 2 maggio 1996[32] Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria                                     Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 2 giugno 1966[33] Ufficiale della Legion d'onore - nastrino per uniforme ordinaria                                             Ufficiale della Legion d'onore Cittadinanza onoraria di Vibo Valentia (1990), Velletri (1993) e Vinci (2007) Cittadinanza benemerita di Sanremo (2008) Opere Petrolio in gabbia, con Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, 1955. I padroni della città, con Leone Cattani e Angelo Conigliaro, Bari, Laterza, 1957. Le baronie elettriche, con Josiah Eccles, Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, 1960. Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Bari, Laterza, 1961. Il potere economico in URSS, Bari, Laterza, 1962. Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza, 1963. L'autunno della Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass, 1969. Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, con Francesco Rosi, Bologna, Cappelli, 1972. Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, con Giuseppe Turani, Milano, Feltrinelli, 1974. Interviste ai potenti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1979. Come andremo a incominciare?, con Enzo Biagi, Milano, Rizzoli, 1981. L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano, Mondadori, 1984. La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1986; Collana Super ET, Torino, Einaudi, 2009, ISBN 978-88-061-9916-6. Incontro con Io, Milano, Rizzoli, 1994; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2011, ISBN 978-88-062-0074-9. Denis Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa di Eugenio Scalfari, Collana La memoria, Palermo, Sellerio, 1994. - II ed. accresciuta, nuova Introduzione di E. Scalfari, Palermo, Sellerio, 2018, ISBN 978-88-389-3809-2. Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, 1995; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-062-4057-8. Il labirinto, Milano, Rizzoli, 1998; Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-062-3011-1. Attualità dell'Illuminismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, 2001. La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, 2001; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2010, ISBN 978-88-062-0075-6. Articoli, 5 voll., Roma, la Repubblica, 2004. Dibattito sul laicismo, a cura di E. Scalfari, Roma, La Biblioteca di Repubblica, 2005. L'uomo che non credeva in Dio, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2008, ISBN 978-88-061-9419-2. Per l'alto mare aperto. La modernità e il pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2010, ISBN 978-88-062-0418-1. Scuote l'anima mia Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2011, ISBN 978-88-062-0859-2. Enrico Berlinguer, La questione morale. La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti, 2011. - ed. ampliata, Prefazione di Luca Telese, Aliberti, 2012. Vito Mancuso-E. Scalfari, Conversazioni con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, 2012, ISBN 978-88-641-1635-8. La passione dell'etica. Scritti 1963-2012, a cura di Angelo Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori, 2012, ISBN 978-88-04-61398-5. Papa Francesco-E. Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Torino, Einaudi, 2013, ISBN 978-88-062-1995-6. L'amore, la sfida, il destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2013, ISBN 978-88-06-21850-8. Racconto autobigrafico, Collana Passaggi, Torino, Einaudi, 2014, ISBN 978-88-06-21642-9. L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2015, ISBN 978-88-062-2822-4. L'ora del blu, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-06-24176-6. Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Papa Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-062-4386-9. Note ^ liberoquotidiano.it, https://www.liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/22261560/vittorio_feltri_eugenio_scalfari_ritratto_fuoriclasse_re_giornalisti_diversi.html. URL consultato il 24 aprile 2020 (archiviato il 28 aprile 2020). ^ ilfoglio.it, https://www.ilfoglio.it/uffa/2019/11/05/news/benvenuti-al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista-sul-secolo-di-carta-284697/. URL consultato il 5 novembre 2019 (archiviato il 5 novembre 2019). ^ la7.it, https://www.la7.it/dimartedi/video/da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio-18-02-2020-308153. ^ Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis, 2010, diviso in quattro capitoli: la Politica, l'Arte, la Religione, la Filosofia. ^ Scheda sul Portale storico della Camera dei deputati, su storia.camera.it. URL consultato il 20 marzo 2014 (archiviato il 25 aprile 2015). ^ Sull'amicizia tra Scalfari e Calvino leggiamo: "Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi tempi."(...) Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 2010, p. 105. ^ Paolo Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti. Faccia a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti editore, 2010 ^ Cfr. Corriere della Sera, 21/03/1996 ^ La Repubblica.it : Gli 80 anni di Eugenio Scalfari, su repubblica.it. URL consultato il 17 aprile 2010 (archiviato il 28 gennaio 2011). ^ Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005.  Ero giovane, fascista e felice, intervista a Eugenio Scalfari apparsa su Il Foglio del 29 maggio 2008 [1] Archiviato il 13 dicembre 2013 in Internet Archive. ^ Copia archiviata (PDF), su pasqualericcio.it. URL consultato il 28 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2013). ^ Nel corso dell'inchiesta Scalfari riferisce di un colloquio avuto col generale Aurigo: "Mi disse che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (...) gli ordini dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: Angelo Cannatà, "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 2010, p. 42. ^ Eugenio Scalfari / Deputati / Camera dei deputati - Portale storico, su storia.camera.it. URL consultato il 20 marzo 2014 (archiviato il 25 aprile 2015). ^ Il commissario Calabresi e quella firma del 1971, su repubblica.it. URL consultato il 9 giugno 2017 (archiviato l'8 giugno 2017). ^ Fabio Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, da ultimo citato da Ferruccio de Bortoli su ((http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_14/debortoli-attacchi-corriere_401507c8-b888-11de-9ba8-00144f02aabc.shtml Archiviato il 17 ottobre 2009 in Internet Archive.)). ^ Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo, 2016 e Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva, 2017 ^ Nei cui confronti Carlo Caracciolo e Carlo De Benedetti dicono che Scalfari ebbe un "innamoramento", in seguito non più condiviso dallo stesso editore della Repubblica che ormai non lo considerava "un grande politico": intervista alla Stampa del 10 gennaio 2008, p. 23. ^ Scrive Scalfari: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? (...) "Belzebù è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di quella inamovibilità". Fonte: Eugenio Scalfari e il suo tempo, di Angelo Cannatà, Mimesis, 2010, p. 61. L'articolo di Scalfari, Caro Craxi tu lo sai chi è Belzebù, è apparso su Repubblica il 5 giugno 1981. ^ repubblica.it, https://www.repubblica.it/2004/a/sezioni/politica/festaforza/coccode/coccode.html. URL consultato il 5 marzo 2020 (archiviato il 21 agosto 2019). ^ la7.it, https://www.la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-a-eugenio-scalfari-13-11-2010-93904. ^ Voto Renzi perché l'avversario è Grillo, su youtube.com. ^ youtube.com, https://www.youtube.com/watch?v=5KBNeT6Dr4Y. URL consultato il 5 marzo 2020 (archiviato il 12 marzo 2018). ^ Rep, su rep.repubblica.it. URL consultato il 1º marzo 2020 (archiviato il 1º marzo 2020). ^ Ezio Mauro dal pulpito di Repubblica officia la democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. URL consultato il 3 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2011). ^ Il Post Archiviato il 25 dicembre 2015 in Internet Archive., 22 novembre 2013 ^ "Le interviste vanno comunque reinterpretate", su youtube.com. ^ ll Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, su ilpost.it. URL consultato il 31 marzo 2018 (archiviato il 1º aprile 2018). ^ Il Vaticano smentisce Eugenio Scalfari che fa dire al Papa che l'inferno non esiste, su ilmessaggero.it. URL consultato il 31 marzo 2018 (archiviato il 31 marzo 2018). ^ Rep, su rep.repubblica.it. URL consultato il 1º marzo 2020. ^ Premio Viareggio 2019, su repubblica.it (archiviato il 25 agosto 2019). ^ Dettaglio Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. URL consultato il 19 febbraio 2012 (archiviato il 24 settembre 2015). ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. URL consultato il 29 giugno 2013 (archiviato il 24 settembre 2015). Bibliografia Claudio Mauri, Il cittadino Scalfari, prefazione di Ruggero Guarini, Milano, SugarCo, 1983, SBN IT\ICCU\RAV\0062015. Giancarlo Perna, Eugenio Scalfari, una vita per il potere, Milano, Leonardo Editore, 1990, ISBN 88-355-0049-4. Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, 2010, ISBN 978-88-575-0027-0. Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2013, ISBN 978-88-534-3750-1. Giampaolo Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri, 2013. ISBN 978-88-17-06446-0. Giovanni Valentini, La Repubblica tradita, Roma, PaperFirst, 2016. ISBN 978-88-99784-08-9 Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo Editore, 2016. ISBN 978-88-6052-740-0. Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, 2017. ISBN 978-8873818496. Voci correlate La Repubblica Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Eugenio Scalfari Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Eugenio Scalfari Collegamenti esterni Eugenio Scalfari, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Eugenio Scalfari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Eugenio Scalfari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Eugenio Scalfari, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Eugenio Scalfari, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Registrazioni di Eugenio Scalfari, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Dati personali e incarichi nella V legislatura, Camera dei deputati. URL consultato il 27 luglio 2008. Predecessore                                  Direttore de L'Espresso                                         Successore Arrigo Benedetti                                       9 giugno 1963 - 24 marzo 1968                              Gianni Corbi Predecessore                                       Direttore de la Repubblica                                        Successore nessuno                                         14 gennaio 1976 - 6 maggio 1996                             Ezio Mauro Controllo di autorità                                   VIAF (EN) 3282480 · ISNI (EN) 0000 0001 2019 9561 · SBN IT\ICCU\CFIV\007927 · LCCN (EN) n79135156 · GND (DE) 119513897 · BNF (FR) cb12103215x (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n79135156 Biografie Portale Biografie Editoria Portale Editoria Letteratura Portale Letteratura Politica Portale Politica Categorie: Giornalisti italiani del XX secoloGiornalisti italiani del XXI secoloScrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1924Nati il 6 aprileNati a CivitavecchiaDeputati della V legislatura della Repubblica ItalianaPolitici del Partito Socialista ItalianoDecorati con la Legion d'onoreCavalieri di gran croce OMRIGrandi Ufficiali OMRIDirettori di periodici italianiFondatori di quotidianiDirettori de la RepubblicaVincitori del Premio Saint VincentStudenti della Sapienza - Università di RomaScienziati e saggisti atei[altre]

Scarano Lucio Scarano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo scrittori italiani Questa voce sull'argomento scrittori italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Lucio Scarano (Brindisi, 1540 – Venezia, 1610 circa) è stato un filosofo, letterato e latinista italiano.  Studiò all'Università di Bologna, andò poi a Padova e a Venezia. Nel 1583 il Senato della Serenissima lo chiamò alla cattedra di filosofia lasciata da Aldo Manuzio il Giovane.  Molto apprezzato dai contemporanei, fu tra i fondatori dell'Accademia Veneziana (21 giugno 1593) con Giambattista Leoni veneziano, Vincenzo Giliani romano, Pompeo Limpio da Bari, Giovanni Contarini veneziano, Teodoro Angelucci da Belforte, Fabio Paolini udinese, Guido Casoni da Serravalle e Giampaolo Gallucci da Salò.  Scrisse il trattato Scenophylax (Venezia 1601), nel quale tratta della convenienza di restituire alla tragedia e alla commedia la lingua latina.  Bibliografia Pasquale Camassa, Brindisini illustri, Brindisi, 1909. Alberto Del Sordo, Ritratti brindisini, presentazione di Aldo Vallone Bari, 1983. Controllo di autorità                             VIAF (EN) 80316668 · ISNI (EN) 0000 0000 5846 3674 · SBN IT\ICCU\BVEV\022834 · GND (DE) 13587419X · BAV (EN) 495/258495 · CERL cnp01146382 · WorldCat Identities (EN) viaf-80316668 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XVI secoloLetterati italianiLatinisti italianiNati nel 1540Nati a BrindisiMorti a Venezia[altre]

Scaavelli Luigi Scaravelli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Luigi Scaravelli (Firenze, 19 luglio 1894 – Firenze, 3 maggio 1957) è stato un filosofo italiano.   Indice 1                          Biografia 2                                            Biblioteca personale 3                                         Opere principali 4                                          Note 5                                             Bibliografia 6                                           Collegamenti esterni Biografia Iscritto alla facoltà di medicina dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, dopo aver quasi completato gli studi e aver servito come ufficiale medico nella Prima guerra mondiale, cambiò ateneo e facoltà nel 1920 al scegliendo il corso di laurea in filosofia dell'Università di Pisa, dove si laureò con lode nel 1923 con Armando Carlini. Insegnò in licei italiani e stranieri e negli Istituti italiani di cultura di Atene, Bruxelles, Zagabria e Lisbona fino al 1942. Ottenuta quell'anno la docenza in Filosofia teoretica all'Università di Pisa, vi insegnò fino al 1957, anno della sua morte, con qualche incarico temporaneo alla Scuola normale superiore e all'Università "La Sapienza" di Roma. Nell'ultimo anno della sua vita ottenne il trasferimento all'Università di Firenze, dove però non insegnerà mai, per una grave depressione che l'avrebbe condotto di lì a poco al suicidio. Era sposato e aveva due figli.  Profondo conoscitore di Kant, approfondì nei suoi studi (pubblicati con molta riluttanza e quasi solo per esigenze concorsuali) in particolare i temi relativi ai rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica moderna, i problemi relativi alla Critica del Giudizio ed anche i temi dell'idealismo.  Biblioteca personale I suoi libri, donati all'Università La Sapienza dai suoi eredi, sono oggi conservati in uno specifico fondo alla "Villa Mirafiori", dove ha sede la Biblioteca di filosofia[1]  Opere principali Critica del capire, Firenze, Sansoni, 1941 (riporta la data 1942) Saggio sulla categoria kantiana della realta, Firenze, Le Monnier, 1947 La prima meditazione di Cartesio, Firenze, La Nuova Italia, 1951 Osservazioni sulla Critica del giudizio, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1954 Opere, a cura di Mario Corsi, 3 voll. (Critica del capire e altri scritti, Scritti kantiani, L'analitica trascendentale: scritti inediti su Kant), Firenze, La nuova Italia, 1968-80 Note ^ La Biblioteca privata di Luigi Scaravelli, su http://bibliotecafilosofia.uniroma1.it. URL consultato il 22 settembre 2017. Bibliografia L' attualità di Scaravelli, a cura di Edoardo Mirri, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1989 Mauro Visentin, Le categorie e la realtà: saggi su Luigi Scaravelli, Firenze, Le lettere, 1990 Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo, III vol. De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Napoli, Bibliopolis, 1997 Il pensiero di Luigi Scaravelli: la storia come problema e come metodo, atti del Convegno svoltosi presso l'Accademia d'Ungheria in Roma (11-12 dicembre 1995) col titolo di Il problema del giudizio storico e Luigi Scaravelli, a cura di Mario Corsi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998 Scaravelli pensatore europeo, a cura di M. Biscuso e G. Gembillo, Messina, Siciliano, 2003 Gennaro Sasso, Scaravelli e il giudizio, in Filosofia e idealismo. Secondi paralipomeni, Napoli, Bibliopolis, 2007, pp. 663–754 Sandra Viviana Palermo, Tra critica e metafisica. Luigi Scaravelli lettore di Kant, Pisa, Edizioni ETS, 2012 Collegamenti esterni Luigi Scaravelli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Luigi Scaravelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Massimiliano Biscuso, Profilo di Luigi Scaravelli, su bibliotecafilosofia.uniroma1.it. La bibliografia completa dei suoi scritti, su giornaledifilosofia.net. Controllo di autorità           VIAF (EN) 89456724 · ISNI (EN) 0000 0000 7820 8451 · SBN IT\ICCU\CFIV\095462 · LCCN (EN) n85011937 · GND (DE) 118912267 · BNF (FR) cb12492999v (data) · BAV (EN) 495/258500 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85011937 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1894Morti nel 1957Nati il 19 luglioMorti il 3 maggioNati a FirenzeMorti a FirenzeProfessori della Scuola Normale SuperioreMorti per suicidio[altre]


