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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Thursday, September 3, 2020

IMPLICATVRA -- XXVI -- XXIV

stimulus-response: poverty of the stimulus, a psychological phenomenon exhibited when behavior is stimulusunbound, and hence the immediate stimulus characterized in straightforward physical terms does not completely control behavior. Human beings sort stimuli in various ways and hosts of influences seem to affect when, why, and how we respond  our background beliefs, facility with language, hypotheses about stimuli, etc. Suppose a person visiting a museum notices a painting she has never before seen. Pondering the unfamiliar painting, she says, “an ambitious visual synthesis of the music of Mahler and the poetry of Keats.” If stimulus painting controls response, then her utterance is a product of earlier responses to similar stimuli. Given poverty of the stimulus, no such control is exerted by the stimulus the painting. Of course, some influence of response must be conceded to the painting, for without it there would be no utterance. However, the utterance may well outstrip the visitor’s conditioning and learning history. Perhaps she had never before talked of painting in terms of music and poetry. The linguist Noam Chomsky made poverty of the stimulus central to his criticism of B. F. Skinner’s Verbal Behavior 7. Chomsky argued that there is no predicting, and certainly no critical stimulus control of, much human behavior.

strozzi: Important Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e. Firenze – “Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.”  --  Palla Strozzi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze, 1372 – Padova, 18 maggio 1462) è stato un banchiere, politico, letterato, filosofo e filologo italiano.   Stemma degli Strozzi  Indice 1 Biografia 1.1 L'opposizione ai Medici 1.2 L'esilio 2 Matrimoni e discendenza 3 Onorificenze 4 Bibliografia 5 Altri progetti 6 Collegamenti esterni Biografia Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il figlio da letterati ed umanisti, e grazie all'interesse e all'intelligenza, Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo tempo.  Ricco e colto, commissionò numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella Basilica di Santa Trinita, opera di Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti (1419-1423). La cappella, progetto irrealizzato del padre Noferi, venne fatta erigere in sua memoria da Palla dopo la morte, e ne ospitò la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissionò l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori.  L'opposizione ai Medici Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici.  Cosimo il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli Albizi.  In un primo momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato Rinaldo degli Albizi.  Intanto Cosimo mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la sua partenza da Firenze.  L'esilio Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare.  Nel 1434 quindi lo Strozzi parte per Padova, dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa di Padova, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello).  Lasciò la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Morì a Padova l'8 maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Fu sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme.  Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi, sua lontana parente, ebbe undici figli:  Lorenzo (1404-1452) Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?) Gianfrancesco (1418-1468 circa) Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel 1449, moglie di Felice Brancacci) Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo Rucellai) Tancia. In tarda età si sposò con una figlia di Felice Brancacci, che lo seguì a Padova.  I suoi discendenti si stabilirono in seguito a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli Strozzi (quello di Tito Vespasiano ed Ercole Strozzi).  Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oro - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dello Speron d'oro Bibliografia Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton Editori, 2006. ISBN 88-8289-531-9 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palla Strozzi Collegamenti esterni G. Reichenbach, «STROZZI, Palla», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto Palmarocchi, «La famiglia STROZZI», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Controllo di autorità VIAF (EN) 32432314 · ISNI (EN) 0000 0000 4346 1318 · LCCN (EN) no91009565 · GND (DE) 104350172 · CERL cnp00369282 · WorldCat Identities (EN) lccn-no91009565 Biografie Portale Biografie Storia Portale Storia Categorie: Banchieri italianiPolitici italiani del XIV secoloPolitici italiani del XV secoloLetterati italianiNati nel 1372Morti nel 1462Morti il 18 maggioNati a FirenzeMorti a PadovaUmanisti italianiCollezionisti d'arte italianiStrozziCavalieri dello Speron d'oro[altre]. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

structuratum: mid-15c., "action or process of building or construction;" 1610s, "that which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively, "arrangement, order," from structus, past participle of struere "to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-, extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It is difficult to describe structuralism as a movement, because of the methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be influenced by structuralism  e.g., anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory, even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its organizing principles from the early twentieth-century work of Saussure, the founder of structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist and philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of language, one understood as a closed system of elements and rules that account for the production and the social communication of meaning. Inspired by Durkheim’s notion of a “social fact”  that domain of objectivity wherein the psychological and the social orders converge  Saussure viewed language as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community. The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element. The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external consideration of reference. What lends specificity or identity to each particular signifier is its differential relation to the other signifiers in the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of differences between other elements within the system. This principle of differential  and structural  relation was extended by Troubetzkoy to the order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules. Language thus derives its significance from its own autonomous organization, and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the foremost instance of social sign systems in general, the structural account might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of social systems as such  hence, its obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences. This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General Linguistics6, but it was advanced dramatically by the  anthropologist Claude Lévi-Strauss  who is generally acknowledged to be the founder of modern structuralism  in his extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself organized according to one form or another of significant communication and exchange  whether this be of information, knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these social structures would be disclosed, not by direct observation, but by inference and deduction from the observed empirical data. Furthermore, since these structures are models of specific relations, which in turn express the differential properties of the component elements under investigation, the structural analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad variety of applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses in the domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied insights of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in Italy, Eco conducted extensive structuralist analyses in the fields of social and literary semiotics. With its acknowledgment that language is a rule-governed social system of signs, and that effective communication depends on the resources available to the speaker from within the codes of language itself, the structuralist approach tends to be less preoccupied with the more traditional considerations of “subjectivity” and “history” in its treatment of meaningful discourse. In the post-structuralism that grew out of this approach, the  philosopher Foucault, e.g., focused on the generation of the “subject” by the various epistemic discourses of imitation and representation, as well as on the institutional roles of knowledge and power in producing and conserving particular “disciplines” in the natural and social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn govern our theoretical and practical notions of madness, criminality, punishment, sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the individual subject to their determinations. Likewise, in the domain of psychoanalysis, Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to emphasize Freud’s concern with language and to argue that, as a set of determining codes, language serves to structure the subject’s very unconscious. Problematically, however, it is the very dynamism of language, including metaphor, metonymy, condensation, displacement, etc., that introduces the social symbolic into the constitution of the subject. Althusser applied the principles of structuralist methodology to his analysis of Marxism, especially the role played by contradiction in understanding infrastructural and superstructural formation, i.e., for the constitution of the historical dialectic. His account followed Marx’s rejection of Feuerbach, at once denying the role of traditional subjectivity and humanism, and presenting a “scientific” analysis of “historical materialism,” one that would be anti-historicist in principle but attentive to the actual political state of affairs. For Althusser, such a philosophical analysis helped provide an “objective” discernment to the historical transformation of social reality. The restraint the structuralists extended toward the traditional views of subjectivity and history dramatically colored their treatment both of the individuals who are agents of meaningful discourse and of the linguistically articulable object field in general. This redirection of research interests particularly in France, due to the influential work of Barthes and Michel Serres in the fields of poetics, cultural semiotics, and communication theory has resulted in a series of original analyses and also provoked lively debates between the adherents of structuralist methodology and the more conventionally oriented schools of thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and empiricist and positivist philosophies of science. These debates served as an agency to open up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist theory for the philosophical generation of the 0s and later. These post-structuralist thinkers were perhaps less concerned with the organization of social phenomena than with their initial constitution and subsequent dynamics. Hence, the problematics of the subject and history  or, in broader terms, temporality itself  were again engaged. The new discussions were abetted by a more critical appraisal of language and tended to be antiHegelian in their rejection of the totalizing tendency of systematic metaphysics. Heidegger’s critique of traditional metaphysics was one of the major influences in the discussions following structuralism, as was the reexamination of Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,” his antiessentialism, and his teaching of a dynamic “will to power.” Additionally, many poststructuralist philosophers stressed the Freudian notions of the libido and the unconscious as determining factors in understanding not only the subject, but the deep rhetorical and affective components of language use. An astonishing variety of philosophers and critics engaged in the debates initially framed by the structuralist thinkers of the period, and their extended responses and critical reappraisals formed the vibrant, poststructuralist period of  intellectual life. Such figures as Ricoeur, Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot, Derrida, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy, and Irigaray inaugurated a series of contemporary reflections that have become international in scope. Refs.: H. P. Grice, “The structure of structure.” . 

subiectum: sub-iectum – sub-iectificatio -- subjectification: Grice is right in distinguishing this from nominalization, because not all nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,” Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the matter (hyle) which underlies the form (eidos), as opp. To both “εἶδος” and “ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that ‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject to which attributes are ascribed,” and here opp. “τὸ κατηγορούμενον,” (which would be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses Kiparsky’s factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it. Refs.: Grice, “Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When Grice speaks of the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’ in a way a philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s transcendental subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject, personal identity, or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’ contrasts with ‘object.’ So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an ‘ego-centric’ condition, or a self-oriented condition, or an agent-oriented condition, or an ‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this is tricky. His example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer may have to put into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a rational agent, with views of his own. So, the philosophical psychologist that Grice is has to think of a conception of the self by the self, and the conception of the other by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’ Grice might speak of other souls. Grice was concerned with intending folloed by a that-clause. Jeffrey defines desirability as doxastically modified. It is entirely possible for someone to desire the love that he already has. It is what he thinks that matters. Cf. his dispositional account to intending. A Subjectsive condition takes into account the intenders, rather than the ascribers, point of view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on hands and knees. Bloggs might reason: Given my present state, I should do what is fun. Given my present state, the best thing for me to do would be to do what is fun. For me in my present state it would make for my well-being, to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a mountain would be fun. Climbing the Everest would be/make for climbing fun. So, I shall climb the Everest. Even if a critic insisted that a practical syllogism is the way to represent Bloggs finding something to be appealing, and that it should be regarded as a respectable evaluation, the assembled propositions dont do the work of a standard argument. The premises do not support or yield the conclusion as in a standard argument. The premises may be said to yield the conclusion, or directive, for the particular agent whose reasoning process it is, only on the basis of a Subjectsive condition: that the agent is in a certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for dinner-fun. Rational beings (the agent at some other time, or other individuals) who do not have that feeling, will not accept the conclusion. They may well accept as true. It is fun to climb Everest, but will not accept it as a directive unless they feel like it now. Someone wondering what to do for the summer might think that if he were to climb Everest he would find it fun or pleasant, but right now she does not feel like it. That is in general the end of the matter. The alleged argument lacks normativity. It is not authoritative or directive unless there is a supportive argument that he needs/ought to do something diverting/pleasant in the summer. A practical argument is different. Even if an agent did not feel like going to the doctor, an agent would think I ought to have a medical check up yearly, now is the time, so I should see my doctor to be a directive with some force. It articulates a practical argument. Perhaps the strongest attempt to reconstruct an (acceptable or rational) thought transition as a standard arguments is to treat the Subjectsive condition, I feel like having climbing fun in the summer, as a premise, for then the premises would support the conclusion. But the individual, whose thought transition we are examining, does not regard a description of his psychological state as a consideration that supports the conclusion. It will be useful to look more closely at a variant of the example to note when it is appropriate to reconstruct thinking in the form of argument. Bloggs, now hiking with a friend in the Everest, comes to a difficult spot and says: I dont like the look of that, I am frightened. I am going back. That is usually enough for Bloggs to return, and for the friend to turn back with him. Bloggss action of turning back, admittedly motivated by fear, is, while not acting on reasons, nonetheless rational unless we judge his fear to be irrational. Bloggss Subjectsive condition can serve as a premise, but only in a very different situation. Bloggs resorts to reasons. Suppose that, while his friend does not think Bloggss fear irrational, the friend still attempts to dissuade Bloggs from going back. After listening and reflecting, Bloggs may say I am so frightened it is not worth it. I am not enjoying this climbing anymore. Or I am too frightened to be able to safely go on. Or I often climb the Everest and dont usually get frightened. The fact that I am now is a good indication that this is a dangerous trail and I should turn back. These are reasons, considerations implicitly backed by principles, and they could be the initial motivations of someone. But in Bloggss case they emerged when he was challenged by his friend. They do not express his initial practical reasoning. Bloggs was frightened by the trail ahead, wanted to go back, and didnt have any reason not to. Note that there is no general rational requirement to always act on reasons, and no general truth that a rational individual would be better off the more often he acted on reasons. Faced with his friends objections, however, Bloggs needed justification for acting on his fear. He reflected and found reason(s) to act on his fear. Grice plays with Subjectsivity already in Prolegomena. Consider the use of carefully. Surely we must include the agents own idea of this. Or consider the use of phi and phi – surely we dont want the addressee to regard himself under the same guise with which the utterer regards him. Or consider “Aspects”: Nixon must be appointed professor of theology at Oxford. Does he feel the need? Grice raises the topic of Subjectsivity again in the Kant lectures just after his discussion of mode, in a sub-section entitled, Modalities: relative and absolute. He finds the topic central for his æqui-vocality thesis: Subjectsive conditions seem necessary to both practical and alethic considerations. Refs.: The source is his essay on intentions and the subjective condition, The H. P. Grice Papers, BANC. The subject: hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’ to ‘predicate logic’ “he didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian nominalization. Grice plays a lot on that. His presentation at the Oxford Philosophical Society he entitled, in a very English way, as “Meaning” (echoing Ogden and Richards). With his “Meaning, Revisited,” it seems more clearly that he is nominalizing. Unless he means, “The essay “Meaning,” revisited,” – alla Putnam making a bad joke on Ogden: “The meaning of ‘meaning’” – “ ‘Meaning,’ revisited” --  Grice is very familiar with this since it’s the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, opp. in a specific context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the same sort of ‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or reality. In philosophical circles, one has to be especially aware of the subject-object distinction (which belong in philosophical psychology) and the thing which belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia, substantia), the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be careful. Grice expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to underlie, as the foundation in which something else inheres, to be implied or presupposed by something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία” Pl.Prt.349b, cf. Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main applications: (1) to the matter which underlies the form, opp. εἶδος, ἐντελέχεια, Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the accidents, opp. πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3) to the logical subject to which attributes are ascribed, opp. τὸ κατηγορούμενον, Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are distinguished in Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally used of what underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the positive termini presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς ὑποκείμενον the external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.1pp.12,24 U.; “φῶς εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον τί τε φαίνεται μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται” S.E.M.7.143, cf. 83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the existing state of affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6, Eun.VSp.474 B.; “Τίτος ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν αἷς παρέλαβε” Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b; “ἐχομένου τοῦ προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ ὑ. ἐνιαυτός the year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question, Id.16.40, Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month, PTeb.14.14 (ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the said rent, PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the context, Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian dogma that, since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a ‘predicate’ calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and grammar.” Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c. subjectum – Grecian hypokeimenon – Grice’s ‘implying,’ qua nominalization, is a category shift, a subjectification, or objectificiation. – We have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’ ‘implicature, and ‘implying’ Using the participles, we have the active voice present implicans, the active voice future, implicaturum, and the passive perfect ‘impicatum.’ subjectivism, any philosophical view that attempts to understand in a subjective manner what at first glance would seem to be a class of judgments that are objectively either true or false  i.e., true or false independently of what we believe, want, or hope. There are two ways of being a subjectivist. In the first way, one can say that the judgments in question, despite first appearances, are really judgments about our own attitudes, beliefs, emotions, etc. In the second way, one can deny that the judgments are true or false at all, arguing instead that they are disguised commands or expressions of attitudes. In ethics, for example, a subjective view of the second sort is that moral judgments are simply expressions of our positive and negative attitudes. This is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view of the second sort; it is the view that moral judgments are really commands  to say “X is good” is to say, details aside, “Do X.” Views that make morality ultimately a matter of conventions or what we or most people agree to can also be construed as subjective theories, albeit of the first type. Subjectivism is not limited to ethics, however. According to a subjective view of epistemic rationality, the standards of rational belief are the standards that the individual or perhaps most members in the individual’s community would approve of insofar as they are interested in believing those propositions that are true and not believing those propositions that are false. Similarly, phenomenalists can be regarded as proposing a subjective account of material object statements, since according to them, such statements are best understood as complex statements about the course of our experiences.  -- -obiectum-abiectumm-exiectum quartet, the: Grice: subject-object dichotomy, the distinction between thinkers and what they think about. The distinction is not exclusive, since subjects can also be objects, as in reflexive self-conscious thought, which takes the subject as its intended object. The dichotomy also need not be an exhaustive distinction in the strong sense that everything is either a subject or an object, since in a logically possible world in which there are no thinkers, there may yet be mind-independent things that are neither subjects nor objects. Whether there are non-thinking things that are not objects of thought in the actual world depends on whether or not it is sufficient in logic to intend every individual thing by such thoughts and expressions as ‘We can think of everything that exists’. The dichotomy is an interimplicative distinction between thinkers and what they think about, in which each presupposes the other. If there are no subjects, then neither are there objects in the true sense, and conversely. A subjectobject dichotomy is acknowledged in most Western philosophical traditions, but emphasized especially in Continental philosophy, beginning with Kant, and carrying through idealist thought in Fichte, Schelling, Hegel, and Schopenhauer. It is also prominent in intentionalist philosophy, in the empirical psychology of Brentano, the object theory of Meinong, Ernst Mally, and Twardowski, and the transcendental phenomenology of Husserl. Subjectobject dichotomy is denied by certain mysticisms, renounced as the philosophical fiction of duality, of which Cartesian mindbody dualism is a particular instance, and criticized by mystics as a confusion that prevents mind from recognizing its essential oneness with the world, thereby contributing to unnecessary intellectual and moral dilemmas.

sub-ordination. Grice must be the only Oxonian philosopher in postwar Oxford that realised the relevance of subordination. Following J. C. Wilson, Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective, and the only one of the connectives which is not commutative. This gives Grice the idea to consult Cook Wilson and develop his view of ‘interrogative subordination.’ Who killed Cock Robin. If it was not the Hawk, it was the Sparrow. It was not the Hawk. It was the Sparrow. What Grecian idiom is Romanesque sub-ordinatio translating. The opposite is co-ordination. “And” and “or” are coordinative particles. Interrogative coordination is provided by ‘or,’ but it relates to yes/no questions. Interrogative subordination involves x-question. WHO killed Cock Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic. Varro uses jungendi. is the same and wherefrom it is different, in relation to what &c." It may well be doubted whether he has thus improved upon his predecessors. Surely the discernment of sameness and difference is a function necessarily belonging to soul and necessarily included in the catalogue of her functions : yet Stallbaum's rendering excludes it from that catalogue. The fact that we have ory hv $, not orcp ecri, does not really favour his view—" with whatsoever a thing may be the same, she declares it the same.' I coincide then with the other interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv as indirect INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis mistake in logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause otw t av ti tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE COORDINATE with itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is impossible. Stallbaum rightly makes the clause a substantive clause and subject of elvai or £vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to this sthe question, ‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not ‘satisfied’ by the answer ‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves sugar, but the question is not satisfied by that form of answer. Conversely the answer ‘one spoonful’ satisfies the question, even though it might be the wrong answer and leave the tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s sweet tooth.

sub-perceptum: This relates to Stich and his sub-doxastic. For Aristotle, “De An.,” the anima leads to the desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’ – he had a problem with ‘sponges’ which were IN-animate, to him, most likely) In WoW:139, Grice refers to “the pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the first of a trio. The second is the perceptual, “A perceives that the pillar box is red,” and the third, “The pillar box is red.” He wishes to explore the truth-conditons of the subperceptum, and although first in the list, is last in the analsysis. Grice proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar box is red; (2) A perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2). In this there is a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his caveat that ‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning Revisited). In what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U is choosing the superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices (“The pillar box IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’: “The pillar box IS PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum: By uttering “The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or doubted that the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is red. In this, the accented version contrasts with the unaccented version where the implicaturum is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt or denial implicaturum. It is this uncommitment that will allow to disimplicate or cancel the implicaturum should occasion arise. The reference Grice makes between the sub-perceptum and the perceptum is grammatical, not psychological. Or else he may be meaning that in uttering, “I perceive that the pillar box is red,” one needs to appeal to Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke, Sense and content, Grice, BANC. sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to states of mind postulated to account for the production and character of certain apparently non-inferential beliefs. These were first discussed by Stephen P. Stich in “Beliefs and Subdoxastic States” 8. I may form the belief that you are depressed, e.g., on the basis of subtle cues that I am unable to articulate. The psychological mechanism responsible for this belief might be thought to harbor information concerning these cues subdoxastically. Although subdoxastic states resemble beliefs in certain respects  they incorporate intentional content, they guide behavior, they can bestow justification on beliefs  they differ from fullyfledged doxastic states or beliefs in at least two respects. First, as noted above, subdoxastic states may be largely inaccessible to introspection; I may be unable to describe, even on reflection, the basis of my belief that you are depressed. Second, subdoxastic states seem cut off inferentially from an agent’s corpus of beliefs; my subdoxastic appreciation that your forehead is creased may contribute to my believing that you are depressed, but, unlike the belief that your forehead is creased, it need not, in the presence of other beliefs, lead to further beliefs about your visage. 

subscriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day.  Grice plays with various roots of ‘scriptum.’ He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the ‘prae-scriptum.’ Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy, seldom mentions the co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in terms of a ‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then there’s the subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I subscribe,” and in the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to his ontological commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a subscript device? Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot pronounce a subscript device or a square-bracket device. So his point is ironic. “Ordinary” language does not need it. But if Strawson and Quine are going to be picky about stuff – ontological commitment, ‘existential presupposition,’ let’s subscribe and bracket! Note that Quine’s response to Grice is perfunctory: “Brackets would have done!” Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to marry him; Jack wants someone or other to marry him; Jack wants a particular person to marry him, and There is someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that there are clearly at least two possible readings of an utterance like our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be paraphrased by (ii). A second reading is one in which it might be paraphrased by (iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the phenomenon in his own version of a first-order predicate calculus. Ja wants that p becomes Wjap where ja stands for the individual constant Jack as a super-script attached to the predicate standing for Jacks psychological state or attitude. Grice writes: Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent, respectively, the external reading and the internal reading (involving an intentio secunda or intentio obliqua) as (Ǝx)WjaFxja and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an intentio seconda.Grice notes: But suppose that Jack wants a specific individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been deceived into thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though in fact Joe is an only child. The Jill Jack eventually goes up the hill with is, coincidentally, another Jill, possibly existent. Let us recall that Grices main focus of the whole essay is, as the title goes, emptiness! In these circumstances, one is inclined to say that (i) is true only on reading (vii), where the existential quantifier occurs within the scope of the psychological-state or -attitude verb, but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the scope of the psychological-attitude verb, want, since [well,] Jill does not really exist, except as a figment of Jacks imagination. In a manoeuver that I interpret as purely intentionalist, and thus favouring by far Suppess over Chomskys characterisation of Grice as a mere behaviourist, Grice hopes that we should be provided with distinct representations for two familiar readings of, now: Jack wants Jill to marry him and Jack wants Jill to marry him. It is at this point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for the predicate calculus in question. Only the first formulation represents the internal reading (where ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and W3ja4F2ji1ja4. Note that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is introduced prior to want, – jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the higher numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct, (Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality! Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not display any existential or de re, force, and is suitable therefore for representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not actually exist.

stupid. Grice loved Plato. They are considering ‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”

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sub-gestum -- suggestio falsi – suggest. To suggest is like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice, ‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggestadvisepromptofferbring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (ressuggeritut Italicarum rerum esse credantur eae res,” remindsadmonishesib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation ofAur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom. -- sub-gestum -- suggestum: not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous. Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10.— The implicaturum is a suggestum – ALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not, if ‘reasonable,’ but not ‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she says, “He is an Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that her povery contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”) So the ‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are ‘conversational suggestum.’ For Grice this is philosophically important, because many philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the philosopher’s import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.”


substantia – hypostasis, the process of regarding a concept or abstraction as an independent or real entity. The verb forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects of a certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied that a fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in ‘Plato was guilty of the reification of universals’. The issue turns largely on criteria of ontological commitment.  The exact Greek transliteration is “hypostasis” Arianism, diverse but related teachings in early Christianity that subordinated the Son to God the Father. In reaction the church developed its doctrine of the Trinity, whereby the Son and Holy Spirit, though distinct persons hypostases, share with the Father, as his ontological equals, the one being or substance ousia of God. Arius taught in Alexandria, where, on the hierarchical model of Middle Platonism, he sharply distinguished Scripture’s transcendent God from the Logos or Son incarnate in Jesus. The latter, subject to suffering and humanly obedient to God, is inferior to the immutable Creator, the object of that obedience. God alone is eternal and ungenerated; the Son, divine not by nature but by God’s choosing, is generated, with a beginning: the unique creature, through whom all else is made. The Council of Nicea, in 325, condemned Arius and favored his enemy Athanasius, affirming the Son’s creatorhood and full deity, having the same being or substance homoousios as the Father. Arianism still flourished, evolving into the extreme view that the Son’s being was neither the same as the Father’s nor like it homoiousios, but unlike it anomoios. This too was anathematized, by the Council of 381 at Constantinople, which, ratifying what is commonly called the Nicene Creed, sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three persons against Arian subordinationism. 

Sub-positum -- suppositum – Cicero for ‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’ – a hypothetico-deductive method, a method of testing hypotheses. Thought to be preferable to the method of enumerative induction, whose limitations had been decisively demonstrated by Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has been viewed by many as the ideal scientific method. It is applied by introducing an explanatory hypothesis resulting from earlier inductions, a guess, or an act of creative imagination. The hypothesis is logically conjoined with a statement of initial conditions. The purely deductive consequences of this conjunction are derived as predictions, and the statements asserting them are subjected to experimental or observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the hypothesis, A a statement of initial conditions, and O one of the testable consequences of (H • A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and ‘this piece of lead is now being hammered’ states the initial conditions, it follows deductively that ‘this piece of lead will change shape’. In deductive logic the schema is formally invalid, committing the logical fallacy of affirming the consequent. But repeated occurrences of O can be said to confirm the conjunction of H and A, or to render it more probable. On the other hand, the schema is deductively valid (the argument form modus tollens). For this reason, Karl Popper and his followers think that the H-D method is best employed in seeking falsifications of theoretical hypotheses. Criticisms of the method point out that infinitely many hypotheses can explain, in the H-D mode, a given body of data, so that successful predictions are not probative, and that (following Duhem) it is impossible to test isolated singular hypotheses because they are always contained in complex theories any one of whose parts is eliminable in the face of negative evidence.


sub-pressum -- suppresum veri: This is a bit like an act of omission – about which Urmson once asked, “Is that ‘to do,’ Grice?” – Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful handwriting.” Grice’s abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely the ‘suggestio falsi’ is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle, who ‘suppresses,’ is not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be ‘intentional,’ as an ‘omission’ is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied to a unity (alethic/practical) this was good. No multiplication, but unity – cf. untranslatable (think) – modality ‘the ‘must’, neutral – desideratum-doxa – think – Yes, when Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a report on the philosopher’s ability – not on  his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom.

super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice, “I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clause – for a communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable: “God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore, Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is super-love?”

Si – Grice: “If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent ‘if.’ -- “if” – (Italian: “si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an English expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E is to be implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an expression E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot detach it from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’ ‘or,’ and ‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted, as J. C. Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally non-commutative!” -- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a compound sentence, such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one sentence, the antecedent, is connected to a second, the consequent, by the connective ‘if . . . then’. Propositions statements, etc. expressed by conditionals are called conditional propositions statements, etc. and, by ellipsis, simply conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’ gives rise to a semantic classification of conditionals into material conditionals, causal conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In traditional logic, conditionals are called hypotheticals, and in some areas of mathematical logic conditionals are called implications. Faithful analysis of the meanings of conditionals continues to be investigated and intensely disputed.  conditional proof. 1 The argument form ‘B follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this form. 2 The rule of inference that permits one to infer a conditional given a derivation of its consequent from its antecedent. This is also known as the rule of conditional proof or /- introduction. conditioning, a form of associative learning that occurs when changes in thought or behavior are produced by temporal relations among events. It is common to distinguish between two types of conditioning; one, classical or Pavlovian, in which behavior change results from events that occur before behavior; the other, operant or instrumental, in which behavior change occurs because of events after behavior. Roughly, classically and operantly conditioned behavior correspond to the everyday, folk-psychological distinction between involuntary and voluntary or goaldirected behavior. In classical conditioning, stimuli or events elicit a response e.g., salivation; neutral stimuli e.g., a dinner bell gain control over behavior when paired with stimuli that already elicit behavior e.g., the appearance of dinner. The behavior is involuntary. In operant conditioning, stimuli or events reinforce behavior after behavior occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by being paired with actual reinforcers. Here, occasions in which behavior is reinforced serve as discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior is goal-directed, if not consciously or deliberately, then through the bond between behavior and reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at dinner may serve as the discriminative stimulus evoking the request “Please pass the salt,” whereas saying “Thank you” may reinforce the behavior of passing the salt. It is not easy to integrate conditioning phenomena into a unified theory of conditioning. Some theorists contend that operant conditioning is really classical conditioning veiled by subtle temporal relations among events. Other theorists contend that operant conditioning requires mental representations of reinforcers and discriminative stimuli. B. F. Skinner 4 90 argued in Walden Two 8 that astute, benevolent behavioral engineers can and should use conditioning to create a social utopia.  conditio sine qua non Latin, ‘a condition without which not’, a necessary condition; something without which something else could not be or could not occur. For example, being a plane figure is a conditio sine qua non for being a triangle. Sometimes the phrase is used emphatically as a synonym for an unconditioned presupposition, be it for an action to start or an argument to get going. I.Bo. Condorcet, Marquis de, title of Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat 174394,  philosopher and political theorist who contributed to the Encyclopedia and pioneered the mathematical analysis of social institutions. Although prominent in the Revolutionary government, he was denounced for his political views and died in prison. Condorcet discovered the voting paradox, which shows that majoritarian voting can produce cyclical group preferences. Suppose, for instance, that voters A, B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A: xyz, B: yzx, and C: zxy. Then in majoritarian voting x beats y and y beats z, but z in turn beats x. So the resulting group preferences are cyclical. The discovery of this problem helped initiate social choice theory, which evaluates voting systems. Condorcet argued that any satisfactory voting system must guarantee selection of a proposal that beats all rivals in majoritarian competition. Such a proposal is called a Condorcet winner. His jury theorem says that if voters register their opinions about some matter, such as whether a defendant is guilty, and the probabilities that individual voters are right are greater than ½, equal, and independent, then the majority vote is more likely to be correct than any individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main works are Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the Probability of Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous treatise on social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human Mind, 1795.  “if” corresponding conditional of a given argument, any conditional whose antecedent is a logical conjunction of all of the premises of the argument and whose consequent is the conclusion. The two conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is wise’ and ‘if Ben is wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two corresponding conditionals of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and ‘Ben is wise’ and whose conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise argument, the corresponding conditional is the conditional whose antecedent is the premise and whose consequent is the conclusion. The limiting cases of the empty and infinite premise sets are treated in different ways by different logicians; one simple treatment considers such arguments as lacking corresponding conditionals. The principle of corresponding conditionals is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for all its corresponding conditionals to be tautological. The commonly used expression ‘the corresponding conditional of an argument’ is also used when two further stipulations are in force: first, that an argument is construed as having an ordered sequence of premises rather than an unordered set of premises; second, that conjunction is construed as a polyadic operation that produces in a unique way a single premise from a sequence of premises rather than as a dyadic operation that combines premises two by two. Under these stipulations the principle of the corresponding conditional is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for its corresponding conditional to be valid. These principles are closely related to modus ponens, to conditional proof, and to the so-called deduction theorem.  “if” counterfactuals, also called contrary-to-fact conditionals, subjunctive conditionals that presupcorner quotes counterfactuals pose the falsity of their antecedents, such as ‘If Hitler had invaded England, G.y would have won’ and ‘If I were you, I’d run’. Conditionals or hypothetical statements are compound statements of the form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’. Component p is described as the antecedent protasis and q as the consequent apodosis. A conditional like ‘If Oswald did not kill Kennedy, then someone else did’ is called indicative, because both the antecedent and consequent are in the indicative mood. One like ‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone else would have’ is subjunctive. Many subjunctive and all indicative conditionals are open, presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If Bob had won, he’d be rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’ nor ‘If Bob won, he is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals presuppose, rather than assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan had been president, he would have been famous’ seems inappropriate and out of place, but not false, given that Reagan was president. The difference between counterfactual and open subjunctives is less important logically than that between subjunctives and indicatives. Whereas the indicative conditional about Kennedy is true, the subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no one’ and the truth-values reverse. The most interesting logical feature of counterfactuals is that they are not truth-functional. A truth-functional compound is one whose truth-value is completely determined in every possible case by the truth-values of its components. For example, the falsity of ‘The President is a grandmother’ and ‘The President is childless’ logically entails the falsity of ‘The President is a grandmother and childless’: all conjunctions with false conjuncts are false. But whereas ‘If the President were a grandmother, the President would be childless’ is false, other counterfactuals with equally false components are true, such as ‘If the President were a grandmother, the President would be a mother’. The truth-value of a counterfactual is determined in part by the specific content of its components. This property is shared by indicative and subjunctive conditionals generally, as can be seen by varying the wording of the example. In marked contrast, the material conditional, p / q, of modern logic, defined as meaning that either p is false or q is true, is completely truth-functional. ‘The President is a grandmother / The President is childless’ is just as true as ‘The President is a grandmother / The President is a mother’. While stronger than the material conditional, the counterfactual is weaker than the strict conditional, p U q, of modern modal logic, which says that p / q is necessarily true. ‘If the switch had been flipped, the light would be on’ may in fact be true even though it is possible for the switch to have been flipped without the light’s being on because the bulb could have burned out. The fact that counterfactuals are neither strict nor material conditionals generated the problem of counterfactual conditionals raised by Chisholm and Goodman: What are the truth conditions of a counterfactual, and how are they determined by its components? According to the “metalinguistic” approach, which resembles the deductive-nomological model of explanation, a counterfactual is true when its antecedent conjoined with laws of nature and statements of background conditions logically entails its consequent. On this account, ‘If the switch had been flipped the light would be on’ is true because the statement that the switch was flipped, plus the laws of electricity and statements describing the condition and arrangement of the circuitry, entail that the light is on. The main problem is to specify which facts are “fixed” for any given counterfactual and context. The background conditions cannot include the denials of the antecedent or the consequent, even though they are true, nor anything else that would not be true if the antecedent were. Counteridenticals, whose antecedents assert identities, highlight the difficulty: the background for ‘If I were you, I’d run’ must include facts about my character and your situation, but not vice versa. Counterlegals like ‘Newton’s laws would fail if planets had rectangular orbits’, whose antecedents deny laws of nature, show that even the set of laws cannot be all-inclusive. Another leading approach pioneered by Robert C. Stalnaker and David K. Lewis extends the possible worlds semantics developed for modal logic, saying that a counterfactual is true when its consequent is true in the nearest possible world in which the antecedent is true. The counterfactual about the switch is true on this account provided a world in which the switch was flipped and the light is on is closer to the actual world than one in which the switch was flipped but the light is not on. The main problem is to specify which world is nearest for any given counterfactual and context. The difference between indicative and subjunctive conditionals can be accounted for in terms of either a different set of background conditions or a different measure of nearness. counterfactuals counterfactuals     Counterfactuals turn up in a variety of philosophical contexts. To distinguish laws like ‘All copper conducts’ from equally true generalizations like ‘Everything in my pocket conducts’, some have observed that while anything would conduct if it were copper, not everything would conduct if it were in my pocket. And to have a disposition like solubility, it does not suffice to be either dissolving or not in water: it must in addition be true that the object would dissolve if it were in water. It has similarly been suggested that one event is the cause of another only if the latter would not have occurred if the former had not; that an action is free only if the agent could or would have done otherwise if he had wanted to; that a person is in a particular mental state only if he would behave in certain ways given certain stimuli; and that an action is right only if a completely rational and fully informed agent would choose it. “If the cat is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS INDICATIVE – “Subjective ‘if’ is a different animal as Julius Caesar well knew!” -- Refs: “If and Macaulay.”

iff: Grice: “a silly abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P biconditional Q’.


sublime: sub-lime, neuter.  sublīmie (collat. form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap. Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh. sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum, Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet. and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus, altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,” Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666: “tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46: “arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,” Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (opp. to pronus), Ov. M. 1, 85; cf. id. ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11: “armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated, raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere (arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7, 13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1, 404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A. 1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat. 68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12, 179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air: “piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B. Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4, § 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,” Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.: “antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378: “mens,” Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10, 121: “sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P. 165; cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12, 15.—Comp.: “quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5, 5, § 10; Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod. Just. 7, 62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq. in Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara et sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11, 1, 3: “actio (opp. causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia humilibus misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.: “natura sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et grandiloquus (Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,” id. 10, 1, 119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68: “sublimius aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque solitudines voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft, loftily, on high. (α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R. 70, 2; so id. ib. 71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15, 1.— (β). Form sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime putescat,” Cic. Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa,” id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic. Tusc. 1, 17, 40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv. 21, 30: “expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum Attollit caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily (very rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130. Grice’s favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by objects that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure: we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of “the aesthetic”  understood as that which is sensuously present  as a way of understanding what is important about art. It has also been given a political reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty connects with conservative acceptance of existing forms or structures of society. 

subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of social order and the common good governing the relations between the higher and lower associations in a political community. Positively, the principle of subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining public good which comprises justice, public peace, and public morality also has an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering assistance subsidium to those individuals and associations whose activities facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts, sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that higher-level i.e., more comprehensive associations  while they must monitor, regulate, and coordinate  ought not to absorb, replace, or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This presumption favoring free individual and social initiative has been defended on various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free, creative potential of subordinate groups and individuals who build up the shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity 886   886 that human flourishing depends crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government of voluntary associations and that human beings flourish best through their own personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or beneficiaries of the initiatives of others. 

subsistum: sub-sistum -- subsistence translation of G. Bestand, in current philosophy, especially Meinong’s system, the kind of being that belongs to “ideal” objects such as mathematical objects, states of affairs, and abstractions like similarity and difference. By contrast, the kind of being that belongs to “real” wirklich objects, things of the sorts investigated by the sciences other than psychology and pure mathematics, is called existence Existenz. Existence and subsistence together exhaust the realm of being Sein. So, e.g., the subsistent ideal figures whose properties are investigated by geometers do not exist  they are nowhere to be found in the real world  but it is no less true of them that they have being than it is of an existent physical object: there are such figures. Being does not, however, exhaust the realm of objects or things. The psychological phenomenon of intentionality shows that there are in some sense of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist. Every intentional state is directed toward an object. Although one may covet the Hope Diamond or desire the unification of Europe, one may also covet a non-existent material object or desire a non-subsistent state of affairs. If one covets a non-existent diamond, there is in some sense of ‘there is’ something that one covets  one’s state of mind has an object  and it has certain properties: it is, e.g., a diamond. It may therefore be said to inhabit the realm of Sosein ‘being thus’ or ‘predication’ or ‘having properties’, which is the category comprising the totality of objects. Objects that do not have any sort of being, either existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein. In general, the properties of an object do not determine whether it has being or non-being. But there are special cases: the round square, by its very nature, cannot subsist. Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend, i.e., independent of both existence and subsistence.

substratum: sub-statum: hypoeinai, hypostasis, hypokemeinon -- substantia – Grice: “The Romans never felt the need for the word ‘substantia’ but trust Cicero to force them to use it!” -- Grice lectured on this with J. L. Austin and P. F. Strawson. hypousia -- as defined by Aristotle in the Categories, that which is neither predicable “sayable” of anything nor present in anything as an aspect or property of it. The examples he gives are an individual man and an individual horse. We can predicate being a horse of something but not a horse; nor is a horse in something else. He also held that only substances can remain self-identical through change. All other things are accidents of substances and exist only as aspects, properties, or relations of substances, or kinds of substances, which Aristotle called secondary substances. An example of an accident would be the color of an individual man, and an example of a secondary substance would be his being a man. For Locke, a substance is that part of an individual thing in which its properties inhere. Since we can observe, indeed know, only a thing’s properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is obviously rooted in Aristotle’s but the latter carries no skeptical implications. In fact, Locke’s sense is closer in meaning to what Aristotle calls matter, and would be better regarded as a synonym of ‘substratum’, as indeed it is by Locke. Substance may also be conceived as that which is capable of existing independently of anything else. This sense is also rooted in Aristotle’s, but, understood quite strictly, leads to Spinoza’s view that there can be only one substance, namely, the totality of reality or God. A fourth sense of ‘substance’ is the common, ordinary sense, ‘what a thing is made of’. This sense is related to Locke’s, but lacks the latter’s skeptical implications. It also corresponds to what Aristotle meant by matter, at least proximate matter, e.g., the bronze of a bronze statue Aristotle analyzes individual things as composites of matter and form. This notion of matter, or stuff, has great philosophical importance, because it expresses an idea crucial to both our ordinary and our scientific understandings of the world. Philosophers such as Hume who deny the existence of substances hold that individual things are mere bundles of properties, namely, the properties ordinarily attributed to them, and usually hold that they are incapable of change; they are series of momentary events, rather than things enduring through time. 

substantialism, the view that the primary, most fundamental entities are substances, everything else being dependent for its existence on them, either as a property of them or a relation between them. Different versions of the view would correspond to the different senses of the word ‘substance’. 

salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's General Science. Characteristics:  In Chapter 19, Definition 1, Leibniz writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted for one another wherever we please without altering the truth of any statement (salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” -- a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in that context. The expressions are also said to be interchangeable or intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be said that the one expression is substitutable for the other or exhibits substitutability with respect to the other at that place. Leibniz proposed to use the universal interchangeability salva veritate of two terms in every “proposition” in which they occur as a necessary and sufficient condition for identity  presumably for the identity of the things denoted by the terms. There are apparent exceptions to this criterion, as Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed by a psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression conveying modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal expressions such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote the same thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences of expressions within quotation marks or where the expressions are both mentioned and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his size” also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures are to be explained by the fact that within such contexts an expression does not have its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or the expression itself. Salva congruitate From Wikipedia, the free encyclopedia Jump to navigationJump to search Salva congruitate[1] is a Latin scholastic term in logic, which means "without becoming ill-formed",[2] salva meaning rescue, salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree. Salva Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted for each other while preserving grammaticality in all contexts.[3][4]   Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1 Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva congruitate Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a form of replacement in the context of meaning. It is a replacement which preserves semantic coherence and should be distinguished from a replacement which preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no meaning has been given. This means that supposing an original expression is meaningful, the new expression obtained by the replacement will also be meaningful, though it will not necessarily have the same meaning as the original one, nor, if the expression in question happens to be a proposition, will the replacement necessarily preserve the truth value of the original.[5]  Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate, as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language, which are able to replace singular terms without destructive effect on the grammar of a sentence.[6] Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the definite description 'the first man to swim the English Channel' salva congruitate. Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if made in the context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus terms which may be interchanged salva congruitate may not be interchangeable salva veritate (preserving truth). More generally, expressions of any type are interchangeable salva congruitate if and only if they can replace one another preserving grammaticality or well-formedness.  See also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin Wright Peter Geach References  W.V.O. Quine, Philosophy of logic  Dr. Benjamin Schnieder, Canonical Property Designators, P9  W.V.O. Quine, Quiddities, P204  W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18  Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of meaning, p57  Bob Hale, Singular Terms, P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P. Grice, “What I learned from T. C. Potts.” – T. C. Potts, “My tutorials with Grice at St. John’s.”

summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things have at most instrumental value value only insofar as they are productive of what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have for the most part been teleological in character. That is, they have identified the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure; etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view, the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what is good only in combination with certain other elements the “extrinsically good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically been the province of monists believers in a single good, not pluralists.

summum genus. What adjective is the ‘sumum’ translating, Grice wondered. And he soon found out. We know that the Romans were unoriginally enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating Grecian ‘genos.’ The highest category in the ‘arbor griceiana’ -- The categories. There is infimum genus, or sub-summum. Talk of categories becomes informal in Grice when he ‘echoes’ Kant in the mention of four ‘functions’ that generate for Kant twelve categories. Grice however uses the functions themselves, echoing Ariskant, rather, as ‘caegory’. We have then a category of conversational quantity (involved in a principle of maximization of conversational informativeness). We have a category of conversational quality (or a desideratum of conversational candour). We have a category of conversational relation (cf. Strawson’s principle of relevance along with Strawson’s principles of the presumption of knowledge and the presumption of ignorance). Lastly, we have a category of conversational mode. For some reason, Grice uses ‘manner’ sometimes in lieu of Meiklejohn’s apt translation of Kant’s modality into the shorter ‘mode.’ The four have Aristotelian pedigree, indeed Grecian and Graeco-Roman: The quantity is Kant’s quantitat which is Aristotle’s posotes (sic abstract) rendered in Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle derives ‘posotes,’ from ‘poson,’ the quantum. No quantity without quantum. The quality is Kant’s qualitat, which again has Grecian and Graeco-Roman pediegree. It is Aristotel’s poiotes (sic in abstract), rendered in Roman as qualitas. Again, derived from the more basic ‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a ‘-tes’ ending form for what Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and first translated into Roman as ‘relatio.’ We see here that we are talking of a ‘summum genus.’ For who other but a philosopher is going to lecture on the ‘pros it’? What Aristotle means is that Socrates is to the right of Plato. Finally, for Grice’s mode, there is Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers to Aristotle ‘te’ and translated in Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a better classicist than Kant, renders as ‘mode,’ and not the pretentious sounding ‘modality.’ Now for Kant, 12 categories are involved here. Why? Because he subdivides each summum genus into three sub-summum or ‘inferiore’ genus. This is complex. Kant would DISAGREE with Grice’s idea that a subject can JUDGE in generic terms, say, about the quantum. The subject has THREE scenarios. It’s best to reverse the order, for surely unity comes before totality. One scenario, he utters a SINGULAR or individual utterance (Grice on ‘the’). The CATEGORY is the first category, THE UNUM or UNITAS. The one. The unity. Second scenario, he utters a PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at least one). Here we encounter the SECOND category, that of PLURALITAS, the plurum, plurality. It’s a good thing Kant forgot that the Greeks had a dual number, and that Urquhart has fourth number, a re-dual. A third scenario: the nirvana. He utters a UNIVERSAL (totum) utterance (Grice on “all”). The category is that of TOTUM, TOTALITAS, totality. Kant does not deign to specify if he means substitutional or non-substitutional. For the quale, there are again three scenarios for Kant, and he would deny that the subject is confronted with the FUNCTION quale and be able to formulate a judgement. The first scenario involves the subject uttering a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this before introducing ‘not’ in “Indicative conditionals” – “Let’s start with some unstructured amorophous proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but the nirvana “REALITAS,” Reality, reale.Second scenario, subject utters a PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio a category (why should he?), he does consider NEGATIO a category. Negation. See abdicatum. Third scenario, subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the category is that of LIMITATION, which is quite like NEGATIO (cf. privatio, stelesis, versus habitus or hexis), but not quite. Possibly LIMITATUM. Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario involves a categorema, PROPOSITIO CATEGORICA. Here Kant seems to think that there is ONE category called “INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and accident. There seem rather two. He will go to this ‘pair’ formulation in one more case in the relation, and for the three under modus. If we count the ‘categorical pairs’ as being two categories. The total would not be 12 categories but 17, which is a rather ugly number for a list of categories, unles it is not. Kant is being VERY serious here, because if he has SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is SECUNDA SUBSTANTIA or ‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia or PRIMA SUBSTANTIA as a category. It is defined as THE THING which cannot be predicated of anything! “SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING BUT THE SUBSTANCE can be seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny categories, reduce them to ‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario involves an ‘if’ Grice on ‘if’ – PROPOSITIO CONDITIONALIS – hypothetike protasis -- this involves for the first time a MOLECULAR proposition. As in the previous case, we have a ‘category pair’, which is formulated either as CAUSALITY (CAUSALITAS) and DEPENDENCE (Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’ (Effectum). Kant is having in mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of P. F. Strawson on Kant). For since this is the hypothetical, Kant is suggeseting that in ‘if p, q’ q depends on p, or q is an effect of its cause, p. As in “If it rains, the boots are in the closet.” (J). The third scenario also involves a molectural proposition, A DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA. Note that in Kant, ‘if’ before ‘or’! His implicaturum: subordination before coordination, which makes sense. Grice on ‘or.’ FOR SOME REASON, the category here for Kant is that of COMMUNITAS (community) or RECIPROCITAS, reciprocity. He seems to be suggesting that if you turn to the right or to the left, you are reciprocally forbidden to keep on going straight. For the modus, similar. Here Kant is into modality. Again, it is best to re-order the scenarios in terms of priority. Here it’s the middle which is basic. The first scenario, subject utters an ASSERTORIC. The category is a pair: EXISTENCE (how is this different from REALITY) and NON-EXISTENCE (how is this different from negation?). He has in mind: ‘the cat is in the room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the subject doubts. subject utters a problematical. (“The pillar box may be red”). Here we have a category pair: POSSIBILITIAS (possibility) and, yes, IMPOSSIBILITAS – IMPOSSIBILITY. This is odd, because ‘impossibility’ goes rather with the negation of necessity. The third and last scenario, subject utters an APODEICTIC. Here again there is a category pair – yielding 17 as the final number --: NECESSITAS, necessity, and guess what, CONTINGENTIA, or contingency. Surely, possibilitas and contingentia are almost the same thing. It may be what Grice has in mind when he blames a philosopher to state that ‘what is actual is not also possible.’ Or not. Refs.: H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of Ariskant’s categories,” Ryle, “Categories.” “The nisnamed categories.” Ryle notes that when it comes to ‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a ‘relation’ as in higher than, or smaller than. – “His idea of the molecular propositions has nothing to do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”

sub-positum, suppositum – (literally, ‘sub-positum,’) -- cf. presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions. Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of personal supposition. This part of supposition theory divided personal supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’, “determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive” ‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a theory of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle Ages in the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice, “Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P. Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P. Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”

survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal consciousness after death or that one continues to exist only through one’s descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an individual, are not theories of survival. Although survival does not entail immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many theories of survival incorporate these features. Theories about survival have expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient behaviorism survival 892   892 Some philosophers have maintained that persons cannot survive without their own bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of recollection, in contrast, supposes that one can survive without any experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life  memories, skills, and character traits  were somehow duplicated into a data bank and erased from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that the person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body. Has the person survived, and if so, as whom? 

swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologian – hardly an aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and justification of theistic belief and the rationality of living by that belief: TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since 5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian Religion at the  of Oxford, he has written a tetralogy about some of the most central of the distinctively Christian religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2, The Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most interesting feature of the trilogy is its contribution to natural theology. Using Bayesian reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by arguing that its probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard 893   893 by such things as the existence of the universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities to do good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious experience. The existence of evil does not count against the existence of God. On our total evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates and defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven, Hell, the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the grounds for supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and argues for a Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H. P. Grice, “Swinburne et moi.”

synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibile – cum-sensibile – co-sensatio, co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally associated with one sensory modality are or seem to be sensed in another. Examples include auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft moonlight” as well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and “bright smiles.” Two features of synaesthesia are of philosophic interest. First, the experience may be used to judge the appropriateness of sensory metaphors and similes, such as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is appropriate just when oboes sound sweet. Second, synaesthesia challenges the manner in which common sense distinguishes among the external senses. It is commonly acknowledged that taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or any other sense, but differs from them because taste involves gustatory rather than auditory experiences. In synaesthesia, however, one might taste sounds sweet-sounding oboes. G.A.G. syncategoremata, 1 in grammar, words that cannot serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions. The opposite is categoremata, words that can do this. For example, ‘and’, ‘if’, ‘every’, ‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are syncategorematic terms, whereas ‘dog’, ‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic ones. This usage comes from the fifth-century Latin grammarian Priscian. It seems to have been the original way of drawing the distinction, and to have persisted through later periods along syllogism, demonstrative syncategoremata 896   896 with other usages described below. 2 In medieval logic from the twelfth century on, the distinction was drawn semantically. Categoremata are words that have a definite independent signification. Syncategoremata do not have any independent signification or, according to some authors, not a definite one anyway, but acquire a signification only when used in a proposition together with categoremata. The examples used above work here as well. 3 Medieval logic distinguished not only categorematic and syncategorematic words, but also categorematic and syncategorematic uses of a single word. The most important is the word ‘is’, which can be used both categorematically to make an existence claim ‘Socrates is’ in the sense ‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula ‘Socrates is a philosopher’. But other words were treated this way too. Thus ‘whole’ was said to be used syncategorematically as a kind of quantifier in ‘The whole surface is white’ from which it follows that each part of the surface is white, but categorematically in ‘The whole surface is two square feet in area’ from which it does not follow that each part of the surface is two square feet in area. 4 In medieval logic, again, syncategoremata were sometimes taken to include words that can serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions, but may interfere with standard logical inference patterns when they do. The most notorious example is the word ‘nothing’. If nothing is better than eternal bliss and tepid tea is better than nothing, still it does not follow by the transitivity of ‘better than’ that tepid tea is better than eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’. Everything red is colored, but not everything that begins to be red begins to be colored it might have been some other color earlier. Such words were classified as syncategorematic because an analysis called an expositio of propositions containing them reveals implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps 2. Thus an analysis of ‘The apple begins to be red’ would include the claim that it was not red earlier, and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and 2. 5 In modern logic, sense 2 is extended to apply to all logical symbols, not just to words in natural languages. In this usage, categoremata are also called “proper symbols” or “complete symbols,” while syncategoremata are called “improper symbols” or “incomplete symbols.” In the terminology of modern formal semantics, the meaning of categoremata is fixed by the models for the language, whereas the meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions for the various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice, “Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”

syneidesis, conscientia -- synderesis: Grice disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup reckoned to be a corruption of the Greician “συνείδησις” shared knowledge, literally ‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or conscience,  the corruption appearing in the medieval manuscripts of what Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio vol. 57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel Commentary, p. 67. συνείδησις , εως, ἡ, A. Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων (in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422 (ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3. knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4. consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] Chrysipp.Stoic.3.43, cf. Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης” Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι” Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec. 10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12, Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.); “κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq. 6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ” Supp.Epigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do with the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy or Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I. To be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well (late Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’ ‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman ‘conscience’ (from cum-scire) --  by Aquinas. For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the most common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’ is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum) – Grice: “In fact, Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect, sctium, future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’  like ‘synderesis’, is typically used for the state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general moral knowledge as well as its application here and now; but the content of synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such common moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a version of the Aristotelian doctrine that there are starting points of knowledge so easily grasped that the grasping of them is a defining mark of the human being. However perversely the human agent behaves there will remain not only the comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum) avoided, but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,” “Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”

synergism: in soteriology, the cooperation within human consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism 897   897 1569. Under the influence of Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox, predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism. Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism, Methodism, and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have professed versions of synergism. 

systems theory: the transdisciplinary study of the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type, or spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles common to all complex entities and the usually mathematical models that can be used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics, 6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This particular organization determines a system, which is independent of the concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people. Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis for their unification. Systems concepts include: system environment boundary, input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information. The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science, 1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems theory arose from the development of isomorphies between the models of electrical circuits and other systems. Applications include engineering, computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis, developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify possible courses of action, together with their risks, costs, and benefits. Systems theory is closely connected to cybernetics, and also to system dynamics, which models changes in a network of synergy systems theory 898   898 coupled variables e.g. the “world dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life, artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation. 

taddio: essential Jump to navigationJump Luca Taddio Da Wikipedia, l'enciclopedia liberto search Dubbio di enciclopedicità La rilevanza enciclopedica di questa voce o sezione sull'argomento filosofi è stata messa in dubbio. Motivo: dalla voce non si evince particolare rilevanza, la maggior parte dei volumi sono stati pubblicati per la casa editrice che codirige e forse ha fondato, ma riguardo a questo le due voci sono contradditorie. A parte una recensione di Sole24h, la maggior parte delle fonti parlano di lui solo marginalmente. Una richiesta un anno fa in pagina di discussione di esplicitare la rilevanza del soggetto non ha ottenuto risposte. In realtà il dubbio era già stato apposto nel 2016 ed eliminato senza discussione Puoi aiutare aggiungendo informazioni verificabili e non evasive sulla rilevanza, citando fonti attendibili di terze parti e partecipando alla discussione. Se ritieni la voce non enciclopedica, puoi proporne la cancellazione. 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Dopo i primi studi artistici si laurea in Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il dipartimento di Filosofia dell'Università di Edimburgo: completa la sua formazione all'Università di Trieste conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi.  Il primo libro, Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico: l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio immaginale.  Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista: Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica, la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi e, dall'altro, in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge alla fenomenologia.[2]  A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I due misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con Massimo Donà.[3]  L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura.[4]  In Verso un nuovo realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si conclude con un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del Nuovo realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele Severino.[5] [6]  Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia (Si veda: Alfabeta2[7]; “aut aut”[8]; “Cinema&Cie”[9]; “Teoria & Modelli”[10]; “La Filosofia Futura”[11]; “Philosophical Readings”[12];).  Nel 2006 fonda, con Pierre dalla Vigna, Mimesis Edizioni: la società è detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006 costituisce, con Marco Brollo, lo studio grafico Mimesis Communication.  Nel 2014 progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival Mimesis – Territori delle idee.  A partire da una prima formazione politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica  (interventi: Festival Vicino Lontano[13], Pop Sophia[14], Radio Radicale[15]).  Nel 2016 viene nominato dal Ministro Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova[16]. Dall'anno accademico 2018-19 è professore associato di estetica presso l'Università degli studi di Udine.  Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore, 2004 Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis, 2011 L'affermazione dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con Damiano Cantone), Mimesis, 2014 Global Revolution, Mimesis, 2012 I due misteri. Da Magritte alla natura delle rappresentazioni pittoriche, Mimesis, 2012 Verso un nuovo realismo. Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica, Jouvence, 2013 Curatele Paolo Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, 2009 La guerra e il mortale. A lezione da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire Abitare Pensare, Mimesis, 2009 Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis, 2011 La Terra e il Sacro. A lezione da Massimo Donà, Mimesis, 2011 Città Metropoli Territorio, Mimesis, 2012 David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis, 2012 Manifesto per una sinistra cosmopolita, Mimesis, 2013 Radicalmente liberi. A partire da Marco Pannella, con L. Caffo, Mimesis 2014 In dialogo con Maurizio Ferraris, Mimesis 2016 Note ^ Curriculum Luca Taddio (PDF), su lucataddio.com (archiviato dall'url originale il 1º giugno 2016). ^ Massimo Donà - L'apparire della Cosa - La Fenomenologia Eretica Di Luca Taddio, su youtube.com. ^ Uno scandalo per il pensiero, su ilsole24ore.com. ^ “aut aut” n. 368/2015, su autaut.ilsaggiatore.com. ^ Ma il realismo non è tutto nuovo, su corriere.it. ^ È il crepuscolo delle tradizioni, su corriere.it. ^ Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it. ^ Vuoti di sapere, su autaut.ilsaggiatore.com. ^ The Geopolitics of Cinema and the Study of Film, su cinemaetcie.net (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2016). ^ Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it (archiviato dall'url originale il 7 maggio 2016). ^ La Filosofia Futura, su lafilosofiafutura.it. ^ PHILOSOPHICAL READINGS - Special Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW PERSPECTIVES (PDF), su philosophicalreadings.files.wordpress.com. ^ Passione politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e L.Taddio, su youtube.com. ^ "Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su youtube.com. ^ Oratore: Luca Taddio, su radioradicale.it. ^ CDA Palazzo Reale Genova (PDF), su beniculturali.it. Collegamenti esterni Sito ufficiale, su lucataddio.it. Modifica su Wikidata Registrazioni di Luca Taddio, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Intervista a E. Severino Artribune: intervista di Davide Dal Sasso Controllo di autorità                         VIAF (EN) 170547256 · SBN IT\ICCU\CFIV\217449 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2011068878 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloEditori italianiNati nel 1974Nati a Udine[altre]