Scarpelli Uberto Scarpelli (Vicenza, 9 febbraio 1924 – Milano, 16 luglio 1993) è stato un giurista, filosofo, sociologo, magistrato e accademico italiano. Filosofo del diritto e studioso di analisi del linguaggio, negli anni Cinquanta è stato uno dei fondatori della cosiddetta scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Norberto Bobbio. È stato, insieme allo stesso Bobbio e a Giovanni Tarello, uno dei massimi esponenti della filosofia del diritto analitica italiana del Novecento, insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto, dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. Il pensiero filosofico-giuridico scarpelliano può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo giuridico. Scarpelli contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del ragionamento morale, si è impegnato attivamente in relazione a questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Ha compiuto inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica.   Indice 1                                 Biografia 1.1                                           Gli studi 1.2                                           La magistratura 1.3                                          La carriera universitaria 1.4                                          L'attività scientifica 2                                            Fonti 3                                                Bibliografia 3.1                                          Monografie, curatele e raccolte di saggi 3.2                                    Saggi 3.3                                           Note a sentenza, note bibliografiche, recensioni e schede libro 4                             Note 5                                             Altri progetti Biografia Gli studi Nasce a Vicenza il 9 febbraio 1924 da una famiglia di origine pugliese trasferitasi poi in Lucchesia; il padre è magistrato. Dopo avere frequentato il liceo, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. La formazione di Scarpelli è all'insegna del pensiero filosofico idealistico allora dominante in Italia e fondata, tra gli altri, sui testi di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Durante gli anni universitari, desta l'interesse di Scarpelli in particolare il pensiero di Mario Allara, maestro della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Nell'a.a. 1944-1945 segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto di Norberto Bobbio, che ha l'incarico per quell'anno di ricoprire la cattedra di Gioele Solari. Sotto la guida del filosofo e giurista italiano Solari, Scarpelli si laurea nel 1946 discutendo una tesi sul tema della persona nella filosofia giuridica moderna. Già in questo lavoro - lo ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievo - Scarpelli rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge.  Due anni dopo, nel 1948, si laurea anchein Scienze politiche sempre sotto la guida di Solari. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di una breve nota intitolata Scienza giuridica e analisi del linguaggio; in questa nota Scarpelli precorre il celebre saggio di Norberto Bobbio del 1950 che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana di filosofia del diritto. Scarpelli, sino da giovanissimo, prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica.  Appena dopo la laurea, diviene assistente volontario di Bobbio; in seguito, negli a.a. 1948-1949 e 1949-1950, in qualità di assistente incaricato, collabora con Bobbio alla preparazione di due seminari, uno sulla giustizia nel materialismo storico e l'altro sulla interpretazione giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui Scarpelli dedica il primo libro intitolato Esistenzialismo e marxismo, il quale reca come sottotitolo Saggio sulla giustizia. Nonostante alcuni cambiamenti intervenuti nel corso degli anni, nel libro si rintracciano alcuni motivi del pensiero scarpelliano che lo stesso Scarpelli riconosce di non avere mai abbandonato: anzitutto, l'idea che la filosofia debba proporsi come forma di pensiero mondano, legato esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo, e l'idea della scelta e dell'impegno come basi della esistenza di ciascun uomo.  La magistratura Risultato vincitore del concorso per l'accesso in magistratura, lascia la carriera universitaria con qualche rimpianto; ne è testimonianza la corrispondenza epistolare col maestro Norberto Bobbio. Durante gli anni di magistratura, i rapporti con l'università non si interrompono però completamente: nel 1954 consegue la libera docenza in Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano; nei due anni successivi svolge corsi liberi nella stessa disciplina e nell'a.a. 1956-1957 svolge su incarico il corso di dottrina dello Stato al fianco di Renato Treves. Godendo di una borsa Rockefeller, ottenuta soprattutto grazie ad Alessandro Passerin d'Entrèves, per un anno si dedica ininterrottamente allo studio ponendo le basi di una delle sue opere principali: il Contributo alla semantica del linguaggio normativo, pubblicato nel 1959. Scarpelli esercita la professione di magistrato a Milano fino al 1962, anno in cui lascia definitivamente la carica per ritornare a tempo pieno all'insegnamento universitario.  La carriera universitaria Negli a.a. 1960-1961 e 1961-1962 tiene per incarico il corso di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza di Perugia. Dal 1º dicembre 1962 è professore straordinario di Filosofia del diritto presso la medesima Facoltà; al compimentodel triennio, nel 1965, è professore ordinario sempre a Perugia. Dal 1º febbraio 1968 è professore ordinario di Filosofia morale nella Facoltà di Lettere e filosofia del diritto dell'Università degli Studi di Pavia, presso la cui Facoltà di Giurisprudenza tiene anche le lezioni di Filosofia del diritto alla morte di Bruno Leoni avvenuta nel 1967.  Dal 1º marzo 1971, succedendo a Bobbio, è titolare della cattedra di Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Mantiene l'incarico fino al 1982 quando si trasferisce accanto a Treves all'Università degli Studi di Milano ricoprendo la cattedra di Filosofia del diritto di cui è già titolare dal 1974. Nel 1981 promuove il dottorato in Filosofia analitica e teoria generale del diritto; ancora oggi attivo, tale dottorato è uno dei tre curricula che compongono l'attuale dottorato in Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Durante gli anni di docenza, oltre ai corsi di Filosofia del diritto e Filosofia morale, Scarpelli insegna su incarico Teoria generale del diritto, Filosofia della politica e Analisi del linguaggio politico.  L'opera incompiuta Negli ultimi anni Uberto Scarpelli lavora appassionatamente e alacremente a un'opera sistematica rimasta incompiuta: si tratta di un trattato di teoria generale del diritto di cui resta solo la struttura del lavoro, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. A tale opera Scarpelli pensa per lunghi anni, almeno dieci, come dimostra quanto egli scrive nel saggio del 1983 intitolato La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato; eccettuate le anticipazioni presenti in questo lavoro e in altri saggi successivi, tra le carte rimaste di Scarpelli, non v'è alcuna parte di testo scritta di pugno dal filosofo. Come attestano gli allievi, il modo di lavorare di Scarpelli avrebbe portato ad una stesura unitaria a partire dalle citazioni e dai riferimenti raccolti e ordinati nel corso degli anni. Ad oggi, questa mole di documenti resta l'ultima testimonianza del lavoro di Scarpelli, la traccia degli ultimi sviluppi del suo pensiero di filosofo del diritto e studioso di analisi del linguaggio.  Scarpelli muore a Milano il 16 luglio 1993 all'età di sessantanove anni. Tra gli scritti pubblicati postumi e ancora incompiuti, si ricorda soprattutto il testo di una conferenza mai tenuta intitolato La mia meta-etica e la mia esperienza etica in cui Scarpelli esplicita le due problematiche che hanno dominato la sua ricerca meta-etica: quella della razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione.  L'attività scientifica Scarpelli ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. È stato membro del Centro di studi metodologici di Torino e dello Institut international de philosophie politique; è stato socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Dal 1973 è stato direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Nel 1961 entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica dal 1985 al 1989, è stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica negli anni 1990-1991 ed è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica nel 1992.  All'inizio degli anni Cinquanta contribuisce alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di Ludovico Geymonat, del Centro Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford.  Seguendo inizialmente le ricerche del filosofo statunitense Charles W. Morris (1901-1979), negli anni Cinquanta Scarpelli è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Si deve a lui l'introduzione nel nostro Paese del pensiero e delle opere del filosofo della morale Richard M. Hare (1919-2002) e del filosofo della politica Felix E. Oppenheim. Ad ambedue i filosofi, Scarpelli dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due libri di Hare: The Language of Morals (1952) e Freedom and Reason (1963). Con Oppenheim, Bobbio e Passerin d'Entreves, Scarpelli intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore del 1965 ed il volume, curato da Passerin d'Entreves, La libertà politica del 1972.  Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del 1969 Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo (1959) il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico (1965) in cui Scarpelli propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Herbert L. A. Hart.  Fonti Le indicazioni sulla produzione scientifica di Uberto Scarpelli più ampie, seppur non complete, si rintracciano al momento nei seguenti contributi: Riccardo Guastini, Variazioni su temi di Scarpelli. Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica italiana», XII, 1982, p. 560 ss.; Bibliografia degli scritti di Uberto Scarpelli. Nota Bibliografica, in Filosofia analitica 1993, a cura di Donatelli e Luciano Floridi, Lithos editrice, Roma, 1993, p. 17 ss. (con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e degli articoli comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); Mario Jori, Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1994, p. 191 ss.; Norberto Bobbio, La mia Italia, a cura di Polito, Passigli Editori, Firenze, 2000, nelle pagine dedicate al ritratto di Uberto Scarpelli, p. 155 ss.; Uberto Scarpelli. Semantica del linguaggio normativo, in Amedeo Giovanni Conte, Paolo Di Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori, Filosofia del diritto, (a cura di Paolo Di Lucia), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, 1ª ed., p. 215 ss.; Félix Morales, "La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli. Análisis del lenguaje normativo y positivismo jurídico", Universidad de Alicante, 2008 [1].  Bibliografia La presente bibliografia non è completa e non contempla i numerosissimi scritti e note apparsi sui giornali, quotidiani e periodici.  Monografie, curatele e raccolte di saggi Esistenzialismo e marxismo. Saggio sulla giustizia, Taylor, Torino, 1949 (seconda edizione del 1960 e terza edizione del 1968) Filosofia analitica e giurisprudenza, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, 1953 Il problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, 1955 Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia delle Scienze, Torino, 1959 (nuova edizione con introduzione e a cura di Anna Pintore, Giuffrè, Milano, 1985) Filosofia analitica, norme e valori, Comunità, Milano, 1962 Validità, legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico, Cluep, Perugia, 1965, ciclostilato Cos'è il positivismo giuridico, Comunità, Milano, 1965 (nuova edizione con introduzione di Alfonso Catania e Mario Jori, ESI, Napoli, 1997) Diritto e analisi del linguaggio, a cura di Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, 1976 Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici, a cura di Uberto Scarpelli, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1977 Thomas Hobbes. Linguaggio e leggi naturali. Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano, 1981 L'etica senza verità, Il Mulino, Bologna, 1982 La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, a cura di Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, 1983. Il linguaggio del diritto, a cura di Uberto Scarpelli e Paolo Di Lucia, prefazione di Mario Jori, Led, Milano, 1994 Bioetica Laica, a cura di Maurizio Mori, Baldini e Castoldi, Milano, 1998 Saggi Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista del diritto commerciale, 1948, p. 212 ss. Dissertazione per la libera docenza, Giurisprudenza italiana, 1949. L'Unità della scienza nella “International Encyclopedia of Unified Science”, Rivista di filosofia, 1950, p. 280 ss. Il giudice e la legge, Occidente. Rivista mensile, 1950, p. 338 (saggio compreso nel fascicolo speciale dedicato a Il potere giurisdizionale nello stato moderno e in particolare nella costituzione italiana, a cura di Uberto Scarpelli) Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, 1951, p. 104 ss. Elementi di analisi della proposizione giuridica, Jus, 1, 1953, p. 42 ss. (riedito in Atti del congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino, 1954, p. 414 ss.) Diritto naturale vigente, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, 2, 1953, p. 99 ss. Alcuni problemi della teoria analitica del valore nel libro “Elementi di filosofia analitica” di Arthur Pap, Rivista di filosofia, 1953, p. 321 ss. Linguaggio valutativo e prescrittivo, Jus, 4, 1953, p. 305 ss. La Filosofia di Giovanni Gentile e le critiche di Gioele Solari, in Studi in memoria di Gioele Solari, Ramella, Torino, 1954, p. 393 ss. Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, 1954, p. 317 ss. Behaviourism, positivismo logico e fascismo, Rivista bimestrale di cultura e di politica, 4, 1954, p. 280 ss. Gli Stati Uniti e “il grande cambiamento”, Rivista bimestrale di cultura e di politica, 11, 1954, p. 719 ss. Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, 2, 1954, p. 172 ss. Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1954, p. 767 ss. Osservazioni sul concetto di segno nel pensiero di Charles Morris, Rivista di filosofia, 1, 1955, p. 64 ss. La natura della analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, 1955, p. 287 ss. e 432 ss. La natura della metodologia giuridica, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1, 1956, p. 249 ss. (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, 1956, p. 247 ss.) La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini Sforza, Rivista di diritto civile, I, 1957, p. 353 ss. I compiti della filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, a cura di Carlo Arata e altri, Il Mulino, Bologna, 1957, p. 110 ss. I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in Il pensiero americano contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, a cura di Ferruccio Rossi-Landi, Comunità, Milano, 1958, p. 183 ss. Retribuzione (voce), Enciclopedia Filosofica, IV, Sansoni, Firenze, 1958, col. 82 ss. La définition en droit, Logique et Analyse, 1958, p. 127 ss. poi tradotto come La definizione nel diritto, Jus, 4, 1959, p. 496 ss. Imperativi e asserzioni, Rivista di filosofia, 1, 1959, p. 81 ss. La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali, 1961, p. 611 ss. Relazione, in Dibattito bolognese sui valori, a cura di Augusto Guzzo e Uberto Scarpelli, Edizioni di Filosofia, Torino, 1962, p. 19 ss. Libertà, ragione e giustizia, Rivista di filosofia, 2, 1963, p. 191 ss. Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, 1963, p. 453 ss. Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1963, p. 1634 ss. La dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1964, p. 449 ss. Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia, 3, 1964, p. 282 ss. Libertà come fatto e come valore, (coautori Noberto Bobbio, Alessandro Passerin d'Entreves e Felix Oppenheim), Rivista di filosofia, 3, 1965, p. 335 ss. Illuminismo e legislazione, La Magistratura, 8-10, 1966, p. 14 ss. Le “proposizioni giuridiche” come precetti reiterati, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1967, p. 465 ss. Risposta di Uberto Scarpelli, in Quaderni della Rivista “Il politico”. Tavola rotonda sul positivismo giuridico (Pavia, 2 maggio 1966), Milano, Giuffrè, 1967, p. 77 ss. e 181 ss. L'educazione del giurista, Rivista di diritto processuale, 1, 1968, p. 1 ss. Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, XVI, UTET, Torino, 1969, p. 978 ss. (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino, 1969) Problemi e idee circa l'insegnamento del diritto – Gruppo di lavoro per il diritto a cura di G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari, 1969 I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto processuale, 1970, p. 646 ss. Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro italiano, 1970, suppl. ai Quaderni. Serie II. La formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, 2-3 maggio 1968, 1, col. 59 ss. Moore in Italia, Rivista di filosofia, 1970, p. 289 ss. La «grande divisione» e la filosofia della politica, introduzione a Felix Oppenheim, Etica e filosofia politica, Il Mulino, Bologna, 1971, p. V ss. Il metodo giuridico, Rivista di diritto processuale, 4, 1971, p. 553 ss. (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto 2, a cura di Giuliano Crifò, Feltrinelli, Milano, 1972, p. 411 ss.) Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia, 1972, p. 291 ss. (riedito in Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, 1973, p. 193 ss.) Impegno politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, 1972, p. 470 ss. Il diritto nella società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto processuale, 1972, p. 676 ss. (edito anche in Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Atti del IX Convegno nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia, 5-7 ottobre 1972), Giuffrè, Milano, 1974, p. 9 ss.) Prefazione a Dagobert D. Runes, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, 1972, p. V ss. La facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del diritto, 6, 1972, p. 869 ss. Intervento in Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, 1973, p. 400 ss. Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1973, p. 1669 ss. (riedito in L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia, 1975, p. 54 ss.) Per una sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, 1974, p. 266 ss. (riedito in La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, 1974 e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, 1978) La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, 1974, p. 405 ss. Etica, linguaggio e ragione, in Atti del XXV Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia, 19-23 settembre 1975), Società filosofica italiana, Roma, 1975, p. 133 ss. Democrazie e competenze, Amministrare, Giuffrè, Milano, 1975, p. 189 ss. Introduzione. La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, a cura di Uberto Scarpelli, Milano, Comunità, 1976, p. 7 ss. e 407 ss. Lawrence M. Friedman e il sistema giuridico, Sociologia del diritto, 2, 1976, p. 299 ss. Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, 1976, p. 3 ss. Intervento al convegno del PSI di Milano, 23 gennaio 1976, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica culturale alternativa, Marsilio, Venezia, 1976, p. 224 ss. Le condizioni metagiuridiche della partecipazione, Atti del XXII Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, 23-25 settembre 1976, Giuffrè, Milano, p. 245 ss. Le “entità strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, 1, 1977, p. 183 ss. Santi Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Santi Romano, a cura di Paolo Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano, 1977, p. 45 ss. Intervento in La partecipazione popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Atti del convegno di Senigallia (8-10 dicembre 1977), Giustizia e Costituzione, 1978, p. 82 ss. Intervento nella presentazione di Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, in Milano, Sala del Grechetto, pubblicata in UTET – Panorama di Lettere e Scienze, 125, 1978, p. 3 ss. Thomas Hobbes e l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza, in Studi in onore di Enrico Tullio Liebman, IV, Giuffrè, Milano, 1979, p. 3147 ss. Idea dell'università e diritto allo studio, in Atti del Convegno su Il diritto allo studio nel quadro dei rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia, 63, 1979, p. 26 ss. Teoria formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora formalistica, in Studi in onore di C. Grassetti, III, Giuffrè, Milano, 1980 p. 1669 ss. La partecipazione politica, Sociologia del diritto, 2, 1980, p. 7 ss. La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia, 1980, p. 319 ss. Intervento in Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni negli anni '80. Atti del I Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia, 9-10-11 novembre 1979), Giustizia e Costituzione, 1980, p. 170 ss. La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia, 1981, p. 481 ss. (riedito in Hans Kelsen nella cultura filosofico-giuridica del novecento, a cura di Carlo Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia italiana, Roma, 1983, p. 69 ss.) La responsabilità politica, XIII Congresso nazionale della Società Italiana di Filosofia giuridica e politica. Pavia, 28-31 maggio 1981, Giuffrè, Milano, 1981. Responsabilità politica o virtù repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Franco Angeli, Milano, 1981, p. 167 ss. Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1, 1981, p. 27 ss. Interventi (pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi 15 ottobre 1981 su Le ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte neoliberali per l'Italia, Einaudi - notizie - circolare ai soci della Fondazione Einaudi, 5, 1981, p. 17 ss. e 23 ss. Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del 3º Convegno di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure, 15-17 maggio 1980), a cura di Romeo Crippa, Liviana Editrice, Padova, 1982, p. 163 ss. Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, giugno 1981, Guida Editori, Napoli, 1982, p. 173 ss. Bruno Leoni e l'analisi del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche, 1, 1982, p. 137 ss. La democrazia e il segreto, in Il segreto nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, 26-28 ottobre 1981, Cedam, Padova, 1983, p. 623 ss. La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Noberto Bobbio, a cura di Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, 1983, p. 281 ss. L'interpretazione premesse alla teoria dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori. Studi in onore di Renato Treves, a cura di Uberto Scarpelli e Vincenzo Tomeo, Giuffrè, Milano, 1984, p. 141 ss. Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del 28º Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona dal 28 aprile al 1º maggio 1983, Cedam, Padova, 1984, p. 133 ss. (anche in Rivista di filosofia, 1984, p. 29 ss.) Intervento in Il Welfare State possibile. Saggi e interventi di Francesco Barone, … Uberto Scarpelli …, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 1984, p. 83 ss. Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, a cura di Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, 1984, p. 65 ss. Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, 123, 1984, p. 38 ss. Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, I, Le discipline e II, I concetti, UTET, Torino, 1985. Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, 3, 1985, p. 378 ss. Gli orizzonti della giustificazione, Rivista di filosofia, 1985, p. 3 ss. (poi in Etica e diritto, a cura di Letizia Gianformaggio e Eugenio Lecaldano, Laterza, Roma-Bari, 1986, p. 3 ss.) Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2, 1986, p. 245 ss. Di alcune difficoltà culturali e di una tentazione perversa inerenti ai “diritti degli animali”, in “I diritti degli animali”. Atti del convegno nazionale Genova 23-24 maggio 1986, a cura di Silvana Castignone e Luisella Battaglia, Centro di Bioetica, Genova, 1986, p. 7 ss. La filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, 1986, p. 409 ss. La bioetica. Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, 99, 1987, p. 8 ss. Un modello di ragione giuridica: il diritto reale razionale, in Reason in Law. Volume One. Proceedings of the Conference held in Bologna, 12-15 December 1984, a cura di Carla Faralli e Enrico Pattaro, Giuffrè, Milano, 1987, p. 247 ss. Dalla legge al codice, dal codice ai principi, Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, 121, 1987, p. 13 ss. (Rivista di filosofia, 1987, p. 3 ss.) La Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, 1, 1987, p. 32 ss. Cosmo e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale. Atti del 4º Convegno tra studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta, 30 settembre-2 ottobre 1982), a cura di Romeo Crippa, Padeia Editrice, Brescia, 1987, p. 185 ss. Eutanasia. Intervista al Prof. Uberto Scarpelli, Hospital, II, 1, 1988, p. 67 ss. Il concetto di libertà politica nel pensiero di Alessandro Passerin d'Entreves, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1988, p. 116 ss. Amministrazione della giustizia, rapporti umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti umani. Atti del Convegno di Sassari 14-16 novembre 1986, Maggioli, Rimini, 1988, p. 19 ss. Beccaria e l'Italia civile, L'Indice penale, 1988, p. 217 ss. Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e diritto, 4, 1988, p. 615 ss. Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, 134, 1984, p. 11 ss. (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza di Hobbes, in Hobbes oggi, a cura di Andrea Napoli, FrancoAngeli, Milano, 1990, p. 594 ss.) Introduzione ai lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Padova, 21-23 maggio 1987), a cura di Francesco Gentile, Giuffrè, Milano, 1988, p. 13 ss. Intervento in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore (Viareggio, 18-20 novembre 1988), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 1, 1989, p. 115 ss. Il diritto pubblico italiano di Santi Romano, Materiali per una storia della cultura giuridica, XIX, 1, 1989, p. 143 ss. Il positivismo giuridico rivisitato, Rivista di filosofia, 1989, p. 461 ss. La bioetica: alla ricerca dei principi, in Studi in memoria di Giovanni Ambrosetti, I, Giuffrè, Milano, 1989, p. 343 ss. Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo, Convegno, Roma, marzo 1990, Bibliotechne, Milano, 1991, p. 20 ss. I compiti dell'etica laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, 23, 1991, p. 3 ss. Relazione su Charles L. Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), a cura di Mirella Pasini e Daniele Rolando, Il Saggiatore, Milano, 1991, p. 64 ss. Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Atti del convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Perugia nei giorni 9-11 novembre 1989, a cura di Savino Caprioli e Ferdinando Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, 1992, p. 31 ss. Etica della libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare, I, 1, 1993, p. 9 ss. 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Studies dedicated to Professor Carnap on the Occasion of His Seventieth Birthday, Dordrecht, 1962; Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, 1962; Morality and the Language of Conduct, (eds. Castaneda e Nakhnikian), Detroit, 1963, in Rivista di filosofia, 1963, p. 118 ss. e 497 ss. Recensione a Findlay, Language, Mind and Value, London, 1963, in Rivista di filosofia, 1964, p. 76 ss. Nuovi libri: Philosophy and Ordinary Language (ed. Caton), Urbana, 1963 e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano, 1963, in Rivista di filosofia, 1964, p. 111 ss. e 370 ss. Recensione a Rescher, The logic of commands, London, 1966, in Rivista di filosofia, 1, 1967, p. 68 ss. Nuovi libri: Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1964, in Rivista di filosofia, 1965, p. 212 Recensione a De Mauro, Introduzione alla semantica, Bari, 1965, in Rivista di filosofia, 1966, p. 343 ss. Recensione a Chomsky, Cartesian linguistics. A Chapter in the History of Rationalist Thought, London, 1966, in Rivista di filosofia, 1967, p. 65 ss. Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, Roma, 1966, in Rivista di filosofia, 1968, p. 88 ss. Nuovi libri: Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane: 1900-1965. Saggio di bibliografia, Milano, 1967, in Rivista di filosofia, 1968, p. 245 ss. Recensione a Amato, Logica simbolica e diritto, Milano, 1969, in Rivista di filosofia, 3, 1969, p. 356 ss. Nuovi libri: Waxman (ed.), The End of Ideology Debate, New York, 1968, in Rivista di filosofia, 1969, p. 228 ss. Recensione a Care and Landesman (eds.), Readings in the Theory of Action, London, 1968, in Rivista di filosofia, 1970, p. 100 ss. Nuovi libri: Rescher, (ed.), Studies in the Philosophy of Science, Oxford, 1969; Raphael (ed.), British Moralists. 1650-1800, Oxford, 1969; Vax, L'empirisme logique, Paris, 1970, in Rivista di filosofia, 1970, p. 105 ss., 231 ss., 436 ss. Recensione a Fann (ed.), Symposium on L. J. Austin, London, 1969, Rivista di filosofia, 1971, p. 90 ss. Recensione a Gulotta (a cura di), Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987, in L'Indice Penale, 1988, p. 83 ss. Note ^ La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli (PDF), rua.ua.es. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Uberto Scarpelli Controllo di autorità                                               VIAF (EN) 74893918 · ISNI (EN) 0000 0000 8394 8438 · SBN IT\ICCU\RAVV\000338 · LCCN (EN) n82106743 · GND (DE) 128065559 · BNF (FR) cb126907933 (data) · BAV (EN) 495/257187 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82106743 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Filosofia Portale Filosofia Politica Portale Politica Categorie: Giuristi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloSociologi italianiNati nel 1924Morti nel 1993Nati il 9 febbraioMorti il 16 luglioNati a VicenzaMorti a MilanoFilosofi del dirittoMagistrati italianiProfessori dell'Università degli Studi di PerugiaProfessori dell'Università degli Studi di MilanoProfessori dell'Università degli Studi di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di TorinoSociologi del dirittoStudenti dell'Università degli Studi di Torino[altre]

sceptis: Cicero translated as ‘dubitatio.’ For some reason, Grice was irritated by Wood’s sobriquet of Russell as a “passionate sceptic”: ‘an oxymoron.” The most specific essay by Grice on this is an essay he kept after many years, that he delivered back in the day at Oxford, entitled, “Scepticism and common sense.” Both were traditional topics at Oxford at the time. Typically, as in the Oxonian manner, he chose two authors, New-World’s Malcolm’s treatment of Old-World Moore, and brings in Austin’s ‘ordinary-language’ into the bargain. He also brings in his own obsession with what an emissor communicates. In this case, the “p” is the philosopher’s sceptical proposition, such as “That pillar box is red.” Grice thinks ‘dogmatic’ is the opposite of ‘sceptic,’ and he is right! Liddell and Scott have “δόγμα,” from “δοκέω,” and which they render as “that which seems to one, opinion or belief;” Pl.R.538c; “δ. πόλεως κοινόν;” esp. of philosophical doctrines, Epicur.Nat.14.7; “notion,” Pl.Tht.158d; “decision, judgement,” Pl. Lg.926d; (pl.); public decree, ordinance,  esp. of Roman Senatus-consulta, “δ. συγκλήτου”  “δ. τῆς βουλῆς” So note that there is nothing ‘dogmatic’ about ‘dogma,’ as it derives from ‘dokeo,’ and is rendered as ‘that which seems to one.’ So the keyword should be later Grecian, and in the adjectival ‘dogmatic.’ Liddell and Scott have “δογματικός,” which they render as “of or for doctrines, didactic, [διάλογοι] Quint.Inst.2.15.26, and “of persons, δ. ἰατροί,” “physicians who go by general principles,” opp. “ἐμπειρικοί and μεθοδικοί,” Dsc.Ther.Praef., Gal.1.65; in Philosophy, S.E.M.7.1, D.L.9.70, etc.; “δ. ὑπολήψεις” Id.9.83; “δ. φιλοσοφία” S.E. P.1.4. Adv. “-κῶς” D.L.9.74, S.E.P.1.197: Comp. “-κώτερον” Id.M. 6.4. Why is Grice interested in scepticism. His initial concern, the one that Austin would authorize, relates to ‘ordinary language.’ What if ‘ordinary language’ embraces scepticism? What if it doesn’t? Strawso notes that the world of ordinary language is a world of things, causes, and stuff. None of the good stuff for the sceptic. what is Grice’s answer to the sceptic’s implicaturum? The sceptic’s implicaturum is a topic that always fascinated Girce. While Grice groups two essays as dealing with one single theme, strictly, only this or that philosopher’s paradox (not all) may count as sceptical. This or that philosopher’s paradox may well not be sceptical at all but rather dogmatic. In fact, Grice defines philosophers paradox as anything repugnant to common sense, shocking, or extravagant ‒ to Malcolms ears, that is! While it is, strictly, slightly odd to quote this as a given date just because, by a stroke of the pen, Grice writes that date in the Harvard volume, we will follow his charming practice. This is vintage Grice. Grice always takes the sceptics challenge seriously, as any serious philosopher should. Grices takes both the sceptics explicatum and the scepticss implicaturum as self-defeating, as a very affront to our idea of rationality, conversational or other. V: Conversations with a sceptic: Can he be slightly more conversational helpful? Hume’ sceptical attack is partial, and targeted only towards practical reason, though.  Yet, for Grice, reason is one. You cannot really attack practical or buletic reason without attacking theoretical or doxastic reason. There is such thing as a general rational acceptance, to use Grice’s term, that the sceptic is getting at. Grice likes to play with the idea that ultimately every syllogism is buletic or practical. If, say, a syllogism by Eddington looks doxastic, that is because Eddington cares to omit the practical tail, as Grice puts it. And Eddington is not even a philosopher, they say. Grice is here concerned with a Cantabrigian topic popularised by Moore. As Grice recollects, Some like Witters, but Moore’s my man. Unlike Cambridge analysts such as Moore, Grice sees himself as a linguistic-turn Oxonian analyst. So it is only natural that Grice would connect time-honoured scepticism of Pyrrhos vintage, and common sense with ordinary language, so mis-called, the elephant in Grices room. Lewis and Short have “σκέψις,” f. σκέπτομαι, which they render as “viewing, perception by the senses, ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων ςκέψις, Pl. Phd. 83a; observation of auguries; also as examination, speculation, consideration, τὸ εὕρημα πολλῆς σκέψιος; βραχείας ςκέψις; ϝέμειν ςκέψις take thought of a thing; ἐνθεὶς τῇ τέχνῃ ςκέψις; ςκέψις ποιεῖσθαι; ςκέψις προβέβληκας; ςκέψις λόγων; ςκέψις περί τινος inquiry into, speculation on a thing; περί τι Id. Lg. 636d;ἐπὶ σκέψιν τινὸς ἐλθεῖν; speculation, inquiry,ταῦτα ἐξωτερικωτέρας ἐστὶ σκέψεως; ἔξω τῆς νῦν ςκέψεως; οὐκ οἰκεῖα τῆς παρούσης ςκέψις; also hesitation, doubt, esp. of the Sceptic or Pyrthonic philosophers, AP 7. 576 (Jul.); the Sceptic philosophy, S. E. P. 1.5; οἱ ἀπὸ τῆς ςκέψεως, the Sceptics, ib. 229. in politics, resolution, decree, συνεδρίον Hdn. 4.3.9, cf. Poll. 6.178. If scepticism attacks common sense and fails, Grice seems to be implicating, that ordinary language philosophy is a good antidote to scepticism. Since what language other than ordinary language does common sense speak? Well, strictly, common sense doesnt speak. The man in the street does. Grice addresses this topic in a Mooreian way in a later essay, also repr. in Studies, Moore and philosophers paradoxes, repr. in Studies. As with his earlier Common sense and scepticism, Grice tackles Moores and Malcolms claim that ordinary language, so-called, solves a few of philosophers paradoxes. Philosopher is Grices witty way to generalise over your common-or-garden, any, philosopher, especially of the type he found eccentric, the sceptic included. Grice finds this or that problem in this overarching Cantabrigian manoeuvre, as over-simplifying a pretty convoluted terrain. While he cherishes Austins Some like Witters, but Moores MY man! Grice finds Moore too Cantabrigian to his taste. While an Oxonian thoroughbred, Grice is a bit like Austin, Some like Witters, but Moores my man, with this or that caveat. Again, as with his treatment of Descartes or Locke, Grice is hardly interested in finding out what Moore really means. He is a philosopher, not a historian of philosophy, and he knows it. While Grice agrees with Austins implicaturum that Moore goes well above Witters, if that is the expression (even if some like him), we should find the Oxonian equivalent to Moore. Grice would not Names Ryle, since he sees him, and his followers, almost every day. There is something apostolic about Moore that Grice enjoys, which is just as well, seeing that Moore is one of the twelve. Grice found it amusing that the members of The Conversazione Society would still be nickNamesd apostles when their number exceeded the initial 12. Grice spends some time exploring what Malcolm, a follower of Witters, which does not help, as it were, has to say about Moore in connection with that particularly Oxonian turn of phrase, such as ordinary language is. For Malcolms Moore, a paradox by philosopher [sic], including the sceptic, arises when philosopher [sic], including the sceptic, fails to abide by the dictates of ordinary language. It might merit some exploration if Moore’s defence of common sense is against: the sceptic may be one, but also the idealist. Moore the realist, armed with ordinary language attacks the idealists claim. The idealist is sceptical of the realists claim. But empiricist idealism (Bradley) has at Oxford as good pedigree as empiricist realism (Cook Wilson). Malcolm’s simplifications infuriate Grice, and ordinary language has little to offer in the defense of common sense realism against sceptical empiricist idealism. Surely the ordinary man says ridiculous, or silly, as Russell prefers, things, such as Smith is lucky, Departed spirits walk along this road on their way to Paradise, I know there are infinite stars, and I wish I were Napoleon, or I wish that I had been Napoleon, which does not mean that the utterer wishes that he were like Napoleon, but that he wishes that he had lived not in the his century but in the XVIIIth century. Grice is being specific about this. It is true that an ordinary use of language, as Malcolm suggests, cannot be self-contradictory unless the ordinary use of language is defined by stipulation as not self-contradictory, in which case an appeal to ordinary language becomes useless against this or that paradox by Philosopher. I wish that I had been Napoleon seems to involve nothing but an ordinary use of language by any standard but that of freedom from absurdity. I wish that I had been Napoleon is not, as far as Grice can see, philosophical, but something which may have been said and meant by numbers of ordinary people. Yet, I wish that I had been Napoleon is open to the suspicion of self-contradictoriness, absurdity, or some other kind of meaninglessness. And in this context suspicion is all Grice needs. By uttering I wish that I had been Napoleon U hardly means the same as he would if he uttered I wish I were like Napoleon. I wish that I had been Napoleon is suspiciously self-contradictory, absurd, or meaningless, if, as uttered by an utterer in a century other than the XVIIIth century, say, the utterer is understood as expressing the proposition that the utterer wishes that he had lived in the XVIIIth century, and not in his century, in which case he-1 wishes that he had not been him-1? But blame it on the buletic. That Moore himself is not too happy with Malcolms criticism can be witnessed by a cursory glimpse at hi reply to Malcolm. Grice is totally against this view that Malcolm ascribes to Moore as a view that is too broad to even claim to be true. Grices implicaturum is that Malcolm is appealing to Oxonian turns of phrase, such as ordinary language, but not taking proper Oxonian care in clarifying the nuances and stuff in dealing with, admittedly, a non-Oxonian philosopher such as Moore. When dealing with Moore, Grice is not necessarily concerned with scepticism. Time is unreal, e.g. is hardly a sceptic utterance. Yet Grice lists it as one of Philosophers paradoxes. So, there are various to consider here. Grice would start with common sense. That is what he does when he reprints this essay in WOW, with his attending note in both the preface and the Retrospective epilogue on how he organizes the themes and strands. Common sense is one keyword there, with its attending realism. Scepticism is another, with its attending empiricist idealism. It is intriguing that in the first two essays opening Grices explorations in semantics and metaphysics it seems its Malcolm, rather than the dryer Moore, who interests Grice most. While he would provide exegeses of this or that dictum by Moore, and indeed, Moore’s response to Malcolm, Grice seems to be more concerned with applications of his own views. Notably in Philosophers paradoxes. The fatal objection Grice finds for the paradox propounder (not necessarily a sceptic, although a sceptic may be one of the paradox propounders) significantly rests on Grices reductive analysis of meaning that  as ascribed to this or that utterer U. Grice elaborates on circumstances that hell later take up in the Retrospective epilogue. I find myself not understanding what I mean is dubiously acceptable. If meaning, Grice claims, is about an utterer U intending to get his addressee A to believe that U ψ-s that p, U must think there is a good chance that A will recognise what he is supposed to believe, by, perhaps, being aware of the Us practice or by a supplementary explanation which might come from U. In which case, U should not be meaning what Malcolm claims U might mean. No utterer should intend his addressee to believe what is conceptually impossible, or incoherent, or blatantly false (Charles Is decapitation willed Charles Is death.), unless you are Queen in Through the Looking Glass. I believe five impossible things before breakfast, and I hope youll soon get the proper training to follow suit. Cf. Tertulian, Credo, quia absurdum est. Admittedly, Grice edits the Philosophers paradoxes essay. It is only Grices final objection which is repr. in WOW, even if he provides a good detailed summary of the previous sections. Grice appeals to Moore on later occasions. In Causal theory, Grice lists, as a third philosophical mistake, the opinion by Malcolm that Moore did not know how to use knowin a sentence. Grice brings up the same example again in Prolegomena. The use of factive know of Moore may well be a misuse. While at Madison, Wisconsin, Moore lectures at a hall eccentrically-built with indirect lighting simulating sun rays, Moore infamously utters, I know that there is a window behind that curtain, when there is not. But it is not the factiveness Grice is aiming at, but the otiosity Malcolm misdescribes in the true, if baffling, I know that I have two hands. In Retrospective epilogue, Grice uses M to abbreviate Moore’s fairy godmother – along with G (Grice), A (Austin), R (Ryle) and Q (Quine)! One simple way to approach Grices quandary with Malcolm’s quandary with Moore is then to focus on know. How can Malcolm claim that Moore is guilty of misusing know? The most extensive exploration by Grice on know is in Grices third James lecture (but cf. his seminar on Knowledge and belief, and his remarks on some of our beliefs needing to be true, in Meaning revisited. The examinee knows that the battle of Waterloo was fought in 1815. Nothing odd about that, nor about Moores uttering I know that these are my hands. Grice is perhaps the only one of the Oxonian philosophers of Austins play group who took common sense realsim so seriously, if only to crticise Malcoms zeal with it. For Grice, common-sense realism = ordinary language, whereas for the typical Austinian, ordinary language = the language of the man in the street. Back at Oxford, Grice uses Malcolm to contest the usual criticism that Oxford ordinary-language philosophers defend common-sense realist assumptions just because the way non-common-sense realist philosopher’s talk is not ordinary language, and even at Oxford. Cf. Flews reference to Joness philosophical verbal rubbish in using self as a noun. Grice is infuriated by all this unclear chatter, and chooses Malcolms mistreatment of Moore as an example. Grice is possibly fearful to consider Austins claims directly! In later essays, such as ‘the learned’ and ‘the lay,’ Grice goes back to the topic criticising now the scientists jargon as an affront to the ordinary language of the layman that Grice qua philosopher defends. scepticism, in the most common sense, the refusal to grant that there is any knowledge or justification. Skepticism can be either partial or total, either practical or theoretical, and, if theoretical, either moderate or radical, and either of knowledge or of justification. Skepticism is partial iff if and only if it is restricted to particular fields of beliefs or propositions, and total iff not thus restricted. And if partial, it may be highly restricted, as is the skepticism for which religion is only opium, or much more general, as when not only is religion called opium, but also history bunk and metaphysics meaningless. Skepticism is practical iff it is an attitude of deliberately withholding both belief and disbelief, accompanied perhaps but not necessarily by commitment to a recommendation for people generally, that they do likewise. Practical skepticism can of course be either total or partial, and if partial it can be more or less general. Skepticism is theoretical iff it is a commitment to the belief that there is no knowledge justified belief of a certain kind or of certain kinds. Such theoretical skepticism comes in several varieties. It is moderate and total iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief whatsoever, not even in logic or mathematics, nor through introspection of one’s present experience. It is radical and total iff it holds that there isn’t even any ordinary knowledge justified belief at all. It is moderate and partial, on the other hand, iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief of a certain specific kind K or of certain specific kinds K1, . . . , Kn less than the totality of such kinds. It is radical and partial, finally, iff it holds that there isn’t even any ordinary knowledge justified belief at all of that kind K or of those kinds K1, . . . , Kn. Grecian skepticism can be traced back to Socrates’ epistemic modesty. Suppressed by the prolific theoretical virtuosity of Plato and Aristotle, such modesty reasserted itself in the skepticism of the Academy led by Arcesilaus and later by Carneades. In this period began a long controversy pitting Academic Skeptics against the Stoics Zeno and later Chrysippus, and their followers. Prolonged controversy, sometimes heated, softened the competing views, but before agreement congealed Anesidemus broke with the Academy and reclaimed the arguments and tradition of Pyrrho, who wrote nothing, but whose Skeptic teachings had been preserved by a student, Timon in the third century B.C.. After enduring more than two centuries, neoPyrrhonism was summarized, c.200 A.D., by Sextus Empiricus Outlines of Pyrrhonism and Adversus mathematicos. Skepticism thus ended as a school, but as a philosophical tradition it has been influential long after that, and is so even now. It has influenced strongly not only Cicero Academica and De natura deorum, St. Augustine Contra academicos, and Montaigne “Apology for Raimund Sebond”, but also the great historical philosophers of the Western tradition, from Descartes through Hegel. Both on the Continent and in the Anglophone sphere a new wave of skepticism has built for decades, with logical positivism, deconstructionism, historicism, neopragmatism, and relativism, and the writings of Foucault knowledge as a mask of power, Derrida deconstruction, Quine indeterminacy and eliminativism, Kuhn incommensurability, and Rorty solidarity over objectivity, edification over inquiry. At the same time a rising tide of books and articles continues other philosophical traditions in metaphysics, epistemology, ethics, etc. It is interesting to compare the cognitive disengagement recommended by practical skepticism with the affective disengagement dear to stoicism especially in light of the epistemological controversies that long divided Academic Skepticism from the Stoa, giving rise to a rivalry dominant in Hellenistic philosophy. If believing and favoring are positive, with disbelieving and disfavoring their respective negative counterparts, then the magnitude of our happiness positive or unhappiness negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and our favoring/disfavoring with regard to that same matter. The fear of unhappiness may lead one stoically to disengage from affective engagement, on either side of any matter that escapes one’s total control. And this is a kind of practical affective “skepticism.” Similarly, if believing and truth are positive, with disbelieving and falsity their respective negative counterparts, then the magnitude of our correctness positive or error negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and the truth/falsity with regard to that same matter where the positive or negative magnitude of the truth or falsity at issue may be determined by some measure of “theoretical importance,” though alternatively one could just assign all truths a value of !1 and all falsehoods a value of †1. The fear of error may lead one skeptically to disengage from cognitive engagement, on either side of any matter that involves risk of error. And this is “practical cognitive skepticism.” We wish to attain happiness and avoid unhappiness. This leads to the disengagement of the stoic. We wish to attain the truth and avoid error. This leads to the disengagement of the skeptic, the practical skeptic. Each opts for a conservative policy, but one that is surely optional, given just the reasoning indicated. For in avoiding unhappiness the stoic also forfeits a corresponding possibility of happiness. And in avoiding error the skeptic also forfeits a corresponding possibility to grasp a truth. These twin policies appeal to conservatism in our nature, and will reasonably prevail in the lives of those committed to avoiding risk as a paramount objective. For this very desire must then be given its due, if we judge it rational. Skepticism is instrumental in the birth of modern epistemology, and modern philosophy, at the hands of Descartes, whose skepticism is methodological but sophisticated and well informed by that of the ancients. Skepticism is also a main force, perhaps the main force, in the broad sweep of Western philosophy from Descartes through Hegel. Though preeminent in the history of our subject, skepticism since then has suffered decades of neglect, and only in recent years has reclaimed much attention and even applause. Some recent influential discussions go so far as to grant that we do not know we are not dreaming. But they also insist one can still know when there is a fire before one. The key is to analyze knowledge as a kind of appropriate responsiveness to its object truth: what is required is that the subject “track” through his belief the truth of what he believes. S tracks the truth of P iff: S would not believe P if P were false. Such an analysis of tracking, when conjoined with the view of knowledge as tracking, enables one to explain how one can know about the fire even if for all one knows it is just a dream. The crucial fact here is that even if P logically entails Q, one may still be able to track the truth of P though unable to track the truth of Q. Nozick, Philosophical Explanations, 1. Many problems arise in the literature on this approach. One that seems especially troubling is that though it enables us to understand how contingent knowledge of our surroundings is possible, the tracking account falls short of enabling an explanation of how such knowledge on our part is actual. To explain how one knows that there is a fire before one F, according to the tracking account one presumably would invoke one’s tracking the truth of F. But this leads deductively almost immediately to the claim that one is not dreaming: Not D. And this is not something one can know, according to the tracking account. So how is one to explain one’s justification for making that claim? Most troubling of all here is the fact that one is now cornered by the tracking account into making combinations of claims of the following form: I am quite sure that p, but I have no knowledge at all as to whether p. And this seems incoherent. A Cartesian dream argument that has had much play in recent discussions of skepticism is made explicit by Barry Stroud, The Significance of Philosophical Scepticism, 4 as follows. One knows that if one knows F then one is not dreaming, in which case if one really knows F then one must know one is not dreaming. However, one does not know one is not dreaming. So one does not know F. Q.E.D. And why does one fail to know one is not dreaming? Because in order to know it one would need to know that one has passed some test, some empirical procedure to determine whether one is dreaming. But any such supposed test  say, pinching oneself  could just be part of a dream, and dreaming one passes the test would not suffice to show one was not dreaming. However, might one not actually be witnessing the fire, and passing the test  and be doing this in wakeful life, not in a dream  and would that not be compatible with one’s knowing of the fire and of one’s wakefulness? Not so, according to the argument, since in order to know of the fire one needs prior knowledge of one’s wakefulness. But in order to know of one’s wakefulness one needs prior knowledge of the results of the test procedure. But this in turn requires prior knowledge that one is awake and not dreaming. And we have a vicious circle. We might well hold that it is possible to know one is not dreaming even in the absence of any positive test result, or at most in conjunction with coordinate not prior knowledge of such a positive indication. How in that case would one know of one’s wakefulness? Perhaps one would know it by believing it through the exercise of a reliable faculty. Perhaps one would know it through its coherence with the rest of one’s comprehensive and coherent body of beliefs. Perhaps both. But, it may be urged, if these are the ways one might know of one’s wakefulness, does not this answer commit us to a theory of the form of A below? A The proposition that p is something one knows believes justifiably if and only if one satisfies conditions C with respect to it. And if so, are we not caught in a vicious circle by the question as to how we know  what justifies us in believing  A itself? This is far from obvious, since the requirement that we must submit to some test procedure for wakefulness and know ourselves to test positively, before we can know ourselves to be awake, is itself a requirement that seems to lead equally to a principle such as A. At least it is not evident why the proposal of the externalist or of the coherentist as to how we know we are awake should be any more closely related to a general principle like A than is the foundationalist? notion that in order to know we are awake we need epistemically prior knowledge that we test positive in a way that does not presuppose already acquired knowledge of the external world. The problem of how to justify the likes of A is a descendant of the infamous “problem of the criterion,” reclaimed in the sixteenth century and again in this century by Chisholm, Theory of Knowledge, 6, 7, and 8 but much used already by the Skeptics of antiquity under the title of the diallelus. About explanations of our knowledge or justification in general of the form indicated by A, we are told that they are inadequate in a way revealed by examples like the following. Suppose we want to know how we know anything at all about the external world, and part of the answer is that we know the location of our neighbor by knowing the location of her car in her driveway. Surely this would be at best the beginning of an answer that might be satisfactory in the end if recursive, e.g., but as it stands it cannot be satisfactory without supplementation. The objection here is based on a comparison between two appeals: the appeal of a theorist of knowledge to a principle like A in the course of explaining our knowledge or justification in general, on one side; and the appeal to the car’s location in explaining our knowledge of facts about the external world, on the other side. This comparison is said to be fatal to the ambition to explain our knowledge or justification in general. But are the appeals relevantly analogous? One important difference is this. In the example of the car, we explain the presence, in some subject S, of a piece of knowledge of a certain kind of the external world by appeal to the presence in S of some other piece of knowledge of the very same kind. So there is an immediate problem if it is our aim to explain how any knowledge of the sort in question ever comes to be unless the explication is just beginning, and is to turn recursive in due course. Now of course A is theoretically ambitious, and in that respect the theorist who gives an answer of the form of A is doing something similar to what must be done by the protagonist in our car example, someone who is attempting to provide a general explanation of how any knowledge of a certain kind comes about. Nevertheless, there is also an important difference, namely that the theorist whose aim it is to give a general account of the form of A need not attribute any knowledge whatsoever to a subject S in explaining how that subject comes to have a piece of knowledge or justified belief. For there is no need to require that the conditions C appealed to by principle A must be conditions that include attribution of any knowledge at all to the subject in question. It is true that in claiming that A itself meets conditions C, and that it is this which explains how one knows A, we do perhaps take ourselves to know A or at least to be justified in believing it. But if so, this is the inevitable lot of anyone who seriously puts forward any explanation of anything. And it is quite different from a proposal that part of what explains how something is known or justifiably believed includes a claim to knowledge or justified belief of the very same sort. In sum, as in the case of one’s belief that one is awake, the belief in something of the form of A may be said to be known, and in so saying one does not commit oneself to adducing an ulterior reason in favor of A, or even to having such a reason in reserve. One is of course committed to being justified in believing A, perhaps even to having knowledge that A. But it is not at all clear that the only way to be justified in believing A is by way of adduced reasons in favor of A, or that one knows A only if one adduces strong enough reasons in its favor. For we often know things in the absence of such adduced reasons. Thus consider one’s knowledge through memory of which door one used to come into a room that has more than one open door. Returning finally to A, in its case the explanation of how one knows it may, once again, take the form of an appeal to the justifying power of intellectual virtues or of coherence  or both. Recent accounts of the nature of thought and representation undermine a tradition of wholesale doubt about nature, whose momentum is hard to stop, and threatens to leave the subject alone and restricted to a solipsism of the present moment. But there may be a way to stop skepticism early  by questioning the possibility of its being sensibly held, given what is required for meaningful language and thought. Consider our grasp of observable shape and color properties that objects around us might have. Such grasp seems partly constituted by our discriminatory abilities. When we discern a shape or a color we do so presumably in terms of a distinctive impact that such a shape or color has on us. We are put systematically into a certain distinctive state X when we are appropriately related, in good light, with our eyes open, etc., to the presence in our environment of that shape or color. What makes one’s distinctive state one of thinking of sphericity rather than something else, is said to be that it is a state tied by systematic causal relations to skepticism skepticism 849   849 the presence of sphericity in one’s normal environment. A light now flickers at the end of the skeptic’s tunnel. In doubt now is the coherence of traditional skeptical reflection. Indeed, our predecessors in earlier centuries may have moved in the wrong direction when they attempted a reduction of nature to the mind. For there is no way to make sense of one’s mind without its contents, and there is no way to make sense of how one’s mind can have such contents except by appeal to how one is causally related to one’s environment. If the very existence of that environment is put in doubt, that cuts the ground from under one’s ability reasonably to characterize one’s own mind, or to feel any confidence about its contents. Perhaps, then, one could not be a “brain in a vat.” Much contemporary thought about language and the requirements for meaningful language thus suggests that a lot of knowledge must already be in place for us to be able to think meaningfully about a surrounding reality, so as to be able to question its very existence. If so, then radical skepticism answers itself. For if we can so much as understand a radical skepticism about the existence of our surrounding reality, then we must already know a great deal about that reality.  Sceptics, those ancient thinkers who developed sets of arguments to show either that no knowledge is possible Academic Skepticism or that there is not sufficient or adequate evidence to tell if any knowledge is possible. If the latter is the case then these thinkers advocated suspending judgment on all question concerning knowledge Pyrrhonian Skepticism. Academic Skepticism gets its name from the fact that it was formulated in Plato’s Academy in the third century B.C., starting from Socrates’ statement, “All I know is that I know nothing.” It was developed by Arcesilaus c.268241 and Carneades c.213129, into a series of arguments, directed principally against the Stoics, purporting to show that nothing can be known. The Academics posed a series of problems to show that what we think we know by our senses may be unreliable, and that we cannot be sure about the reliability of our reasoning. We do not possess a guaranteed standard or criterion for ascertaining which of our judgments is true or false. Any purported knowledge claim contains some element that goes beyond immediate experience. If this claim constituted knowledge we would have to know something that could not possibly be false. The evidence for the claim would have to be based on our senses and our reason, both of which are to some degree unreliable. So the knowledge claim may be false or doubtful, and hence cannot constitute genuine knowledge. So, the Academics said that nothing is certain. The best we can attain is probable information. Carneades is supposed to have developed a form of verification theory and a kind of probabilism, similar in some ways to that of modern pragmatists and positivists. Academic Skepticism dominated the philosophizing of Plato’s Academy until the first century B.C. While Cicero was a student there, the Academy turned from Skepticism to a kind of eclectic philosophy. Its Skeptical arguments have been preserved in Cicero’s works, Academia and De natura deorum, in Augustine’s refutation in his Contra academicos, as well as in the summary presented by Diogenes Laertius in his lives of the Grecian philosophers. Skeptical thinking found another home in the school of the Pyrrhonian Skeptics, probably connected with the Methodic school of medicine in Alexandria. The Pyrrhonian movement traces its origins to Pyrrho of Elis c.360275 B.C. and his student Timon c.315225 B.C.. The stories about Pyrrho indicate that he was not a theoretician but a practical doubter who would not make any judgments that went beyond immediate experience. He is supposed to have refused to judge if what appeared to be chariots might strike him, and he was often rescued by his students because he would not make any commitments. His concerns were apparently ethical. He sought to avoid unhappiness that might result from accepting any value theory. If the theory was at all doubtful, accepting it might lead to mental anguish. The theoretical formulation of Pyrrhonian Skepticism is attributed to Aenesidemus c.100 40 B.C.. Pyrrhonists regarded dogmatic philosophers and Academic Skeptics as asserting too much, the former saying that something can be known and the latter that nothing can be known. The Pyrrhonists suspended judgments on all questions on which there was any conflicting evidence, including whether or not anything could be known. The Pyrrhonists used some of the same kinds of arguments developed by Arcesilaus and Carneades. Aenesidemus and those who followed after him organized the arguments into sets of “tropes” or ways of leading to suspense of judgment on various questions. Sets of ten, eight, five, and two tropes appear in the only surviving writing of the Pyrrhonists, the works of Sextus Empiricus, a third-century A.D. teacher of Pyrrhonism. Each set of tropes offers suggestions for suspending judgment about any knowledge claims that go beyond appearances. The tropes seek to show that for any claim, evidence for and evidence against it can be offered. The disagreements among human beings, the variety of human experiences, the fluctuation of human judgments under differing conditions, illness, drunkenness, etc., all point to the opposition of evidence for and against each knowledge claim. Any criterion we employ to sift and weigh the evidence can also be opposed by countercriterion claims. Given this situation, the Pyrrhonian Skeptics sought to avoid committing themselves concerning any kind of question. They would not even commit themselves as to whether the arguments they put forth were sound or not. For them Skepticism was not a statable theory, but rather an ability or mental attitude for opposing evidence for and against any knowledge claim that went beyond what was apparent, that dealt with the non-evident. This opposing produced an equipollence, a balancing of the opposing evidences, that would lead to suspending judgment on any question. Suspending judgment led to a state of mind called “ataraxia,” quietude, peace of mind, or unperturbedness. In such a state the Skeptic was no longer concerned or worried or disturbed about matters beyond appearances. The Pyrrhonians averred that Skepticism was a cure for a disease called “dogmatism” or rashness. The dogmatists made assertions about the non-evident, and then became disturbed about whether these assertions were true. The disturbance became a mental disease or disorder. The Pyrrhonians, who apparently were medical doctors, offered relief by showing the patient how and why he should suspend judgment instead of dogmatizing. Then the disease would disappear and the patient would be in a state of tranquillity, the peace of mind sought by Hellenistic dogmatic philosophers. The Pyrrhonists, unlike the Academic Skeptics, were not negative dogmatists. The Pyrrhonists said neither that knowledge is possible nor that it is impossible. They remained seekers, while allowing the Skeptical arguments and the equipollence of evidences to act as a purge of dogmatic assertions. The purge eliminates all dogmas as well as itself. After this the Pyrrhonist lives undogmatically, following natural inclinations, immediate experience, and the laws and customs of his society, without ever judging or committing himself to any view about them. In this state the Pyrrhonist would have no worries, and yet be able to function naturally and according to law and custom. The Pyrrhonian movement disappeared during the third century A.D., possibly because it was not considered an alternative to the powerful religious movements of the time. Only scant traces of it appear before the Renaissance, when the texts of Sextus and Cicero were rediscovered and used to formulate a modern skeptical view by such thinkers as Montaigne and Charron.  Refs.: The obvious source is the essay on scepticism in WoW, but there are allusions in “Prejudices and predilections, and elsewhere, in The H. P. Grice Papers, BANC