Tagliabue Guido Morpurgo-Tagliabue Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Guido Morpurgo-Tagliabue (Milano, 9 gennaio 1907 – Milano, 29 marzo 1997) è stato un filosofo, critico letterario e accademico italiano.   Indice 1Biografia 2Opere principali 2.1Introduzioni e prefazioni 3Note 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Nato da padre ignoto e dalla giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo avvocato, assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo (1847-1920), si formò all'Università degli Studi di Milano, laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a partire da due saggi del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il concetto dello stile (entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il posto di professore di Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al 1961), poi quello di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste (dal 1964 al 1982).  In precedenza aveva collaborato dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.  Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico.  Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel rapporto tra percezione e immaginazione).  Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche, formalistiche, fenomenologiche ecc.  In Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc.  Fu critico con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il confronto con il movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma continuò a tenere lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale.  Morì senza figli e senza essersi mai sposato a 90 anni, nel 1997.  A suo ricordo la sorella Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia a Trieste[1].  Opere principali I processi di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistenziale, Milano: F.lli Bocca, 1951 Dai romantici a noi, Milano: Marzorati, 1953 Aristotelismo e barocco, Milano: F.lli Bocca, 1955 L'esthétique contemporaine. Une enquête, Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del "gusto" nell'Italia del Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962 Linguistica e stilistica di Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia dei giudizi di valore, Trieste: Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i suoi problemi, Trieste: Istituto di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980 La nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale Monferrato: Marietti, 1983 Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi, 1984 Geologia letteraria, Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo: Aesthetica, 1987 Goethe e il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto nell'estetica del Settecento, a cura di Luigi Russo e Giuseppe Sertoli, Palermo: Centro internazionale studi di estetica, 2002 Introduzioni e prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo dell'artista nella societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982 Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano: Rizzoli, 1989 Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990 Note ^ Crf. la pagina sul sito dell'Università di Trieste. Bibliografia Numero speciale di "Esercizi filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo (a cura di), Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, in "Aesthetica Pre-Print", 67, aprile 2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 77, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Voci correlate Morpurgo Collegamenti esterni Guido Morpurgo-Tagliabue, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio politicamente scorretto necrologio di Claudio Magris, Corriere della Sera, 4 aprile 1997, p. 33, Archivio storico. Controllo di autoritàVIAF (EN) 10974332 · ISNI (EN) 0000 0000 8076 3438 · SBN IT\ICCU\CFIV\003982 · LCCN (EN) n83236452 · GND (DE) 11944898X · BNF (FR) cb12071154b (data) · BNE (ES) XX1372794 (data) · BAV (EN) 495/281077 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83236452 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloCritici letterari italiani del XX secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1907Morti nel 1997Nati il 9 gennaioMorti il 29 marzoNati a MilanoMorti a MilanoStudenti dell'Università degli Studi di MilanoProfessori dell'Università degli Studi di MilanoSepolti nel Cimitero Monumentale di Milano[altre]

Tagliagambe  Silvano Tagliagambe Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Silvano Tagliagambe (Legnano, 9 luglio 1945) è un filosofo, fisico e accademico italiano, epistemologo.   Indice 1Cenni biografici 2Pensiero 3Note 4Opere 5Collegamenti esterni Cenni biografici Silvano Tagliagambe è nato nel 1945 a Legnano e si è trasferito poi a Milano dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo di Ludovico Geymonat con cui si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E. Terleckij.  La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal 1974 al 2008[1] e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico.[2]  Pensiero Il lavoro di ricerca di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto tra filosofia e fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e '900, in particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del '900.[3]  Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e della semiotica nel pensiero scientifico.[4] Ha elaborato il ruolo e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di informazione e comunicazione.  Ha elaborato i contributi sul profondo significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella comunicazione.[5] Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia, mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato e la funzione dell'inconscio.[6]  Ha ricostruito e interpretato l'intenso scambio dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il fondatore della psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi.[7] [8]  L'analisi tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso un'esegesi del pensiero di Florenskij.[9][10]  Le ricadute del suo pensiero sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici.[11] [12] [13]  L'attività presso la facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. [14] [15] [16] [17]  Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo pensiero.[18] [19] [20]  La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare[21] [22] [23] [24]  Nel 2012 ha diretto il rifacimento del manuale di filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in collaborazione con Edoardo Boncinelli.[25]  Collabora dal 2014 con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione (AD).  Note ^ (Università di Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero) ^ (Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna). ^ Vedi L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS. Vedi Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica.1924-1939. Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss. ^ Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel ^ Vedi Epistemologia del confine ^ Vedi Il Sogno di Dostoevskij ^ (vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche ^ Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in Corriere della Sera lunedì 24 ottobre 2011 che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”. ^ Vedi Come leggere Florenskij ^ Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij ^ vedi Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico ^ Vedi Individui e imprese: centralità delle relazioni ^ Vedi La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori ^ Vedi L'albero flessibile. La cultura della progettualità ^ Vedi Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto ^ Vedi La città possibile ^ Vedi People and Space. New Forms of interaction in City Project ^ Vedi: Epistemologia del cyberspazio ^ Vedi La comunicazione nell'era di Internet ^ Vedi Lo spazio intermedio, poi tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di confine. ^ Vedi La didattica e la rete ^ Vedi Più colta e meno Gentile ^ Vedi Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è ^ Vedi Nuovi percorsi per l'obbligo formativo ^ Vedi * La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, 2012, ISBN 978-88-6964-402-3; * La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, 2012, ISBN 978-88-6964-403-0; * La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti scuola, 2012, ISBN 978-88-6964-404-7. Opere È autore di oltre 200 opere tra cui:  L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, 1972; Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica. 1924-1939, Feltrinelli, Milano, 1978; Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979; Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, 1980; D.I. Mendeleev, Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico introduttivo (pp. I-XCVI) di S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino, 1992; L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI, Torino, 1994; Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, 1997; La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari, 1997; Il sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari, 1997; La città possibile, (in collaborazione con G. Maciocco), Dedalo, Bari, 1997; Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, 1997; L'albero flessibile. La cultura della progettualità, Masson, Milano, 1997; Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle Macchine', Anno XVII, 1999, n. 1(a cura di), Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, 1999 La didattica e la rete, Pitagora Editrice, Bologna, 2000 La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione con C. Crespellani Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBM – Etas Libri, Milano, 2000 (a cura di) Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici, Roma, 2001; La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione dei linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', anno XVIII, n. 4, 2000, (a cura di) Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002; Filosofia della scienza (in collaborazione con G. Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia), Cortina, Milano, 2002; (a cura di) Nuovi percorsi per l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Università di Pisa, Pisa, 2003; Il pensiero unitario di Ludovico Geymonat, in collaborazione cn AA.VV. Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano, 2005; Più colta e meno gentile. Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006; Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano, 2006; La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij, (in collaborazione con B. Antomarini) Franco Angeli, Milano, 2007; (a cura di), Individui e imprese: centralità delle relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano, 2008; Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con V.Campione) Einaudi, Torino, 2008; Lo spazio intermedio, Università Bocconi Editore, Milano, 2008; Storia della filosofia, vol. XIII, Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; Storia della filosofia, vol. XIV, Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People and Space. New Forms of interaction in City Project”, (in collaborazione con G.Maciocco) Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, 2009; El espacio intermedio. Red, individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, 2009; Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico) Raffaello Cortina, Milano, 2011; La libertà, le lettere, il potere, (in collaborazione con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011; La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola 2012 ISBN 978-88-6964-402-3 La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola 2012 ISBN 978-88-6964-403-0 La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola 2012 ISBN 978-88-6964-404-7 Collegamenti esterni Opere di Silvano Tagliagambe, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 277914199 · ISNI (EN) 0000 0003 8482 5407 · SBN IT\ICCU\CFIV\114761 · LCCN (EN) n78067976 · GND (DE) 132165724 · BNF (FR) cb12019198n (data) · BNE (ES) XX1283792 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n78067976 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloFisici italiani del XX secoloFisici italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1945Nati il 9 luglioNati a LegnanoEpistemologiProfessori della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università degli Studi di CagliariProfessori dell'Università degli Studi di SassariProfessori dell'Università di PisaStudenti dell'Università degli Studi di Milano[altre]

Taglialatela Pietro Taglialatela Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Pietro Taglialatela (Mondragone, 7 gennaio 1829 – Roma, 23 settembre 1913) è stato un pastore protestante, filosofo e scrittore italiano.   Indice 1Biografia 2Scritti 3           Bibliografia 4Voci correlate 5Collegamenti esterni Biografia Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al 1856.  Dal 1860, lasciato il sacerdozio, tentò di arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia meridionale i nuovi ideali del movimento unitario.  Nel 1861, fu nominato professore di teologia all'Università di Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì, sempre a Napoli, una scuola privata.  Incominciò da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano affascinato in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi di Bertrando Spaventa.  Non mancò, in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia».  Scritti Istituzioni di filosofia, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V. Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli 1867; La scienza, la vita e Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872; Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi, frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede, speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929; Bibliografia D. Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma 1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari 1922 (poi in Storia del Regno di Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela, in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n. 47, pp. 7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino 1972. Voci correlate Vincenzo Gioberti Protestantesimo in Italia Collegamenti esterni Pietro Taglialatela. Biografia, pubblicazioni e bibliografia in "Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito della Società di studi valdesi. URL visitato il 1º gennaio 2014. Pietro Tagliatela, Apologia della dottrina filosofica di V. Gioberti (il testo in Google Libri). URL visitato il 1º gennaio 2014. Controllo di autoritàVIAF (EN) 89492643 · ISNI (EN) 0000 0000 6248 7804 · BAV (EN) 495/264652 · WorldCat Identities (EN) viaf-89492643 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Pastori protestanti italianiFilosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloScrittori italiani del XIX secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel 1829Morti nel 1913Nati il 7 gennaioMorti il 23 settembreNati a MondragoneMorti a Roma[altre]

Tagliapietra Andrea Tagliapietra Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Andrea Tagliapietra Andrea Tagliapietra (Venezia, 7 marzo 1962) è uno scrittore e filosofo italiano.   Indice 1Biografia 2Opere principali 3Opere costituite da raccolte di lezioni 4Opere in collaborazione con altri autori 5Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni 6Alcuni saggi e articoli 7Testi in rete 8Interviste e video 9Note 10Collegamenti esterni Biografia Dopo la maturità classica al Liceo Marco Foscarini di Venezia, ha compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto la guida di Carlo Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l'Università degli studi di Sassari (1997-2004). Attualmente è professore ordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna Storia delle idee, Filosofia della cultura e Storia della filosofia.  Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero greco, sulla tradizione apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero moderno, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo,[1] sul ridere e sulla natura del personaggio comico.[2] Ha curato, per Feltrinelli, Bollati Boringhieri e Bruno Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della "catastrofe"; opere di Platone, Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni, Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas Feuerbach, Louis-Sébastien Mercier.  Dal 2007 sta curando l'edizione delle opere complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche (Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità [3] ha vinto nel 2004 il Premio Viareggio per la saggistica.[4] Nel 2013 gli è stato conferito il premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" per il saggio Gioacchino da Fiore e la filosofia.  È direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista internazionale di filosofia Giornale critico di storia delle idee.[5] È fondatore e direttore del Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee (CRISI)[6], che ha sede presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo [7].  Opere principali La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica, Feltrinelli, Milano 1991 (2ª ed. riveduta e accresciuta, Bollati Boringhieri, Torino 2008) Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano 1997 Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano 2001 (2ª ed. riveduta, Bruno Mondadori, Milano 2008) La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Einaudi, Torino 2003 La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano 2006 (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La force de la pudeur. Pour une philosophie de l'inavouable, Salvator, Paris 2017) Il dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino 2009 Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti, il Mulino, Bologna 2010 Sincerità, Raffaello Cortina, Milano 2012 (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La sincérité, Salvator, Paris 2015) Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova 2013 Non ci resta che ridere, il Mulino, Bologna 2013 Alfabeto delle proprietà. Filosofia in metafore e storie, Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2016 Esperienza. Filosofia e storia di un'idea, Raffaello Cortina, Milano 2017 Filosofia dei cartoni animati. Una mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 2019 Opere costituite da raccolte di lezioni Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello spirito, a c. di Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2018[8] Tempo a termine e tempo senza fine. Breve storia figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione, con DVD-ROM delle lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2018 Opere in collaborazione con altri autori con Gianfranco Ravasi, Non desiderare la donna e la roba d'altri, il Mulino, Bologna 2010 (tr. francese, a c. di Robert Kremer, Tu ne convoiteras pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris 2013) con Renato Corrado, Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice San Raffaele, Milano 2011 con Claudio Bartocci e Piero Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino, Bologna 2016 Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di Andrea Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli, Feltrinelli, Milano 1992 Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte, traduzione, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa Tetamo, Feltrinelli, Milano 1994 (7ª ed., 2011) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse, testo latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra, Feltrinelli, Milano 1994 (2ª ed., 2008) Immanuel Kant-Benjamin Constant, La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano 1996 Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano 1997 (2ª ed., 2000) Rudolf Otto, Il sacro, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti, Gallone Editore, Milano 1998 Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di Paola Giacomoni, Bruno Mondadori, Milano 2004 Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino 2006 Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti filosofici, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato, Padova 2014 Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, a cura di Andrea Tagliapietra e Marco Bruni, introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e traduzione di Marco Bruni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2016 Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota biobibliografica di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino 2017 Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, a cura di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, Inschibboleth, Roma 2019 Immanuel Kant, Bisogna sempre dire la verità?, a cura di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019 Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea Tagliapietra, in Agalma, n. 19, aprile 2010, pp. 17–36. Il rischio e il limite, di Andrea Tagliapietra, in Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo 2012. L'ultimo gesto di Socrate. Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in Spazio Filosofico, n. 5, maggio 2012. Tipologia del riso, di Andrea Tagliapietra, in Fillide, n. 5, settembre 2012. Kant and the Idea of the End di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, n. 1, 2014/1, The End. Corpo di pazienza di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, ISAP, Saggi ed Articoli (2016). Testi in rete Esser contro di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno I, n. 1 marzo-giugno 2002. Il dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno I, n. 2 luglio - Ottobre 2002. Il giallo della filosofia, di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno I, n. 3 novembre-febbraio 2002-2003. Il volto del potere di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 2 luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio 2003/2004. La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di Andrea Tagliapietra in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno 2005/2006. Dire la verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra, in Giornale critico di storia delle idee, Anno IV, n. 8, 2012. Interviste e video L'uomo è un animale che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Vita, n. 6, 2017. Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Communitas, n. 4, 2012. RAI Cultura: Andrea Tagliapietra: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al Festival di Filosofia (Modena 2018), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza Note ^ Eigentlichkeit und Dichtung? La filosofia della sincerità di Andrea Tagliapietra, di Vincenzo Pinto ^ Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che ridere di Andrea Tagliapietra, di Claudio Tugnoli ^ Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in "La Repubblica", 3 gennaio 2004, pp. 42-43 ; Recensione ad Andrea Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Claudio Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno VI, 2004 ^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019. ^ Home page del Giornale Critico di Storia delle Idee ^ Home page del Centro di Ricerca in Storia delle Idee - CRISI ^ Home page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centroeuropeopalazzoborromeo.it. URL consultato il 17 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2018). ^ Ciclo di dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo Badoer, a Venezia, dall'11 novembre 2015 al 29 gennaio 2016, nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il vol. I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Collegamenti esterni (EN) Opere di Andrea Tagliapietra, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Pagina docente con informazioni biografiche e bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele. V · D · M Vincitori del Premio Viareggio per la saggistica Controllo di autoritàVIAF (EN) 14833145 · ISNI (EN) 0000 0000 6155 709X · SBN IT\ICCU\CFIV\114763 · LCCN (EN) n95016670 · GND (DE) 1105593339 · BNF (FR) cb122814839 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n95016670 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Scrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1962Nati il 7 marzoNati a VeneziaVincitori del Premio Viareggio per la saggistica[altre]

Tamburino  Tommaso Tamburino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Tommaso Tamburini o Tamburino (Caltanissetta, 6 marzo 1591 – Palermo, 10 ottobre 1675) è stato un gesuita e filosofo italiano.   Indice 1Biografia 2Pensiero 3                                           Opere 3.1Traduzioni 4Bibliografia 5Collegamenti esterni Biografia Tommaso Tamburino era figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana. Entrò nella compagnia di Gesù a quindici anni, restò a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, successivamente fu incaricato dell'insegnamento di retorica, di filosofia e di teologia sistematica nel locale collegio gesuitico. A trent'anni fu trasferito nel collegio di Messina per insegnare teologia morale e a quarantacinque anni passò in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu esaminatore delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'Inquisizione.  Tommaso Tamburini durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conobbe lo scultore Johann Friedrich Greuter, che in quel periodo lavorava per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli affidò l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizzava finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie preparate dal confratello Ottavio Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della Madonna.  Così accanto all'imponente produzione filosofica del Tamburini, restano anche due edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di Greuter; l'opera non fu firmata dal gesuita. Di queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle "matrici", sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni.  Pensiero Il gesuita siciliano nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio singulorum cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel primo prevale la vis ratiocinandi (forza della ragione) e nel secondo la vis sentiendi (forza del sentimento). Ancora differenza c'è tra l'actio humana e l'actio hominis essendo la prima compiuta in perfetta consapevolezza, mentre nella seconda la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere violentum, coactum, necessarium (violento, costretto, necessario), venendo così a mitigare la colpa.  Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della epieìcheia (prudenza), riprendendo in un certo modo la tradizione tomista. A sostenere questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimase il Tamburino, le cui opere ebbero ampia diffusione in tutta Europa, dalla metà del Seicento fino al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mise sostanzialmente fine al rigorismo giansenista.  Il probabilismo del Tamburini incontrò ostilità negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani francesi, che spinsero il cardinale Retz, a farsi portavoce presso la Santa Sede per l'emanazione di un provvedimento di condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII, sollecitato più volte, condannò il probabilismo, furono censurate solo le tesi più estreme, senza peraltro indicare i nomi degli autori.  Nel 1679, un'altra condanna del probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI, quattro anni dopo la morte del Tamburini. Però questa volta il gesuita siciliano non subiva sanzioni ad personam, così Tommaso Tamburini passò alla storia della teologia morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura teologica siciliana. Nel 1753 fu sancita la completa riabilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata che Carlo Niceti diede alle stampe a Roma.  Opere (Confronta anche la "voce Tommaso Tamburini" in lingua inglese.) Gli scritti di teologia morale del Tamburini sono stati riuniti nella Opera Omnia, edita più volte in Italia e all'estero dal 1689.  Methodus Expeditae Confessionis (1647) Opuscola Tria de Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649) Expedita Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae Expedite Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657) Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus, quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694) [opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della Compagnia di Gesù. (senza data) Bibliografia V. Baron, Theologia moralis adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665. R. Brouillard, Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S. Burgio, Il probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V. Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme, Colonia, 1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913 M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662. Collegamenti esterni Tommaso Tamburino, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Pietro Tacchi Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Tamburino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso Tamburino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Tommaso Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                           VIAF (EN) 69875611 · ISNI (EN) 0000 0001 0858 4045 · LCCN (EN) n82005010 · GND (DE) 124970540 · BNE (ES) XX826873 (data) · BAV (EN) 495/106982 · CERL cnp00946033 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82005010 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Gesuiti italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1591Morti nel 1675Nati il 6 marzoMorti il 10 ottobreNati a CaltanissettaMorti a Palermo[altre]

Tafuri Matteo Tafuri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Matteo Tafuri Matteo Tafuri (Soleto, 8 agosto 1492 – Soleto, 18 novembre 1584) è stato un filosofo e medico italiano.  Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico.   Indice 1Biografia 2Note 3Bibliografia 4Voci correlate Biografia Il "Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità irripetibile di ogni Essere Umano.  Considerato alla stregua di un "Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici.[1]  Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel 1672, nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia[2].  Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto:  «HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA»   Lo stemma della famiglia Tafuri nella casa natale di Soleto Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo.[3] Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI secolo furono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei Turchi mussulmani che occupavano i loro territori.  "Del salentin suol gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà del XV secolo e l'inizio del XVII, il più universalmente noto.  Partito da Soleto per Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e nella medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di gloria.  Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco, latino, matematica, fisica e medicina.[4]  Tra i suoi allievi:  Giovan Tommaso Cavazza - alchimista - Galatina (1540-1611) Giovan Paolo Vernaleone - matematico - Galatina (1527-1602) Francesco Scarpa - filosofo - Soleto (XVI sec) Quinto Mario Corrado - filosofo umanista - Oria (1508-1575)[5] "Assiduo verso gli infermi", esercitò con zelo e successo la professione di medico ma mentre era "di modello coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti" fu dalla ignoranza popolana ritenuto un "Mago" perché cultore di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia.  Tornando da Padova, Parigi e Salamanca, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal Concilio di Trento.  Egli che portò per tutto il mondo l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente.[6]  Il Codice Vaticano 2264, è testimonianza - pressoché l'unica superstite - dell'impegno speculativo di Matteo Tafuri.  Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a Gallipoli - Nardò e Lecce - Galatone.Così troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è padrino al battesimo di Diego Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria fu sindaco di Gallipoli nel 1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, visse presso la corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri 1604-1673).  Note ^ Manni, La guglia di..., p. 30 ^Luigi Galante, Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni da un manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo di aracne' anno viii- n°5, novembre/dicembre Galatina, 2013 ^ Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41 ^ Bernari, p. 42 ^ Istoria scrittori Regno di Napoli G.B.Tafuri Vol.3 1752 ^ Bernari, p.60 Bibliografia Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, 2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in "Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli" tomo VIII, Napoli, 1822. del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, 2003. Manni, L., Guida di Soleto, Galatina, 1992. Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, 1994. Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, 2004. Montinari, M., Soleto, Fasano, 1993. Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1744. D. Bacca "Personaggi del sole culturale", Lecce 2008 Voci correlate Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto Controllo di autoritàVIAF (EN) 23193525 · ISNI (EN) 0000 0000 2065 1776 · LCCN (EN) no2014114791 · GND (DE) 128483709 · BNF (FR) cb145131719 (data) · CERL cnp00494074 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2014114791 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani del XVI secoloMedici italianiNati nel 1492Morti nel 1584Nati l'8 agostoMorti il 18 novembreNati a SoletoMorti a Soleto[altre]

TarantinoF Filippo Tarantino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Filippo Tarantino (Gravina in Puglia, 1943) è un filosofo e scrittore italiano .[1] In ambito filosofico è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col quale è imparentato[senza fonte], e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la sezione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la psicologia e l'Umanesimo.[1]   Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte 3Opere 4Note 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Filippo Tarantino nasce nel 1943. Dopo la laurea in storia e filosofia, diviene insegnante delle stesse materie per i licei italiani; in particolare, insegnerà al liceo scientifico Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà l'attore Sergio Rubini.[2]  Nel 1991 viene nominato dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al più alto numero di studenti mai raggiunto. Manterrà la carica fino al raggiungimento della pensione, avvenuta agli inizi degli anni 2010.  Nel 2011, in qualità di dirigente scolastico, si recò a Tokyo, in Giappone insieme a sua moglie per una "visita preparatoria di incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verificò un violento terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto. [3]  Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni 2010) Presidente di circoscrizione del Lions Club Puglia[4] Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host[5] Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli[senza fonte] Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, 1995.[1] Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, 1995, ISBN 978-8879490924. Lezioni di volo, Bari, 2002.[1] L'inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino, Bari, 2014.[1] L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, 2015, ISBN 978-8867171712. Storia antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, 2018, ISBN 978-8894168303. L'Umanesimo scientifico di Giuseppe Tarantino, Aracne Editrice, 2019, ISBN 978-8825522563. Note  http://www.aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986 ^ http://teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/ ^ https://www.altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/ ^ https://www.lions108ab.it/wp-content/uploads/2015/06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf ^ https://www.lions.it/data/club.php?id=21110 Voci correlate Giuseppe Tarantino Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi Collegamenti esterni Sito web ufficiale e blog di Filippo Tarantino Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloScrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del XXI secoloNati nel 1943Nati a Gravina in Puglia[altre]

TarantinoG Giuseppe Tarantino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il politico italiano del XXI secolo, vedi Giuseppe Tarantino (politico). Giuseppe Tarantino (Gravina in Puglia, 22 luglio 1857 – Gravina in Puglia, 25 gennaio 1950) è stato un filosofo italiano e docente di filosofia morale e di pedagogia a Pisa[1].   Indice 1                                          Biografia 2Opere[4] 3Note 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Giuseppe Tarantino nacque a Gravina in Puglia da Filippo Tarantino, nobile locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.[2]  Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884.[2]  In sua memoria dedicò al suo maestro il suo primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio 1885; nello stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel 1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897. Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta nel 1891 a Napoli, alla quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo concorso, gli fu assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Università di Palermo, ma per motivi sentimentali vi rinunciò.[2]  Insegnò dal 1886 al 1888 al Liceo Marciano, anno in cui ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Genovesi. Per un periodo abbandonò la sua relazione sentimentale per ritornare a lavorare sulle sue opere. Agli inizi del Novecento, vinse il concorso per la cattedra di filosofia morale dell'Università di Pisa e questa volta accettò. A Pisa insegnò anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figurò anche il futuro ministro Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke.[2]  Tra i suoi ex-studenti di Pisa più noti figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco Dentice di Accadia, prefetto di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò nella sua città natale Gravina in Puglia, dove visse nella casa di un nipote suo omonimo che aveva studiato sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla biblioteca "Ettore Pomarici Santomasi" di Gravina in Puglia una parte cospicua dei suoi libri.[3]  A lui è stato intitolato il liceo scientifico della sua città natale Gravina in Puglia.  Opere[4] Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso, Aversa 1885. Saggi filosofici, Napoli, Vincenzo Morano, 1885. Studio storico su Giovanni Locke, in Rivista di Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio sul criticismo e sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano, 1887. In morte di Michelangelo Calderoni, Vecchi, Trani 1889. Saggio sulla volontà, Napoli, Tip. editrice F. di Gennaro e A. Morano, 1897. In morte di Antonietta Cagiati, nella necrologia per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli 1898. Saggio sulle idee morali e politiche di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli, 1900 Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa, Tip. A. Valenti, 1901. Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea, Napoli, A. Tessitore & figlio, 1904. Il concetto dello stato ed il principio di nazionalità, Napoli 1917 Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di G. Sottile. Napoli 1917. Leonardo da Vinci e la scienza della natura. Nel centenario di L. da Vinci, 1919. La politica e la morale. Discorso , Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti, 1920. Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia» 1921. Note ^ Cfr. Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, 1995, ISBN 88-09-20755-6, p. 219. (Parzialmente consultabile in Google Libri.)  tarantino-inconscio-2014, pagg. 55-62. ^ tarantino-inconscio-2014, pagg. 61-62. ^ tarantino-inconscio-2014, pag. 99. Bibliografia Filippo Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino (PDF), a cura di Filippo Tarantino, Mario Adda Editore, 2014, ISBN 9788867171217. Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, 1995. ISBN 88-7949-097-4 Beniamino D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe Tarantino (PDF). Voci correlate Filippo Tarantino Collegamenti esterni Scheda biografica nel sito del Liceo statale Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia. Controllo di autoritàVIAF (EN) 23865590 · ISNI (EN) 0000 0000 6161 6539 · SBN IT\ICCU\SBNV\009819 · LCCN (EN) n96062928 · BAV (EN) 495/332623 · WorldCat Identities (EN) lccn-n96062928 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1857Morti nel 1950Nati il 22 luglioMorti il 25 gennaioNati a Gravina in PugliaMorti a Gravina in Puglia[altre]

Tari Antonio Tari Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Antonio Tari Antonio Tari (Villa Santa Maria Maggiore, 1º luglio 1809 – Napoli, 15 marzo 1884) è stato un filosofo, scrittore e critico musicale italiano.   Indice 1Profilo 2Il filosofo “giullare di Dio” 3Musica ed Estetica 4Opere principali 5Note 6Bibliografia 7Collegamenti esterni Profilo  Epigrafe situata alla destra del portone d'ingresso del palazzo dove nacque Antonio Tari Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nacque in un palazzo seicentesco della non distante Villa Santa Maria Maggiore, l'odierna Santa Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio [1]. Il palazzo natìo, conosciuto come palazzo Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi [2], era situato nell'allora strada della Croce, l'odierna via Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato.  Studiò a Montecassino, dove conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove si laureò in giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato [3].  Ben presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica, unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri pensatori liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Nel 1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma rifiutò il mandato per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era entrato per concorso nella Regia Università di Napoli, divenendo il primo cattedratico di estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco de Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio [4]. Vi insegnò per oltre un ventennio, fino alla sua morte.  Si dedicò a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa editrice Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon Brothier [5], Sigismond Zaborowski-Moindron [6] e Eugene Noel [7], traduzioni pubblicate tra il 1881 e il 1885.  Il suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizzava per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni universitarie. Parte significativa dei suoi studi filosofici fu pubblicata postuma.  Il filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei saggi critici della Letteratura della Nuova Italia, definì Tari «giullare di Dio», vale a dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che «prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto».  Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, il pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare che la bizzarra genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali» [8].  A proposito dell'opera "Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce disse:  «Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, il Tari fu soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concedeva una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava pagine che sono di una specie assai rara nella nostra letteratura.»  Musica ed Estetica L'essenza giocosa si mischiava, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanziava e, in particolare, ad una delle “arti” al quale Tari era più attratto: la musica.  Tra il serio e il faceto, infatti, il filosofo, dopo aver pubblicato nel 1879 un interessante studio critico su Serietà e ludo, compose un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di Lezioni di estetica generale [9].  Questo indirizzo lo portò ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche sulla celebre pastorale di Beethoven [10].  Opere principali Estetica ideale, Tip. del Fibreno, Napoli 1863; Ente spirito e reale. Confessioni filosofiche, Stamperia della Regia Università, Napoli 1872; Opera, melodramma, dramma: nota critica, Tip. della Regia Università, Napoli 1878; Serietà e ludo: saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli 1879; Saggi di critica, con prefazione di R. Cotugno, Tip. Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e metafisica, a cura di B. Croce, Laterza, Bari 1910; Estetica esistenziale, a cura di M. Leotta, Morano, Napoli 1987 L'estetica reale, a cura di F. Solitario, Prometheus, Milano 2003 Note ^ A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna 1979 (ed. or. Sora 1915). ^ A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2001. ^ A. Perconte Licatese, Santa Maria di Capua. Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere, vol. II, Tip. Stampa Sud, Curti 1983. ^ A. Lauri, op. cit., p. ^ L. Brothier, Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli 1881. ^ S. Zaborowski-Moindron, Origine del linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli 1882. ^ E. Noel, Voltaire e Rousseau, trad. di A. Tari, Detken, Napoli 1885. ^ B. Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, vol. I, Laterza, Bari 1967, pp. 403-409. ^ A. Tari, Lezioni di estetica generale, a cura di C. Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli 1884. ^ A. Tari, Beethoven e la sua sinfonia pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli 1883. Bibliografia Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, vol. I, Laterza, Bari 1967. Massimo Leotta, La filosofia di Antonio Tari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1983. Francesco Solitario, Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce. Contributo per un recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario (a cura di), L'Estetica di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo, Prometheus, Milano 2007. Collegamenti esterni Antonio Tari, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Antonio Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Antonio Tari, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata AA. VV., «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di Antonio Tari [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. URL consultato il 17-07-2013. Controllo di autoritàVIAF (EN) 22134164 · ISNI (EN) 0000 0000 6119 7362 · LCCN (EN) n2002093604 · GND (DE) 119351757 · BNF (FR) cb10927439z (data) · BAV (EN) 495/90041 · CERL cnp01314199 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2002093604 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloScrittori italiani del XIX secoloCritici musicali italianiNati nel 1809Morti nel 1884Nati il 1º luglioMorti il 15 marzoMorti a NapoliDeputati dell'VIII legislatura del Regno d'Italia[altre]

Tartarotti Girolamo Tartarotti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Girolamo Tartarotti Girolamo Tartarotti (Rovereto, 2 gennaio 1706 – Rovereto, 16 maggio 1761) è stato un abate, letterato e filosofo italiano.  Chiamato anche Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio.   Indice 1Biografia 2Lo studioso 3La biblioteca 3.1La prima biblioteca pubblica a Rovereto 4Tartarotti e gli agiati 5Opere 6Note 7                                            Bibliografia 8Voci correlate 9Altri progetti 10Collegamenti esterni Biografia Girolamo Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati.  Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e Parigi.[1]  Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso l'Università di Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale.  Al suo ritorno si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale Domenico Silvio Passionei.   Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra Dal 1730 al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante, e dove questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò, probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia degli Agiati.[nota 1]  Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739, morì il fratello Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più.[2]  I viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si dimostrò poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri studiosi.[3]  Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli.  Nel 1749 pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera più nota, nella quale dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e della stessa ortodossia dei cattolici.  Collaborò con Ludovico Antonio Muratori pubblicando nel suo venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum scriptores le sue conclusioni relative alla cronaca di Andrea Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie.[4]  Durante i suoi ultimi anni continuò nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento, del 1754. Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel 1761. Intanto la salute di Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì il 16 maggio dello stesso anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento.[5] Fu sepolto nella chiesa arcipretale di San Marco dove una targa a lato della porta d'ingresso lo ricorda.[6]  La biblioteca Sempre amante dei libri, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, dal 1750 segretario dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei, Francesco.  Il Tartarotti si procurò libri anche grazie a donazioni, eredità e prestiti.[7]  Al momento della sua morte, per esplicita volontà testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato il 22 gennaio 1764.[8]  La prima biblioteca pubblica a Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi; si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati, sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione di chiunque.[9]  Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi proveniva da Venezia.[10]  I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata.[11]  Tartarotti e gli agiati Lo studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella istituzione.  Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con Scipione Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano.[1]  Opere  Casa di Girolamo Tartarotti, in via della Terra 15, a Rovereto Si riporta qui una piccola selezione di alcuni lavori di Girolamo Tartarotti, da non intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e confronto.  Ragionamento intorno alla poesia lirica toscana (1728) Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusioni (1735) De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto (1751) Apologia del Congresso notturno delle Lammie (1751) Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di Rovereto (1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b.m. Adalpreto Vescovo di Trento (1760) Alcune opere pubblicate nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà:  Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese (1738) Dissertazione intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza delle voci nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:  Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino Vannetti (1784) La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, 1785) Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario (1795) Note Annotazioni ^ Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati G.Baldi, p.50. Fonti  M.Farina, pp.9-14. ^ Mostra Tartarotti, p.4. ^ Mostra Tartarotti, p.11. ^ (LA) Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores. 25, Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1751. URL consultato il 22 giugno 2016. ^ Mostra Tartarotti, pp.5,6. ^ R.Trinco, pp.109-111. ^ Mostra Tartarotti, pp.15.19. ^ Mostra Tartarotti, pp.31.34. ^ Mostra Tartarotti, pp.38.39. ^ Mostra Tartarotti, p.52. ^ Sito Biblioteca Civica G. Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di Rovereto. URL consultato il 23 giugno 2016. Bibliografia Gianmario Baldi, La Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia, Calliano,Trento, Manfrini, 1995, SBN IT\ICCU\VEA\0082515. Marino Berengo, La letteratura italiana - Storia e testi" - vol. XLIV - tomo I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti, Rovereto, Stella, 2008. Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel Settecento. Il carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli (1740-1748), Milano, Unicopli, 2012. Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia degli Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, 2000, ISBN 88-372-1805-2. testi di Serena Gagliardi, Elena Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo Alberti, 11-31 ottobre 1995, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti, 1995, ISBN 88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, 2007, ISBN 88-86757-60-3. Voci correlate Accademia Roveretana degli Agiati Bianca Laura Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti Clementino Vannetti Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Girolamo Tartarotti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Girolamo Tartarotti Collegamenti esterni Girolamo Tartarotti, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Girolamo Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Girolamo Tartarotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Girolamo Tartarotti, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 32272167 · ISNI (EN) 0000 0000 6141 5489 · SBN IT\ICCU\CFIV\076243 · LCCN (EN) n86811967 · GND (DE) 119335522 · BNF (FR) cb15002305w (data) · BNE (ES) XX1764185 (data) · BAV (EN) 495/262094 · CERL cnp01387839 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86811967 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Abati e badesse italianiLetterati italianiFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1706Morti nel 1761Nati il 2 gennaioMorti il 16 maggioNati a RoveretoMorti a Rovereto[altre]

Tataranni Onofrio Tataranni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Onofrio Tataranni (Matera, 19 ottobre 1727 – Matera, 27 marzo 1803) è stato un filosofo e saggista italiano. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo napoletano.   Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere 4Note 5Bibliografia 6Voci correlate 7Collegamenti esterni Biografia Nacque in Basilicata, a Matera, da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica: non a caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727) nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova[1].  Sin da ragazzo maturò quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente del seminario diocesano materano[2]. Sebbene avesse una posizione di un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il Tataranni non mostrò alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la direzione della sua Paggeria[3].  Grazie all'incarico conferitogli dal principe di Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere[4]. Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare, fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di società[5].  Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794, quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente[6]. Con questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in quegli anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore. La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana, quando - dichiarava - sicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana[7], pubblicato il 12 febbraio 1799 ebbe il compito di educare i sudditi a divenire cittadini[8].  Alla caduta della Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condannati all'«esportazione» e sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il 27 marzo 1803[9].  Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e religione.  Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i giusti diritti del suo Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e la «pubblica sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica distinzione del «Merito».  Notevole importanza era, poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni affermava l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta, seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica religiosa «semplice pura e brieve».  Dunque, il Tataranni predicava il ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui, in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente Supremo d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere «esenti dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere soggetti «alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili».  Opere La prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788: il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee democratiche.  La fiducia che Tataranni riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli il 25 luglio 1789.  Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790).  Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe il 12 febbraio 1799.  Note ^ Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi (1713-1737), f. 173 r. ^ Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, p. XV. ^ Antonio Lerra, p. XVII. ^ Elvira Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini, 1992, pp. 107-126. ^ Patrizia Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi Editore, 1999. ^ Antonio Lerra, p. XXXVI. ^ Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali", 9 (1989), pp. 23-38. ^ Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, 1998, p. 78. ^ Antonio Lerra, L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, ESI, 2001, pp. 108-110. Bibliografia Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale, vol. II, Sapri, Ed. del Centro Librario, 1963. Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in Studi Meridionali, n. 9, 1989, pp. 23-38. Luciano Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, il Mulino, 1999. Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Vivarium, 2003. Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, 2007. Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006. Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un riformatore napoletano in limine (PDF), in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario, fascicolo 2, n. 6, 2018, pp. 53-87, DOI:10.5281/zenodo.2554821, ISSN 2421-3012 (WC · ACNP). URL consultato il 1º dicembre 2019. Voci correlate Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana (1799) Storia della Basilicata Collegamenti esterni Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale V · D · M Illuministi italiani Controllo di autoritàVIAF (EN) 74737527 · ISNI (EN) 0000 0001 1448 1253 · LCCN (EN) n2004024512 · GND (DE) 122557948 · BNF (FR) cb14553798t (data) · CERL cnp01380050 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2004024512 Basilicata Portale Basilicata Biografie Portale Biografie Due Sicilie Portale Due Sicilie Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XIX secoloSaggisti italiani del XVIII secoloSaggisti italiani del XIX secoloNati nel 1727Morti nel 1803Nati il 19 ottobreMorti il 27 marzoNati a MateraMorti a MateraPersonalità della Repubblica Napoletana (1799)Illuministi[altre]

Tasso Torquato Tasso Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Torquato Tasso (disambigua).  Ritratto anonimo del Tasso, intorno al 1590 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595) è stato un poeta, scrittore, drammaturgo e filosofo italiano.   Stemma dei Tasso di Cornello. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è la Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemme.   Indice 1Biografia 1.1Infanzia e adolescenza 1.2Periodo universitario 1.3  A Ferrara 1.4Il capolavoro e la revisione 1.5Disagi presso la corte estense e fughe 1.6Prigionia a Sant'Anna 1.7Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni 1.8Ultimi anni 2Albero genealogico 3Opere 3.1Gerusalemme 3.2Rinaldo 3.3Rime 3.4Discorsi dell'arte poetica 3.5Aminta 3.6Re Torrismondo 3.7Gerusalemme liberata 3.8I Dialoghi 3.9Le sette giornate del mondo creato 3.10Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo 4Influenze culturali 5Torquato Tasso nel cinema 6Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata 7Onori 8Onorificenze 9Bibliografia 9.1Biografie 9.2Capitoli di storie letterarie 9.3Monografie critiche 9.4Edizioni 9.5Studi critici 9.5.1Sulla vita di Tasso e sulla fortuna 9.5.2Sulle Rime 9.5.3Sull'«Aminta» 9.5.4Sui Dialoghi 10Note 11Voci correlate 12Altri progetti 13Collegamenti esterni Biografia Infanzia e adolescenza  Il padre Bernardo Tasso. Torquato nacque a Sorrento l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola,[1] e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna[2] e pisane da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.  Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico ricordo, rimpiangendo  «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»  (Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore.[1] All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con il quale poi restò in corrispondenza epistolare.  Ebbe un'educazione cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni (dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco forse i nov'anni», come scrisse egli stesso.[3] Due anni dopo la sorella Cornelia, che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale, rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo rimase impresso nella sua memoria.[4]   Guidobaldo II Della Rovere. Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote».[5] Nella città pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.[1]  La situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo.  A Urbino Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di Guidobaldo, e a Guidobaldo Del Monte, poi illustre matematico. In questo periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode della corte.[6]  Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi in laguna nella primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al Rinaldo.[7] Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate 413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel Tasso un talento straordinario.[8]  Periodo universitario  Sperone Speroni Nel novembre 1560 Torquato si iscrisse per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule universitarie, affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace. Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione poetica che allo studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le dissertazioni teoriche tassesche future - prime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello Speroni - e lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica.  È in quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio a fare la conoscenza dei familiari del suo protettore. Torquato conobbe nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi.[9]  Lucrezia, quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al risentimento e alla delusione.[10]  Intanto, l'entourage cominciava ad avvedersi del talento del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal padre), e nel 1561 e 1562 gli furono commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due raccolte, furono le prime poesie pubblicate da Torquato.  Ancora più notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco,[1] incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni.[11]  Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i corsi universitari.[12] Dopo due anni a Padova, Tasso proseguì gli studi all'Università di Bologna, ma durante il secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante, alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare il percorso di formazione.  Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità. Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara.  Secondo questa versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga. La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo, rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto rassegnarsi al secondo scacco.[13]  Ricerche recenti hanno tuttavia collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che fosse lei la seconda musa del Tasso.[14]  I due canzonieri amorosi andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese.[15]  Si legò anche all'Accademia degli Infiammati.  A Ferrara  Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este[16], al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana.  Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti simpatie.[17]  La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso.  Nel 1568 diede alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M. G. B. Pigna, dove emerge la concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più tardi.[18]  Compose anche i quattro Discorsi dell'arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino.  Nell'ottobre 1570 partì per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia, c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira.[19]  Per il Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei canti era salito almeno a otto.  Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel periodo urbinate.  Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara, il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del cardinale.  Credeva incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la penisola, facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II.[20]  In questo periodo continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del successo, nello stesso 1573 Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo.[21]  Il capolavoro e la revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto»[22], ma si deve aspettare fino al 6 aprile[23] 1575 per avere l'annuncio del completamento del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo: «Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».[24]  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romani - garanzia di validi consigli concernenti l'estetica e la morale - nevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».[24]  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romani - garanzia di validi consigli concernenti l'estetica e la morale - nevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi presenti [...] E le giuro che se le condizioni del mio stato non m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così tosto, né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande piacere con cui da più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue angosce.[28]  Nel 1576 scrisse Allegoria, con cui rivisitava tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere religioso assunsero la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di assoluzione.[29]   Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno dopo, costituirono un intermezzo piacevole - forse l'ultimo - in mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che, com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de genre e non rivelano altro che una sincera amicizia.[30]  Ma il Tasso si era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera le condizioni del mio stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga.  Le «condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia.[32]  L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la corte estense. Nel 1576 Torquato aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì più volte con un bastone.  Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che, durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano ottenendone una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne posso accertare».[33]  A far precipitare il rapporto con il duca e la corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]), attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35]  Le accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale. Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino, l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere a repentaglio i rapporti con la Santa Sede, - vitali per casa d'Este - informò immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno.[36] Alfonso mise il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli scagliò contro un coltello.   Il Castello Estense Tasso rimase nella prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S. Francesco.[37]  Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese invano perdono al suo signore.[38]  Tasso era indubbiamente provato dalle fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i critici non sono mai riusciti a trovare un accordo.  Intanto la prigionia el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna, proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39]  A Sorrento rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece inviare da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato, almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi della sua benignità».[40]  Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma, tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia nell'animo alcuno spirito di nobiltà».[41] Paura, instabilità?  Quello che è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venier - che lo aveva incontrato a Venezia - sembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia: «sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che pazzia».[42]  Anche gli scambi epistolari intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il dolore.[43] Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della propria vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:  «In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni»  Intanto continuava a vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe riuscito a entrare nella città - era stato respinto dai doganieri perché in stato pietoso - se Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43]  Prigionia a Sant'Anna In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova Guglielmo.  Fu ospitato da Luigi d'Este, ma nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale Albano, recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo stipendio precedente.[47]  A questo punto i fatti precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tra l'11 e il 12 marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso nella prigione di Sant'Anna.[49]  Pare sicuro anche che le parole offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse (forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in pubblico, chiedevano una risoluzione drastica.  Il duca Alfonso II rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi "del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.   Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale, visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre anni coincisero con una sorta di isolamento.  Scrisse comunque ininterrottamente a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga, alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi anni di reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie, simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che, rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone.  Le condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle offese personali.  Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno 1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso «inetto al comporre».[53]  Si può poi ammettere che «il Tasso non fu semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio.  Dopo l'edizione veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel 1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicate - nel tentativo di porre rimedio alla sciagurata operazione - a Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni, Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande successo.  Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora più preciso pochi mesi dopo.[55]  Queste traversie editoriali addolorarono il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia. La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56]   Leonardo Salviati Il testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello, magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi. Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso di barbarismi e poco chiaro.[58]  La polemica continuò, visto che il Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso (testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di che - se si esclude un ulteriore scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588) - per qualche tempo le acque si calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura italiana.  Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e dialoghi[60]: fra i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583), Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[61]  Queste opere sviluppano tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario, diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del principe».[62]  Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici.  Tasso scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà (1579, 1581, modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o vero del Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il titolo Il Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di interagire amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà. Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il padre di famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata (1580, 1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o vero del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore (1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli (1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584, 1587).  In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe, dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]  Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il titolo - Gli intrichi d'amore - dal Perini, uno degli attori dell'Accademia di Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66]  L'opera, ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e «profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco D'Ovidio.[68]   F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586 finì la prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico.  A Mantova Tasso ritrovò qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del secondo atto - e che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo, ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71]  Si trattava comunque di una "libertà vigilata", e i fatti dell'autunno 1587 lo dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini, sedicente amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo di essere tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal Pontefice.[72] Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il peso della presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del settentrione.   Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone «a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è tanto più intessuta di travaglio e sofferenza:  «Vedi, che fra' peccati egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace fango.»  Torquato fu a Roma nell'autunno 1587 e fino alla primavera successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché. Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia.[74]  Vista l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile del 1588 Tasso ritornò nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua morte.  Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una medicina al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'opera - un resoconto encomiastico delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo Tolomei, il fondatore della Congregazione - è fortemente intessuta di spirito cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima ottava.[76]  Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica. Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre Eugenio Donadoni utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti.  In ogni caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che erano state descritte, nel 1580, nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche lui lo avrebbe considerato un "folle".   Ferdinando I de' Medici A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si sentì di nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati: il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però, furono disattese.  Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]  Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga, egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86]  Gli ultimi anni del Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli, adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto ormai suo confidente.[87]  A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga, sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento scudi.[90]  Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta: «Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92] Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una pura chimera.  Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi; m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò, sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93]   Il Palazzo Ducale di Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di un'anima senza pace.[94]  Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591), accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del 4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.  Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga, uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio, accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del Taro.[97]  La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così, ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze. Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli.[98]  Ultimi anni  Cinzio Aldobrandini A questo punto, inaspettatamente, ci fu spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano, durato dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non tradì, né per quanto riguarda l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi meglio, e di conseguenza poté dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[100]  Gli ultimi tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri: compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.[101] Tasso aveva intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata.  Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano ostinati a negarlo e a considerarla un'invenzione del poeta.[102] «È veramente degno il Signor Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera ad Alfonso II, risalente all'agosto del 1593.[103]  Lo stesso Tasso è esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia».[104] Sennonché, pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio, per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595.  A Napoli rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine dell'anno ritornò a Roma.  Cambiò città per l'ultima volta: la fine era dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno, tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo».[105] Il 1º aprile entrò al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita [...] Non è più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia conversazione in cielo».[106]   Monumento in Sant'Onofrio Il 25 aprile, all'«undecima ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La morte  del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo.  Presso il monastero, accanto alla strada è ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta spesso sedeva per riposarsi.  Albero genealogico Reinerius de Tassis[109] (1117) SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111] SconosciutaBenedetto Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco (†1504)Pasimo (o Paxio) de Tassis[113][114] (†1496) SconosciutaPietro Tasso[115] SconosciutaGiovanni Tasso[116] Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato Tasso Opere  Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di rilievo. Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello del capolavoro della maturità.  Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del paladino della tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli "antichi" (Omero e Virgilio), in parte i "moderni" (Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato culturalmente.  Rime Torquato Tasso compose un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581 uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei testi, distinguendo rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non realizzò il progetto.  Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa.  Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro, intessuta di elementi autobiografici.  Le Rime religiose sono caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e l'espiazione.  Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.  Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della favola».[118]  Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il sublime e il mediocre a seconda dei casi.  Aminta Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Aminta (Tasso).  Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione … L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice". Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze, movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo. Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione, e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.»  (Francesco De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel 1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto fine.  Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso.  Re Torrismondo Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista. L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno.  L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza.  Trama Torrismondo è intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso degli eventi ormai già predisposti.  Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti degli Intrichi d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e rivaleggiava con le migliori del tempo».[124]  Gerusalemme liberata Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Gerusalemme liberata.  Torquato Tasso con la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559 durante il soggiorno a Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata integralmente nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la Liberata.  Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione del Forno overo de la Nobiltà.  La dialogistica tassiana è stata da sempre relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo impegno fino alla morte.  Una valutazione più precisa è fornita da Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però, non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far rabbrividire i moderni filologi.  Un grande passo in avanti nella fortuna dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi, continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale.  Questo criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto anticipare una successiva edizione completa.  Negli ultimi anni gli studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel "Manso" di Torquato Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei "Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il premio Tasso 2016 (Le virtù del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana[127]), preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso[128]).  L'edizione critica di Raimondi fornisce il testo dei venticinque dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari dialoghi:  Il Forno overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza; Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un poema in endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica. Il poema venne pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido riflesso.  Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della "poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento, scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della morte.  Influenze culturali  Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe il dramma Torquato Tasso (1790)[129].  In età romantica il poeta divenne il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio (commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (una delle Operette morali).  Molta parte della poesia recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno «concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta.  In generale, l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito" conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo.  Il poeta vicentino ottocentesco Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato appunto Il Torquato Tasso.  Nei primi anni del ventesimo secolo il compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo).  Torquato Tasso nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di Roberto Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel 1913 e nel 1918 ne farà due remake;  Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni (1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968). Onori Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTH). Onorificenze Laurea poetica (postuma) - nastrino per uniforme ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma, 1595 Bibliografia Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso (1604), ed. da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», CLXXVII 2000, pp. 59–70 Giovan Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), a cura di B. Basile, Roma, Salerno Editrice, 1995 Pier Antonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp. Locatelli, 1790², 2 to. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935 Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, 1943 Capitoli di storie letterarie Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Cecchi e N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1966, vol. IV, pp. 713–811 Marziano Guglielminetti, in Storia della civiltà letteraria italiana, dir. G. 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Sulle Rime Arnaldo Di Benedetto, Fra petrarchismo e Barocco: le «Rime» di Torquato Tasso, «A me versato il mio dolor sia tutto», Lo sguardo di Armida (Un'icona della «Gerusalemme liberata»), Per un anonimo in meno: l'autore del dialogo «Il Tasso», in Tra Rinascimento e Barocco. Dal petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007, pp. 63–116. Massimo Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 14, 2014.[133] Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla letteratura del Rinascimento, cit., pp. 200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXXVI (2009), pp. 3-16. Arnaldo Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», LIX-LXI (2011-2013), pp. 89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto, Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, a cura di Pasquale Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, 2011, pp. 365–376. Angelo Chiarelli, «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», a. XLI, 2 2016, pp. 257-70. Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», 2017, vol. 121, nº1, pp. 34-43. Raimondi Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino 1994, pp. 189-217. Bozzola Sergio, «Questo quasi arringo del ragionare». 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Natali, cit., pp. 16-18 ^ Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997, vol. 3, pag. 96 ^ G. Natali, cit., pp. 21-22 ^ G. Natali, cit., p. 20 ^ L. Tonelli, cit., p. 68 ^ G. Natali, cit., p. 22; L. Tonelli, cit., p. 60 ^ E. Durante, A. Martellotti, «Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso, Firenze, Olschki, 2010 ^ W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari 1981, p. 10 ^ Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia, 1994, vol. 2/1, p. 653 ^ L. Tonelli, cit., pp. 72-73; il rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, 1908 ^ L. Tonelli, cit., p. 82 ^ Lettere, cit., I, p. 22 ^ L. Tonelli, cit., p. 89 ^ L. Tonelli, cit., pp. 99-100 ^ Lettere, cit., I, p. 49 ^ Secondo Maria Luisa Doglio la data non è casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe infatti visto per l'unica volta Laura il 6 aprile 1327; cfr. M. L. Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma 2002, p. 21 ^ Lettere, cit., I, p. 61 ^ Lettere, cit., I, p. 67 ^ Lettere, cit., I, p. 114 ^ Si tratta di un'epistola al Gonzaga del luglio 1575; Lettere, cit., I, p. 103 ^ L. Tonelli, p. 117 ^ S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996, vol. 2/A, p. 367 ^ L. Tonelli, cit., pp. 94-95 ^ Lettere, cit, I, p. 141 ^ Si trattava comunque di uno stipendio oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la sopravvivenza; L. Tonelli, cit., p. 172 ^ Lettere, cit., I, pp. 219-220 ^ L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, 1967, p. 303 ^ A. Solerti, cit., II, pp. 118-119 ^ A. Solerti, cit., II, pp. 120-121 ^ A. Solerti, cit., II, p. 124 ^ L. Tonelli, cit., p. 176 ^ G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, 1724, vol. I, p. XXVIII ^ M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di preziosi codici tasseschi, Torino, 1925, p. 19 ^ M. Vattasso, cit., p. 8 ^ A. Solerti, cit., II, p. 139  L. Tonelli, cit., p. 181 ^ M. L. Doglio, cit., p. 23 ^ I. De Bernardi, F. Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana, vol. 2, SEI, Torino, 1987 ^ Lettere, cit., I, p. 298 ^ Lettere, cit., I, p. 299 ^ A. Solerti, cit., II, p. 143; così scrive al cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo ^ L. Tonelli, cit., p. 182 ^ Lettere, cit., II, p. 89 ^ L. Tonelli, cit., p. 187 ^ A. Solerti, cit., I, pp. 313-314 ^ T. Tasso, Lettere, a cura di Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857, vol.I, pp. 166-168 ^ A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto Lombardo, p. 548 ^ L. Tonelli, cit., pp. 118-119 ^ M. L. Doglio, cit., pp. 41 e ss. ^ Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e Franchi, 1724, vol. V, p. 412 ^ L. Tonelli, cit., pp. 207-211 ^ Infarinato era il nome accademico assunto dal Salviati ^ Tra parentesi sono indicate le date di pubblicazione ^ L. Tonelli, cit., p. 216 ^ Opere, cit., II, p. 276 ^ Tra parentesi si indicano due date, quella di composizione e quella di pubblicazione ^ Lettere, cit., II, p. 56 ^ La prima versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta ^ L. Tonelli, cit., p. 238 ^ L. Tonelli, cit., pp. 239-240 ^ F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, 1871, pp. 266-267. Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I, p. 475 ^ L. Chiappini, cit, p. 303 ^ L. Tonelli, cit., p. 188 ^ L.Tonelli, pp. 247-248 ^ A. Solerti, cit., II, pp. 277 e ss. ^ Lettere, cit., IV, pp. 8-9 ^ L. Tonelli, cit., pp. 266-267 ^ Lettere, cit., IV, p. 55 ^ L. Tonelli, cit., pp. 270-273 ^ G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, 1891, vol. II, p. XI ^ E. 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Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il promessogli poema Tancredi normando. ^ Lettera a Scipione Gonzaga del 10 giugno 1590, in Lettere, cit., IV, p. 320 ^ E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio, in Cultura, aprile-giugno 1933, pp. 310-311 ^ Lettere, cit., V, p. 6 ^ L. Tonelli, cit., p. 278 ^ Lettere, cit., V, p. 62 ^ L. Tonelli, cit., pp. 278-279 ^ C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit., vol. I ^ L. Tonelli, cit., p. 281 ^ G. B. Manso, cit., p. LXVI ^ L.Tonelli, cit., pp. 282-283 ^ L. Tonelli, cit., p. 284 ^ E. 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Onofrio, a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del poeta custodita all'interno dell'edificio sacro ^ Ad Angelo Mai, v. 124 ^ G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Milano, Paravia, 2001, vol. 3/A, p. 570 ^ S. E. Failla, Ante Musicam Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma, Bonanno, 2003, pp. 14-15 ^ Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella | Griselda Online, su www.griseldaonline.it. URL consultato il 29 marzo 2017. Voci correlate Torquato Tasso, commedia goldoniana Torquato Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a Ferrara Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Torquato Tasso Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Torquato Tasso Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torquato Tasso Collegamenti esterni Torquato Tasso, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Torquato Tasso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Torquato Tasso, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Torquato Tasso, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Torquato Tasso, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Torquato Tasso, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Torquato Tasso, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Torquato Tasso, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Torquato Tasso, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Torquato Tasso, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) Spartiti o libretti di Torquato Tasso, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC. Modifica su Wikidata (EN) Torquato Tasso, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata Torquato Tasso Testi completi e cronologia delle opere. Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere di Torquato Tasso, testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Due segregazioni: il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e Il Re Torrismondo di Torquato Tasso, su midesa.it. URL consultato il 2 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 19 maggio 2011). Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll., Pisa, presso Niccolò Capurro, 1821-32: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5, vol. 6, vol. 7, vol. 8, vol. 9, vol. 10, vol. 11, vol. 12, vol. 17, vol. 18, vol. 23, vol. 25, vol. 30, vol. 31, vol. 32, vol. 33. Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, 1854-55: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5. I dialoghi di Torquato Tasso a cura di Cesare Guasti, 3 voll., Firenze, Felice Le Monnier, 1858-59: vol. 1, vol. 2, vol. 3. Le rime di Torquato Tasso. Edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe a cura di Angelo Solerti, 4 voll., Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, 1898-1902: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4. V · D · M Opere di Torquato Tasso (1544 - 1595) Controllo di autoritàVIAF (EN) 4936996 · ISNI (EN) 0000 0001 2118 517X · SBN IT\ICCU\CFIV\001784 · Europeana agent/base/60451 · LCCN (EN) n79082132 · GND (DE) 118620916 · BNF (FR) cb119260670 (data) · BNE (ES) XX913568 (data) · ULAN (EN) 500326795 · NLA (EN) 35539974 · BAV (EN) 495/14994 · CERL cnp01259565 · NDL (EN, JA) 00458354 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79082132 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Teatro Portale Teatro Categorie: Poeti italiani del XVI secoloScrittori italiani del XVI secoloDrammaturghi italiani del XVI secoloNati nel 1544Morti nel 1595Nati l'11 marzoMorti il 25 aprileNati a SorrentoMorti a RomaFigli d'arteFilosofi italiani del XVI secoloPoeti ed umanisti alla corte degli EstensiScrittori cattoliciScrittori in lingua italianaStudenti dell'Università di BolognaStudenti dell'Università degli Studi di PadovaTasso (famiglia)Torquato Tasso[altre]