otium -- schole – “The Grecian term for ‘otium.’” “Not to be confused with ‘studium’ as in ‘studium generale.’ Scholasticism, a set of scholarly and instructional techniques developed in Western European schools of the late medieval period, including the use of commentary and disputed question. ‘Scholasticism’ is derived from Latin scholasticus, which in the twelfth century meant the master of a school. The Scholastic method is usually presented as beginning in the law schools  notably at Bologna  and as being then transported into theology and philosophy by a series of masters including Abelard and Peter Lombard. Within the new universities of the thirteenth century the standardization of the curriculum and the enormous prestige of Aristotle’s work despite the suspicion with which it was initially greeted contributed to the entrenchment of the method and it was not until the educational reforms of the beginning of the sixteenth century that it ceased to be dominant. There is, strictly speaking, no such thing as Scholasticism. As the term was originally used it presupposed that a single philosophy was taught in the universities of late medieval Europe, but there was no such philosophy. The philosophical movements working outside the universities in the late sixteenth and early seventeenth centuries and the “neo-Scholastics” of the late nineteenth and early twentieth centuries all found such a presupposition useful, and their influence led scholars to assume it. At first this generated efforts to find a common core in the philosophies taught in the late medieval schools. More recently it has led to efforts to find methods characteristic of their teaching, and to an extension of the term to the schools of late antiquity and of Byzantium. Both among the opponents of the schools in the seventeenth century and among the “neoScholastics,” ‘Scholasticism’ was supposed to designate a doctrine whose core was the doctrine of substance and accidents. As portrayed by Descartes and Locke, the Scholastics accepted the view that among the components of a thing were a substantial form and a number of real accidental forms, many of which corresponded to perceptible properties of the thing  its color, shape, temperature. They were also supposed to have accepted a sharp distinction between natural and unnatural motion. 


SciaccaG Giuseppe Maria Sciacca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Giuseppe Maria Sciacca (Messina, 1912 – Palermo, 1995) è stato un filosofo e accademico italiano. Allievo e assistente a Palermo di Antonio Renda, Sciacca volse il suo interesse verso la filosofia kantiana, tema a cui dedicò un primo lavoro nel 1945, La funzione della libertà nella formazione del sistema kantiano[1] a cui fece seguito, nel 1963, il saggio L'idea della libertà. Fondamento della coscienza etico-politica, che riproduceva, in appendice, la memoria del 1945.  Professore Emerito di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Palermo, è stato presidente della Società filosofica italiana[2] Autore di numerosi saggi, il filosofo si è espresso attraverso una ricca bibliografia.   Indice 1Opere 2Note 3Bibliografia 4Voci correlate Opere (a cura di) Filosofi che si confessano, Guido D'Anna editore, Messina, 1948 Il fondamento della sterēsis nella "Filosofia dell'azione", Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo, 1949; Il concetto di tiranno, dai greci a Coluccio Salutati, U. Manfredi editore Palermo, 1953; La visione della vita nell'Umanesimo e Coluccio Salutati, Palermo 1954 Politica e vita spirituale, ed. Palumbo, Palermo, 1955; Gli Dei in Protagora, ed. Palumbo, 1958; Esistenza e realtà in Husserl, ed. Palumbo, Palermo, 1960; Esistenza e realtà, Palermo, 1962; L'Idea della libertà in Kant. Fondamento della coscienza etico-politica, ed. Palumbo, Palermo, 1963; Scetticismo cristiano, ed. Palumbo, Palermo, 1968; Ritorno alla saggezza, ed. Palumbo, Palermo, 1971; L'uomo senza Adamo, ed. Palumbo, 1976; Sapere e alienazione, ed. Palumbo, Palermo, 1981; Il Segno, quel Segno, ed. Cappelli, Bologna 1987. Note ^ Pubblicato l'anno dopo in "Reale accademia di lettere scienze e arti", IV serie, vol. 5, parte 2ª, anno 1946. ^ «La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica. Bibliografia Alessandro De Bono, Giuseppe Maria Sciacca. La vita e la filosofia, Alessandria della Rocca, M.K.N., 2017, pp. 211. URL consultato il 6 ottobre 2017. Caterina Genna, «Antonio Renda e Giuseppe Maria Sciacca: due testimoni della tradizione neokantiana», in Piero di Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo, FrancoAngeli, 2002 ISBN 978-88-464-3693-1 (pp. 38-46) "Bollettino quadrimestrale della Società Filosofica Italiana", nuova serie, n. 178, gennaio-aprile 2003: Piero Di Giovanni, L'opera e il pensiero di Giuseppe Maria Sciacca M. Portale, Scritti di Giuseppe Maria Sciacca Voci correlate Armando Plebe Piero Di Giovanni Controllo di autoritàVIAF (EN) 89783638 · ISNI (EN) 0000 0000 6218 8193 · SBN IT\ICCU\CFIV\009732 · LCCN (EN) n84067148 · WorldCat Identities (EN) lccn-n84067148 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1912Morti nel 1995Nati a MessinaMorti a Palermo[altre]

SciaccaM Michele Federico Sciacca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Lapide commemorativa in onore di Michele Federico Sciacca posta all'interno del liceo classico "Michele Amari" di Giarre «La filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla "verità" delle lacrime e dei sorrisi.»  (da Atto ed essere) Michele Federico Sciacca (Giarre, 12 luglio 1908 – Genova, 24 febbraio 1975) è stato un filosofo e accademico italiano. Nato a Giarre in provincia di Catania, nel 1908, dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, nella cui università si laureò in filosofia, nel 1930, con Antonio Aliotta.[1] Cominciò quindi, dopo aver conseguito la libera docenza in filosofia, la carriera universitaria a Napoli, come assistente incaricato di storia della filosofia antica e collaborando come condirettore alla rivista Logos fondata e diretta da Aliotta. Nel 1946 fondò la rivista Il Giornale di Metafisica. Molto intenso fu il suo rapporto filosofico e di stima reciproca con Giovanni Gentile, un sodalizio iniziato nel 1933 e testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto Sciacca si allontanò, in particolare dal filone di pensiero idealistico, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo cristiano che quella dello spiritualismo cristiano.  Conseguì l'ordinariato nel 1938, con cattedra all'Università di Pavia, quindi insegnò, dal 1947 alla morte prematura, filosofia teoretica presso l'Università di Genova, che in seguito gli intitolò il proprio Dipartimento di Studi sulla Storia del Pensiero Europeo. Dal 1959 al 1974, ricoprì anche la carica di presidente dell'Accademia di studi italo-tedeschi di Merano. A Genova morì nel 1975.  Storico della filosofia, studioso e profondo conoscitore del pensiero del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, promotore della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di Stresa nel 1966, Sciacca è una delle principali figure dello spiritualismo filosofico del Novecento, a cui pervenne dopo i primi interessi per l'attualismo gentiliano ed i successivi, più impegnativi studi sullo spiritualismo cristiano, anche interpretandolo in modo originale, delineando un particolare percorso di continuità che, connettendo la metafisica classica al pensiero filosofico moderno, perviene a concepire un'apertura del soggetto personale – come creatura – verso l'attualità assoluta dell'Essere («filosofia dell'integralità»).[2] La sua memoria è ricordata principalmente attraverso le opere dei suoi due allievi, Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello, entrambi docenti dell'ateneo genovese.  È sepolto presso il Sacro Monte di Domodossola, casa madre dei rosminiani, dove infatti riposano le spoglie di molti membri appartenuti alla congregazione.  Opere principali 1949 S. Agostino - Morcelliana, Brescia. 1954 L'Anima - Morcelliana, Brescia. 1955 La filosofia morale di Antonio Rosmini - Fratelli Bocca, Torino. 1956 Atto ed essere – Fratelli Bocca, Torino. 1958 Interpretazioni rosminiane – Marzorati, Milano. 1963 Come si vince a Waterloo – Marzorati, Milano. 1965-1967 La filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei scientifici - Cremonese, Roma. 1967 Platone - Marzorati, Milano. 1968 Filosofia e antifilosofia - Marzorati, Milano. 1969 La Chiesa e la civiltà moderna - Marzorati, Milano. 1969 Pagine di critica letteraria (1931-1935) - Marzorati, Milano. 1970 L'oscuramento dell'intelligenza - Marzorati, Milano. 1971 Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia medioevale - Marzorati, Milano. 1972 Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico-teologico - Marzorati, Milano. 1974 L'Insegnamento della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio 1974 - Editrice peloritana, Messina. 1975 Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano - Fundación Universitaria Española, Madrid. 1990 Ontologia triadica e trinitaria – L'Epos, Palermo. 1991 Atto ed essere – L'Epos, Palermo. 1993 Il magnifico oggi – L'Epos, Palermo. 1993 In Spirito e Verità – L'Epos, Palermo. 1993 La clessidra – L'Epos, Palermo. 1993 L'ora di Cristo – L'Epos, Palermo. Note ^ La principale fonte biografica qui seguita è: Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 91, Anno 2018. ^ Cfr. CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, 1976, pp. 1069-1070. Bibliografia Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 91, Anno 2018. CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, 1976. Michele Schiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianismo, Stresa (VB), Edizioni Rosminiane Sodalitas, 1957. Antimo Negri, Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Forlì, Edizioni di Ethica, 1963, SBN IT\ICCU\CSA\0017724. Emilio Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo nel pensiero di Michele F. Sciacca, 2 voll., Milano, Marzorati, 1964-67. AA.VV., La filosofia di M.F. Sciacca, Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, 1976. AA.VV., Michele Federico Sciacca, Stresa (VB), Estratti della Rivista Rosminiana, 1977. Maria Adelaide Raschini, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio Editori, 1999. Pier Paolo Ottonello, Sciacca. L'anticonformismo costruttivo, Venezia, Marsilio Editori, 2000. Alessandra Modugno, Heidegger e Sciacca. Essere, persona, libertà, tempo, Venezia, Marsilio Editori, 2001. H.M. Ortiz, "Muerte e inmortalidad" de Sciacca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2014. Michele Shiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianesimo (PDF), Collana di studi filosofici rosminiani (n. 14), Domodossola (NO) ; Milano, Sodalitas, 1957, p. 246, OCLC 797771392. URL consultato il 9 settembre 2019 (archiviato il 31 luglio 2019). Ospitato su Bontadini e la metafisica. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Michele Federico Sciacca Collegamenti esterni Michele Federico Sciacca, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Michele Federico Sciacca, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di Michele Federico Sciacca, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. Modifica su Wikidata Sito dedicato alla vita ed alle opere di M.F. Sciacca, su fondazionesciacca.it. Profilo biografico, su pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org. Controllo di autoritàVIAF (EN) 36956741 · ISNI (EN) 0000 0001 2100 6709 · SBN IT\ICCU\CFIV\007919 · LCCN (EN) n79065254 · GND (DE) 118795821 · BNF (FR) cb12159102s (data) · BNE (ES) XX1032983 (data) · BAV (EN) 495/91513 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79065254 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1908Morti nel 1975Nati il 12 luglioMorti il 24 febbraioNati a GiarreMorti a GenovaProfessori dell'Università degli Studi di Genova[altre]