tautologum: The difference between a truth and a tautological truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand Russell’s theory of types” is possibly true. “It is not the case that a three-year old is an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins note, by coining implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN implying this or that, as opposed to what the man implies implying this or that. So, in Strawson and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be distinguished with the logical and necessary implication, i. e., the ‘tautological’ implication. Grice uses ‘tautological’ variously. It is tautological that we smell smells, for example. This is an extension of ‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without ‘analytic’ there is no ‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different wordstautologyMart. Cap. 5, § 535; Charis, p. 242 P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “ττὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2Phld. Po.Herc.994.30Hermog.Inv.3.15. Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic, Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war. 4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr. Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den Tatsachen durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind im negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum, worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den ganzen—unendlichen—logischen Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen logischen Raum und lässt der Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann daher die Wirklichkeit irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheit der Tautologie ist gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion unmöglich. (Gewiss, möglich, unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener Gradation, die wir in der Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD | →P/M] Das logische Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie der Satz. Also ist jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das Wesentliche des Symbols nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER [→OGD | →P/M] Einer bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine bestimmte logische Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i e - b i g e Verbindung entspricht nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für jede Sachlage wahr sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn sonst könnten ihnen nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen. (Und keiner logischen Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der Gegenstände.) Tautologie und Kontradiktion sind die Grenzfälle der Zeichenverbindung, nämlich ihre Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich sind auch in der Tautologie und Kontradiktion die Zeichen noch mit einander verbunden, d. h. sie stehen in Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen sind bedeu- tungslos, dem S y m b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In the one case the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities. The truth-conditions are self-contradictory. In the first case we call the proposition a tautology, in the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER | →P/M] The proposition shows what it says, the tautology and the contradiction that they say nothing. The tautology has no truth-conditions, for it is unconditionally true; and the contradiction is on no condition true. Tautology and contradiction are without sense. (Like the point from which two arrows go out in opposite directions.) (I know, e.g. nothing about the weather, when I know that it rains or does not rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are, however, not nonsensical; they are part of the symbol- ism, in the same way that “0” is part of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are not pictures of the reality. They present no possible state of affairs. For the one allows every possible state of affairs, the other none. In the tautology the conditions of agreement with the world—the presenting relations— cancel one another, so that it stands in no presenting relation to reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions determine the range, which is left to the facts by the proposition. (The proposition, the picture, the model, are in a negative sense like a solid body, which restricts the free movement of another: in a positive sense, like the space limited by solid substance, in which a body may be placed.) Tautology leaves to reality the whole infinite logical space; contradiction fills the whole logi- cal space and leaves no point to reality. Neither of them, therefore, can in any way determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth of tautology is certain, of propositions possible, of contradiction impossible. (Certain, possible, impossible: here we have an indication of that gradation which we need in the theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The logical product of a tautology and a proposition says the same as the proposition. Therefore that product is identical with the proposition. For the essence of the symbol cannot be altered without altering its sense. 4.466 OGD [→GER | →P/M] To a definite logical combination of signs corresponds a definite logical combination of their meanings; every arbitrary combination only corresponds to the unconnected signs. That is, propositions which are true for ev- ery state of affairs cannot be combinations of signs at all, for otherwise there could only correspond to them definite combinations of objects. (And to no logical combination corresponds no combination of the objects.) Tautology and contradiction are the limiting cases of the combination of symbols, namely their dissolution. 4.4661 OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also combined with one another in the tautology and contradiction, i.e. they stand in relations to one another, but these relations are meaningless, unessential to the symbol. 4.46 P/M [→GER | →OGD] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In one of these cases the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities: the truth-conditions are contradictory. In the first case we call the proposition a tautology; in the second, a contradiction. 4.461 P/M [→GER | →OGD] Propositions show what they say: tautolo- gies and contradictions show that they say nothing. A tautology has no truth-conditions, since it is unconditionally true: and a contradiction is true on no condition. Tautologies and contradictions lack sense. (Like a point from which two arrows go out in opposite directions to one another.) (For example, I know nothing about the weather when I know that it is either raining or not raining.) 4.4611 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not, however, nonsensical. They are part of the symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic. 4.462 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of reality. They do not represent any possible situations. For the former admit all possible situations, and latter none. In a tautology the conditions of agreement with the world—the representational relations—cancel one another, so that it does not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M [→GER | →OGD] The truth-conditions of a proposition determine the range that it leaves open to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the negative sense, like a solid body that restricts the freedom of movement of others, and, in the positive sense, like a space bounded by solid substance in which there is room for a body.) A tautology leaves open to reality the whole—the infinite whole—of logical space: a contradiction fills the whole of logical space leaving no point of it for reality. Thus neither of them can determine reality in any way. 4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is certain, a proposition’s possible, a contradiction’s impossible. (Certain, possible, impossible: here we have the first indication of the scale that we need in the theory of probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product of a tautology and a proposition says the same thing as the proposition. This product, therefore, is identical with the proposition. For it is impossible to alter what is essential to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER | →OGD] What corresponds to a determinate logical combination of signs is a determinate logical combination of their meanings. It is only to the uncombined signs that absolutely any combination corresponds. In other words, propositions that are true for every situation cannot be combinations of signs at all, since, if they were, only determinate combinations of objects could correspond to them. (And what is not a logical combination has no combination of objects corresponding to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed the disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD] Admittedly the signs are still combined with one another even in tautologies and contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but these relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice would often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes ‘analyticity,’ or rather the analytic-synthetic distinction. Is it contradictory, or a self-contradiction, to say that one’s neighbour’s three-year-old child is an adult? Is there an implicaturum for ‘War is not war’? Grice refers to Bayes in WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as Peter Achinstein does (Newton was crazy, but not Bayesy).  We can now, in principle, characterize the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions, which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such action has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or) E2) and to their combination. If we suppose that, for each possible action, these desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose that one particular possible action scored higher (in actiondesirability relative to these ends) than any alternative possible action; and that this is the action which wins out; that is, is the action which is, or at least should, end p.105 be performed. (The computation would in fact be more complex than I have described, once account is taken of the fact that the ends involved are often not definite (determinate) states of affairs  (like becoming President), but are variable in respect of the degree to which they might be realized (if ones end is to make a profit from a deal, that profit might be of a varying magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood of a particular actions realizing the end of making a profit, but also the likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling the "Crazy-Bayesy" one I have just described. Grice was fascinated by the fact that paradox translates the Grecian neuter paradoxon. Some of the paradoxes of entailment, entailment and paradoxes. This is not the first time Grice uses paradox. As a classicist, he was aware of the nuances between paradox (or paradoxon, as he preferred, via Latin paradoxum, and aporia, for example. He was interested in Strawsons treatment of this or that paradox of entailment. He even called his own paradox involving if and probablility Grices paradox. tautologicum: Grice gives two examples: War is war, and Women are women – “Note that “Men are men” sounds contingent.” tautology, a proposition whose negation is inconsistent, or self- contradictory, e.g. ‘Socrates is Socrates’, ‘Every human is either male or nonmale’, ‘No human is both male and non-male’, ‘Every human is identical to itself’, ‘If Socrates is human then Socrates is human’. A proposition that is or is logically equivalent to the negation of a tautology is called a self-contradiction. According to classical logic, the property of being Tao Te Ching tautology 902   902 implied by its own negation is a necessary and sufficient condition for being a tautology and the property of implying its own negation is a necessary and sufficient condition for being a contradiction. Tautologies are logically necessary and contradictions are logically impossible. Epistemically, every proposition that can be known to be true by purely logical reasoning is a tautology and every proposition that can be known to be false by purely logical reasoning is a contradiction. The converses of these two statements are both controversial among classical logicians. Every proposition in the same logical form as a tautology is a tautology and every proposition in the same logical form as a contradiction is a contradiction. For this reason sometimes a tautology is said to be true in virtue of form and a contradiction is said to be false in virtue of form; being a tautology and being a contradiction tautologousness and contradictoriness are formal properties. Since the logical form of a proposition is determined by its logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’, etc., a tautology is sometimes said to be true in virtue of its logical terms and likewise mutatis mutandis for a contradiction. Since tautologies do not exclude any logical possibilities they are sometimes said to be “empty” or “uninformative”; and there is a tendency even to deny that they are genuine propositions and that knowledge of them is genuine knowledge. Since each contradiction “includes” implies all logical possibilities which of course are jointly inconsistent, contradictions are sometimes said to be “overinformative.” Tautologies and contradictions are sometimes said to be “useless,” but for opposite reasons. More precisely, according to classical logic, being implied by each and every proposition is necessary and sufficient for being a tautology and, coordinately, implying each and every proposition is necessary and sufficient for being a contradiction. Certain developments in mathematical logic, especially model theory and modal logic, seem to support use of Leibniz’s expression ‘true in all possible worlds’ in connection with tautologies. There is a special subclass of tautologies called truth-functional tautologies that are true in virtue of a special subclass of logical terms called truthfunctional connectives ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical writings use ‘tautology’ exclusively for truth-functional tautologies and thus replace “tautology” in its broad sense by another expression, e.g. ‘logical truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many other logicians have used the word in its broad sense, but use of it in its narrow sense is widespread and entirely acceptable. Propositions known to be tautologies are often given as examples of a priori knowledge. In philosophy of mathematics, the logistic hypothesis of logicism is the proposition that every true proposition of pure mathematics is a tautology. Some writers make a sharp distinction between the formal property of being a tautology and the non-formal metalogical property of being a law of logic. For example, ‘One is one’ is not metalogical but it is a tautology, whereas ‘No tautology is a contradiction’ is metalogical but is not a tautology. 

telementationalism: see psi-transmission. The coinage is interesting. Since Grice has an essay on ‘modest mentalism,’ and would often use ‘mental’ for ‘psychological,’ it does make sense. ‘Ideationalism’ is analogous. this is a special note, or rather, a very moving proem, on Grices occasion of delivering his lectures on ‘Aspects of reason and reasoning’ at Oxford as the Locke Lectures at Merton. Particularly apt in mentioning, with humility, his having failed, *thrice* [sic] to obtain the Locke lectureship, Strawson did, at once, but feeling safe under the ægis of that great English philosopher (viz. Locke! always implicated, never explicited) now. Grice starts the proem in a very moving, shall we say, emotional, way: I find it difficult to convey to you just how happy I am, and how honoured I feel, in being invited to give these lectures. Difficult, but not impossible. I think of this university and this city, it has a cathedral, which were my home for thirty-six years, as my spiritual and intellectual parents. The almost majestic plural is Grices implicaturum to the town and gown! Whatever I am was originally fashioned here; I never left Oxford, Oxford made me, and I find it a moving experience to be, within these splendid and none too ancient walls, once more engaged in my old occupation of rendering what is clear obscure, by flouting the desideratum of conversational clarity and the conversational maxim, avoid obscurity of expression, under be perspicuous [sic]!. Grices implicaturum on none too ancient seems to be addressed to the truly ancient walls that saw Athenian dialectic! On the other hand, Grices funny variant on the obscurum per obscurius ‒ what Baker found as Grices skill in rendering an orthodoxy into a heterodoxy! Almost! By clear Grice implicates Lewis and his clarity is not enough! I am, at the same time, proud of my mid-Atlantic [two-world] status, and am, therefore, delighted that the Old World should have called me in, or rather recalled me, to redress, for once, the balance of my having left her for the New. His implicaturum seems to be: Strictly, I never left? Grice concludes his proem: I am, finally, greatly heartened by my consciousness of the fact that that great English philosopher, under whose ægis I am now speaking, has in the late afternoon of my days extended to me his Lectureship as a gracious consolation for a record threefold denied to me, in my early morning, of his Prize. I pray that my present offerings may find greater favour in his sight than did those of long ago. They did! Even if Locke surely might have found favour to Grices former offerings, too, Im sure. Refs.: The allusions to Locke are in “Aspects.” Good references under ‘ideationalism,’ above, especially in connection with Myro’s ‘modest mentalism,’ The H. P. Grice Papers, BANC.

telesio: philosopher whose empiricism influences Francis Bacon and Galileo. Telesio studies in Padova, where he completed his doctorate,  and practiced philosophy in Naples and Cosenza without holding any academic position. His major oeuvre, “De rerum natura iuxta propria principia,” contains an attempt to interpret nature on the basis of its own principles, which Telesio identifies with the two incorporeal active forces of heat and cold, and the corporeal and passive physical substratum. As the two active forces permeate all of nature and are endowed with sensation, Telesio argues that all of nature possesses some degree of sensation. Human beings share with animals a material substance produced by heat and coming into existence with the body, called spirit. They are also given a mind by God. Telesio knew various interpretations of Aristotle. However, Telesio  broke with foreign exegeses, criticizing Aristotle’s Physics and claiming that nature is investigated better by the senses than by the intellect. Bernardino Telesio (n. Cosenza) è stato un filosofo. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fece il "primo dei moderni" che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico.  Telesio è nato da genitori nobili in Cosenza , una città in Calabria, Italia meridionale. È stato istruito a Milano dallo zio, Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova . I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici , scienza e filosofia, che costituivano il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, ha iniziato il suo attacco sul aristotelismo medievale che poi fiorì a Padova e Bologna . Nel 1553 si sposò e si stabilì a Cosenza, diventando il fondatore dell'Accademia Cosentina . Per un certo periodo ha vissuto nella casa di Alfonso III Carafa , duca di Nocera. Nel 1563, o forse due anni più tardi, apparve la sua grande opera De Rerum Natura Iuxta Propria Principia ( Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi ), seguito da un gran numero di opere scientifiche e filosofiche di importanza sussidiaria. Le opinioni eterodosse, che ha mantenuto suscitato l'ira della Chiesa per conto del suo amato aristotelismo , e poco tempo dopo la sua morte i suoi libri sono stati immessi sul Index.  Steepto  Teoria della materia, calore e freddo Invece di postulare materia e forma, si basa l'esistenza sulla materia e la forza. Questa forza ha due elementi opposti: calore, che si espande, e fredde, che i contratti. Questi due processi rappresentano tutte le diverse forme e tipi di esistenza, mentre la massa su cui opera la forza rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo il suo moto avvantaggia il resto. I difetti evidenti di questa teoria, (1) che solo i sensi possono non comprendere materia stessa, (2) che non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da queste due forze, pensato non è meno convincente di Aristotles caldo / freddo , secca spiegazione / umido, e (3) che ha addotto alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo dal suo allievo, Patrizzi .  Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto era destinato a confutazione per mano di Copernico . Allo stesso tempo, la teoria era sufficientemente coerente per fare una grande impressione sul pensiero italiano. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra superlunar e fisica sublunare era certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando Telesio ha continuato a spiegare la relazione tra mente e materia, era ancora più eterodossa. Forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire; questione deve anche essere stato fin dal primo dotato di coscienza. Per la coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo lo porta a una forma di ilozoismo . Anche in questo caso, l'anima è influenzato dalle condizioni materiali; di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Ha inoltre dichiarato che tutta la conoscenza è sensazione ( "non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità.  Alla fine del suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi, ha aggiunto un elemento che era completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria percettiva.  L'intero sistema di Telesio mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le successive dell'empirismo , scientifico e filosofico, e segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di sperimentare e individuale responsabilità. Il ricorso a dati sensoriali  Statua di Bernardino Telesio in Piazza XV Marzo, Cosenza Telesio era il capo del grande movimento italiano del sud, che ha protestato contro l'autorità accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di Tommaso Campanella e Giordano Bruno , di Francis Bacon e René Descartes , con i loro risultati ampiamente divergenti. Egli, quindi, ha abbandonato la sfera puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua teoria della percezione sensoriale era essenzialmente una rielaborazione della teoria di Aristotele dal De anima ).  Telesio scrive all'inizio del Proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix ... "che la costruzione del mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagli antichi, ma è da intendersi per mezzo di osservazione." ( Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam. ) Questa affermazione, che si trova sulla prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria / freddo della materia informata, una teoria che non è chiaramente informato dalla nostra idea moderna di osservazione. Per Telesio, l'osservazione ( sensu percipiendam ) è un processo mentale molto più grande di una semplice registrazione dei dati, l'osservazione comprende anche il pensiero analogico.  Anche se Francis Bacon è generalmente accreditato al giorno d'oggi, con la codificazione di un induttiva metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a suggerire che la percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a Telesio. Bacone si riconosce Telesio come "il primo dei moderni" ( De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e Scientiis utilem, e nonnullorum Placitorum emendatorem & novorum hominum primum agnoscimus. , Da Bacon De principiis atque originibus ) per mettere l'osservazione di sopra di tutti gli altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di Telesio. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a Telesio e questa frase, invariabilmente fuori contesto, ha facilitato un malinteso generale della filosofia naturale telesiana dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in Telesio un alleato nella lotta contro l'antica autorità, ma ha poco positivo da dire su specifiche teorie di Telesio.  Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di Telesio di meccanizzare il più possibile. Telesio si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia informati dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agli esseri umani che introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute la mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un'anima. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe Dio impensabile e chiaramente questo non era il caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa di Dio.  Telesii, Bernardini (1586). De Rerum Natura Iuxta Propia Principii, Libri IX . Horatium Saluianum, Napoli. Oltre a De Rerum Natura , ha scritto:  de Somno De la quae in aere fiunt de Mari De cometis et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti Riferimenti Neil C. Van Deusen, Telesio: primo dei moderni (New York, 1932) link esterno  Wikimedia Commons ha mezzi relativi a Bernardino Telesio . Stanford Encyclopedia of Philosophy entry De La sua, Quae in aere Sunt, & de Terraemotibus - piena facsimile digitale a Linda Hall Library. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

tempus: cited by Grice and Myro in the Grice-Myro theory of identity. tense logic, an extension of classical logic introduced by Arthur Prior Past, Present, and Future, 7, involving operators P and F for the past and future tenses, or ‘it was the case that . . .’ and ‘it will be the case that . . .’. Classical or mathematical logic was developed as a logic of unchanging mathematical truth, and can be applied to tensed discourse only by artificial regimentation inspired by mathematical physics, introducing quantification over “times” or “instants.” Thus ‘It will have been the case that p,’ which Prior represents simply as FPp, classical logic represents as ‘There [exists] an instant t and there [exists] an instant tH such that t [is] later than the present and tH [is] earlier than t, and at tH it [is] the case that pH, or DtDtH t o‹t8tH ‹t8ptH, where the brackets indicate that the verbs are to be understood as tenseless. Prior’s motives were in part linguistic to produce a formalization less removed from natural language than the classical and in part metaphysical to avoid ontological commitment to such entities as instants. Much effort was devoted to finding tense-logical principles equivalent to various classical assertions about the structure of the earlierlater order among instants; e.g., ‘Between any two instants there is another instant’ corresponds to the validity of the axioms Pp P PPp and Fp P FFp. Less is expressible using P and F than is expressible with explicit quantification over instants, and further operators for ‘since’ and ‘until’ or ‘now’ and ‘then’ have been introduced by Hans Kamp and others. These are especially important in combination with quantification, as in ‘When he was in power, all who now condemn him then praised him.’ As tense is closely related to mood, so tense logic is closely related to modal logic. As Kripke models for modal logic consist each of a set X of “worlds” and a relation R of ‘x is an alternative to y’, so for tense logic they consist each of a set X of “instants” and a relation R of ‘x is earlier than y’: Thus instants, banished from the syntax or proof theory, reappear in the semantics or model theory. Modality and tense are both involved in the issue of future contingents, and one of Prior’s motives was a desire to produce a formalism in which the views on this topic of ancient, medieval, and early modern logicians from Aristotle with his “sea fight tomorrow” and Diodorus Cronos with his “Master Argument” through Ockham to Peirce could be represented. The most important precursor to Prior’s work on tense logic was that on many-valued logics by Lukasiewicz, which was motivated largely by the problem of future contingents. Also related to tense and mood is aspect, and modifications to represent this grammatical category evaluating formulas at periods rather than instants of time have also been introduced. Like modal logic, tense logic has been the object of intensive study in theoretical computer science, especially in connection with attempts to develop languages in which properties of programs can be expressed and proved; variants of tense logic under such labels as “dynamic logic” or “process logic” have thus been extensively developed for technological rather than philosophical motives. Refs.: H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” applied by H. P. Grice and G. Myro in the so-called “Grice-Myro theory of identity,” a time-relative identity, drawing from A. N. Prior, of Oxford, D. Wiggins, Wykeham professor of logic at Oxford, and Geach (married to an Oxonian donna),  time, “a moving image of eternity” Plato; “the number of movements in respect of the before and after” Aristotle; “the Life of the Soul in movement as it passes from one stage of act or experience to another” Plotinus; “a present of things past, memory, a present of things present, sight, and a present of things future, expectation” Augustine. These definitions, like all attempts to encapsulate the essence of time in some neat formula, are unhelpfully circular because they employ temporal notions. Although time might be too basic to admit of definition, there still are many questions about time that philosophers have made some progress in answering by analysis both of how we ordinarily experience and talk about time, and of the deliverances of science, thereby clarifying and deepening our understanding of what time is. What follows gives a sample of some of the more important of these issues. Temporal becoming and the A- and B-theories of time. According to the B-theory, time consists in nothing but a fixed “B-series” of events running from earlier to later. The A-theory requires that these events also form an “A-series” going from the future through the present into the past and, moreover, shift in respect to these determinations. The latter sort of change, commonly referred to as “temporal becoming,” gives rise to well-known perplexities concerning both what does the shifting and the sort of shift involved. Often it is said that it is the present or now that shifts to ever-later times. This quickly leads to absurdity. ‘The present’ and ‘now’, like ‘this time’, are used to refer to a moment of time. Thus, to say that the present shifts to later times entails that this very moment of time  the present  will become some other moment of time and thus cease to be identical with itself! Sometimes the entity that shifts is the property of nowness or presentness. The problem is that every event has this property at some time, namely when it occurs. Thus, what must qualify some event as being now simpliciter is its having the property of nowness now; and this is the start of an infinite regress that is vicious because at each stage we are left with an unexpurgated use of ‘now’, the very term that was supposed to be analyzed in terms of the property of nowness. If events are to change from being future to present and from present to past, as is required by temporal becoming, they must do so in relation to some mysterious transcendent entity, since temporal relations between events and/or times cannot change. The nature of the shift is equally perplexing, for it must occur at a particular rate; but a rate of change involves a comparison between one kind of change and a change of time. Herein, it is change of time that is compared to change of time, resulting in the seeming tautology that time passes or shifts at the rate of one second per second, surely an absurdity since this is not a rate of change at all. Broad attempted to skirt these perplexities by saying that becoming is sui generis and thereby defies analysis, which puts him on the side of the mystically inclined Bergson who thought that it could be known only through an act of ineffable intuition. To escape the clutches of both perplexity and mysticism, as well as to satisfy the demand of science to view the world non-perspectivally, the B-theory attempted to reduce the A-series to the B-series via a linguistic reduction in which a temporal indexical proposition reporting an event as past, present, or future is shown to be identical with a non-indexical proposition reporting a relation of precedence or simultaneity between it and another event or time. It is generally conceded that such a reduction fails, since, in general, no indexical proposition is identical with any non-indexical one, this being due to the fact that one can have a propositional attitude toward one of them that is not had to the other; e.g., I can believe that it is now raining without believing that it rains tenselessly at t 7. The friends of becoming have drawn the wrong moral from this failure  that there is a mysterious Mr. X out there doing “The Shift.” They have overlooked the fact that two sentences can express different propositions and yet report one and the same event or state of affairs; e.g., ‘This is water’ and ‘this is a collection of H2O molecules’, though differing in sense, report the same state of affairs  this being water is nothing but this being a collection of H2O molecules. It could be claimed that the same holds for the appropriate use of indexical and non-indexical sentences; the tokening at t 7 of ‘Georgie flies at this time at present’ is coreporting with the non-synonymous ‘Georgie flies tenselessly at t 7’, since Georgie’s flying at this time is the same event as Georgie’s flying at t 7, given that this time is t 7. This effects the same ontological reduction of the becoming of events to their bearing temporal relations to each other as does the linguistic reduction. The “coreporting reduction” also shows the absurdity of the “psychological reduction” according to which an event’s being present, etc., requires a relation to a perceiver, whereas an event’s having a temporal relation to another event or time does not require a relation to a perceiver. Given that Georgie’s flying at this time is identical with Georgie’s flying at t 7, it follows that one and the same event both does and does not have the property of requiring relation to a perceiver, thereby violating Leibniz’s law that identicals are indiscernible. Continuous versus discrete time. Assume that the instants of time are linearly ordered by the relation R of ‘earlier than’. To say that this order is continuous is, first, to imply the property of density or infinite divisibility: for any instants i 1 and i 2 such that Ri1i 2, there is a third instant i 3, such that Ri1i 3 and Ri3i 2. But continuity implies something more since density allows for “gaps” between the instants, as with the rational numbers. Think of R as the ‘less than’ relation and the i n as rationals. To rule out gaps and thereby assure genuine continuity it is necessary to require in addition to density that every convergent sequence of instants has a limit. To make this precise one needs a distance measure d ,  on pairs of instants, where di m, i n is interpreted as the lapse of time between i m and i n. The requirement of continuity proper is then that for any sequence i l , i 2, i 3, . . . , of instants, if di m i n P 0 as m, n P C, there is a limit instant i ø such that di n, iø  P 0 as n P C. The analogous property obviously fails for the rationals. But taking the completion of the rationals by adding in the limit points of convergent sequences yields the real number line, a genuine continuum. Numerous objections have been raised to the idea of time as a continuum and to the very notion of the continuum itself. Thus, it was objected that time cannot be composed of durationless instants since a stack of such instants cannot produce a non-zero duration. Modern measure theory resolves this objection. Leibniz held that a continuum cannot be composed of points since the points in any finite closed interval can be put in one-to-one correspondence with a smaller subinterval, contradicting the axiom that the whole is greater than any proper part. What Leibniz took to be a contradictory feature is now taken to be a defining feature of infinite collections or totalities. Modern-day Zenoians, while granting the viability of the mathematical doctrine of the continuum and even the usefulness of its employment in physical theory, will deny the possibility of its applying to real-life changes. Whitehead gave an analogue of Zeno’s paradox of the dichotomy to show that a thing cannot endure in a continuous manner. For if i 1, i 2 is the interval over which the thing is supposed to endure, then the thing would first have to endure until the instant i 3, halfway between i 1 and i 2; but before it can endure until i 3, it must first endure until the instant i 4 halfway between i 1 and i 3, etc. The seductiveness of this paradox rests upon an implicit anthropomorphic demand that the operations of nature must be understood in terms of concepts of human agency. Herein it is the demand that the physicist’s description of a continuous change, such as a runner traversing a unit spatial distance by performing an infinity of runs of ever-decreasing distance, could be used as an action-guiding recipe for performing this feat, which, of course, is impossible since it does not specify any initial or final doing, as recipes that guide human actions must. But to make this anthropomorphic demand explicit renders this deployment of the dichotomy, as well as the arguments against the possibility of performing a “supertask,” dubious. Anti-realists might deny that we are committed to real-life change being continuous by our acceptance of a physical theory that employs principles of mathematical continuity, but this is quite different from the Zenoian claim that it is impossible for such change to be continuous. To maintain that time is discrete would require not only abandoning the continuum but also the density property as well. Giving up either conflicts with the intuition that time is one-dimensional. For an explanation of how the topological analysis of dimensionality entails that the dimension of a discrete space is 0, see W. Hurewicz, Dimension Theory, 1. The philosophical and physics literatures contain speculations about a discrete time built of “chronons” or temporal atoms, but thus far such hypothetical entities have not been incorporated into a satisfactory theory. Absolute versus relative and relational time. In a scholium to the Principia, Newton declared that “Absolute, true and mathematical time, of itself and from its own nature, flows equably without relation to anything external.” There are at least five interrelated senses in which time was absolute for Newton. First, he thought that there was a frame-independent relation of simultaneity for events. Second, he thought that there was a frame-independent measure of duration for non-simultaneous events. He used ‘flows equably’ not to refer to the above sort of mysterious “temporal becoming,” but instead to connote the second sense of absoluteness and partly to indicate two further kinds of absoluteness. To appreciate the latter, note that ‘flows equably’ is modified by ‘without relation to anything external’. Here Newton was asserting third sense of ‘absolute’ that the lapse of time between two events would be what it is even if the distribution and motions of material bodies were different. He was also presupposing a related form of absoluteness fourth sense according to which the metric of time is intrinsic to the temporal interval. Leibniz’s philosophy of time placed him in agreement with Newton as regards the first two senses of ‘absolute’, which assert the non-relative or frame-independent nature of time. However, Leibniz was very much opposed to Newton on the fourth sense of ‘absolute’. According to Leibniz’s relational conception of time, any talk about the length of a temporal interval must be unpacked in terms of talk about the relation of the interval to an extrinsic metric standard. Furthermore, Leibniz used his principles of sufficient reason and identity of indiscernibles to argue against a fifth sense of ‘absolute’, implicit in Newton’s philosophy of time, according to which time is a substratum in which physical events are situated. On the contrary, the relational view holds that time is nothing over and above the structure of relations of events. Einstein’s special and general theories of relativity have direct bearing on parts of these controversies. The special theory necessitates the abandonment of frame-independent notions of simultaneity and duration. For any pair of spacelike related events in Minkowski space-time there is an inertial frame in which the events are simultaneous, another frame in which the first event is temporally prior, and still a third in which the second event is temporally prior. And the temporal interval between two timelike related events depends on the worldline connecting them. In fact, for any e  0, no matter how small, there is a worldline connecting the events whose proper length is less than e. This is the essence of the so-called twin paradox. The general theory of relativity abandons the third sense of absoluteness since it entails that the metrical structure of space-time covaries with the distribution of mass-energy in a manner specified by Einstein’s field equations. But the heart of the absoluterelational controversy  as focused by the fourth and fifth senses of ‘absolute’  is not settled by relativistic considerations. Indeed, opponents from both sides of the debate claim to find support for their positions in the special and general theories. H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” Tempus is ne of Arsitotle’s categories, along with space – cfr. Kant – and Grice on Strawson’s “Individuals” -- time slice: used by Grice in two different contexts: personal identity, and identity in general. In identity in general, Grice draws from Geach and Wiggins, and with the formal aid of Myro, construct a system of a first-order predicate calculus with time-relative identity -- a temporal part or stage of any concrete particular that exists for some interval of time; a three-dimensional cross section of a fourdimensional object. To think of an object as consisting of time slices or temporal stages is to think of it as related to time in much the way that it is related to space: as extending through time as well as space, rather than as enduring through it. Just as an object made up of spatial parts is thought of as a whole made up of parts that exist at different locations, so an object made up of time slices is thought of as a whole made up of parts or stages that exist at successive times; hence, just as a spatial whole is only partly present in any space that does not include all its spatial parts, so a whole made up of time slices is only partly present in any stretch of time that does not include all its temporal parts. A continuant, by contrast, is most commonly understood to be a particular that endures through time, i.e., that is wholly present at each moment at which it exists. To conceive of an object as a continuant is to conceive of it as related to time in a very different way from that in which it is related to space. A continuant does not extend through time as well as space; it does not exist at different times by virtue of the existence of successive parts of it at those times; it is the continuant itself that is wholly present at each such time. To conceive an object as a continuant, therefore, is to conceive it as not made up of temporal stages, or time slices, at all. There is another, less common, use of ‘continuant’ in which a continuant is understood to be any particular that exists for some stretch of time, regardless of whether it is the whole of the particular or only some part of it that is present at each moment of the particular’s existence. According to this usage, an entity that is made up of time slices would be a kind of continuant rather than some other kind of particular. Philosophers have disputed whether ordinary objects such as cabbages and kings endure through time are continuants or only extend through time are sequences of time slices. Some argue that to understand the possibility of change one must think of such objects as sequences of time slices; others argue that for the same reason one must think of such objects as continuants. If an object changes, it comes to be different from itself. Some argue that this would be possible only if an object consisted of distinct, successive stages; so that change would simply consist in the differences among the successive temporal parts of an object. Others argue that this view would make change impossible; that differences among the successive temporal parts of a thing would no more imply the thing had changed than differences among its spatial parts would.  H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.”

terminus – horos – Cicero’s transliteration of the Greianism --. terminist logic, a school of semantics until its demise in the humanistic reforms. The chief goal of ‘terminisim’ – or terministic semantics -- is the elucidation (or conceptual analysis) of the  form, the “exposition,” of a proposition advanced in the context of Scholastic disputation. The cntral theory of terminisitc semantics concerns this or that property of this or that term, especially the suppositum. Terminisic semantics does the work of modern quantification theory. Important semanticists in the school include Peter of Spain, Sherwood, Burleigh (Burlaeus), Heytesbury, and Paolo Veneto. terminus a quo-terminus a quem distinction, the: used by Grice for the starting point of some process, as opposed to the terminus ad quem, the ending point. E. g., change is a process that begins from some state, the terminus a quo, and proceeds to some state at which it ends, the terminus ad quem. In particular, in the ripening of an apple, the green apple is the terminus a quo and the red apple is the terminus ad quem.

tertulliano: Roman – Grice says that ‘you’re the cream in my coffee’ is absurd – “Can you believe it?” -- Adored by Grice because he believed what he thought was absurd.  theologian, an early father of the Christian church. A layman from Carthage, he laid the conceptual and linguistic basis for the doctrine of the Trinity. Though appearing hostile to philosophy “What has Athens to do with Jerusalem?” and to rationality “It is certain because it is impossible”, Tertullian was steeped in Stoicism. He denounced all eclecticism not governed by the normative tradition of Christian doctrine, yet commonly used philosophical argument and Stoic concepts e.g., the corporeality of God and the soul. Despite insisting on the sole authority of the New Testament apostles, he joined with Montanism, which taught that the Holy Spirit was still inspiring prophecy concerning moral discipline. Reflecting this interest in the Spirit, Tertullian pondered the distinctions to which he gave the neologism trinitas within God. God is one “substance” but three “persons”: a plurality without division. The Father, Son, and Spirit are distinct, but share equally in the one Godhead. This threeness is manifest only in the “economy” of God’s temporal action toward the world; later orthodoxy e.g. Athanasius, Basil the Great, Augustine, would postulate a Triunity that is eternal and “immanent,” i.e., internal to God’s being.  Tertulliano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il nome proprio di persona, vedi Tertulliano (nome).  Tertulliano Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (in latino: Quintus Septimius Florens Tertullianus; Cartagine, 155 circa – 230 circa) , conosciuto semplicemente come Tertulliano, è stato uno scrittore romano, filosofo e apologeta cristiano, fra i più celebri del suo tempo. Negli ultimi anni della sua vita entrò in contatto con alcune sette ritenute eretiche, come quella riconducibile al prete Montano; per questo motivo fu l'unico apologeta cristiano antico, insieme ad Origene Adamantio, a non ottenere il titolo di Padre della Chiesa[1].   Indice 1Biografia 2Pensiero 2.1Dottrina trinitaria 2.2La dottrina dell'anima naturaliter cristiana 2.3Il Credo quia absurdum 2.4La tecnica della praescriptione 2.5Altri aspetti del pensiero 3Linguaggio 4Opere 5Note 6Bibliografia 7Altri progetti 8Collegamenti esterni Biografia Tertulliano nacque a Cartagine verso la metà del II secolo (intorno al 155) da genitori pagani (patre centurione proconsulari[2], figlio di un centurione proconsolare) e, dopo essere stato verosimilmente iniziato ai misteri di Mitra, compì gli studi di retorica e diritto nelle scuole tradizionali imparando il greco. Visse durante l'impero di Settimio Severo e Caracalla.  Dopo una giovinezza dissipata esercitò la professione di avvocato dapprima in Africa e in seguito a Roma; ritornò quindi nella città natale e probabilmente verso il 195 si convertì al cristianesimo, attratto forse dall'esempio dei martiri (Cfr. Apol. 50,15; Ad Scap. 5,4) Nel 197 scrisse la sua prima opera, Ad nationes ("Ai pagani").  Presi gli ordini sacerdotali, adottò posizioni religiose molto intransigenti e nel 213 aderì alla setta religiosa dei montanisti, nota proprio per la sua intransigenza e il suo fanatismo[3]. Anche nel periodo montanista, per Tertulliano la Chiesa è sempre "Madre".  Negli ultimi anni della sua vita abbandonò il gruppo per fondarne uno nuovo, quello dei tertullianisti. Quest'ultima setta era ancora esistente all'epoca di sant'Agostino, che riferisce di averla fatta rientrare nell'alveo dell'ortodossia. Le ultime notizie che si possiedono su Tertulliano risalgono al 222, quando attaccò polemicamente il pontefice romano Callisto[4]. La sua morte si data dopo il 230.  Pensiero Tertulliano è un grande teorico e un acuto pensatore che assume un posto di rilievo nel panorama letterario del suo tempo.  Dottrina trinitaria È considerato un grande teologo cristiano soprattutto perché pensa ed esprime la teologia trinitaria attraverso una terminologia latina rigorosa. A lui si deve l'introduzione del termine "persona", nella teologia Trinitaria.[5]  Tertulliano fu storicamente il primo scrittore ecclesiastico ad utilizzare la parola latina trinitas ("Trinità") con riferimento al Dio biblico e a definire Dio come unam substantiam in tribus cohaerentibus (Adversus Praxean, 12:7), chiamati anche personae, mutuando i termini di persona e di sostanza dalla metafisica stoica. In questo modo, distingueva l'unicità della sostanza divina rispetto alla pluralità delle tre persone, tra loro coeterne e consustanziali in un piano paritetico (per quanto concerne la sostanza).[6]  Tertulliano sottolineò il fatto che la processione presume la superiorità del Padre Dio rispetto al Figlio Dio e allo Spirito Santo Dio, da Lui inviati, pur non negando la loro consustanzialità e coeternità "paritetica" dal punto di vista della sostanza. Da queste considerazioni derivò il fatto che la relazione fra il Padre Dio e il Figlio Dio non è coeterna, bensì l'effetto della libera volontà di Dio di creare l'universo. Tertulliano elaborò un concetto di economia della salvezza, che vede la generazione del Figlio già in qualità di Salvatore e di Redentore e che assorbe il Logos all'interno del mistero trinitario.  La dottrina di Tertulliano anticipava di circa un secolo il concilio di Nicea. La sua importanza storica fu notevolmente rivalutata dalla teologia moderna. Il teologo Roger Olson lo definì come il padre della dottrina trinitaria,[7] mentre il gesuita francese Joseph Moingt, nella sua opera Théologie trinitaire de Tertullien[8] affermò che il Contra Praxeam fu il primo trattato trinitario nella storia della Chiesa.[6] La sua dottrina non fu considerata perfettamente conforme alla formula nicena. Alcuni Padri della Chiesa lo accusarono di coltivare una forma di subordinazionismo affine all'arianesimo.[6]  La dottrina dell'anima naturaliter cristiana Nell'Apologeticum, Tertulliano afferma che l'anima "sebbene rinchiusa nel carcere del corpo [...] come dopo l'ubriachezza [...] nomina Dio con un solo nome[9]". Tali espressioni linguistiche sono per il pensatore cartaginese, testimonianze dell'anima che - nonostante l'assenza di sovrastrutture - spontaneamente menziona Dio. Tale "scoperta", per Tertulliano, ha come obiettivo quello di dimostrare la naturalezza del sentimento religioso senza dover ricorrere alle astrusità dei filosofi.  Tertulliano dedica uno scritto apposito a tale questione: il De testimonio animae (La testimonianza dell'anima). In questo piccolo libro, l'apologeta cristiano dichiara espressamente di non voler essere aiutato da chi in precedenza abbia, in modo artificiale, utilizzato le fonti pagane per "documentare che noi cristiani non abbiamo abbracciato alcuna dottrina nuova o mostruosa"[10] ma suo obiettivo è andare a ricercare le fonti dell'anima nella loro purezza più originaria.  Quest'operazione, nella sua formulazione, ha un impianto di derivazione stoica e più precisamente si rivedono echi della dottrina dell'anticipazione. Come dice I. Vecchiotti "ciò che interessa di più in questa sede è l'accento messo sull'ambiente tertullianeo e il modo come questo accento è messo. È messo cioè in modo da supporre che effettivamente il sentimento religioso costituisca un primum rispetto ad ogni altra determinazione: quando questa interviene – vuol dire che essa rappresenta una maculazione – economica o psicologica – sulla nobiltà del sentimento originario[11]".  Dunque, Tertulliano riconosce che il "concetto di Dio" (per lo più quando lo si esprime, quando lo si dice) viene fuori nel momento in cui il soggetto umano si allontana da tutti i tipi di costruzioni artificiali: e tale spontaneità è sintomo dell'intrinseca presenza della religione cristiana all'interno di ogni soggettività ed è l'indicazione fondamentale della superiorità della religione cristiana rispetto alle molteplici religioni pagane.  Il Credo quia absurdum È attribuita a Tertulliano la famosa locuzione latina Credo quia absurdum. In realtà l'apologeta cristiano non parla mai di "assurdità" del concetto di Dio ma ritiene che dalla "incomprensibilità" di quest'ultimo possa essere compresa la sua realtà.  (LA) «Hoc est, quod deum aestimari facit, dum aestimari non capit.»  (IT) «Questo è ciò che ci fa comprendere Dio, il fatto che non lo si può comprendere.»  (Apologeticum, 17, 3,) Un'altra affermazione che si immette nel solco sin qui delineato è quella che si trova in De Carne Christi V, 4: "Natus est Dei Filius; non pudet, quia pudendum est: et mortuus est Dei Filius; prorsus credibile est, quia ineptum est" che si traduce in: "Nacque il Figlio di Dio; non è vergognoso, perché v'è da vergognarsi: e il Figlio di Dio è morto: che è del tutto credibile, poiché è del tutto incredibile".  La tecnica della praescriptione Importantissima risulta storicamente e dogmaticamente la sua opera De praescriptione haereticorum, in cui egli giunge alla conclusione fondamentale che è inutile disputare con gli eretici sulla base della Scrittura, poiché essi continueranno a loro volta a fare lo stesso. La regula fidei contiene l'interpretazione autorevole della Scrittura ed essa è trasmessa integralmente e fedelmente solo dove sussiste la successione apostolica, cioè dai vescovi legittimi, appartenenti all'unica Chiesa cattolica e ortodossa. Ruolo primaziale nella conservazione dell'autentico deposito della fede lo ha la sede vescovile di Roma.  Altri aspetti del pensiero Alcune opere di Tertulliano (De spectaculis, De virginibus velandis, De cultu feminarum) sono improntate ad un estremo rigorismo morale che condanna ogni mondanità e diletto terreno come un'insidia diabolica; la donna stessa, discendente di Eva, è vista come una creatura del demonio. Tale rigorismo indusse Tertulliano ad aderire al montanismo che predicava l'imminenza della resurrezione della carne e l'avvento del regno di Cristo, rifiutava la gerarchia della Chiesa e prescriveva una vita ascetica distaccata dal mondo.[12]  Degna di nota è la sua affermazione: “Caro salutis est cardo”,[13] “la carne è il cardine della salvezza”.  Come molti pensatori del tempo anche Tertulliano era contrario alla pratica della contraccezione, celebre è infatti il principio da lui esposto secondo il quale: "Impedire la nascita di un bambino significa commettere un omicidio anticipato"[14].  Linguaggio Alla fine del II secolo e all'inizio del III, Tertulliano è fra i primi scrittori cristiani in lingua latina e sicuramente uno dei primissimi teologi che scrivono in questa lingua. Usa nei suoi scritti un linguaggio specificamente tecnico preso dal gergo avvocatizio e costruisce i periodi in modo volutamente irregolare, con interrogazioni, esclamazioni, battute ad effetto, giochi di parole, anastrofe, metafore, così da rendere più incisivo il discorso. Lo stile è veemente, polemico e aspro.  L'espressione libero arbitrio è entrata nel vocabolario filosofico con Tertulliano, che per primo usò il termine «liberum arbitrium»[15] per tradurre il greco αὐτεξούσιος (autexousios) di Epitteto.[16]  Opere  Septimi Florensis Tertulliani Opera, 1598 Sono pervenute trenta opere teologiche e polemiche contro i pagani, contro gli avversari religiosi e contro alcuni cristiani che non condividevano le sue tesi.  Periodo cristiano (197-206)  Ad nationes (197): in difesa del Cristianesimo contro i pagani; Apologeticum (197): una impetuosa difesa in nome della libertà di coscienza, sia contro i delitti manifesti imputati ai cristiani, sia contro i cosiddetti crimina occulta, come incesti, infanticidi e altre depravazioni morali pagane; De testimonio animae (198/200); Adversus Iudaeos (prima del 207); opera di polemica dottrinale contro gli Ebrei; Ad martyras: esortazione ad un gruppo di cristiani incarcerati e condannati a morte; De spectaculis: opera in cui vengono considerati immorali gli spettacoli teatrali e circensi; De oratione; De patientia; De cultu feminarum; Ad uxorem; De praescriptione haereticorum: contro i cristiani che contaminano la fede con filosofie pagane e con interpretazioni troppo libere della Bibbia; Adversus Hermogenem; De baptismo; De paenitentia. Periodo influenzato dal montanismo (207-212)  Ad Scapulam (212): l'opera è indirizzata al governatore dell'Africa proconsolare che stava conducendo una campagna contro i cristiani; De idolatria: contro quelle attività economiche legate in qualche modo al paganesimo; De corona: contro il servizio militare che non poteva essere compatibile con chi si professava cristiano; De exhortatione castitatis; De virginibus velandis: opera in cui vengono fatte considerazioni sulla donna, considerata alla stregua di un essere inferiore; per esempio, secondo Tertulliano, deve apparire rigorosamente velata; Adversus Marcionem, Adversus Praxean e altre: opere (trattati) di carattere violentemente polemico contro avversari religiosi; Adversus Valentinianos; De Scorpiace; De anima: (212) è l'opera più importante, nella quale Tertulliano rielabora anche fonti pagane; De carne Christi; De resurrectione mortuorum. Periodo apertamente montanista (213-220)  De fuga in persecutione; De pallio; Adversus Praxean; (prima definizione della formula del rapporto tra una sola sostanza e tre Persone). De ieiunio adversus Psychicos; De Monogamia; De pudicitia: contro i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Note ^ I requisiti per essere definito Padre della Chiesa sono elencati in Johannes Quasten, Patrologia, Torino, Marietti, 1980, Vol. 1, p. 12. ^ San Girolamo, De viris illustribus, 53. ^ Battista Mondin, Storia della teologia. Vol. 1: Epoca patristica, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1996, p. 144. ^ Tertulliano, Difesa del cristianesimo = Apologeticum, a cura di Marta Sordi, Attilio Carpin, Moreno Morani, San Clemente, 2008, p. 10, ISBN 978-88-7094-691-8, OCLC 231580052. ^ Adversus Praxean, 27, 11: "Videmus duplicem statum, non confusum sed coniunctum in una persona Deum et hominem Iesum", (Noi osserviamo una duplice condizione, non confusa ma congiunta in una sola persona, Dio e l'uomo Gesù", trad. di G. Scarpat, Torino, SEI, 1985, p. 143)  Bryan M. Liftin, Tertullian on the Trinity (XML), in Perichoresis: The Theological Journal of Emanuel University, vol. 17, 2019, pp. 81-98, DOI:10.2478/perc-2019-0012, ISSN 2284-7308 (WC · ACNP), OCLC 8125116872. URL consultato l'11 febbraio 2020. ^ Roger Olson, The Story of Christian Theology: Twenty Centuries of Tradition and Reform. 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Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Tertulliano Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Tertulliano Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Tertulliano Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tertulliano Collegamenti esterni Tertulliano, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Tertulliano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Tertulliano, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Tertulliano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Tertulliano, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (DE) Tertulliano, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Tertulliano, su Musisque Deoque. Modifica su Wikidata Opere di Tertulliano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tertulliano, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Tertulliano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina, su documentacatholicamnia.eu. con indici analitici a traduzioni in francese, inglese, russo e tedesco. Chronica Tertullianea et Cyprianea, su etudes-augustiniennes.paris-sorbonne.fr. Bibliografia esaustiva della letteratura cristiana fino alla morte di Cipriano (258) Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Tertulliano tenuta durante l'Udienza generale di mercoledì 30 maggio 2007. V · D · M Padri e dottori della Chiesa cattolica Controllo di autoritàVIAF (EN) 100226395 · ISNI (EN) 0000 0001 2283 4506 · LCCN (EN) n79091867 · GND (DE) 118621386 · BNF (FR) cb11926244w (data) · BNE (ES) XX873455 (data) · NLA (EN) 35778726 · BAV (EN) 495/52084 · CERL cnp00396668 · NDL (EN, JA) 00798864 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79091867 Antica Roma Portale Antica Roma Biografie Portale Biografie Cristianesimo Portale Cristianesimo Lingua latina Portale Lingua latina Categorie: Scrittori romaniNati a CartagineApologetiMillennialismoScrittori africani di lingua latinaScrittori ecclesiasticiQuinto Settimio Fiorente TertullianoScrittori cristiani antichiAntigiudaismo cristiano[altre]

tessitore: Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Fulvio Tessitore Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Fulvio Tessitore Fulvio Tessitore.JPG Deputato della Repubblica Italiana LegislatureXV Legislatura Gruppo parlamentarePD-Ulivo CoalizioneL'Unione Circoscrizione                     circoscrizioneXIXCollegioCampania1Incarichiparlamentari Membro della 7ª Commissione (Cultura, scienza e istruzione) dal 6 giugno 2006 Sito istituzionale Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXIV Legislatura Gruppo parlamentareDemocratici di Sinistra - l'Ulivo CircoscrizioneCollegio: 2 (Napoli Bagnoli) Incarichi parlamentari Membro della Commissione per la biblioteca dal 30 luglio 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) dal 22 giugno 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) dal 7 ottobre 2003 al 27 aprile 2006 Sito istituzionale Dati generali Partito politicoDemocratici di Sinistra Titolo di studioLaurea in giurisprudenza UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II ProfessioneDocente universitario Fulvio Tessitore (Napoli, 10 maggio 1937) è un filosofo, storico e politico italiano.   Indice 1Biografia e carriera 2Opere principali 3Altri progetti 4Collegamenti esterni Biografia e carriera Tessitore si è laureato in giurisprudenza (la sua tesi ricevette dignità di stampa) presso l'Università degli Studi di Napoli, allievo di Pietro Piovani. Nel 1964 è libero docente "per meriti eccezionali" in Filosofia del diritto; l'anno successivo diventa professore ordinario. Ha dapprima insegnato, dal 1965 al 1975, Storia delle dottrine politiche; quindi, dal 1975 in poi, Storia della filosofia. È stato preside della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno dal 1968 al 1973. Dal 1978 al 1993 è stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore dal 1993 al 2001.  Dal dicembre del 1983 è socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie nazionali italiane e straniere. È professore emerito della Facultad de Humanidades dell'Università Centrale del Venezuela, con sede a Caracas, e professore onorario della Università dell'Avana (Cuba). Ha tenuto lezioni nelle università di Düsseldorf, Erlangen-Nürnberg (Norimberga), Braunschweig, Valencia, Halle-Wittenberg, Salamanca, Siviglia e molte altre. Ha diretto il Centro di studi vichiani del CNR dal 1970 al 1995 ed oggi fa parte del Consiglio scientifico dello stesso Centro.  È presidente della Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani e del Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo". È presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Internazionale D'Amato onlus. È socio onorario dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso Nallino” di Roma. È vicepresidente della Fondazione "Guido e Roberto Cortese". Siede inoltre nel Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce. È stato componente del Consiglio Scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. È stato componente, dal 1989 al 1997, del Consiglio Universitario Nazionale, in cui è stato presidente del Comitato di Lettere, Lingue e Magistero (fino al 1993). È stato vice presidente della Fondazione Teatro di San Carlo (1997–2007), componente del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli dal 2000 al 2006, del Consiglio direttivo dal 1997 al 1998 e vice presidente dal 1999 al 2000 della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane.  È Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica italiana nella XIV legislatura (dal 30 maggio 2001 al 27 aprile 2006) nelle file dei Democratici di Sinistra - L'Ulivo e deputato nella XV Legislatura (dall'aprile 2006 all'aprile 2008) nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura (1983) e della Scienza e della cultura (1996).  È autore di una vastissima bibliografia di oltre 1500 titoli, tra i quali 26 volumi, ai quali sono stati assegnati numerosi premi.  Opere principali Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano dopo il 1860, Morano, Napoli, 1962 Crisi e trasformazioni dello Stato. Ricerche sul pensiero giuspubblicistico italiano tra 800 e 900, I ed. Morano, Napoli, 1963; III ed. Giuffrè, Milano, 1988 I fondamenti della filosofia politica di Wilhelm von Humboldt, Morano, Napoli, 1965. Stampato in una nuova edizione nel 2013 per Liguori editore, con un saggio di Claudio Cesa e con la bibliografia aggiornata dei lavori di Fulvio Tessitore su W. von Humboldt Friedrich Meinecke storico delle idee, Le Monnier, Firenze, 1969 Profilo dello storicismo politico, UTET, Torino, 1981, (traduzione spagnola 1993) Introduzione allo storicismo, Laterza, Roma-Bari, 1991, (V ed. 2010) Introduzione a Meinecke, Laterza, Roma-Bari, 1998 Filosofia, storia e politica in Vincenzo Cuoco, Marco, Lungro (CS), 2002 Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo (voll. 5), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1995 – 2000 Nuovi contributi alla storia e alla Teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, 2002 (II rist. 2004) Altri contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2007, Kritischer Historismus, Böhlau, Köln – Weimar – Wien, 2005. Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2008 (trad. spagnola, Barcellona, 2007). Contributi alla storiografia arabo-islamica tra Otto e Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2008. (III rist. 2008) Ultimi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, voll. 3, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2010. La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri, Grimaldi, Napoli, 1998. Letture quotidiane (voll. 7), Editoriale scientifica, Napoli, 1988-2010, che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Diltehy a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo, con una nora introduttiva di E. Massimilla, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2016 Da Cuoco a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, 2 voll., con una nota introduttiva di D. Conte, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2017. Ha fondato e dirige i seguenti periodici scientifici:  Bollettino del Centro di Studi Vichiani (dal 1971), diretto con G. Giarrizzo e G. Cacciatore, e (dal 2017) con G. Cacciatore, E. Nuzzo e M. Sanna. Archivio di Storia della Cultura (dal 1988), diretto dal 2018 con D. Conte e E. Massimilla. Civiltà del Mediterraneo: I serie, 1991-1995, diretta con G. Galasso e S. Moscati; II serie 2002 …, diretta con F. Lomonaco. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fulvio Tessitore Collegamenti esterni Una biografia (PDF) (PDF), su pontaniana.unina.it. URL consultato il 18 settembre 2015. Curriculum del Prof. Fulvio Tessitore (PDF), su filosofia.unina.it. URL consultato il 30 giugno 2019. Tessitóre, Fulvio, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 18 settembre 2015. Controllo di autoritàVIAF (EN) 9859355 · ISNI (EN) 0000 0001 1020 8452 · SBN IT\ICCU\CFIV\013955 · LCCN (EN) n79102801 · GND (DE) 120406640 · BNF (FR) cb12018382k (data) · BNE (ES) XX857269 (data) · BAV (EN) 495/73542 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79102801 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Politica Portale Politica Storia Portale Storia Categorie: Filosofi italiani del XXI secoloStorici italiani del XXI secoloPolitici italiani del XXI secoloNati nel 1937Nati il 10 maggioNati a NapoliPolitici dei Democratici di SinistraPolitici del Partito Democratico (Italia)Professori dell'Università di SalamancaStudenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIRettori dell'Università degli Studi di Napoli Federico II[altre]