scire – sapio -- sapientia: wisdom, an understanding of the highest principles of things that functions as a guide for living a truly exemplary human life. From the preSocratics through Plato this was a unified notion. But Aristotle introduced a distinction between theoretical wisdom sophia and practical wisdom phronesis, the former being the intellectual virtue that disposed one to grasp the nature of reality in terms of its ultimate causes metaphysics, the latter being the ultimate practical virtue that disposed one to make sound judgments bearing on the conduct of life. The former invoked a contrast between deep understanding versus wide information, whereas the latter invoked a contrast between sound judgment and mere technical facility. This distinction between theoretical and practical wisdom persisted through the Middle Ages and continues to our own day, as is evident in our use of the term ‘wisdom’ to designate both knowledge of the highest kind and the capacity for sound judgment in matters of conduct. Grice: “The etymology of ‘sapientia’ is excellent – it’s like taste!” –  săpĭo , īvi or ĭi (sapui, Aug. Civ. Dei, 1, 10; id. Ep. 102, 10; but sapivi, Nov. ap. Prisc. p. 879 P.; id. ap. Non. 508, 21: I.“saPisti,” Mart. 9, 6, 7: “sapisset,” Plaut. Rud. 4, 1, 8), 3, v. n. and a. [kindr. with ὀπός, σαφής, and σοφός], to taste, savor; to taste, smack, or savor of, to have a taste or flavor of a thing (cf. gusto). I. Lit. (so only in a few examples). 1. Of things eaten or drunk: “oleum male sapiet,” Cato, R. R. 66, 1: “occisam saepe sapere plus multo suem,” Plaut. Mil. 2, 6, 104: “quin caseus jucundissime sapiat,” Col. 7, 8, 2: “nil rhombus nil dama sapit,” Juv. 11, 121.—With an acc. of that of or like which a thing tastes: “quis (piscis) saperet ipsum mare,” Sen. Q. N. 3, 18, 2: “cum in Hispaniā multa mella herbam eam sapiunt,” Plin. 11, 8, 8, § 18: “ipsum aprum (ursina),” Petr. 66, 6.—Poet.: anas plebeium sapit, has a vulgar taste, Petr. poët. 93, 2: “quaesivit quidnam saperet simius,” Phaedr. 3, 4, 3.—* 2. Of that which tastes, to have a taste or a sense of taste (perh. so used for the sake of the play upon signif. II.): “nec sequitur, ut, cui cor sapiat, ei non sapiat palatus,” Cic. Fin. 2, 8, 24.— 3. Transf., of smell, to smell of or like a thing (syn.: oleo, redoleo; very rare): Cicero, Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram quam crocum sapiunt. Hoc enim maluit dixisse quam redolent. Ita est profecto; “illa erit optima, quae unguenta sapiat,” Plin. 17, 5, 3, § 38: “invenitur unguenta gratiosiora esse, quae terram, quam quae crocum sapiunt,” id. 13, 3, 4, § 21.—In a lusus verbb. with signif. II.: istic servus quid sapit? Ch. Hircum ab alis, Plaut. Ps. 2, 4, 47.— II. Trop. 1. To taste or smell of, savor of, i. e., a. To resemble (late Lat.): “patruos,” Pers. 1, 11.— b. To suggest, be inspired by: “quia non sapis ea quae Dei sunt,” Vulg. Matt. 16, 23; id. Marc. 8, 33.— c. Altum or alta sapere, to be high-minded or proud: “noli altum sapere,” Vulg. Rom. 11, 20: “non alta sapientes,” id. ib. 12, 16.— 2. To have good taste, i.e. to have sense or discernment; to be sensible, discreet, prudent, wise, etc. (the predominant signif. in prose and poetry; most freq. in the P. a.). (α). Neutr., Plaut. Ps. 2, 3, 14: “si aequum siet Me plus sapere quam vos, dederim vobis consilium catum, etc.,” id. Ep. 2, 2, 73 sq.: “jam diu edepol sapientiam tuam abusa est haec quidem. Nunc hinc sapit, hinc sentit,” id. Poen. 5, 4, 30; cf.: “populus est moderatior, quoad sentit et sapit tuerique vult per se constitutam rem publicam,” Cic. Rep. 1, 42, 65; “so (with sentire),” Plaut. Am. 1, 1, 292; id. Bacch. 4, 7, 19; id. Merc. 2, 2, 24; id. Trin. 3, 2, 10 sq.; cf.: “qui sapere et fari possit quae sentiat,” Hor. Ep. 1, 4, 9; Plaut. Bacch. 1, 2, 14: “magna est admiratio copiose sapienterque dicentis, quem qui audiunt intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur,” Cic. Off. 2, 14, 48: “veluti mater Plus quam se sapere Vult (filium),” Hor. Ep. 1, 18, 27: “qui (puer) cum primum sapere coepit,” Cic. Fam. 14, 1, 1; Poët. ap. Cic. Fam. 7, 16, 1: “malo, si sapis, cavebis,” if you are prudent, wise, Plaut. Cas. 4, 4, 17; so, “si sapis,” id. Eun. 1, 1, 31; id. Men. 1, 2, 13; id. Am. 1, 1, 155; id. Aul. 2, 9, 5; id. Curc. 1, 1, 28 et saep.; Ter. Eun. 4, 4, 53; id. Heaut. 2, 3, 138: “si sapias,” Plaut. Merc. 2, 3, 39; 4, 4, 61; id. Poen. 1, 2, 138; Ter. Heaut. 3, 3, 33; Ov. H. 5, 99; 20, 174: “si sapies,” Plaut. Bacch. 4, 9, 78; id. Rud. 5, 3, 35; Ter. Heaut. 4, 4, 26; Ov. M. 14, 675: “si sapiam,” Plaut. Men. 4, 2, 38; id. Rud. 1, 2, 8: “si sapiet,” id. Bacch. 4, 9, 74: “si saperet,” Cic. Quint. 4, 16: hi sapient, * Caes. B. G. 5, 30: Ph. Ibo. Pl. Sapis, you show your good sense, Plaut. Mil. 4, 8, 9; id. Merc. 5, 2, 40: “hic homo sapienter sapit,” id. Poen. 3, 2, 26: “quae (meretrix) sapit in vino ad rem suam,” id. Truc. 4, 4, 1; cf. id. Pers. 1, 3, 28: “ad omnia alia aetate sapimus rectius,” Ter. Ad. 5, 3, 46: “haud stulte sapis,” id. Heaut. 2, 3, 82: “te aliis consilium dare, Foris sapere,” id. ib. 5, 1, 50: “pectus quoi sapit,” Plaut. Bacch. 4, 4, 12; id. Mil. 3, 1, 191; id. Trin. 1, 2, 53; cf.: “cui cor sapiat,” Cic. Fin. 2, 8, 24: “id (sc. animus mensque) sibi solum per se sapit, id sibi gaudet,” Lucr. 3, 145.— (β). Act., to know, understand a thing (in good prose usually only with general objects): “recte ego rem meam sapio,” Plaut. Ps. 1, 5, 81: “nullam rem,” id. Most. 5, 1, 45: qui sibi semitam non sapiunt, alteri monstrant viam, Poët. ap. Cic. Div. 1, 58, 132; Cic. Att. 14, 5, 1; Plaut. Mil. 2, 3, 65; cf.: “quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus potest?” Cic. Fam. 7, 28, 1: “quantum ego sapio,” Plin. Ep. 3, 6, 1: “jam nihil sapit nec sentit,” Plaut. Bacch. 4, 7, 22: “nihil,” Cic. Tusc. 2, 19, 45: “plane nihil,” id. Div. in Caecil. 17, 55: nihil parvum, i. e. to occupy one's mind with nothing trivial (with sublimia cures), Hor. Ep. 1, 12, 15; cf.: cum sapimus patruos, i.e. resemble them, imitate them in severity, Pers. 1, 11. — 3. Prov.: sero sapiunt Phryges, are wise behind the time; or, as the Engl. saying is, are troubled with afterwit: “sero sapiunt Phryges proverbium est natum a Trojanis, qui decimo denique anno velle coeperant Helenam quaeque cum eā erant rapta reddere Achivis,” Fest. p. 343 Müll.: “in Equo Trojano (a tragedy of Livius Andronicus or of Naevius) scis esse in extremo, Sero sapiunt. Tu tamen, mi vetule, non sero,” Cic. Fam. 7, 16, 1.—Hence, să-pĭens , entis (abl. sing. sapiente, Ov. M. 10, 622; gen. plur. sapientum, Lucr. 2, 8; Hor. S. 2, 3, 296; “but sapientium,” id. C. 3, 21, 14), P. a. (acc. to II.), wise, knowing, sensible, well-advised, discreet, judicious (cf. prudens). A. In gen.: “ut quisque maxime perspicit, quid in re quāque verissimum sit, quique acutissime et celerrime potest et videre et explicare rationem, is prudentissimus et sapientissimus rite haberi solet,” Cic. Off. 1, 5, 16; cf.: “sapientissimum esse dicunt eum, cui quod opus sit ipsi veniat in mentem: proxume acceder illum, qui alterius bene inventis obtemperet,” id. Clu. 31, 84: “M. Bucculeius, homo neque meo judicio stultus et suo valde sapiens,” id. de Or. 1, 39, 179: “rex aequus ac sapiens,” id. Rep. 1, 26, 42; cf.: “Cyrus justissimus sapientissimusque rex,” id. ib. 1, 27, 43: “bonus et sapiens et peritus utilitatis civilis,” id. ib. 2, 29, 52: “o, Neptune lepide, salve, Neque te aleator ullus est sapientior,” Plaut. Rud. 2, 3, 29: “quae tibi mulier videtur multo sapientissima?” id. Stich. 1, 2, 66: “(Aurora) ibat ad hunc (Cephalum) sapiens a sene diva viro,” wise, discreet, Ov. H. 4, 96 Ruhnk.; so, “puella,” id. M. 10, 622: “mus pusillus quam sit sapiens bestia,” Plaut. Truc. 4, 4, 15; id. As. 3, 3, 114 et saep.—With gen. (analogous to gnarus, peritus, etc.): “qui sapiens rerum esse humanarum velit,” Gell. 13, 8, 2.—Subst.: săpĭens , entis, m., a sensible, shrewd, knowing, discreet, or judicious person: “semper cavere hoc sapientes aequissimumst,” Plaut. Rud. 4, 7, 20; cf.: “omnes sapientes suom officium aequom est colere et facere,” id. Stich. 1, 1, 38; id. Trin. 2, 2, 84: “dictum sapienti sat est,” id. Pers. 4, 7, 19; Ter. Phorm. 3, 3, 8; Plaut. Rud. 2, 4, 15 sq.: “insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,” Hor. Ep. 1, 6, 15: “sapiens causas reddet,” id. S. 1, 4, 115: “quali victu sapiens utetur,” id. ib. 2, 2, 63; 1, 3, 132.—In a lusus verbb. with the signif. of sapio, I., a person of nice taste: “qui utuntur vino vetere sapientes puto Et qui libenter veteres spectant fabulas,” good judges, connoisseurs, Plaut. Cas. prol. 5: fecundae leporis sapiens sectabitur armos, Hor. S. 2, 4, 44.—As a surname of the jurists Atilius, C. Fabricius, M'. Curius, Ti. Coruncanius, Cato al., v. under B. fin.— b. Of abstract things: “opera,” Plaut. Pers. 4, 5, 2: “excusatio,” Cic. Att. 8, 12, 2: “modica et sapiens temperatio,” id. Leg. 3, 7, 17: “mores,” Plaut. Rud. 4, 7, 25: “verba,” Ter. Ad. 5, 1, 7: “consilium,” Ov. M. 13, 433: “Ulixes, vir sapienti facundiā praeditus,” Gell. 1, 15, 3: “morus, quae novissima urbanarum germinat, nec nisi exacto frigore, ob id dicta sapientissima arborum,” Plin. 16, 25, 41, § 102.— B. After the predominance of Grecian civilization and literature, particularly of the Grecian philosophy, like σοφός, well acquainted with the true value of things, wise; and subst., a wise man, a sage (in Cic. saepiss.): ergo hic, quisquis est, qui moderatione et constantiā quietus animo est sibique ipse placatus ut nec tabescat molestiis nec frangatur timore nec sitienter quid expetens ardeat desiderio nec alacritate futili gestiens deliquescat; “is est sapiens quem quaerimus, is est beatus,” Cic. Tusc. 4, 17, 37: “sapientium praecepta,” id. Rep. 3, 4, 7: “si quod raro fit, id portentum putandum est: sapientem esse portentum est. Saepius enim mulam peperisse arbitror, quam sapientem fuisse,” id. Div. 2, 28, 61: “statuere quid sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis,” id. Ac. 2, 3, 9; cf. id. Rep. 1, 29, 45.—So esp. of the seven wise men of Greece: “ut ad Graecos referam orationem ... septem fuisse dicuntur uno tempore, qui sapientes et haberentur et vocarentur,” Cic. de Or. 3, 34, 137: “eos vero septem quos Graeci sapientes nominaverunt,” id. Rep. 1, 7, 12: “sapienti assentiri ... se sapientem profiteri,” id. Fin. 2,3, 7.—Ironically: “sapientum octavus,” Hor. S. 2, 3, 296.—With the Romans, an appellation of Lœlius: te, Laeli, sapientem et appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni: scimus L. Atilium apud patres nostros appellatum esse sapientem, sed uterque alio quodam modo: Atilius, qui prudens esse in jure civili putabatur; “Cato quia multarum rerum usum habebat ... propterea quasi cognomen jam habebat in senectute sapientis ... Athenis unum accepimus et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum judicatum,” Cic. Lael. 2, 6; cf.: “numquam ego dicam C. Fabricium, M'. Curium, Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri majores judicabant, ad istorum normam fuisse sapientes,” id. ib. 5, 18: “ii, qui sapientes sunt habiti, M. Cato et C. Laelius,” id. Off. 3, 4, 16; Val. Max. 4, 1, ext. 7; Lact. 4, 1.—Hence, adv.: săpĭen-ter , sensibly, discreetly, prudently, judiciously, wisely: “recte et sapienter facere,” Plaut. Am. 1, 1, 133; id. Mil. 3, 3, 34: “consulere,” id. ib. 3, 1, 90: “insipienter factum sapienter ferre,” id. Truc. 4, 3, 33: “factum,” id. Aul. 3, 5, 3: “dicta,” id. Rud. 4, 7, 24: “quam sapienter jam reges hoc nostri viderint,” Cic. Rep. 2, 17, 31: “provisa,” id. ib. 4, 3, 3: “a majoribus prodita fama,” id. ib. 2, 2, 4: “considerate etiam sapienterque fecerunt,” id. Phil. 4, 2, 6; 13, 6, 13: “vives sapienter,” Hor. Ep. 1, 10, 44: “agendum,” Ov. M. 13, 377: “temporibus uti,” Nep. Epam. 3, 1; Hor. C. 4, 9, 48.—Comp.: “facis sapientius Quam pars latronum, etc.,” Plaut. Curc. 4, 3, 15; id. Poen. prol. 7: “nemo est, qui tibi sapientius suadere possit te ipso,” Cic. Fam. 2, 7, 1: “sapientius fecisse,” id. Brut. 42, 155.—Sup.: “quod majores nostros et probavisse maxime et retinuisse sapientissime judico,” Cic. Rep. 2, 37, 63. Vide H. P. Grice, “Philosophy: love of wisdom, love of taste,” BANC.

res: reale: Grice: “Possibly the philosophically most important Roman neuter expression,” -- is res! "Unfortunately, the etymology is dubious." "Perhaps "res" comes from a root ra- of reor, ratus."- to reckon, calculate, believe, think, suppose, imagine, judge, deem, as in English 'ratify,' and 'reason.'  "I am reminded of German "ding;" English "thing," from "denken," to think; prop., that which is thought of." "I am also reminded of "λόγος," Lid. and Scott, 9, a thing, object, being; a matter, affair, event, fact, circumstance, occurrence, deed, condition, case, etc.; and sometimes merely = something (cf.: causa, ratio, negotium)." realism, the view that the subject matter of common sense or scientific research and scientific theories exists independently of our knowledge of it, and that the goal of science is the description and explanation of both observable and unobservable aspects of the world. Scientific realism is contrasted with logical empiricism and social constructivism. Early arguments for scientific realism simply stated that, in light of the impressive products and methods of science, realism is the only philosophy that does not make the success of science a miracle. Formulations of scientific realism focus on the objects of theoretical knowledge: theories, laws, and entities. One especially robust argument for scientific realism due to Putnam and Richard Boyd is that the instrumental reliability of scientific methodology in the mature sciences such as physics, chemistry, and some areas of biology can be explained adequately only if we suppose that theories in the mature sciences are at least approximately true and their central theoretical terms are at least partially referential Putnam no longer holds this view. More timid versions of scientific realism do not infer approximate truth of mature theories. For example, Ian Hacking’s “entity realism” 3 asserts that the instrumental manipulation of postulated entities to produce further effects gives us legitimate grounds for ontological commitment to theoretical entities, but not to laws or theories. Paul Humphreys’s “austere realism” 9 states that only theoretical commitment to unobserved structures or dispositions could explain the stability of observed outcomes of scientific inquiry. Distinctive versions of scientific realism can be found in works by Richard Boyd 3, Philip Kitcher 3, Richard Miller 7, William Newton-Smith 1, and J. D. Trout 8. Despite their differences, all of these versions of realism are distinguished  against logical empiricism  by their commitment that knowledge of unobservable phenomena is not only possible but actual. As well, all of the arguments for scientific realism are abductive; they argue that either the approximate truth of background theories or the existence of theoretical entities and laws provides the best explanation for some significant fact about the scientific theory or practice. Scientific realists address the difference between real entities and merely useful constructs, arguing that realism offers a better explanation for the success of science. In addition, scientific realism recruits evidence from the history and practice of science, and offers explanations for the success of science that are designed to honor the dynamic and uneven character of that evidence. Most arguments for scientific realism cohabit with versions of naturalism. Anti-realist opponents argue that the realist move from instrumental reliability to truth is question-begging. However, realists reply that such formal criticisms are irrelevant; the structure of explanationist arguments is inductive and their principles are a posteriori. 

applicatum, extensum -- extensio: scope, the “part” of the sentence or proposition to which a given term “applies” under a given interpretation of the sentence. If the sentence ‘Abe does not believe Ben died’ is interpreted as expressing the proposition that Abe believes that it is not the case that Ben died, the scope of ‘not’ is ‘Ben died’; interpreted as “It is not the case that Abe believes that Ben died,” the scope is the rest of the sentence, i.e., ‘Abe believes Ben died’. In the first case we have narrow scope, in the second wide scope. If ‘Every number is not even’ is interpreted with narrow scope, it expresses the false proposition that every number is non-even, which is logically equivalent to the proposition that no number is even. Taken with wide scope it expresses the truth that not every number is even, which is equivalent to the truth that some number is non-even. Under normal interpretations of the sentences, ‘hardened’ has narrow scope in ‘Carl is a hardened recidivist’, whereas ‘alleged’ has wide scope in ‘Dan is an alleged criminal’. Accordingly, ‘Carl is a hardened recidivist’ logically implies ‘Carl is a recidivist’, whereas ‘Dan is an alleged criminal’, being equivalent to ‘Allegedly, Dan is a criminal’, does not imply ‘Dan is a criminal’. Scope considerations are useful in analyzing structural ambiguity and in understanding the difference between the grammatical form of a sentence and the logical form of a proposition it expresses. In a logically perfect language grammatical form mirrors logical form, there is no scope ambiguity, and the scope of a given term is uniquely determined by its context. 

scupoli: very important Italian philosopher. Lorenzo Scupoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Lorenzo Scupoli (Laurentius Scupulus) Lorenzo Scupoli (Otranto, 1530 circa – Napoli, 28 novembre 1610) è stato un presbitero, religioso e scrittore italiano, appartenente all'ordine dei Chierici Regolari Teatini, e autore de Il combattimento spirituale, uno dei classici della spiritualità cattolica.   Indice Biografia 2Il combattimento spirituale 3Voci correlate 4Altri progetti 5                           Collegamenti esterni Biografia  Il combattimento spirituale Nato a Otranto verso il 1530, lo Scupoli ricevette come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini quasi quarantenne, nel 1569, per ricevere gli ordini sacri in soli otto anni. Fu discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine.  Al 1585 risale l'accusa di violazione della regola, per cui fu arrestato per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dovette attendere quasi la morte; intanto, sopportò l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e umanità.  Il combattimento spirituale Abbozzo cattolicesimo Questa sezione sull'argomento cattolicesimo è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. «"Con l’orazione porrai la spada in mano a Dio, perché combatta e vinca per te." La preghiera è dunque l’arma di tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli.»  (Padre Lino Pedron) Il combattimento spirituale, come afferma V. Gambi nell'introduzione all'opera delle ed. Paoline del 1960, è un trattato di strategia spirituale che come altre opere e vicino alla spiritualità ignaziana conduce l'anima a una perfezione tutta interiore. L'opera indica cinque mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: 1. Sfiducia in sé 2. pienissima confidenza in Dio 3. combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù 4. preghiera e meditazione 5. comunione.  Voci correlate Spiritualità Imitazione di Cristo Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Lorenzo Scupoli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lorenzo Scupoli Collegamenti esterni Testo del Combattimento spirituale, su monasterovirtuale.it. URL consultato il 6 gennaio 2019 (archiviato dall'url originale il 6 gennaio 2019). Controllo di autoritàVIAF (EN) 19719383 · ISNI (EN) 0000 0001 1022 1323 · SBN IT\ICCU\CUBV\144230 · LCCN (EN) n85115812 · GND (DE) 123377145 · BNF (FR) cb121719343 (data) · BNE (ES) XX1185313 (data) · CERL cnp00467393 · NDL (EN, JA) 00552028 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85115812 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Letteratura Portale Letteratura Categorie: Presbiteri italianiReligiosi italianiScrittori italiani del XVI secoloMorti nel 1610Morti il 28 novembreNati a OtrantoMorti a Napoli[alter]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Stabile Giampiero Stabile Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giampiero Stabile (Sapri, 1951 – Salerno, 1984) è stato un filosofo italiano.  Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia europea dei valori, divenne ricercatore di Storia della Filosofia all'Università di Salerno. Già in giovanissima età pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò inoltre, con Pierangelo Schiera, alla direzione della collana di testi e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.[1]. Nel 1985 l'Università di Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron".  Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca privata di Giampiero Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di Giampiero Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Università di Salerno.  Pubblicazioni Monografie  Valore morale e società nel pensiero di Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di magistero, 1976, 116 p. Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia, 1979, 155 p. Monografie in collaborazione e a cura di  Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori, 1983, 229 p. Pierre Charron, Piccolo trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, 1985, 130 p. Articoli di riviste  Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», A. 4, n. 3, 1977, p. 381-420 Note ^ Vittorio Dini e Domenico Taranto (a cura di), La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1987, pp. 4-5. Bibliografia Vittorio Dini e Domenico Taranto (a cura di), La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1987, p. 437. Voci correlate Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno Collegamenti esterni Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Università di Salerno Controllo di autoritàVIAF (EN) 38184390 · ISNI (EN) 0000 0001 0231 8459 · LCCN (EN) n79005836 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79005836 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1951Morti nel 1984Nati a SapriMorti a Salerno[altre]

Stefanini Luigi Stefanini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «L’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di comunicazione tra le persone»  (Luigi Stefanini, da La mia prospettiva filosofica)  Luigi Stefanini Luigi Stefanini (Treviso, 3 novembre 1891 – Padova, 16 gennaio 1956) è stato un filosofo e pedagogista italiano.  Nasce a Treviso, il 3 novembre del 1891, secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli.[1]  Fin da giovane, è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova nel 1910, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera del filosofo francese[2], avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche.  Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919 consegue pure una seconda laurea in lettere all'Università di Padova, con una tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento nelle scuole.  Nel 1920 è eletto consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo, dimettendosi nel 1922 e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano.  Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Università di Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Università di Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia nel 1940 che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Università di Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.[3]  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nel 1933 per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Nel 1956 ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.  Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre.  Attività e pensiero Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettiva – questa – che permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista[4], sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della persona (1950) e Personalismo sociale (1952).  Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: L'esistenzialismo di M. Heidegger (1944), Spiritualismo cristiano (1944), Gioberti (1947), Il dramma filosofico della Germania (1948), Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (1952), Personalismo sociale (1952), Estetica (1953), Trattato di estetica (1955); viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico (1956).  Note ^ Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno 2019. Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano, 2002. ^ Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova, 1914). ^ Cfr. Laura Corrieri, cit. ^ Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principali Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, 1925. Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, 1926. Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1931. Platone, 2 voll., Padova, Cedam, 1932-35 (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova, 1991). Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, 1933. Imaginismo come problema filosofico, Vol. I, Padova, Cedam, 1936. Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, 1939. La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, 1944. Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, 1947. Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova, Editoria Liviana, 1948. La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova, 1996 (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, 1952. Itinéraires métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, 1952. Estetica, Roma, Edizioni Studium, 1953. Trattato di Estetica, Vol. I: L'arte nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, 1960 (prima edizione del 1955). Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, 1955. Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini".  Bibliografia AA.VV., Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, 1991. Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, 2006. Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, a cura di Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, 2012. Michele Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in AA.VV., Frammenti di filosofia contemporanea, a cura di I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2017, Vol. XXI. Matteo De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2017, Armando Rigobello (a cura di), Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, 1960. Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Numero 2, Anno 1952. Collegamenti esterni Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it. V · D · M Vincitori del Premio Marzotto (1951-1968) Controllo di autoritàVIAF (EN) 64050294 · ISNI (EN) 0000 0001 1067 5034 · SBN IT\ICCU\CFIV\117175 · LCCN (EN) n79124624 · GND (DE) 119529475 · BNF (FR) cb12183636n (data) · BNE (ES) XX1111278 (data) · BAV (EN) 495/96679 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79124624 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloPedagogisti italianiNati nel 1891Morti nel 1956Nati il 3 novembreMorti il 16 gennaioNati a TrevisoMorti a Padova[altre]

Stella Federico Stella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l'attore e uomo di teatro napoletano, vedi Federico Stella (attore). Federico Stella (Sernaglia della Battaglia, 1935 – Milano, 8 luglio 2006) è stato un giurista, filosofo e avvocato italiano. È stato inoltre professore ordinario di Diritto penale e filosofo del diritto. Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio Vescovile Pio X di Treviso si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu allievo di Alberto Crespi. Divenne professore di diritto penale nel 1970, dapprima nell'Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso l'Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa, avvenuta nel 2006.[1]  Causalità e leggi scientifiche I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale (1975), monografia in cui Stella ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi: solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.  Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale.  Propose, attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della Dottrina processual penalistica, il principio venne accolto - in tema di nesso causale - dalla Corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite; oggi è norma codicistica.  Attività ulteriori Diresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.  Nei successivi decenni gli interessi scientifici di Stella si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto.  Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.  Principali pubblicazioni L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, 1967. La descrizione dell'evento, Milano, 1970. Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975, seconda edizione 2000. Giustizia e modernità, Milano, 3ª ed. 2003. I saperi del giudice, Milano, 2004. ll giudice corpuscolariano, Milano, 2005. La giustizia e le ingiustizie, Bologna, 2006. Note ^ Addio A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, 10 luglio 2006, p. 29. Archivio storico. Collegamenti esterni Il centro di ricerca Federico Stella biografia e bibliografia. Università Cattolica del Sacro Cuore. Controllo di autorità                                         VIAF (EN) 245496986 · ISNI (EN) 0000 0000 8426 9779 · SBN IT\ICCU\CFIV\013282 · LCCN (EN) n80094234 · BNF (FR) cb13757373j (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n80094234 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XX secoloGiuristi italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAvvocati italiani del XX secoloAvvocati italiani del XXI secoloNati nel 1935Morti nel 2006Morti l'8 luglioNati a Sernaglia della BattagliaMorti a MilanoAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloProfessori dell'Università Cattolica del Sacro CuoreProfessori dell'Università degli Studi di CataniaFilosofi del dirittoStudenti dell'Università Cattolica del Sacro CuoreStudiosi di diritto penale del XX secoloStudiosi di diritto penale del XXI secolo[altre]

Stellini Jacopo Stellini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Jacopo Stellini Jacopo Stellini (Cividale, 27 aprile 1699 – Padova, 27 marzo 1770) è stato un abate, scrittore, filosofo e professore di filosofia italiano.   Jacopo Stellini Nato a Cividale (e non, come appare su altre fonti basatesi sull'errata lettura dell'atto di battesimo di un Jacopo Stulin, a Tribil di Sopra) nel 1699, si interessò di medicina, matematica e critica letteraria. Sebbene autore di svariate poesie, la sua fama è dovuta soprattutto al saggio in latino De ortu et progressu morum stampato nel 1740.  La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologia.  A lui è stato dedicato l'omonimo liceo classico di Udine, fondato nel 1808 e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini.  Collegamenti esterni Enciclopedia Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Controllo di autoritàVIAF (EN) 12668725 · ISNI (EN) 0000 0001 2099 192X · SBN IT\ICCU\RAVV\048150 · LCCN (EN) no2009028304 · GND (DE) 103197086X · BNF (FR) cb10455084z (data) · BAV (EN) 495/313305 · CERL cnp00953570 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2009028304 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Abati e badesse italianiScrittori italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1699Morti nel 1770Nati il 27 aprileMorti il 27 marzoNati a Cividale del FriuliMorti a Padova[altre]


Sterlich Romualdo De Sterlich Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Romualdo De Sterlich (Chieti, 12 settembre 1712 – Chieti, 6 marzo 1788) è stato un filosofo italiano.  Figlio del marchese Rinaldo De Sterlich (di famiglia originaria dei paesi di lingua tedesca) e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studiò a Napoli nel Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. Fu proprio questa esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti, che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. All'età di vent'anni tornò a Chieti e sposò Giuditta Castiglione (di famiglia aristocratica di Penne) da cui ebbe una numerosa prole (una ventina di figli di cui solo una decina sopravvissero ai primi anni mentre gli altri si spensero in tenera età). La cura della famiglia e dei beni ereditati dal padre (di cui era l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e, alla metà del secolo XVIII, per superare l'isolamento culturale che gli veniva imposto dal dover vivere a Chieti, cominciò a costituire la sua personale biblioteca. Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che nel 1776 contava 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno. L'intento di de Sterlich era di mettere la stessa a disposizione della città di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella Biblioteca Provinciale «G. D'Annunzio» di Pescara, nella Biblioteca Provinciale «A.C. De Meis» di Chieti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, etc. Sarebbe molto riduttivo considerare de Sterlich come solo un collezionista di libri. Egli li raccoglieva per elaborarli e per creare le sue riflessioni e i suoi pensieri. De Sterlich si rivela così aggiornatissimo sui dibattiti culturali europei del Settecento ed è tra i primi italiani a leggere e commentare le opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi europei. Di questa partecipazione alla cultura illuministica europea ne è testimonianza un copioso scambio di lettere con altri intellettuali (Antonio Genovesi, Giovanni Antonio Battarra, Giovanni Lami, Giovanni Bianchi, Gaspare de Torres) dell'epoca. Questo ricco carteggio è un documento prezioso per delineare il passaggio in Italia alla cultura illuministica e rappresenta l'impronta da lui lasciata nel panorama culturale del Settecento Italiano. Romualdo de Sterlich lasciò anche alcune testimonianze scritte del suo pensiero: due Dialoghi di Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Giovanni Lami, de Sterlich entrò a far parte dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Georgofili. Romualdo de Sterlich si spense a Chieti il 6 marzo 1788 e fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco di Paola.  Bibliografia Cepparrone Luigi, L'illuminismo europeo nell'epistolario di Romualdo De Sterlich, Sestante Ed., Collana Bergamo University Press, 2008. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Romualdo De Sterlich Collegamenti esterni Il sito dell'Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Programmatori “R. de Sterlich” - Chieti Scalo, su desterlich.ch.it. URL consultato il 4 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 18 dicembre 2008). Controllo di autorità                                       VIAF (EN) 32159378 · ISNI (EN) 0000 0000 5295 9628 · LCCN (EN) nr97022624 · GND (DE) 119474573 · BNF (FR) cb13531915t (data) · BAV (EN) 495/376701 · CERL cnp00556720 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr97022624 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1712Morti nel 1788Nati il 12 settembreMorti il 6 marzoNati a ChietiMorti a Chieti[altre]


Steuco Agostino Steuco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Agostino Steuco vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop.svg   Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos   Nato1497 a Gubbio Consacrato vescovo1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia   Manuale Agostino Steuco (Gubbio, 1497 – Venezia, 1548) è stato un filologo, antiquario e filosofo italiano. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento.  Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino.  Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Nel 1529 fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola.  Negli anni successivi (1529-1533) Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico.  Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Nel 1541 si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V.  Quantunque mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte nel 1548.  Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale.  Come umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma.  Nel 1547 Steuco fu mandato da papa Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì nel 1548, all'età di cinquantatré anni, mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. Nel 1591 le sue ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio.  Bibliografia Agostino Steuco, De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, 1542. Voci correlate Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco Collegamenti esterni Agostino Steuco, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Vincenzo Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Agostino Steuco, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata (EN) Hugh Chisholm (a cura di), Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press, 1911. Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it. URL consultato il 5 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 6 gennaio 2018). Controllo di autoritàVIAF (EN) 59880366 · ISNI (EN) 0000 0001 1797 8900 · SBN IT\ICCU\RMLV\023942 · LCCN (EN) nr96017016 · GND (DE) 118798782 · BNF (FR) cb121020990 (data) · BAV (EN) 495/11614 · CERL cnp01325045 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr96017016 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filologi italianiAntiquari italianiFilosofi italiani del XVI secoloNati nel 1497Morti nel 1548Nati a GubbioMorti a VeneziaEbraisti italianiBiblisti italiani[altre]

first-order predicate calculus with time-relative identity: - second-order logic, the logic of languages that contain, in addition to variables ranging over objects, variables ranging over properties, relations, functions, or classes of those objects. A model, or interpretation, of a formal language usually contains a domain of discourse. This domain is what the language is about, in the model in question. Variables that range over this domain are called first-order variables. If the language contains only first-order variables, it is called a first-order language, and it is within the purview of first-order logic. Some languages also contain variables that range over properties, relations, functions, or classes of members of the domain of discourse. These are second-order variables. A language that contains first-order and second-order variables, and no others, is a secondorder language. The sentence ‘There is a property shared by all and only prime numbers’ is straightforwardly rendered in a second-order language, because of the bound variable ranging over properties. There are also properties of properties, relations of properties, and the like. Consider, e.g., the property of properties expressed by ‘P has an infinite extension’ or the relation expressed by ‘P has a smaller extension than Q’. A language with variables ranging over such items is called thirdorder. This construction can be continued, producing fourth-order languages, etc. A language is called higher-order if it is at least second-order. Deductive systems for second-order languages are obtained from those for first-order languages by adding straightforward extensions of the axioms and rules concerning quantifiers that bind first-order variables. There may also be an axiom scheme of comprehension: DPExPx S Fx, one instance for each formula F that does not contain P free. The scheme “asserts” that every formula determines the extension of a property. If the language has variables ranging over functions, there may also be a version of the axiom of choice: ERExDyRxy P DfExRxfx. In standard semantics for second-order logic, a model of a given language is the same as a model for the corresponding first-order language. The relation variables range over every relation over the domain-of-discourse, the function variables range over every function from the domain to the domain, etc. In non-standard, or Henkin semantics, each model consists of a domain-ofdiscourse and a specified collection of relations, functions, etc., on the domain. The latter may not include every relation or function. The specified collections are the range of the second-order variables in the model in question. In effect, Henkin semantics regards second-order languages as multi-sorted, first-order languages. 

secundum quid: in a certain respect, or with a qualification. Fallacies can arise from confusing what is true only secundum quid with what is true simpliciter ‘without qualification’, ‘absolutely’, ‘on the whole’, or conversely. Thus a strawberry is red simpliciter on the whole. But it is black, not red, with respect to its seeds, secundum quid. By ignoring the distinction, one might mistakenly infer that the strawberry is both red and not red. Again, a certain thief is a good cook, secundum quid; but it does not follow that he is good simpliciter without qualification. Aristotle was the first to recognize the fallacy secundum quid et simpliciter explicitly, in his Sophistical Refutations. On the basis of some exceptionally enigmatic remarks in the same work, the liar paradox was often regarded in the Middle Ages as an instance of this fallacy. 

deceptum sui: Auto-deception – D. F. Pears -- self-deception, 1 purposeful action to avoid unpleasant truths and painful topics about oneself or the world; 2 unintentional processes of denial, avoidance, or biased perception; 3 mental states resulting from such action or processes, such as ignorance, false belief, wishful thinking, unjustified opinions, or lack of clear awareness. Thus, parents tend to exaggerate the virtues of their children; lovers disregard clear signs of unreciprocated affection; overeaters rationalize away the need to diet; patients dying of cancer pretend to themselves that their health is improving. In some contexts ‘self-deception’ is neutral and implies no criticism. Deceiving oneself can even be desirable, generating a vital lie that promotes happiness or the ability to cope with difficulties. In other contexts ‘self-deception’ has negative connotations, suggesting bad faith, false consciousness, or what Joseph Butler called “inner hypocrisy”  the refusal to acknowledge our wrongdoing, character flaws, or onerous responsibilities. Existentialist philosophers, like Kierkegaard, Heidegger, and most notably Sartre Being and Nothingness, 3, denounced self-deception as an inauthentic dishonest, cowardly refusal to confront painful though significant truths, especially about freedom, responsibility, and death. Herbert Fingarette, however, argued that self-deception is morally ambiguous  neither clearly blameworthy nor clearly faultless  because of how it erodes capacities for acting rationally Self-Deception, 9. The idea of intentionally deceiving oneself seems paradoxical. In deceiving other people I usually know a truth that guides me as I state the opposite falsehood, intending thereby to mislead them into believing the falsehood. Five difficulties seem to prevent me from doing anything like that to myself. 1 With interpersonal deception, one person knows something that another person does not. Yet self-deceivers know the truth all along, and so it seems they cannot use it to make themselves ignorant. One solution is that self-deception occurs over time, with the initial knowledge becoming gradually eroded. Or perhaps selfdeceivers only suspect rather than know the truth, and then disregard relevant evidence. 2 If consciousness implies awareness of one’s own conscious acts, then a conscious intention to deceive myself would be self-defeating, for I would remain conscious of the truth I wish to flee. Sartre’s solution was to view self-deception as spontaneous and not explicitly reflected upon. Freud’s solution was to conceive of self-deception as unconscious repression. 3 It seems that self-deceivers believe a truth that they simultaneously get themselves not to believe, but how is that possible? Perhaps they keep one of two conflicting beliefs unconscious or not fully conscious. 4 Self-deception suggests willfully creating beliefs, but that seems impossible since beliefs cannot voluntarily be chosen. Perhaps beliefs can be indirectly manipulated by selectively ignoring and attending to evidence. 5 It seems that one part of a person the deceiver manipulates another part the victim, but such extreme splits suggest multiple personality disorders rather than self-deception. Perhaps we are composed of “subselves”  relatively unified clusters of elements in the personality. Or perhaps at this point we should jettison interpersonal deception as a model for understanding self-deception.  .

determinatum sui: auto-determination -- self-determination, the autonomy possessed by a community when it is politically independent; in a strict sense, territorial sovereignty. Within international law, the principle of self-determination appears to grant every people a right to be self-determining, but there is controversy over its interpretation. Applied to established states, the principle calls for recognition of state sovereignty and non-intervention in internal affairs. By providing for the self-determination of subordinate communities, however, it can generate demands for secession that conflict with existing claims of sovereignty. Also, what non-self-governing groups qualify as beneficiaries? The national interpretation of the principle treats cultural or national units as the proper claimants, whereas the regional interpretation confers the right of self-determination upon the populations of well-defined regions regardless of cultural or national affiliations. This difference reflects the roots of the principle in the doctrines of nationalism and popular sovereignty, respectively, but complicates its application. 

evidens sui: (after ‘causa sui’), self-evidence, the property of being self-evident. Only true propositions or truths are self-evident, though false propositions can appear to be self-evident. It is widely held that a true proposition is self-evident if and only if one would be justified in believing it if one adequately understood it. Some would also require that self-evident propositions are known if believed on the basis of such an understanding. Some self-evident propositions are obvious, such as the proposition that all stags are male, but others are not, since it may take considerable reflection to achieve an adequate understanding of them. That slavery is wrong and that there is no knowledge of falsehoods are perhaps examples of the latter. Not all obvious propositions are self-evident, e.g., it is obvious that a stone will fall if dropped, but adequate understanding of that claim does not by itself justify one in believing it. An obvious proposition is one that immediately seems true for anyone who adequately understands it, but its obviousness may rest on wellknown and commonly accepted empirical facts, not on understanding. All analytic propositions are self-evident but not all self-evident propositions are analytic. The propositions that if A is older than B, then B is younger than A, and that no object can be red and green all over at the same time and in the same respects, are arguably self-evident but not analytic. All self-evident propositions are necessary, for one could not be justified in believing a contingent proposition simply in virtue of understanding it. However, not all necessary propositions are self-evident, e.g., that water is H2O and that temperature is the measure of the molecular activity in substances are necessary but not self-evident. A proposition can appear to be selfevident even though it is not. For instance, the proposition that all unmarried adult males are bachelors will appear self-evident to many until they consider that the pope is such a male. A proposition may appear self-evident to some but not to others, even though it must either have or lack the property of being self-evident. Self-evident propositions are knowable non-empirically, or a priori, but some propositions knowable a priori are not self-evident, e.g., certain conclusions of long and difficult chains of mathematical reasoning. 

auto-present: self-presenting, in the philosophy of Meinong, having the ability  common to all mental states  to be immediately present to our thought. “Meinong was too German to be English – take ‘wahrnehmen,’ to perceive, to take notice, to ‘verum’-sit.!” Warhnehmungvorstellung is perceptual representation – Chisholm, alas, never gives, typically in a second-tier varsity, to give the correct citation, when he claims, to impress, that he is ‘borrowing’ from Meinong, never to return! (“also typical of a second-tier!” -- Grice). In Meinong’s view, no mental state can be presented to our thought in any other way  e.g., indirectly, via a Lockean “idea of reflection.” The only way to apprehend a mental state is to experience or “live through” it. The experience involved in the apprehension of an external object has thus a double presentational function: 1 via its “content” it presents the object to our thought; 2 as its own “quasi-content” it presents itself immediately to our thought. In the contemporary era, Roderick Chisholm has based his account of empirical knowledge in part on a related concept of the self-presenting. In Chisholm’s sense  the definition of which we omit here  all self-presenting states are mental, but not conversely; for instance, being depressed because of the death of one’s spouse would not be self-presenting. In Chisholm’s epistemology, self-presenting states are a source of certainty in the following way: if F is a self-presenting state, then to be certain that one is in state F it is sufficient that one is, and believes oneself to be in state F. Cf. untranslatable, ‘sui,’ ‘ipse,’ ‘idem’. Presentatum de se.