testa Alfonso Testa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Curly Brackets.svg A questa voce o sezione va aggiunto il template sinottico {{Carica pubblica}} nobile e senatore del Regno d'Italia Alfonso Testa (Borgonovo Val Tidone, 23 febbraio 1784 – Piacenza, 16 giugno 1860) è stato un filosofo e politico italiano.  Nasce a Borgonovo Val Tidone nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e dalla madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della Collegiata il 23 febbraio 1784 alla presenza dei genitori e del conte Andrea Arcelli, padrino e parente di Alfonso. Fu Sacerdote cattolico dal 1807, rifiutò la cattedra filosofica dell'università di Pisa nel 1849 e preferì lavorare all'università di Parma, divenendone nel 1859 presidente dell'area filosofica.  Dal 1848 fu deputato al Parlamento Sabaudo.  Bibliografia Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa, pubblicato dalla Lir (Libreria internazionale Romagnosi) di Piacenza Collegamenti esterni Alfonso Testa, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alfonso Testa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alfonso Testa, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 89517413 · BAV (EN) 495/268275 · WorldCat Identities (EN) viaf-89517413 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Politica Portale Politica Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloPolitici italiani del XIX secoloNati nel 1784Morti nel 1860Nati il 23 febbraioMorti il 16 giugnoNati a Borgonovo Val TidoneMorti a PiacenzaDeputati della I legislatura del Regno di Sardegna[altre]

testing: Grice: “A token proving testability.” Grice: “We need a meta-test: a test for a test for implicatura.” late 14c., "small vessel used in assaying precious metals," from Old French test, from Latin testum "earthen pot," related to testa "piece of burned clay, earthen pot, shell" (see tete).  Sense of "trial or examination to determine the correctness of something" is recorded from 1590s. The connecting notion is "ascertaining the quality of a metal by melting it in a pot." Test Act was the name given to various laws in English history meant to exclude Catholics and Nonconformists from office, especially that of 1673, repealed 1828. Test drive (v.) is first recorded 1954. In the sciences, capacity of a theory to undergo experimental testing. Theories in the natural sciences are regularly subjected to experimental tests involving detailed and rigorous control of variable factors. Not naive observation of the workings of nature, but disciplined, designed intervention in such workings, is the hallmark of testability. Logically regarded, testing takes the form of seeking confirmation of theories by obtaining positive test results. We can represent a theory as a conjunction of a hypothesis and a statement of initial conditions, H • A. This conjunction deductively entails testable or observational consequences O. Hence, H • A P O. If O obtains, H • A is said to be confirmed, or rendered probable. But such confirmation is not decisive; O may be entailed by, and hence explained by, many other theories. For this reason, Popper insisted that the testability of theories should seek disconfirmations or falsifications. The logical schema H • A P O not-O not-H • A is deductively valid, hence apparently decisive. On this view, science progresses, not by finding the truth, but by discarding the false. Testability becomes falsifiability. This deductive schema modus tollens is also employed in the analysis of crucial tests. Consider two hypotheses H1 and H2, both introduced to explain some phenomenon. H1 predicts that for some test condition C, we have the test result ‘if C then e1’, and H2, the result ‘if C then e2’, where e1 and e2 are logically incompatible. If experiment falsifies ‘if C then e1’ e1 does not actually occur as a test result, the hypothesis H1 is false, which implies that H2 is true. It was originally supposed that the experiments of J. B. L. Foucault constituted a decisive falsifcation of the corpuscular theory of the nature of light, and thus provided a decisive establishment of the truth of its rival, the wave theory of light. This account of crucial experiments neglects certain points in logic and also the role of auxiliary hypotheses in science. As Duhem pointed term, minor testability 908   908 out, rarely, if ever, does a hypothesis face the facts in isolation from other supporting assumptions. Furthermore, it is a fact of logic that the falsification of a conjunction of a hypothesis and its auxiliary assumptions and initial conditions not-H • A is logically equivalent to not-H or not-A, and the test result itself provides no warrant for choosing which alternative to reject. Duhem further suggested that rejection of any component part of a complex theory is based on extra-evidential considerations factors like simplicity and fruitfulness and cannot be forced by negative test results. Acceptance of Duhem’s view led Quine to suggest that a theory must face the tribunal of experience en bloc; no single hypothesis can be tested in isolation. Original conceptions of testability and falsifiability construed scientific method as hypothetico-deductive. Difficulties with these reconstructions of the logic of experiment have led philosophers of science to favor an explication of empirical support based on the logic of probability. Grice: “Linguists never take ‘testability’ too conceptually, as one can witness in Saddock’s hasty proofs!” – Refs: H. P. Grice, “On testing for testing for conversational implicatura.”

testis: n., pl. testes; Latin testis "testicle," usually regarded as a special application of testis "witness" (see testament), presumably because it "bears witness to male virility" [Barnhart]. Stories that trace the use of the Latin word to some supposed swearing-in ceremony are modern and groundless.  Compare Greek parastatai "testicles," from parastates "one that stands by;" and French slang témoins, literally "witnesses." But Buck thinks Greek parastatai "testicles" has been wrongly associated with the legal sense of parastates "supporter, defender" and suggests instead parastatai in the sense of twin "supporting pillars, props of a mast," etc. Or it might be a euphemistic use of the word in the sense "comrades." OED, meanwhile, points to Walde's suggestion of a connection between testis and testa "pot, shell, etc." (see tete). testis "witness," from PIE *tri-st-i- "third person standing by," from root *tris- "three" (see three) on the notion of "third person, disinterested witness." -- as Grice notes, “it is etymologically  -- or etymythologically -- related to ‘testicles,’” --  Grice proposes an analysis of ‘testify’ in terms of necessary and sufficient conditions, “t is a testimony iff t is an act of telling, including any assertion apparently intended to impart information, regardless of social setting.” In an extended use, personal letters and messages, books, and other published material purporting to contain factual information also constitute testimony. As Grice notes, “testimony may be sincere or insincere” -- and may express knowledge or baseless prejudice. When it expresses knowledge, and it is rightly believed, this knowledge is disseminated to its recipient, near or remote. Second-hand knowledge can be passed on further, producing long chains of testimony; but these chains always begin with the report of an eye-witness or expert. In any social group with a common language there is potential for the sharing, through testimony, of the fruits of individuals’ idiosyncratic acquisition of knowledge through perception and inference. In advanced societies specialization in the gathering and production of knowledge and its wider dissemination through spoken and written testimony is a fundamental socio-epistemic fact, and a very large part of each person’s body of knowledge and belief stems from testimony. Thus, the question when a person may properly believe what another tells her, and what grounds her epistemic entitlement to do so, is a crucial one in epistemology. Reductionists about testimony insist that this entitlement must derive from our entitlement to believe what we perceive to be so, and to draw inferences from this according to familiar general principles. See e.g., Hume’s classic discussion, in his “Enquiry into Human Understanding,” section X. On this view, I can perceive that someone has told me that p, but can thereby come to know that p only by means of an inference  one that goes via additional, empirically grounded knowledge of the trustworthiness of that person. Anti-reductionists insist, by contrast, that there is a general entitlement to believe what one is told just as such defeated by knowledge of one’s informant’s lack of trustworthiness her mendacity or incompetence, but not needing to be bolstered positively by empirically based knowledge of her trustworthiness. Anti-reductionists thus see testimony as an autonomous source of knowledge on a par with perception, inference, and memory. One argument adduced for anti-reductionism is transcendental: We have many beliefs acquired from testimony, and these beliefs are knowledge; their status as knowledge cannot be accounted for in the way required by the reductionist, i. e., the reliability of testimony cannot be independently confirmed; therefore, the reductionist’s insistence on this is mistaken. However, while it is perhaps true that the reliability of all the beliefs one has that depend on past testimony cannot be simultaneously confirmed, one can certainly sometimes ascertain, without circularity, that a specific assertion by a particular person is likely to be correct  if, e.g.,one’s own experience has established that that person has a good track record of reliability about that kind of thing. Grice: “Sometimes I use testimonium.” Refs.: H. P. Grice, “Trust and rationality.”

Thaulero: Vincenzo Filippone-Thaulero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Vincenzo Filippone-Thaulero Vincenzo Filippone-Thaulero (Roma, 12 maggio 1930 – Alba Adriatica, 11 settembre 1972) è stato un filosofo, sociologo e poeta italiano.   Indice 1 Biografia 2 Opere 2.1 Saggi e articoli 3 Note 4 Bibliografia 5 Collegamenti esterni Biografia Abruzzese di origine tedesca[1], era figlio del barone Carlo, nobile di Chieti e patrizio teramano, e di donna Maria Clemente. Conseguì la maturità classica al Liceo "Massimo" di Roma. Si iscrisse nel 1948 alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università "La Sapienza" di Roma, dove si laureò a pieni voti con una tesi in Filosofia del Diritto, Una metodologia cristiana del diritto, relatore Giorgio Del Vecchio e ottenne il Diploma di perfezionamento con lode in Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento di Filosofia del Diritto dell'Università di Roma, con la tesi La fictio juris in Bartolo da Sassoferrato, relatore Widar Cesarini Sforza.  Assistente volontario di Giacomo Perticone, ordinario di Storia contemporanea a Scienze politiche, usufruì di una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consentì lunghe permanenze di studi in Germania per approfondire i suoi studi sulla problematica dei valori[2].  Nel 1954 Luigi Sturzo gli affidò insieme a Mario d'Addio la direzione del Bollettino di Sociologia, poi divenuto nel 1956 la rivista Sociologia, divenendo uno dei maggiori collaboratori dell'Istituto creato dal fondatore del Partito Popolare Italiano. Inviato al terzo Congresso Mondiale di Sociologia di Amsterdam (1956), fu fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Sociali.  Conseguì nel 1965 la libera docenza in Filosofia Morale e ricoprì vari incarichi presso il Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Salerno (1965-1970). Nel 1972 vinse il concorso a cattedra per Filosofia Morale del Magistero di Salerno.[3]  Morì l'11 settembre 1972 in un incidente automobilistico insieme alle figlie Maria Gabriella e Maria Elisabeth[4].  Il 22 novembre 2003 gli è stata intitolata la scuola elementare di Cologna Spiaggia (Roseto degli Abruzzi).  Opere Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, Giuffré, Milano, 1964 Seconda attesa, Neri Pozza, Vicenza (edizione postuma). Il mare ha voce, ha voce il vento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma (edizione postuma). Opera omnia di Vincenzo Filippone-Thaulero: Volume I, Il darsi dell'Origine nell'esperienza sociale e religiosa, V. Filippone-Thaulero, R. Pezzimenti, V. Di Marco, Studium Edizioni, Roma 2018 Saggi e articoli Il terzo Congresso Mondiale di Sociologia (Amsterdam, 22-29 Agosto 1956), in Bollettino di Sociologia dell'Istituto Luigi Sturzo, N. 2, luglio-settembre 1956, pp. 1-38. Intorno al concetto di sociologia generale, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno III, gennaio-marzo 1958, N. 1, A. Giuffré, Milano, 1958, pp. 47-66. Il problema del risentimento in Max Scheler, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, gennaio-marzo 1959, N. 1, A. Giuffré, Milano, 1959, pp. 5-44. Scienze sociali e Sociologia, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, aprile-giugno 1959, N. 2, A. Giuffré, Mi-lano, 1959, pp. 242-261. La Sociologia storicista di L. Sturzo e alcuni riferimenti alle teorie sociologiche moderne, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, ottobre-novembre 1959, N. 4, A. Giuffré, Mi-lano, 1959, pp. 637-669. Razionalità e storia nella sociologia sturziana, in Civitas, N. 4-5, aprile-maggio 1960, pp. 3-34. L'autorità in Max Weber, in Sociologia, gennaio-dicembre, 1960. Il problema dell'autorità in Max Scheler, in Autorité et Liberté, Atti del IV Convegno di Cultura Europea, Bolzano 1961, pp. 117-128. Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, in Rivista di Sociologia Anno I, N. 1, Roma 1963, pp. 1-40. Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, vol. I, Giuffré, Milano, 1964, pp. VII-539. Conoscenza e sociologia, in Rivista di Sociologia, settembre-dicembre 1964, pp. 111-142. Appunti per la XXXVII settimana sociale dei cattolici d'Italia, in Rivista di Sociologia, gennaio-aprile 1965, pp. 127-138. Note sulla VIII Conferenza di sociologia religiosa, in Rivista di Sociologia, n. 7, maggio-agosto 1965. Cristianesimo e storia, in Rivista di Sociologia, Anno III, N. 8, settembre-dicembre 1965, pp. 155-162. Riflessioni su pregiudizio e religione, in Rivista di Sociologia, Anno III, N. 9, Roma 1966, pp. 41-52. Metafisica della scienza e sociologia, in Rivista di Sociologia, Anno V, N. 13, Roma 1967, pp. 87-100. Analisi culturale ed ecumenismo, in Rivista di Sociologia, Anno V, N. 14, Roma 1967, pp. 129-136. Religione e pregiudizio (in collaborazione con O. Klineberg, T. Tentori, F. Crespi), Cappelli, Bologna, 1968, pp. 222. Il problema di un'antropologia filosofica, in Rivista di Sociologia, Anno IV, N. 17, settembre-dicembre 1968, pp. 57-76. Il problema di un'antropologia filosofica, Guida, Napoli, 1969, pp. 98 (Corso di lezioni ciclostilate, con la traduzione, in appendice, di un testo di Max Scheler). Religione e pregiudizio - Analisi di contenuto dei libri cattolici di insegnamento religioso in Italia e in Spagna, Cappelli, Bologna, 1968. Nota introduttiva a Nicolai Hartmann, Etica I, Fenomenologia dei costumi, in Esperienze 1, 1969, pp. VII-XXXII. Osservazioni in margine ad una ricerca su pregiudizio e religione, in Rivista di sociologia, Anno VII, 1-3, gennaio-dicembre 1969, pp. 171-188. Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, vol. II, Giuffré, Milano, 1969, pp. VIII-546. Prospettive culturali e sociologiche dell'impegno sociale (Relazione tenuta alla Consulta dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di Azione Cattolica), pp. 1-27. Un nuovo indirizzo storiografico nella analisi della struttura socioeconomica meridionale (Relazione tenuta in occasione del convegno Ignazio Rozzi e l'agricoltura meridionale, Teramo 28-29 giugno 1970, promosso dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano), in Rivista di Sociologia, Anno VIII, N. 1, gennaio-aprile 1970, pp. 139-160. Riflessione sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV. Studi, documenti e notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, maggio 1970, pp. 19-25. Sociologia ed esperienza religiosa e politica in Luigi Sturzo, in Ricerche di Storia sociale e religiosa, N. 2, luglio-dicembre, 1972, pp. 5-30. Note ^ Discendente del Beato Johannes Thauler ^ Centro studi Filippone-Thaulero ^ Vincenzo Di Marco in occasione della pubblicazione de "Il darsi dell'origine nell'esperienza sociale e religiosa" ^ Il Tempo 12 settembre 1972 Bibliografia V. Mathieu, Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno, 1973 G. De Rosa,Vincenzo Filippone-Thaulero in V. Filippone-Thaulero, Seconda Attesa, Vicenza, 1991 G. De Rosa, La storia che non passa: diario politico 1968-1989, Soveria Mannelli, 1999 G. Savarese, Presentazione in V. Filippone-Thaulero, Il mare ha voce, ha voce il vento, Roma, 2005 Collegamenti esterni Centro studi Filippone-Thaulero, su centrostudifilipponethaulero.wordpress.com. Controllo di autorità VIAF (EN) 70652483 · ISNI (EN) 0000 0000 3203 0651 · LCCN (EN) n96016056 · WorldCat Identities (EN) lccn-n96016056 Biografie Portale Biografie Sociologia Portale Sociologia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloSociologi italianiPoeti italiani del XX secoloNati nel 1930Morti nel 1972Nati il 12 maggioMorti l'11 settembreNati a RomaStudenti della Sapienza - Università di RomaNobili italiani del XX secolo[altre]

thales: Grice: “We call him Greek, but he certainly weren’t [sic] born in Greece!” -- called by Grice the first Grecian philosopher (“Oddly, we call him a Ionian, but the Ionian is quite a way from where he was born!”) – who poisted a ‘philosophical’ why-explanation.  Grecian philosopher who was regarded as one of the Seven Sages of Greece. He was also considered the first philosopher, founder of the Milesians. Thales is also reputed to have been an engineer, astronomer, mathematician, and statesman. His doctrines even early Grecian sources know only by hearsay: he said that water is the arche, and that the earth floats on water like a raft. The magnet has a soul, and all things are full of the gods. Thales’ attempt to explain natural phenomena in natural rather than exclusively supernatural terms bore fruit in his follower Anaximander. 

‘that’: a demonstrative. Since Grice would make so many references to the ‘that’-clause, he is aware that ‘that’ is etymologically a demonstrative, that has lost its efficacy there. But the important etymological lesson is that what follows a ‘that’-clause (cf. the classical languages Grice learned at Clifton, Greek and Latin) is a ‘propositio’ just because the ‘that’ POINTS at the proposition. Sometimes he refers to ‘obliquus casus,’ and ‘oratio obliqua,’ but he is more at home with things like ‘verba percipienda,’ verba volendi, etc. Refs.: H. P. Grice, “Bradley on this and that and thisnesss and thatness.’-- ‘that’-clause: Grice’s priority for the ‘that’-clause is multiple. He dislikes what he calls an ‘amorphous’ propositional complex. His idea is to have at least ‘The S is P,’ one act involving a subjectum or denotatum, and one involving the praedicatum. There is also what he calls sub-perceptual utterances. They do look like structured (“That red pillar seems red”) but they are not perceptual reports like “I perceive that the pillar box is red.” At points he wanst to restrict utterer’s communucatum to a ‘that’-clause; but ignoring Austin’s remark that to wonder about what a ‘word’ ‘means’ is senseless, Grice sometimes allows for things like ‘The cat sat on the mat’ to ‘mean’ that the cat sat on the mat. Grice thinks that his account of ‘the red-seeming pillar box’ succeeded, and that it was this success that prompted him to apply the thing to other areas, notably Strawson, but one hopes, all the theses he presents in “Causal” and “Prolegomena.” But he does not go back to the is/seems example, other than perhaps the tie is/seems blue. The reason is that the sense-datum theory is very complex. Note “seems.” “It seems to me that…” but the ‘that’-clause not as a content of a state of the agent. If the pillar box seems red to Grice because it is red, what ‘that’-clause are we talking about to involve in the implicaturum? And what generates the implicaturum. “By uttering “The pillar box seems red,” U conversationally implicates that there is a denial or doubt, somewhere as to whether the pillar box IS red.” Grice thought of Staal as particularly good at this type of formalistic philosophy, which was still adequate to reflect the subtleties of ordinary language.  How do we define a Griceian action? How do we define a Griceian event? This is Grices examination and criticism of Davidson, as a scientific realist, followed by a Kantian approach to freedom and causation. Grice is especially interested in the logical form, or explicitum, so that he can play with the implicaturum. One of his favourite examples: He fell on his sword, having tripped as he crossed the Galliæ. Grice manages to quote from many and varied authors (some of which you would not expect him to quote) such as Reichenbach, but also Robinson, of Oriel, of You Names it fame (for any x, if you can Names it, x exists). Robinson has a brilliant essay on parts of Cook Wilsons Statement and inference, so he certainly knows what he is talking about. Grice also quotes from von Wright and Eddington. Grice offers a linguistic botanic survey of autonomy and free (sugar-free, free fall, implicaturum-free) which some have found inspirational. His favourite is Finnegans alcohol-free. Finnegans obvious implicaturum is that everything is alcohol-laden. Grice kept a copy of Davidsons The logical form of action sentences, since surely Davidson, Grice thought, is making a primary philosophical point. Horses run fast; therefore, horses run. A Davidsonian problem, and there are more to come! Smith went fishing. Grices category shift allows us to take Smiths fishing as the grammatical Subjects of an action sentence. Cf. indeed the way to cope with entailment in The horse runs fast; therefore, the horse runs. Grices Actions and events is Davidsonian in motivation, but Kantian in method, one of those actions by Grice to promote a Griceian event! Davidson had published, Grice thought, some pretty influential (and provocative, anti-Quineian) stuff on actions and events, or events and actions, actually, and, worse, he was being discussed at Oxford, too, over which Grice always keeps an eye! Davidsons point, tersely put, is that while p.q (e.g. It is raining, and it is pouring) denotes a concatenation of events. Smith is fishing denotes an action, which is a kind of event, if you are following him (Davidson, not Smith). However, Davidson is fighting against the intuition, if you are a follower of Whitehead and Russell, to symbolise the Smith is fishing as Fs, where s stands for Smith and F for fishing. The logical form of a report of an event or an action seems to be slightly more complicated. Davidsons point specifically involves adverbs, or adverbial modifiers, and how to play with them in terms of entailment. The horse runs fast; therefore, the horse runs. Symbolise that! as Davidson told Benson Mates! But Mates had gone to the restroom. Grice explores all these and other topics and submits the thing for publication. Grice quotes, as isnt his wont, from many and various philosophers, not just Davidson, whom he saw every Wednesday, but others he didnt, like Reichenbach, Robinson, Kant, and, again even a physicist like Eddington. Grice remarks that Davidson is into hypothesis, suppositio, while he is, as he should, into hypostasis, substantia. Grice then expands on the apparent otiosity of uttering, It is a fact that grass is green. Grice goes on to summarise what he ironically dubs an ingenious argument. Let σ abbreviate the operator  consists in the fact that , which, when prefixed to a sentence, produces a predicate or epithet. Let S abbreviate Snow is white, and let G abbreviate Grass is green. In that case, xσS is 1 just in case xσ(y(y=y and S) = y(y=y) is 1, since the first part of the sub-sentence which follows σ in the main sentence is logically equivalent logically equivalent to the second part. And xσ(y(y=y and S) = y(y=y) is 1 just in case xσ(y(if y=y, G) = y(y=y) is 1, since y(if y=y, S) and y(if y=y, G) are each a singular term, which, if S and G are both true, each refers to y(y=y), and are therefore co-referential and inter-substitutable. And xσ(y(if y=y, G) = y(y=y) is true just in case xσG is 1, since G is logically equivalent to the sub-sentence which follows σ. So, this fallacy goes, provided that S and G are both 1, regardless of what an utterer explicitly conveys by uttering a token of it, any event which consists of the otiose fact that S also consists of the otiose fact that G, and vice versa, i. e. this randomly chosen event is identical to any other randomly chosen event. Grice hastens to criticise this slingshot fallacy licensing the inter-substitution of this or that co-referential singular term and this or that logically equivalent sub-sentence as officially demanded because it is needed to license a patently valid, if baffling, inference. But, if in addition to providing this benefit, the fallacy saddles the philosopher with a commitment to a hideous consequence, the rational course is to endeavour to find a way of retaining the benefit while eliminating the disastrous accompaniment, much as in set theory it seems rational to seek as generous a comprehension axiom as the need to escape this or that paradox permits. Grice proposes to retain the principle of co-reference, but prohibit is use after the principle of logical equivalence has been used. Grice finds such a measure to have some intuitive appeal. In the fallacy, the initial deployment of the principle of logical equivalence seems tailored to the production of a sentence which provides opportunity for trouble-raising application of the principle of co-referentiality. And if that is what the game is, why not stop it? On the assumption that this or that problem which originally prompts this or that analysis is at least on their way towards independent solution, Grice turns his attention to the possibility of providing a constructivist treatment of things which might perhaps have more intuitive appeal than a naïve realist approach. Grice begins with a class of happenstance attributions, which is divided into this or that basic happenstance attribution, i.e. ascriptions to a Subjects-item of an attribute which is metabolically expressible, and this or that non-basic resultant happenstance attribution, in which the attribute ascribed, though not itself metabolically expressible, is such that its possession by a Subjects item is suitably related to the possession by that or by some other Subjects item, of this or that attribute which is metabolically expressible. Any member of the class of happenstance attributions may be used to say what happens, or happens to be the case, without talking about any special entity belonging to a class of a happening or a happenstance. A next stage involves the introduction of the operator  consists of the fact that  This operator, when prefixed to a sentence S that makes a happen-stance attribution to a Subjects-item, yields a predicate which is satisfied by an entity which is a happenstance, provided that sentence S is doxastically satisfactory, i. e., 1, and that some further metaphysical condition obtains, which ensures the metaphysical necessity of the introduction into reality of the category of a happenstance, thereby ensuring that this new category is not just a class of this or that fiction. As far as the slingshot fallacy, and the hideous consequence that all facts become identical to one Great Big Fact, in the light of a defence of Reichenbach against the realist attack, Grice is reasonably confident that a metaphysical extension of reality will not saddle him with an intolerable paradox, pace the caveat that, to some, the slingshot is not contradictory in the way a paradox is, but merely an unexpected consequence ‒ not seriously hideous, at that. What this metaphysical condition would be which would justify the metaphysical extension remains, alas, to be determined. It is tempting to think that the metaphysical condition is connected with a theoretical need to have this or that happenstance as this or that item in, say, a causal relation. Grice goes on to provide a progression of linguistic botanising including free. Grice distinguishes four elements or stages in the step-by-step development of freedom. A first stage is the transeunt causation one finds in inanimate objects, as when we experience a stone in free fall. This is Hume’s realm, the atomistss realm. This is external or transeunt casuation, when an object is affected by processes in other objects. A second stage is internal or immanent causation, where a process in an object is the outcome of previous stages in that process, as in a freely moving body. A third stage is the internal causation of a living being, in which changes are generated in a creature by internal features of the creature which are not earlier stages of the same change, but independent items, the function or finality of which is to provide for the good of the creature in question. A fourth stage is a culminating stage at which the conception of a certain mode by a human of something as being for that creatures good is sufficient to initiate the doing of that thing. Grice expands on this interesting last stage. At this stage, it is the case that the creature is liberated from every factive cause. There is also a discussion of von Wrights table of adverbial modifiers, or Grices pentagram. Also an exploration of specificity: Jack buttering a parsnip in the bathroom in the presence of Jill. Grice revisits some of his earlier concerns, and these are discussed in the appropriate places, such as his exploration on the Grecian etymology of aition. “That”-clause should be preferred to ‘oratio obliqua,’ since the latter is a misnomer when you ascribe a psychological state rather than an utterance. Refs.: The main sources are given under ‘oratio obliqua’ above, The BANC.

theism:  as an Aristotelian scholar, H. P. Grice is aware of the centrality of God, nous nouseos, in Aristotle’s philosophy -- atheism from Grecian a-, ‘not’, and theos, ‘god’, the view that there are no gods. A widely used sense denotes merely not believing in God and is consistent with agnosticism. A stricter sense denotes a belief that there is no God; this use has become the standard one. In the Apology Socrates is accused of atheism for not believing in the official Athenian gods. Some distinguish between theoretical atheism and practical atheism. A theoretical atheist is one who self-consciously denies the existence of a supreme being, whereas a practical atheist may believe that a supreme being exists but lives as though there were no god. -- theology -- Grice’s philosophical theology -- concursus dei, God’s concurrence. The notion derives from a theory from medieval philosophical theology, according to which any case of causation involving created substances requires both the exercise of genuine causal powers inherent in creatures and the exercise of God’s causal activity. In particular, a person’s actions are the result of the person’s causal powers, often including the powers of deliberation and choice, and God’s causal endorsement. Divine concurrence maintains that the nature of God’s activity is more determinate than simply conserving the created world in existence. Although divine concurrence agrees with occasionalism in holding God’s power to be necessary for any event to occur, it diverges from occasionalism insofar as it regards creatures as causally active.  -- theosophia: any philosophical mysticism, especially those that purport to be mathematically or scientifically based, such as Pythagoreanism, Neoplatonism, or gnosticism. Vedic Hinduism, and certain aspects of Buddhism, Taoism, and Islamic Sufism, can also be considered theosophical. In narrower senses, ‘theosophy’ may refer to the philosophy of Swedenborg, Steiner, or Madame Helena Petrovna Blavatsky 183. Swedenborg’s theosophy originally consisted of a rationalistic cosmology, inspired by certain elements of Cartesian and Leibnizian philosophy, and a Christian mysticism. Swedenborg labored to explain the interconnections between soul and body. Steiner’s theosophy is a reaction to standard scientific theory. It purports to be as rigorous as ordinary science, but superior to it by incorporating spiritual truths about reality. According to his theosophy, reality is organic and evolving by its own resource. Genuine knowledge is intuitive, not discursive. Madame Blavatsky founded the Theosophical Society in 1875. Her views were eclectic, but were strongly influenced by mystical elements of  philosophy. 

thema: a term Grice borrows from Stoic logic, after attending a seminar on the topic by Benson Mates – a ‘thema’ is a ground rule used to reduce argument forms to basic forms. The Stoics analyzed arguments by their form schema, or tropos. They represented forms using numbers to represent claims; for example, ‘if the first, the second; but the first; therefore the second’. Grice uses “so-and-so” for ‘the first’ and ‘such and such’ for the ‘second’. “If so and so, such and such, but so and so; therefore, such and such.” Some forms were undemonstrable; others were reduced to the undemonstrable argument forms by ground rules themata; e.g., if R follows from P & Q, -Q follows from P & -R. The five undemonstrable arguments are: 1 modus ponendo ponens; 2 modus tollendo tollens; 3 not both P and Q, P, so not-Q; 4 P or Q but not both, P, so not-Q; and 5 disjunctive syllogism. The evidence about the four ground rules is incomplete, but a sound and consistent system for propositional logic can be developed that is consistent with the evidence we have. See Diogenes Laertius, Lives of the Philosophers, for an introduction to the Stoic theory of arguments; other evidence is more scattered. 

theseus’s ship. Grice sails on Theseus’s ship. Theseus’ ship: Example used by Grice to relativise ‘identity.’ After the hero Theseus accomplished his mission to sail to Crete to kill the Minotaur, his ship (Ship 1) was put on display in Athens. As the time went by, its original planks and other parts were replaced one by one with new materials until one day all of its parts were new, with none of its original parts remaining. Do we want to say that the completely rebuilt ship (Ship 2) is the same as the original or that it is a different ship? The case is further complicated. If all the original materials were kept and eventually used to construct a ship (Ship 3), would this ship be the same as the original? This example has inspired much discussion concerning the problems of identity and individuation. “To be something later is to be its closest continuer. Let us apply this view to one traditional puzzle about identity over time: the puzzle of the ship of Theseus.” Nozick, Philosophical Explanation. Grice basically formalized this with G. Myro. Refs.: Collingwood, translation of Benedetto Croce, “Il paradosso della nave di Teseo,” H. P. Grice, “Relative identity,” The Grice Papers, BANC.