self-reproducing automaton: a formal model of self-reproduction of a kind introduced by von Neumann. He worked with an intuitive robot model and then with a well-defined cellular automaton model. Imagine a class of robotic automata made of robot parts and operating in an environment of such parts. There are computer parts switches, memory elements, wires, input-output parts sensing elements, display elements, action parts grasping and moving elements, joining and cutting elements, and straight bars to maintain structure and to employ in a storage tape. There are also energy sources that enable the robots to operate and move around. These five categories of parts are sufficient for the construction of robots that can make objects of various kinds, including other robots. These parts also clearly suffice for making a robot version of any finite automaton. Sensing and acting parts can then be added to this robot so that it can make an indefinitely expandable storage tape from straight bars. A “blank tape” consists of bars joined in sequence, and the robot stores information on this tape by attaching bars or not at the junctions. If its finite automaton part can execute programs and is sufficiently powerful, such a robot is a universal computing robot cf. a universal Turing machine. A universal computing robot can be augmented to form a universal constructing robot  a robot that can construct any robot, given its description. Let r be any robot with an indefinitely expandable tape, let Fr be the description of its finite part, and let Tr be the information on its tape. Now take a universal computing robot and augment it with sensing and acting devices and with programs so that when Fr followed by Tr is written on its tape, this augmented universal computer performs as follows. First, it reads the description Fr, finds the needed parts, and constructs the finite part of r. Second, it makes a blank tape, attaches it to the finite part of r, and then copies the information Tr from its own tape onto the new tape. This augmentation of a universal computing robot is a universal constructor. For when it starts with the information Fr,Tr written on its tape, it will construct a copy of r with Tr on its tape. Robot self-reproduction results from applying the universal constructor to itself. Modify the universal constructor slightly so that when only a description Fr is written on its tape, it constructs the finite part of r and then attaches a tape with Fr written on it. Call this version of the universal constructor Cu. Now place Cu’s description FCu on its own tape and start it up. Cu first reads this description and constructs a copy of the finite part of itself in an empty region of the cellular space. Then it adds a blank tape to the new construction and copies FCu onto it. Hence Cu with FCu on its tape has produced another copy of Cu with FCu on its tape. This is automaton self-reproduction. This robot model of self-reproduction is very general. To develop the logic of self-reproduction further, von Neumann first extended the concept of a finite automaton to that of an infinite cellular automaton consisting of an array or “space” of cells, each cell containing the same finite automaton. He chose an infinite checkerboard array for modeling self-reproduction, and he specified a particular twenty-nine-state automaton for each square cell. Each automaton is connected directly to its four contiguous neighbors, and communication between neighbors takes one or two time-steps. The twenty-nine states of a cell fall into three categories. There is a blank state to represent the passivity of an empty area. There are twelve states for switching, storage, and communication, from which any finite automaton can be constructed in a sufficiently large region of cells. And there are sixteen states for simulating the activities of construction and destruction. Von Neumann chose these twenty-nine states in such a way that an area of non-blank cells could compute and grow, i.e., activate a path of cells out to a blank region and convert the cells of that region into a cellular automaton. A specific cellular automaton is embedded in this space by the selection of the initial states of a finite area of cells, all other cells being left blank. A universal computer consists of a sufficiently powerful finite automaton with a tape. The tape is an indefinitely long row of cells in which bits are represented by two different cell states. The finite automaton accesses these cells by means of a construction arm that it extends back and forth in rows of cells contiguous to the tape. When activated, this finite automaton will execute programs stored on its tape. A universal constructor results from augmenting the universal computer cf. the robot model. Another construction arm is added, together with a finite automaton controller to operate it. The controller sends signals into the arm to extend it out to a blank region of the cellular space, to move around that region, and to change the states of cells in that region. After the universal constructor has converted the region into a cellular automaton, it directs the construction arm to activate the new automaton and then withdraw from it. Cellular automaton selfreproduction results from applying the universal constructor to itself, as in the robot model. Cellular automata are now studied extensively by humans working interactively with computers as abstract models of both physical and organic systems. See Arthur W. Burks, “Von Neumann’s Self-Reproducing Automata,” in Papers of John von Neumann on Computers and Computer Theory, edited by William Aspray and Arthur Burks, 7. The study of artificial life is an outgrowth of computer simulations of cellular automata and related automata. Cellular automata organizations are sometimes used in highly parallel computers. 

semantic: semantic – Grice saw ‘semantics’ (he detested the pretentious ‘pragmatics’) as a branch of philosophy. “Surely we cannot expect someone whose training includes phonetics, a totally physical science, to have any saying on the nuances of the communicatum, which is all semantics is about!” -- H. P. Grice, “Logic and conversation” – “Meaning,” in P. F. Strawson, “Philosophical Logic,” Oxford -- the arena of philosophy devoted to examining the scope and nature of logic. Aristotle considered logic an organon, or foundation, of knowledge. Certainly, inference is the source of much human knowledge. Logic judges inferences good or bad and tries to justify those that are good. One need not agree with Aristotle, therefore, to see logic as essential to epistemology. Philosophers such as Vitters, additionally, have held that the structure of language reflects the structure of the world. Because inferences have elements that are themselves linguistic or are at least expressible in language, logic reveals general features of the structure of language. This makes it essential to linguistics, and, on a Vittersian view, to metaphysics. Moreover, many philosophical battles have been fought with logical weaponry. For all these reasons, philosophers have tried to understand what logic is, what justifies it, and what it tells us about reason, language, and the world. The nature of logic. Logic might be defined as the science of inference; inference, in turn, as the drawing of a conclusion from premises. A simple argument is a sequence, one element of which, the conclusion, the others are thought to support. A complex argument is a series of simple arguments. Logic, then, is primarily concerned with arguments. Already, however, several questions arise. 1 Who thinks that the premises support the conclusion? The speaker? The audience? Any competent speaker of the language? 2 What are the elements of arguments? Thoughts? Propositions? Philosophers following Quine have found these answers unappealing for lack of clear identity criteria. Sentences are more concrete and more sharply individuated. But should we consider sentence tokens or sentence types? Context often affects interpretation, so it appears that we must consider tokens or types-in-context. Moreover, many sentences, even with contextual information supplied, are ambiguous. Is a sequence with an ambiguous sentence one argument which may be good on some readings and bad on others or several? For reasons that will become clear, the elements of arguments should be the primary bearers of truth and falsehood in one’s general theory of language. 3 Finally, and perhaps most importantly, what does ‘support’ mean? Logic evaluates inferences by distinguishing good from bad arguments. This raises issues about the status of logic, for many of its pronouncements are explicitly normative. The philosophy of logic thus includes problems of the nature and justification of norms akin to those arising in metaethics. The solutions, moreover, may vary with the logical system at hand. Some logicians attempt to characterize reasoning in natural language; others try to systematize reasoning in mathematics or other sciences. Still others try to devise an ideal system of reasoning that does not fully correspond to any of these. Logicians concerned with inference in natural, mathematical, or scientific languages tend to justify their norms by describing inferential practices in that language as actually used by those competent in it. These descriptions justify norms partly because the practices they describe include evaluations of inferences as well as inferences themselves. The scope of logic. Logical systems meant to account for natural language inference raise issues of the scope of logic. How does logic differ from semantics, the science of meaning in general? Logicians have often treated only inferences turning on certain commonly used words, such as ‘not’, ‘if’, ‘and’, ‘or’, ‘all’, and ‘some’, taking them, or items in a symbolic language that correspond to them, as logical constants. They have neglected inferences that do not turn on them, such as My brother is married. Therefore, I have a sister-in-law. Increasingly, however, semanticists have used ‘logic’ more broadly, speaking of the logic of belief, perception, abstraction, or even kinship.  Such uses seem to treat logic and semantics as coextensive. Philosophers who have sought to maintain a distinction between the semantics and logic of natural language have tried to develop non-arbitrary criteria of logical constancy. An argument is valid provided the truth of its premises guarantees the truth of its conclusion. This definition relies on the notion of truth, which raises philosophical puzzles of its own. Furthermore, it is natural to ask what kind of connection must hold between the premises and conclusion. One answer specifies that an argument is valid provided replacing its simple constituents with items of similar categories while leaving logical constants intact could never produce true premises and a false conclusion. On this view, validity is a matter of form: an argument is valid if it instantiates a valid form. Logic thus becomes the theory of logical form. On another view, an argument is valid if its conclusion is true in every possible world or model in which its premises are true. This conception need not rely on the notion of a logical constant and so is compatible with the view that logic and semantics are coextensive. Many issues in the philosophy of logic arise from the plethora of systems logicians have devised. Some of these are deviant logics, i.e., logics that differ from classical or standard logic while seeming to treat the same subject matter. Intuitionistic logic, for example, which interprets the connectives and quantifiers non-classically, rejecting the law of excluded middle and the interdefinability of the quantifiers, has been supported with both semantic and ontological arguments. Brouwer, Heyting, and others have defended it as the proper logic of the infinite; Dummett has defended it as the correct logic of natural language. Free logic allows non-denoting referring expressions but interprets the quantifiers as ranging only over existing objects. Many-valued logics use at least three truthvalues, rejecting the classical assumption of bivalence  that every formula is either true or false. Many logical systems attempt to extend classical logic to incorporate tense, modality, abstraction, higher-order quantification, propositional quantification, complement constructions, or the truth predicate. These projects raise important philosophical questions. Modal and tense logics. Tense is a pervasive feature of natural language, and has become important to computer scientists interested in concurrent programs. Modalities of several sorts  alethic possibility, necessity and deontic obligation, permission, for example  appear in natural language in various grammatical guises. Provability, treated as a modality, allows for revealing formalizations of metamathematics. Logicians have usually treated modalities and tenses as sentential operators. C. I. Lewis and Langford pioneered such approaches for alethic modalities; von Wright, for deontic modalities; and Prior, for tense. In each area, many competing systems developed; by the late 0s, there were over two hundred axiom systems in the literature for propositional alethic modal logic alone. How might competing systems be evaluated? Kripke’s semantics for modal logic has proved very helpful. Kripke semantics in effect treats modal operators as quantifiers over possible worlds. Necessarily A, e.g., is true at a world if and only if A is true in all worlds accessible from that world. Kripke showed that certain popular axiom systems result from imposing simple conditions on the accessibility relation. His work spawned a field, known as correspondence theory, devoted to studying the relations between modal axioms and conditions on models. It has helped philosophers and logicians to understand the issues at stake in choosing a modal logic and has raised the question of whether there is one true modal logic. Modal idioms may be ambiguous or indeterminate with respect to some properties of the accessibility relation. Possible worlds raise additional ontological and epistemological questions. Modalities and tenses seem to be linked in natural language, but attempts to bring tense and modal logic together remain young. The sensitivity of tense to intra- and extralinguistic context has cast doubt on the project of using operators to represent tenses. Kamp, e.g., has represented tense and aspect in terms of event structure, building on earlier work by Reichenbach. Truth. Tarski’s theory of truth shows that it is possible to define truth recursively for certain languages. Languages that can refer to their own sentences, however, permit no such definition given Tarski’s assumptions  for they allow the formulation of the liar and similar paradoxes. Tarski concluded that, in giving the semantics for such a language, we must ascend to a more powerful metalanguage. Kripke and others, however, have shown that it is possible for a language permitting self-reference to contain its own truth    680 predicate by surrendering bivalence or taking the truth predicate indexically. Higher-order logic. First-order predicate logic allows quantification only over individuals. Higher-order logics also permit quantification over predicate positions. Natural language seems to permit such quantification: ‘Mary has every quality that John admires’. Mathematics, moreover, may be expressed elegantly in higher-order logic. Peano arithmetic and Zermelo-Fraenkel set theory, e.g., require infinite axiom sets in firstorder logic but are finitely axiomatizable  and categorical, determining their models up to isomorphism  in second-order logic. Because they quantify over properties and relations, higher-order logics seem committed to Platonism. Mathematics reduces to higher-order logic; Quine concludes that the latter is not logic. Its most natural semantics seems to presuppose a prior understanding of properties and relations. Also, on this semantics, it differs greatly from first-order logic. Like set theory, it is incomplete; it is not compact. This raises questions about the boundaries of logic. Must logic be axiomatizable? Must it be possible, i.e., to develop a logical system powerful enough to prove every valid argument valid? Could there be valid arguments with infinitely many premises, any finite fragment of which would be invalid? With an operator for forming abstract terms from predicates, higher-order logics easily allow the formulation of paradoxes. Russell and Whitehead for this reason adopted type theory, which, like Tarski’s theory of truth, uses an infinite hierarchy and corresponding syntactic restrictions to avoid paradox. Type-free theories avoid both the restrictions and the paradoxes, as with truth, by rejecting bivalence or by understanding abstraction indexically. Refs.: H. P. Grice, “Why I don’t use ‘logic,’ but I use ‘semantic.’”Grice was careful with what he felt was an abuse of ‘semantic’ – v. Evans: “Meaning and truth: essayis in semantics.” “Well, that’s what ‘meaning’ means, right?” The semantics is more reated to the signatum than to the significatum. The Grecians did not have anything remotely similar to the significatum, which is all about the making (facere) of a sign (as in Grice’s example of the handwave). This is the meaning Grice gives to ‘semantics.’ There is no need for the handwave to be part of a system of communication, or have syntactic structure, or be ‘arbitrary.’ Still, one thing is communicated from the emissor to his recipient, and that is all count. “I know the route” is the message, or “I will leave you soon.” The handwave may be ambiguous. Grice is aware that formalists like Hilbert and Gentzen think that they can do without semantics – but as long as there is something ‘transmitted,’ or ‘messaged,’ it cannot. In the one-off predicament, Emissor E emits x and communicates that p. Since an intention with a content involving a psychological state is involved and attached, even in a one-off, to ‘x,’ we can legitimately say the scenario may be said to describe a ‘semantic’ phenomenon. Grice would freely use ‘semantic,’ and the root for ‘semantics,’ that Grice does use, involves the richest root of all Grecian roots: the ‘semion.’ Liddell and Scott have “τό σημεῖον,” Ion. σημήϊον , Dor. σα_μήϊον IG12(3).452 (Thera, iv B.C.), σα_μεῖον IPE12.352.25 (Chersonesus, ii B.C.), IG5(1).1390.16 (Andania, i B.C.), σα_μᾶον CIG5168 (Cyrene); = σῆμα in all senses, and more common in Prose, but never in Hom. or Hes.; and which they render as “mark by which a thing is known,” Hdt.2.38;” they also have “τό σῆμα,” Dor. σᾶμα Berl.Sitzb.1927.161 (Cyrene), etc.; which they render as “sign, mark, token,” “ Il.10.466, 23.326, Od.19.250, etc.” Grice lectured not only on Cat. But the next, De Int. As Arsitotle puts it, an expression is a symbol (symbolon) or sign (semeion) of an affections or impression (pathematon) of the soul (psyche). An affection of the soul, of which a word is  primarily a sign, are the same for the whole of mankind, as is also objects (pragmaton) of which the affections is a representation or likenes, image, or copiy (homoiomaton).  [De Int., 1.16a4]  while Grice is NOT concerned about the semantics of utterers meaning (how could he, when he analyses  means  in terms of  intends , he is about the semantics of  expression-meaning. Grices second stage (expression meaing) of his programme about meaning begins with specifications of means as applied to x, a token of X. He is having Tarski and Davidson in their elaborations of schemata like ‘p’ ‘means’ that p. ‘Snow is white’ ‘means’ that snow is white, and stuff! Grice was especially concerned with combinatories, for both unary and dyadic operators, and with multiple quantifications within a first-order predicate calculus with identity. Since in Grice’s initial elaboration on meaning he relies on Stevenson, it is worth exploring how ‘semantics’ and ‘semiotics’ were interpreted by Peirce and the emotivists. Stevenson’s main source is however in the other place, though, under Stevenson. Semantics – communication – H. P. Grice, “Implicaturum and Explicature: The basis of communication” – “Communication and Intention” -- philosophy of language, the philosophical study of natural language and its workings, particularly of linguistic meaning and the use of language. A natural language is any one of the thousands of various tongues that have developed historically among populations of human beings and have been used for everyday purposes  including English, , Swahili, and Latin  as opposed to the formal and other artificial “languages” invented by mathematicians, logicians, and computer scientists, such as arithmetic, the predicate calculus, and LISP or COBOL. There are intermediate cases, e.g., Esperanto, Pig Latin, and the sort of “philosophese” that mixes English words with logical symbols. Contemporary philosophy of language centers on the theory of meaning, but also includes the theory of reference, the theory of truth, philosophical pragmatics, and the philosophy of linguistics. The main question addressed by the theory of meaning is: In virtue of what are certain physical marks or noises meaningful linguistic expressions, and in virtue of what does any particular set of marks or noises have the distinctive meaning it does? A theory of meaning should also give a comprehensive account of the “meaning phenomena,” or general semantic properties of sentences: synonymy, ambiguity, entailment, and the like. Some theorists have thought to express these questions and issues in terms of languageneutral items called propositions: ‘In virtue of what does a particular set of marks or noises express the proposition it does?’; cf. ‘ “La neige est blanche” expresses the proposition that snow is white’, and ‘Synonymous sentences express the same proposition’. On this view, to understand a sentence is to “grasp” the proposition expressed by that sentence. But the explanatory role and even the existence of such entities are disputed. It has often been maintained that certain special sentences are true solely in virtue of their meanings and/or the meanings of their component expressions, without regard to what the nonlinguistic world is like ‘No bachelor is married’; ‘If a thing is blue it is colored’. Such vacuously true sentences are called analytic. However, Quine and others have disputed whether there really is such a thing as analyticity. Philosophers have offered a number of sharply competing hypotheses as to the nature of meaning, including: 1 the referential view that words mean by standing for things, and that a sentence means what it does because its parts correspond referentially to the elements of an actual or possible state of affairs in the world; 2 ideational or mentalist theories, according to which meanings are ideas or other psychological phenomena in people’s minds; 3 “use” theories, inspired by Vitters and to a lesser extent by J. L. Austin: a linguistic expression’s “meaning” is its conventionally assigned role as a game-piece-like token used in one or more existing social practices; 4 H. P. Grice’s hypothesis that a sentence’s or word’s meaning is a function of what audience response a typical utterer would intend to elicit in uttering it. 5 inferential role theories, as developed by Wilfrid Sellars out of Carnap’s and Vitters’s views: a sentence’s meaning is specified by the set of sentences from which it can correctly be inferred and the set of those which can be inferred from it Sellars himself provided for “language-entry” and “language-exit” moves as partly constitutive of meaning, in addition to inferences; 6 verificationism, the view that a sentence’s meaning is the set of possible experiences that would confirm it or provide evidence for its truth; 7 the truth-conditional theory: a sentence’s meaning is the distinctive condition under which it is true, the situation or state of affairs that, if it obtained, would make the sentence true; 8 the null hypothesis, or eliminativist view, that “meaning” is a myth and there is no such thing  a radical claim that can stem either from Quine’s doctrine of the indeterminacy of translation or from eliminative materialism in the philosophy of mind. Following the original work of Carnap, Alonzo Church, Hintikka, and Richard Montague in the 0s, the theory of meaning has made increasing use of “possible worlds”based intensional logic as an analytical apparatus. Propositions sentence meanings considered as entities, and truth conditions as in 7 above, are now commonly taken to be structured sets of possible worlds  e.g., the set of worlds in which Aristotle’s maternal grandmother hates broccoli. And the structure imposed on such a set, corresponding to the intuitive constituent structure of a proposition as the concepts ‘grandmother’ and ‘hate’ are constituents of the foregoing proposition, accounts for the meaning-properties of sentences that express the proposition. Theories of meaning can also be called semantics, as in “Gricean semantics” or “Verificationist semantics,” though the term is sometimes restricted to referential and/or truth-conditional theories, which posit meaning-constitutive relations between words and the nonlinguistic world. Semantics is often contrasted with syntax, the structure of grammatically permissible ordering relations between words and other words in well-formed sentences, and with pragmatics, the rules governing the use of meaningful expressions in particular speech contexts; but linguists have found that semantic phenomena cannot be kept purely separate either from syntactic or from pragmatic phenomena. In a still more specialized usage, linguistic semantics is the detailed study typically within the truth-conditional format of particular types of construction in particular natural languages, e.g., belief-clauses in English or adverbial phrases in Kwakiutl. Linguistic semantics in that sense is practiced by some philosophers of language, by some linguists, and occasionally by both working together. Montague grammar and situation semantics are common formats for such work, both based on intensional logic. The theory of referenceis pursued whether or not one accepts either the referential or the truthconditional theory of meaning. Its main question is: In virtue of what does a linguistic expression designate one or more things in the world? Prior to theorizing and defining of technical uses, ‘designate’, ‘denote’, and ‘refer’ are used interchangeably. Denoting expressions are divided into singular terms, which purport to designate particular individual things, and general terms, which can apply to more than one thing at once. Singular terms include proper names ‘Cindy’, ‘Bangladesh’, definite descriptions ‘my brother’, ‘the first baby born in the New World’, and singular pronouns of various types ‘this’, ‘you’, ‘she’. General terms include common nouns ‘horse’, ‘trash can’, mass terms ‘water’, ‘graphite’, and plural pronouns ‘they’, ‘those’. The twentieth century’s dominant theory of reference has been the description theory, the view that linguistic terms refer by expressing descriptive features or properties, the referent being the item or items that in fact possess those properties. For example, a definite description does that directly: ‘My brother’ denotes whatever person does have the property of being my brother. According to the description theory of proper names, defended most articulately by Russell, such names express identifying properties indirectly by abbreviating definite descriptions. A general term such as ‘horse’ was thought of as expressing a cluster of properties distinctive of horses; and so forth. But the description theory came under heavy attack in the late 0s, from Keith Donnellan, Kripke, and Putnam, and was generally abandoned on each of several grounds, in favor of the causal-historical theory of reference. The causal-historical idea is that a particular use of a linguistic expression denotes by being etiologically grounded in the thing or group that is its referent; a historical causal chain of a certain shape leads backward in time from the act of referring to the referents. More recently, problems with the causal-historical theory as originally formulated have led researchers to backpedal somewhat and incorporate some features of the description theory. Other views of reference have been advocated as well, particularly analogues of some of the theories of meaning listed above  chiefly 26 and 8. Modal and propositional-attitude contexts create special problems in the theory of reference, for referring expressions seem to alter their normal semantic behavior when they occur within such contexts. Much ink has been spilled over the question of why and how the substitution of a term for another term having exactly the same referent can change the truth-value of a containing modal or propositional-attitude sentence. Interestingly, the theory of truth historically predates articulate study of meaning or of reference, for philosophers have always sought the nature of truth. It has often been thought that a sentence is true in virtue of expressing a true belief, truth being primarily a property of beliefs rather than of linguistic entities; but the main theories of truth have also been applied to sentences directly. The correspondence theory maintains that a sentence is true in virtue of its elements’ mirroring a fact or actual state of affairs. The coherence theory instead identifies truth as a relation of the true sentence to other sentences, usually an epistemic relation. Pragmatic theories have it that truth is a matter either of practical utility or of idealized epistemic warrant. Deflationary views, such as the traditional redundancy theory and D. Grover, J. Camp, and N. D. Belnap’s prosentential theory, deny that truth comes to anything more important or substantive than what is already codified in a recursive Tarskian truth-definition for a language. Pragmatics studies the use of language in context, and the context-dependence of various aspects of linguistic interpretation. First, one and the same sentence can express different meanings or propositions from context to context, owing to ambiguity or to indexicality or both. An ambiguous sentence has more than one meaning, either because one of its component words has more than one meaning as ‘bank’ has or because the sentence admits of more than one possible syntactic analysis ‘Visiting doctors can be tedious’, ‘The mouse tore up the street’. An indexical sentence can change in truth-value from context to context owing to the presence of an element whose reference fluctuates, such as a demonstrative pronoun ‘She told him off yesterday’, ‘It’s time for that meeting now’. One branch of pragmatics investigates how context determines a single propositional meaning for a sentence on a particular occasion of that sentence’s use. Speech act theory is a second branch of pragmatics that presumes the propositional or “locutionary” meanings of utterances and studies what J. L. Austin called the illocutionary forces of those utterances, the distinctive types of linguistic act that are performed by the speaker in making them. E.g., in uttering ‘I will be there tonight’, a speaker might be issuing a warning, uttering a threat, making a promise, or merely offering a prediction, depending on conventional and other social features of the situation. A crude test of illocutionary force is the “hereby” criterion: one’s utterance has the force of, say, a warning, if it could fairly have been paraphrased by the corresponding “explicitly performative” sentence beginning ‘I hereby warn you that . . .’..Speech act theory interacts to some extent with semantics, especially in the case of explicit performatives, and it has some fairly dramatic syntactic effects as well. A third branch of pragmatics not altogether separate from the second is the theory of conversation or theory of implicaturum, founded by H. P. Grice. Grice notes that sentences, when uttered in particular contexts, often generate “implications” that are not logical consequences of those sentences ‘Is Jones a good philosopher?’  ’He has very neat handwriting’. Such implications can usually be identified as what the speaker meant in uttering her sentence; thus for that reason and others, what Grice calls utterer’s meaning can diverge sharply from sentence-meaning or “timeless” meaning. To explain those non-logical implications, Grice offered a now widely accepted theory of conversational implicaturum. Conversational implicaturums arise from the interaction of the sentence uttered with mutually shared background assumptions and certain principles of efficient and cooperative conversation. The philosophy of linguistics studies the academic discipline of linguistics, particularly theoretical linguistics considered as a science or purported science; it examines methodology and fundamental assumptions, and also tries to incorporate linguists’ findings into the rest of philosophy of language. Theoretical linguistics concentrates on syntax, and took its contemporary form in the 0s under Zellig Harris and Chomsky: it seeks to describe each natural language in terms of a generative grammar for that language, i.e., a set of recursive rules for combining words that will generate all and only the “well-formed strings” or grammatical sentences of that language. The set must be finite and the rules recursive because, while our informationprocessing resources for recognizing grammatical strings as such are necessarily finite being subagencies of our brains, there is no limit in any natural language either to the length of a single grammatical sentence or to the number of grammatical sentences; a small device must have infinite generative and parsing capacity. Many grammars work by generating simple “deep structures” a kind of tree diagram, and then producing multiple “surface structures” as variants of those deep structures, by means of rules that rearrange their parts. The surface structures are syntactic parsings of natural-language sentences, and the deep structures from which they derive encode both basic grammatical relations between the sentences’ major constituents and, on some theories, the sentences’ main semantic properties as well; thus, sentences that share a deep structure will share some fundamental grammatical properties and all or most of their semantics. As Paul Ziff and Davidson saw in the 0s, the foregoing syntactic problem and its solution had semantic analogues. From small resources, human speakers understand  compute the meanings of  arbitrarily long and novel sentences without limit, and almost instantaneously. This ability seems to require semantic compositionality, the thesis that the meaning of a sentence is a function of the meanings of its semantic primitives or smallest meaningful parts, built up by way of syntactic compounding. Compositionality also seems to be required by learnability, since a normal child can learn an infinitely complex dialect in at most two years, but must learn semantic primitives one at a time. A grammar for a natural language is commonly taken to be a piece of psychology, part of an explanation of speakers’ verbal abilities and behavior. As such, however, it is a considerable idealization: it is a theory of speakers’ linguistic “competence” rather than of their actual verbal performance. The latter distinction is required by the fact that speakers’ considered, reflective judgments of grammatical correctness do not line up very well with the class of expressions that actually are uttered and understood unreflectively by those same speakers. Some grammatical sentences are too hard for speakers to parse quickly; some are too long to finish parsing at all; speakers commonly utter what they know to be formally ungrammatical strings; and real speech is usually fragmentary, interspersed with vocalizations, false starts, and the like. Actual departures from formal grammaticality are ascribed by linguists to “performance limitations,” i.e., psychological factors such as memory failure, weak computational capacity, or heedlessness; thus, actual verbal behavior is to be explained as resulting from the perturbation of competence by performance limitations.  Refs.: The main sources are his lectures on language and reality – part of them repr. in WOW. The keywords under ‘communication,’ and ‘signification,’ that Grice occasionally uses ‘the total signification’ of a remark, above, BANC. -- semantic holism, a metaphysical thesis about the nature of representation on which the meaning of a symbol is relative to the entire system of representations containing it. Thus, a linguistic expression can have meaning only in the context of a language; a hypothesis can have significance only in the context of a theory; a concept can have intentionality only in the context of the belief system. Holism about content has profoundly influenced virtually every aspect of contemporary theorizing about language and mind, not only in philosophy, but in linguistics, literary theory, artificial intelligence, psychology, and cognitive science. Contemporary semantic holists include Davidson, Quine, Gilbert Harman, Hartry Field, and Searle. Because semantic holism is a metaphysical and not a semantic thesis, two theorists might agree about the semantic facts but disagree about semantic holism. So, e.g., nothing in Tarski’s writings determines whether the semantic facts expressed by the theorems of an absolute truth semantic atomism semantic holism 829    829 theory are holistic or not. Yet Davidson, a semantic holist, argued that the correct form for a semantic theory for a natural language L is an absolute truth theory for L. Semantic theories, like other theories, need not wear their metaphysical commitments on their sleeves. Holism has some startling consequences. Consider this. Franklin D. Roosevelt who died when the United States still had just forty-eight states did not believe there were fifty states, but I do; semantic holism says that what ‘state’ means in our mouths depends on the totality of our beliefs about states, including, therefore, our beliefs about how many states there are. It seems to follow that he and I must mean different things by ‘state’; hence, if he says “Alaska is not a state” and I say “Alaska is a state” we are not disagreeing. This line of argument leads to such surprising declarations as that natural langauges are not, in general, intertranslatable Quine, Saussure; that there may be no fact of the matter about the meanings of texts Putnam, Derrida; and that scientific theories that differ in their basic postulates are “empirically incommensurable” Paul Feyerabend, Kuhn. For those who find these consequences of semantic holism unpalatable, there are three mutually exclusive responses: semantic atomism, semantic molecularism, or semantic nihilism. Semantic atomists hold that the meaning of any representation linguistic, mental, or otherwise is not determined by the meaning of any other representation. Historically, Anglo- philosophers in the eighteenth and nineteenth centuries thought that an idea of an X was about X’s in virtue of this idea’s physically resembling X’s. Resemblance theories are no longer thought viable, but a number of contemporary semantic atomists still believe that the basic semantic relation is between a concept and the things to which it applies, and not one among concepts themselves. These philosophers include Dretske, Dennis Stampe, Fodor, and Ruth Millikan. Semantic molecularism, like semantic holism, holds that the meaning of a representation in a language L is determined by its relationships to the meanings of other expressions in L, but, unlike holism, not by its relationships to every other expression in L. Semantic molecularists are committed to the view, contrary to Quine, that for any expression e in a language L there is an in-principle way of distinguishing between those representations in L the meanings of which determine the meaning of e and those representations in L the meanings of which do not determine the meaning of e. Traditionally, this inprinciple delimitation is supported by an analytic/synthetic distinction. Those representations in L that are meaning-constituting of e are analytically connected to e and those that are not meaning-constituting are synthetically connected to e. Meaning molecularism seems to be the most common position among those philosophers who reject holism. Contemporary meaning molecularists include Michael Devitt, Dummett, Ned Block, and John Perry. Semantic nihilism is perhaps the most radical response to the consequences of holism. It is the view that, strictly speaking, there are no semantic properties. Strictly speaking, there are no mental states; words lack meanings. At least for scientific purposes and perhaps for other purposes as well we must abandon the notion that people are moral or rational agents and that they act out of their beliefs and desires. Semantic nihilists include among their ranks Patricia and Paul Churchland, Stephen Stich, Dennett, and, sometimes, Quine.  -- semantic paradoxes, a collection of paradoxes involving the semantic notions of truth, predication, and definability. The liar paradox is the oldest and most widely known of these, having been formulated by Eubulides as an objection to Aristotle’s correspondence theory of truth. In its simplest form, the liar paradox arises when we try to assess the truth of a sentence or proposition that asserts its own falsity, e.g.: A Sentence A is not true. It would seem that sentence A cannot be true, since it can be true only if what it says is the case, i.e., if it is not true. Thus sentence A is not true. But then, since this is precisely what it claims, it would seem to be true. Several alternative forms of the liar paradox have been given their own names. The postcard paradox, also known as a liar cycle, envisions a postcard with sentence B on one side and sentence C on the other: B The sentence on the other side of this card is true. semantic molecularism semantic paradoxes 830    830 C The sentence on the other side of this card is false. Here, no consistent assignment of truth-values to the pair of sentences is possible. In the preface paradox, it is imagined that a book begins with the claim that at least one sentence in the book is false. This claim is unproblematically true if some later sentence is false, but if the remainder of the book contains only truths, the initial sentence appears to be true if and only if false. The preface paradox is one of many examples of contingent liars, claims that can either have an unproblematic truth-value or be paradoxical, depending on the truth-values of various other claims in this case, the remaining sentences in the book. Related to the preface paradox is Epimenedes’ paradox: Epimenedes, himself from Crete, is said to have claimed that all Cretans are liars. This claim is paradoxical if interpreted to mean that Cretans always lie, or if interpreted to mean they sometimes lie and if no other claim made by Epimenedes was a lie. On the former interpretation, this is a simple variation of the liar paradox; on the latter, it is a form of contingent liar. Other semantic paradoxes include Berry’s paradox, Richard’s paradox, and Grelling’s paradox. The first two involve the notion of definability of numbers. Berry’s paradox begins by noting that names or descriptions of integers consist of finite sequences of syllables. Thus the three-syllable sequence ‘twenty-five’ names 25, and the seven-syllable sequence ‘the sum of three and seven’ names ten. Now consider the collection of all sequences of English syllables that are less than nineteen syllables long. Of these, many are nonsensical ‘bababa’ and some make sense but do not name integers ‘artichoke’, but some do ‘the sum of three and seven’. Since there are only finitely many English syllables, there are only finitely many of these sequences, and only finitely many integers named by them. Berry’s paradox arises when we consider the eighteen-syllable sequence ‘the smallest integer not nameable in less than nineteen syllables’. This phrase appears to be a perfectly well-defined description of an integer. But if the phrase names an integer n, then n is nameable in less than nineteen syllables, and hence is not described by the phrase. Richard’s paradox constructs a similarly paradoxical description using what is known as a diagonal construction. Imagine a list of all finite sequences of letters of the alphabet plus spaces and punctuation, ordered as in a dictionary. Prune this list so that it contains only English definitions of real numbers between 0 and 1. Then consider the definition: “Let r be the real number between 0 and 1 whose kth decimal place is  if the kth decimal place of the number named by the kth member of this list is 1, and 0 otherwise’. This description seems to define a real number that must be different from any number defined on the list. For example, r cannot be defined by the 237th member of the list, because r will differ from that number in at least its 237th decimal place. But if it indeed defines a real number between 0 and 1, then this description should itself be on the list. Yet clearly, it cannot define a number different from the number defined by itself. Apparently, the definition defines a real number between 0 and 1 if and only if it does not appear on the list of such definitions. Grelling’s paradox, also known as the paradox of heterologicality, involves two predicates defined as follows. Say that a predicate is “autological” if it applies to itself. Thus ‘polysyllabic’ and ‘short’ are autological, since ‘polysyllabic’ is polysyllabic, and ‘short’ is short. In contrast, a predicate is “heterological” if and only if it is not autological. The question is whether the predicate ‘heterological’ is heterological. If our answer is yes, then ‘heterological’ applies to itself  and so is autological, not heterological. But if our answer is no, then it does not apply to itself  and so is heterological, once again contradicting our answer. The semantic paradoxes have led to important work in both logic and the philosophy of language, most notably by Russell and Tarski. Russell developed the ramified theory of types as a unified treatment of all the semantic paradoxes. Russell’s theory of types avoids the paradoxes by introducing complex syntactic conditions on formulas and on the definition of new predicates. In the resulting language, definitions like those used in formulating Berry’s and Richard’s paradoxes turn out to be ill-formed, since they quantify over collections of expressions that include themselves, violating what Russell called the vicious circle principle. The theory of types also rules out, on syntactic grounds, predicates that apply to themselves, or to larger expressions containing those very same predicates. In this way, the liar paradox and Grelling’s paradox cannot be constructed within a language conforming to the theory of types. Tarski’s attention to the liar paradox made two fundamental contributions to logic: his development of semantic techniques for defining the truth predicate for formalized languages and his proof of Tarski’s theorem. Tarskian semantics avoids the liar paradox by starting with a formal language, call it L, in which no semantic notions are expressible, and hence in which the liar paradox cannot be formulated. Then using another language, known as the metalanguage, Tarski applies recursive techniques to define the predicate true-in-L, which applies to exactly the true sentences of the original language L. The liar paradox does not arise in the metalanguage, because the sentence D Sentence D is not true-in-L. is, if expressible in the metalanguage, simply true. It is true because D is not a sentence of L, and so a fortiori not a true sentence of L. A truth predicate for the metalanguage can then be defined in yet another language, the metametalanguage, and so forth, resulting in a sequence of consistent truth predicates. Tarski’s theorem uses the liar paradox to prove a significant result in logic. The theorem states that the truth predicate for the first-order language of arithmetic is not definable in arithmetic. That is, if we devise a systematic way of representing sentences of arithmetic by numbers, then it is impossible to define an arithmetical predicate that applies to all and only those numbers that represent true sentences of arithmetic. The theorem is proven by showing that if such a predicate were definable, we could construct a sentence of arithmetic that is true if and only if it is not true: an arithmetical version of sentence A, the liar paradox. Both Russell’s and Tarski’s solutions to the semantic paradoxes have left many philosophers dissatisfied, since the solutions are basically prescriptions for constructing languages in which the paradoxes do not arise. But the fact that paradoxes can be avoided in artificially constructed languages does not itself give a satisfying explanation of what is going wrong when the paradoxes are encountered in natural language, or in an artificial language in which they can be formulated. Most recent work on the liar paradox, following Kripke’s “Outline of a Theory of Truth” 5, looks at languages in which the paradox can be formulated, and tries to provide a consistent account of truth that preserves as much as possible of the intuitive notion.

semeiotics: semiological: or is it semiotics? Cf. semiological, semotic. Since Grice uses ‘philosophical psychology’ and ‘philosopical biology,’ it may do to use ‘semiology,’ indeed ‘philosophical semiology,’ here.  Oxonian semiotics is unique. Holloway published his “Language and Intelligence” and everyone was excited. It is best to see this as Grices psychologism. Grice would rarely use ‘intelligent,’ less so the more pretentious, ‘intelligence,’ as a keyword. If he is doing it, it is because what he saw as the misuse of it by Ryle and Holloway. Holloway, a PPE, is a tutorial fellow in philosophy at All Souls. He acknowledges Ryle as his mentor. (Holloway also quotes from Austin). Grice was amused that J. N. Findlay, in his review of Holloway’s essay in “Mind,” compares Holloway to C. W. Morris, and cares to cite the two relevant essay by Morris: The Foundation in the theory of signs, and Signs, Language, and Behaviour. Enough for Grice to feel warmly justified in having chosen another New-World author, Peirce, for his earlier Oxford seminar. Morris studied under G. H. Mead. But is ‘intelligence’ part of The Griceian Lexicon?Well, Lewis and Short have ‘interlegere,’ to chose between. Lewis and Short have ‘interlĕgo , lēgi, lectum, 3, v. a., I’.which they render it as “to cull or pluck off here and there (poet. and postclass.).in tmesi) uncis Carpendae manibus frondes, interque legendae, Verg. G. 2, 366: “poma,” Pall. Febr. 25, 16; id. Jun. 5, 1.intellĕgo (less correctly intellĭgo), exi, ectum (intellexti for intellexisti, Ter. Eun. 4, 6, 30; Cic. Att. 13, 32, 3: I.“intellexes for intellexisses,” Plaut. Cist. 2, 3, 81; subj. perf.: “intellegerint,” Sall. H. Fragm. 1, 41, 23 Dietsch); “inter-lego,” “to see into, perceive, understand.” I. Lit. A. Lewis and Short render as “to perceive, understand, comprehend.” Cf. Grice on his handwriting being legible to few. And The child is an adult as being UNintelligible until the creature is produced. In “Aspects,” he mentions flat rationality, and certain other talents that are more difficult for the philosopher to conceptualise, such as nose (i.e. intuitiveness), acumen, tenacity, and such. Grices approach is Pological. If Locke had used intelligent to refer to Prince Maurices parrot, Grice wants to find criteria for intelligent as applied to his favourite type of P, rather (intelligent, indeed rational.). semiosis from Grecian semeiosis, ‘observation of signs’, the relation of signification involving the three relata of sign, object, and mind. Semiotic is the science or study of semiosis. The semiotic of John of Saint Thomas and of Peirce includes two distinct components: the relation of signification and the classification of signs. The relation of signification is genuinely triadic and cannot be reduced to the sum of its three subordinate dyads: sign-object, sign-mind, object-mind. A sign represents an object to a mind just as A gives a gift to B. Semiosis is not, as it is often taken to be, a mere compound of a sign-object dyad and a sign-mind dyad because these dyads lack the essential intentionality that unites mind with object; similarly, the gift relation involves not just A giving and B receiving but, crucially, the intention uniting A and B. In the Scholastic logic of John of Saint Thomas, the sign-object dyad is a categorial relation secundum esse, that is, an essential relation, falling in Aristotle’s category of relation, while the sign-mind dyad is a transcendental relation secundum dici, that is, a relation only in an analogical sense, in a manner of speaking; thus the formal rationale of semiosis is constituted by the sign-object dyad. By contrast, in Peirce’s logic, the sign-object dyad and the sign-mind dyad are each only potential semiosis: thus, the hieroglyphs of ancient Egypt were merely potential signs until the discovery of the Rosetta Stone, just as a road-marking was a merely potential sign to the driver who overlooked it. Classifications of signs typically follow from the logic of semiosis. Thus John of Saint Thomas divides signs according to their relations to their objects into natural signs smoke as a sign of fire, customary signs napkins on the table as a sign that dinner is imminent, and stipulated signs as when a neologism is coined; he also divides signs according to their relations to a mind. An instrumental sign must first be cognized as an object before it can signify e.g., a written word or a symptom; a formal sign, by contrast, directs the mind to its object without having first been cognized e.g., percepts and concepts. Formal signs are not that which we cognize but that by which we cognize. All instrumental signs presuppose the action of formal signs in the semiosis of cognition. Peirce similarly classified signs into three trichotomies according to their relations with 1 themselves, 2 their objects, and 3 their interpretants usually minds; and Charles Morris, who followed Peirce closely, called the relationship of signs to one another the syntactical dimension of semiosis, the relationship of signs to their objects the semantical dimension of semiosis, and the relationship of signs to their interpreters the pragmatic dimension of semiosis.  Refs.: The most specific essay is his lecture on Peirce, listed under ‘communication, above. A reference to ‘criteria of intelligence relates. The H. P. Grice Papers, BANC.

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