θ: or theta -- Grice’s symbol for a theory. Grice uses small-case theta for a token of a theory, and capital theta for a type of theory.– Grice couldn’t quite stand some type of attitude he found in people like J. M. Rountree – Rountree was claiming that one needs a ‘theory’ of meaning. Grice responded: “ Rountree is wrong: if meaning is a matter of theory, it cannot be a matter of intuition; and I’m sure it should be a matter of intuition for Rountree!” theoretical term – Grice was once attracted to Ramsey’s essay on “Theories,” but later came to see it as ‘pretentious’. “Surely the way *I* use ‘theory’ is not Ramsey’s!” – If something is an object of an intuition by Grice, it cannot be a theoretical term – theory and intuition don’t go together. They repel each other! a term occurring in a scientific theory that purports to make reference to an unobservable entity e.g., ‘electron’, property e.g., ‘the monatomicity of a molecule’, or relation ‘greater electrical resistance’. The qualification ‘purports to’ is required because instrumentalists deny that any such unobservables exist; nevertheless, they acknowledge that a scientific theory, such as the atomic theory of matter, may be a useful tool for organizing our knowledge of observables and predicting future experiences. Scientific realists, in contrast, maintain that at least some of the theoretical terms e.g., ‘quark’ or ‘neutrino’ actually denote entities that are not directly observable  they hold, i.e., that such things exist. For either group, theoretical terms are contrasted with such observational terms as ‘rope’, ‘smooth’, and ‘louder than’, which refer to observable entities, properties, or relations. Much philosophical controversy has centered on how to draw the distinction between the observable and the unobservable. Did Galileo observe the moons of Jupiter with his telescope? Do we observe bacteria under a microscope? Do physicists observe electrons in bubble chambers? Do astronomers observe the supernova explosions with neutrino counters? Do we observe ordinary material objects, or are sense-data the only observables? Are there any observational terms at all, or are all terms theory-laden? Another important meaning of ‘theoretical term’ occurs if one regards a scientific theory as a semiformal axiomatic system. It is then natural to think of its vocabulary as divided into three parts, i terms of logic and mathematics, ii terms drawn from ordinary language or from other theories, and iii theoretical terms that constitute the special vocabulary of that particular theory. Thermodynamics, e.g., employs i terms for numbers and mathematical operations, ii such terms as ‘pressure’ and ‘volume’ that are common to many branches of physics, and iii such special thermodynamical terms as ‘temperature’, ‘heat’, and ‘entropy’. In this second sense, a theoretical term need not even purport to refer to unobservables. For example, although special equipment is necessary for its precise quantitatheoretical entity theoretical term 912   912 tive measurement, temperature is an observable property. Even if theories are not regarded as axiomatic systems, their technical terms can be considered theoretical. Such terms need not purport to refer to unobservables, nor be the exclusive property of one particular theory. In some cases, e.g., ‘work’ in physics, an ordinary word is used in the theory with a meaning that departs significantly from its ordinary use. Serious questions have been raised about the meaning of theoretical terms. Some philosophers have insisted that, to be meaningful, they must be given operational definitions. Others have appealed to coordinative definitions to secure at least partial interpretation of axiomatic theories. The verifiability criterion has been invoked to secure the meaningfulness of scientific theories containing such terms. A theoretical concept or construct is a concept expressed by a theoretical term in any of the foregoing senses. The term ‘theoretical entity’ has often been used to refer to unobservables, but this usage is confusing, in part because, without introducing any special vocabulary, we can talk about objects too small to be perceived directly  e.g., spheres of gamboge a yellow resin less than 106 meters in diameter, which figured in a historically important experiment by Jean Perrin.  Grice uses Ramsey’s concept of ‘theory’ – “granting that Ramsey overrated theory, as all Cambridge men do!” -- theory-laden, dependent on theory; specifically, involving a theoretical interpretation of what is perceived or recorded. In the heyday of logical empiricism it was thought, by Carnap and others, that a rigid distinction could be drawn between observational and theoretical terms. Later, N. R. Hanson, Paul Feyerabend, and others questioned this distinction, arguing that perhaps all observations are theory-laden either because our perception of the world is colored by perceptual, linguistic, and cultural differences or because no attempt to distinguish sharply between observation and theory has been successful. This shift brings a host of philosophical problems. If we accept the idea of radical theoryladenness, relativism of theory choice becomes possible, for, given rival theories each of which conditions its own observational evidence, the choice between them would seem to have to be made on extra-evidential grounds, since no theory-neutral observations are available. In its most perplexing form, relativism holds that, theory-ladenness being granted, one theory is as good as any other, so far as the relationship of theory to evidence is concerned. Relativists couple the thesis of theory-ladenness with the alleged fact of the underdetermination of a theory by its observational evidence, which yields the idea that any number of alternative theories can be supported by the same evidence. The question becomes one of what it is that constrains choices between theories. If theory-laden observations cannot constrain such choices, the individual subjective preferences of scientists, or rules of fraternal behavior agreed upon by groups of scientists, become the operative constraints. The logic of confirmation seems to be intrinsically contaminated by both idiosyncratic and social factors, posing a threat to the very idea of scientific rationality. 

thomson: Grice did not collaborate with that many friends. He did with his tutee Strawson. He later did it with G. J. Warnock only on the theory of perception (notably the ‘visum’). He collaborated with two more Oxonian philosophers, and with both on the philosophy of action: D. F. Pears and J. F. Thomson.  J. F. Scots London-born philosopher who would often give seminars with H. P. Grice. They also explored ‘philosophy of action.’ Thomson presented his views on public occasons on the topic, usually under the guidance of D. F. Pears – on topics such as ‘freedom of the will.’ Thomson has assocations with University, and is a Fellow of Corpus, Grice’s alma. --thomsonianism: Grice explored philosophy of action with J. F. Thomson. Thomson would socialize mainly with Grice and D. F. Pears. Oddly, Thomson was also interested in ‘if’ and reached more or less the same Philonian consequences that Grice does.

three-year-old’s guide to Russell’s theory of types, the – by H. P. Grice, with an appendix by P. F. Strawson, “Advice to parents,” v. Grice’s three-year-old’s guide.

Tilgher Adriano Tilgher (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Adriano Tilgher (Resìna, 8 gennaio 1887 – Roma, 3 novembre 1941) è stato un filosofo, saggista e critico teatrale italiano. Nato a Resina (l'odierna Ercolano in provincia di Napoli) da padre vetraio tedesco e madre valdostana[1], visse a Roma dove fu amico e collaboratore di Ernesto Buonaiuti (studioso di storia del cristianesimo ed esponente del modernismo italiano), fino alla morte. Lavorò come bibliotecario all'Alessandrina e collaborò ad alcuni giornali (tra gli altri, Il Mondo e il Popolo di Roma), molti dei quali vennero poi soppressi dal regime fascista. Le sue principali opere sono: La crisi mondiale del 1921, Estetica del 1931 e La filosofia delle morali del 1937, nella quale delinea la sua originale visione individualistica. Negli anni '20 collaborò al giornale satirico Il Becco giallo.  Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Da ricordare, anche, tra i suoi diversi scritti antifascisti, la Stroncatura di Giovanni Gentile del 1925 che, soprattutto nell'ironico e irriverente sottotitolo, esprime un dissacrante giudizio sulla propaganda con l'eloquente frase, di ascendenza bruniana, «lo spaccio del bestione trionfante»[2].  Operò anche come critico letterario e teatrale: fu tra i primi a notare l'originalità del teatro pirandelliano[3], nonostante i tentativi di contestazione da parte del regime fascista [4].  In ambito filosofico, egli affermò che non esiste una scienza morale unica bensì una pluralità di morali che emergono da un fondo caotico in virtù di un'iniziativa che in parte è creatrice di valori e in parte effetto di coincidenze casuali, anche se fortunate. In Tilgher riaffiora il dualismo manicheo di bene e di male, ribelle a ogni composizione dialettica propria a ogni comodo, quanto illusorio e superficiale ottimismo. Considerò mitico, utopistico, il concetto del progresso che non considera come altrettanto reali "il regresso, la caduta e la colpa".[5]  Nella nota Antologia dei Filosofi Italiani del dopoguerra, pubblicata nel 1937, oltre a suoi testi incluse brani tratti dalle opere di Antonio Aliotta, Ernesto Buonaiuti, Julius Evola, Piero Martinetti, Costanzo Mignone, Emilia Nobile, Giuseppe Rensi.[6]  A Ercolano gli è stato intitolato l'Istituto d'Istruzione Superiore[7].  Opere Arte, Conoscenza e Realtà, Torino, Bocca, 1911 Teoria del Pragmatismo trascendentale, Torino, Bocca 1915 Filosofi antichi, Todi, Atanor, 1921 La crisi mondiale e Saggi di socialismo e marxismo, Bologna, Zanichelli, 1921 Voci del tempo, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 Relativisti contemporanei, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 Studi sul Teatro contemporaneo, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 Ricognizioni, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 La scena e la vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1925 Lo Spaccio del Bestione trionfante. Stroncatura di Giovanni Gentile. Un libro per filosofi e non filosofi, Torino, Gobetti, 1926; con un saggio di Antimo Negri, La Mandragora, 1998; Prefazione di Gabriele Turi, Roma, Storia e Letteratura, 2017, ISBN 978-88-9359-027-3. La visione greca della vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1926; Giordano, 1996. Saggi di etica e di filosofia del diritto, Torino, Bocca, 1928 Homo faber, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1929; col titolo Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale, Firenzelibri, 1983. La poesia dialettale napoletana 1880-1930, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1930-2001. Estetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1931 Etica di Goethe, Roma, Maglione, 1932 Filosofi e Moralisti del Novecento, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1932 Studi di poetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1934 Cristo e Noi, Modena, Guanda, 1934 Critica dello Storicismo, Modena, Guanda, 1935 Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra, Modena, Guanda, 1937 Filosofia delle Morali, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1937 Moralità. Punti di vista sulla vita e sull'uomo, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1938 Le orecchie dell'aquila. Studio sulle fonti dell'attualismo di Giovanni Gentile, Roma, Religio, 1938 La filosofia di Leopardi, Roma, Religio, 1940; a cura di Raoul Bruni, Torino, Aragno, 2018 (con l'aggiunta di altri scritti leopardiani mai riuniti in volume), ISBN 978-88-8419-879-2. Il casualismo critico, Roma, Bardi, 1941 Mistiche nuove e Mistiche antiche, Roma, Bardi, 1946 Tempo nostro, Roma, Bardi, 1946 Diario politico 1937-1941, a cura di Liliana Scalero, Roma, Atlantica Editrice, 1946. Marxismo socialismo borghesia, Firenzelibri, 1978. Carteggio Croce-Tilgher, a cura di Alessandra Tarquini, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 978-88-1510-180-8. Pirandello, con testi di Antonio Gramsci, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2015, ISBN 978-88-764-2547-9. Alberto Einstein, a cura di S. Trappetti e F. Secci, Dalia Edizioni, 2016, ISBN 978-88-992-0720-5. [articolo pubblicato nel 1921 su La Stampa di Torino] Note ^ Redazione, Adriano Tilgher, su Liber Liber, 6 marzo 2015. URL consultato il 21 agosto 2019. ^ Spaccio della bestia trionfante è un'opera del filosofo Giordano Bruno, costituita da tre dialoghi di argomento morale, pubblicata a Londra nel 1584. Le bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali: è necessario «spacciarle», ovvero cacciarle dal cielo in quanto rappresentano vecchi vizi che occorre sostituire con moderne virtù. ^ Adriano Tilgher ^ Una nota dell'OVRA su un presunto tentativo di contestare Pirandello nella tournée in Argentina "si riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta dal noto letterato antifascista Adriano Tilgher all'On. Bruno Cassinelli, dichiarazione che rileva non solo l'animosità biliosa del Tilgher contro Pirandello ma anche e soprattutto un piano prestabilito da oltre tre mesi da rinnegati contro degli italiani che si apprestano a far conoscere ai nostri connazionali in Argentina, le ultime novità letterarie degli autori italiani". Luigi Sedita, Pirandello, l'apolitico spiato, Belfagor, 2006, n. 1, pp. 19-20, che riproduce la nota, sottolinea l'enfasi negativa con cui in essa si presenta il <> e con cui ci si sofferma "soprattutto sul suo perdurante <>. E significativo, alla luce degli studi di Canali, che il tramite tra la polizia politica e Adriano Tilgher sia stato l'on. Bruno Cassinelli (...) Cassinelli divenne amico di Pirandello che ne parla con deferenza in due lettere alla Abba del '33 e del '36". ^ Adriano Tilgher in Dizionario Biografico degli Italiani ^ Giuseppe Rensi (a cura di), Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte, Napoli, Orthotes, 2011, p. 14. ^ Istituto d'Istruzione Superiore Adriano Tilgher, su adrianotilgher.edu.it. URL consultato il 20 aprile 2020. Bibliografia Gianni Grana, Tilgher critico, in AA. VV., Letteratura italiana. I critici, vol. V, Marzorati, Milano, 1987, pp. 3281-3327. R. Laz., «TILGHER, Adriano», in Enciclopedia Italiana - II Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1949. URL visitato il 6 dicembre 2012. Livia Tilgher, Adriano Tilgher com'era, Napoli, Edizioni del delfino, 1978. Voci correlate Ernesto Buonaiuti Modernismo teologico Manifesto degli intellettuali antifascisti Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Adriano Tilgher Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Adriano Tilgher Collegamenti esterni Adriano Tilgher, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Adriano Tilgher, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Adriano Tilgher, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Adriano Tilgher, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Adriano Tilgher, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità         VIAF (EN) 49272900 · ISNI (EN) 0000 0001 2279 6909 · SBN IT\ICCU\RAVV\029512 · LCCN (EN) n79039972 · GND (DE) 119033976 · BNF (FR) cb121978560 (data) · NLA (EN) 35715929 · BAV (EN) 495/74273 · NDL (EN, JA) 01181409 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79039972 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloSaggisti italiani del XX secoloCritici teatrali italianiNati nel 1887Morti nel 1941Nati l'8 gennaioMorti il 3 novembreNati a ErcolanoMorti a RomaTraduttori italianiAntifascisti italiani[altre]


Timossi Roberto Giovanni Timossi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Roberto Giovanni Timossi (Genova, 29 maggio 1953) è un filosofo italiano.  Ha compiuto i suoi studi presso l'Università di Genova, dove nel 1974 ha conseguito la laurea in Filosofia. Dal 1974 al 1980 ha svolto attività di ricerca e di insegnamento seminariale presso l'Ateneo genovese. I suoi principali interessi sono rivolti alle cosiddette "questioni di frontiera", che riguardano la filosofia, la teologia, la storia della scienza, l'epistemologia e la religione. In questo ambito, si propone di dimostrare la possibilità di una nuova metafisica cognitiva e in particolare di una rinnovata teologia naturale o filosofica che proceda dai rivoluzionari risultati e dalle conoscenze della scienza contemporanea.  È inoltre noto per i suoi studi critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato uno dei manuali introduttivi più letti in Italia ("Imparare a ragionare. Un manuale di logica", Marietti).  Dal 2019 è Presidente del Consiglio Scientifico della Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare (con Presidente onorario il fisico Ugo Amaldi) e dal 2016 membro del Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino. È accademico corrispondente della Accademia Ligure di Scienze e Lettere.  Oltre a numerosi articoli su quotidiani e riviste specializzate, ha pubblicato saggi per case editrici di rilevanza nazionale.  Bibliografia Dio è possibile? Il problema dell'esistenza di un'Entità superiore, Padova, Muzzio, 1996. ISBN 88-7021-742-6; Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa, Milano, A. Mondadori, 1999. ISBN 88-04-46890-4; Prove logiche dell'esistenza di Dio da Anselmo d'Aosta a Kurt Gödel. Storia critica dell'argomento ontologico, Milano, Marietti, 2005. ISBN 978-88-211-6825-3; L'illusione dell'ateismo. Perché la scienza non nega Dio, presentazione del cardinale Angelo Bagnasco arcivescovo metropolita di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009. ISBN 978-88-215-6504-5; Imparare a ragionare. Un manuale di logica, Milano, Marietti, 2011. ISBN 978-88-211-7548-0; Decidere di credere. Ragionevolezza della fede, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012. ISBN 978-88-215-6999-9; Nel segno del nulla. Critica dell'ateismo moderno, Torino, Lindau, 2015.ISBN 978-88-6708-310-7; Perché crediamo in Dio. Le ragioni della fede cristiana nel mondo contemporaneo", Cinisello Balsamo, San Paolo, 2017, ISBN 978-88-922-1001-1; Credere per scommessa. La sfida di Pascal tra matematica e fede, Bologna 2018, Marietti 1820 - Centro Editoriale Dehoniano, ISBN 978-88-211-1201-0. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Roberto Giovanni Timossi Controllo di autorità           VIAF (EN) 100510425 · ISNI (EN) 0000 0001 2145 4149 · LCCN (EN) no2011113261 · BNF (FR) cb150314166 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-no2011113261 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1953Nati il 29 maggioNati a Genova[altre]

Tincari, persio. Philosopher of law, Bergamo.

Toderini Giambattista Toderini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento scrittori è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscinealmeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Giambattista Toderini (Venezia, 27 giugno 1728 – Venezia, 4 luglio 1799) è stato un abate, scrittore e filosofo italiano.   Frontespizio della Letteratura turchesca Figlio di Domenico Maria e di Anna Maria Cestari, discendeva dai conti palatini Gagliardis dalla Volta.  Letterato, pubblicò nel 1787 la monografia in tre tomi Letteratura Turchesca[1], tradotta anche in francese[2], frutto di una lunga permanenza a Costantinopoli. La vasta opera merita di essere ricordata in quanto fu la prima trattazione occidentale di storia della letteratura turca[senza fonte]. Tra gli altri scritti, in particolare di erudizione e di filosofia morale, si ricordano la Filosofia frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine, particolarmente applicata alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare del 1771 e L'onesto uomo ovvero saggi di morale filosofia dai principii della ragione del 1781[3].  Toderini è ricordato nel libro I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata di Andrea da Mosto (Giunti Martello ed. 1977):  «[...] La Dogaressa Pisana morì con gran dolore del Doge il 10 marzo 1769 "circa le hore ventidue colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga penosa malattia sofferta". Per tutti i tre giorni di esposizione si conservò così fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un dolce riposo. Fu solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba comune dei Mocenigo. Il Doge la seguì il 31 dicembre 1778, dopo nove giorni di malattia in seguito a una infezione determinata da una risipola alla gamba sinistra. Ai solenni funerali fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo venne commemorato da Pietro Berti ed a quelli fattigli dalla Scuola di San Rocco, cui apparteneva, dall'abate Giambattista Toderini[...].»  Note ^ Cfr. G.Toderini, Letteratura turchesca, tt. 3, presso G. Tosti, Venezia 1787 ^ Idem, De la litterature des Turcs, 3 voll., Poincot, Paris 1789. ^ Cfr. Le sue opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale»[collegamento interrotto] Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giambattista Toderini Collegamenti esterni (EN) Opere di Giambattista Toderini, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                                       VIAF (EN) 30271804 · ISNI (EN) 0000 0000 6632 6346 · LCCN (EN) n83130018 · GND (DE) 115711783 · BNF (FR) cb141414393 (data) · BNE (ES) XX1764433 (data) · BAV (EN) 495/267869 · CERL cnp01374780 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83130018 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Letteratura Portale Letteratura Categorie: Abati e badesse italianiScrittori italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1728Morti nel 1799Nati il 27 giugnoMorti il 4 luglioNati a VeneziaMorti a Venezia[altre]

tonk: a sentential connective whose meaning and logic are completely characterized by the two rules or axioms 1 [P P P tonk Q] and 2 [P tonk Q P Q]. If 1 and 2 are added to any normal system, then every Q can be derived from any P. A. N. Prior invented ‘tonk’ to show that deductive validity must not be conceived as depending solely on arbitrary syntactically defined rules or axioms. We may prohibit ‘tonk’ on the ground that it is not a natural, independently meaningful notion, but we may also prohibit it on purely syntactical grounds. E.g., we may require that, for every connective C, the C-introduction rule [xxx P . . . C . . .] and the C-elimination rule [ - - - C - - - P yyy] be such that the yyy is part of xxx or is related to xxx in some other syntactical way. 

token-reflexive, an expression that refers to itself in an act of speech or writing, such as ‘this token’. The term was coined by Reichenbach, who conjectured that all indexicals, all expressions whose semantic value depends partly on features of the context of utterance, are tokenreflexive and definable in terms of the phrase ‘this token’. He suggested that ‘I’ means the same as ‘the person who utters this token’, ‘now’ means the same as ‘the time at which this token is uttered’, ‘this table’ means the same as ‘the table pointed to by a gesture accompanying this token’, and so forth. Russell made a somewhat similar suggestion in his discussion of egocentric particulars. Reichenbach’s conjecture is widely regarded as false; although ‘I’ does pick out the person using it, it is not synonymous with ‘the person who utters this token’. If it were, as David Kaplan observes, ‘If no one were to utter this token, I would not exist’ would be true.  -- token-type distinction – Grice: “Strictly, they are not antonyms – and token is too English!” Grice: “Token is cognate with ‘teach,’ a Graeco-Roman thing, cfr. insignum – insignare – to teach is to show, almost, with an m-intention behind.” -- first the token, then the type – if necessary; “After all a type is a set of tokens” -- used by Grice: there’s a type of an utterer, but there’s the individual utterer: In symbols, “u” is an individual utterer, say, Grice. “U” is a type of utterer, say Oxonian philosophy dons. Aas drawn by Peirce, the contrast between a category and a member of that category. An individual or token is said to exemplify a type; it possesses the property that characterizes that type. In philosophy this distinction is often applied to linguistic expressions and to mental states, but it can be applied also to objects, events, properties, and states of affairs. Related to it are the distinctions between type and token individuation and between qualitative and numerical identity. Distinct tokens of the same type, such as two ants, may be qualitatively identical but cannot be numerically identical. Irrespective of the controversial metaphysical view that every individual has an essence, a type to which it belongs essentially, every individual belongs to many types, although for a certain theoretical or practical purpose it may belong to one particularly salient type e.g., the entomologist’s Formicidae or the picnicker’s buttinsky. The typetoken distinction as applied in the philosophy of language marks the difference between linguistic expressions, such as words and sentences, which are the subject of linguistics, and the products of acts of writing or speaking the subject of speech act theory. Confusing the two can lead to conflating matters of speaker meaning withmatters of word or sentence meaning as noted by Grice. An expression is a linguistic type and can be used over and over, whereas a token of a type can be produced only once, though of course it may be reproduced copied. A writer composes an essay a type and produces a manuscript a token, of which there might be many copies more tokens. A token of a type is not the same as an occurrence of a type. In the previous sentence there are two occurrences of the word ‘type’; in each inscription of that sentence, there are two tokens of that word. In philosophy of mind the typetoken distinction underlies the contrast between two forms of physicalism, the typetype identity theory or type physicalism and the tokentoken identity theory or token physicalism. 

topos: Grice: “I will use the Latinate ‘commonplace’” – ‘locus communis’-- topic, the analysis of common strategies of argumentation, later a genre of literature analyzing syllogistic reasoning. Aristotle considered the analysis of types of argument, or “topics,” the best means of describing the art of dialectical reasoning; he also used the term to refer to the principle underlying the strategy’s production of an argument. Later classical commentators on Aristotle, particularly Latin rhetoricians like Cicero, developed Aristotle’s discussions of the theory of dialectical reasoning into a philosophical form. Boethius’s work on topics exemplifies the later classical expansion of the scope of topics literature. For him, a topic is either a self-evidently true universal generalization, also called a “maximal proposition,” or a differentia, a member of the set of a maximal proposition’s characteristics that determine its genus and species. Man is a rational animal is a maximal proposition, and like from genus, the differentia that characterizes the maximal proposition as concerning genera, it is a topic. Because he believed dialectical reasoning leads to categorical, not conditional, conclusions, Boethius felt that the discovery of an argument entailed discovering a middle term uniting the two, previously unjoined terms of the conclusion. Differentiae are the genera of these middle terms, and one constructs arguments by choosing differentiae, thereby determining the middle term leading to the conclusion. In the eleventh century, Boethius’s logical structure of maximal propositions and differentiae was used to study hypothetical syllogisms, while twelfth-century theorists like Abelard extended the applicability of topics structure to the categorical syllogism. By the thirteenth century, Peter of Spain, Robert Kilwardby, and Boethius of Dacia applied topics structure exclusively to the categorical syllogism, principally those with non-necessary, probable premises. Within a century, discussion of topics structure to evaluate syllogistic reasoning was subsumed by consequences literature, which described implication, entailment, and inference relations between propositions. While the theory of consequences as an approach to understanding relations between propositions is grounded in Boethian, and perhaps Stoic, logic, it became prominent only in the later thirteenth century with Burley’s recognition of the logical significance of propositional logic.  topic-neutral, noncommittal between two or more ontological interpretations of a term. J. J. C. Smart suggested that introspective reports can be taken as topic-neutral: composed of terms neutral between “dualistic metaphysics” and “materialistic metaphysics.” When one asserts, e.g., that one has a yellowish-orange afterimage, this is tantamount to saying ‘There is something going on that is like what is going on when I have my eyes open, am awake, and there is an orange illuminated in good light in front of me, i.e., when I really see an orange’. The italicized phrase is, in Smart’s terms, topic-neutral; it refers to an event, while remaining noncommittal about whether it is material or immaterial. The term has not always been restricted to neutrality regarding dualism and materialism. Smart suggests that topic-neutral descriptions are composed of “quasi-logical” words, and hence would be suitable for any occasion where a relatively noncommittal expression of a view is required. 

toxin puzzle, a puzzle about intention and practical rationality: trustworthy billionaire, call him Paul, offers you, Peter, a million pounds for intending tonight to drink a certain toxin tomorrow. Peter is convinced that Paul can tell what Peter intends independently of what Peter does. The toxin would make Peter painfully ill for a day. But Peter needs to drink it to get the money. Constraints on the formation of a prize-winning intention include prohibitions against “gimmicks,” “external incentives,” and forgetting relevant details; e. g. Peter will not receive the money if Peter has a hypnotist “implant the intention” or hire a hit man to kill Peter should Peter not drink the toxin. If, by midnight tonight, without violating any rules, Peter forms an intention to drink the toxin tomorrow, Peter will find a million pounds in his bank account when he awakes tomorrow morning. Peter probably would drink the toxin for a million dollars. But can you, without violating the rules, intend tonight to drink it tomorrow? Apparently, you have no reason to drink it and an excellent reason not to drink it. Seemingly, you will infer from this that you will eschew drinking the toxin, and believing that you will top-down eschew drinking it seems inconsistent with intending to drink it. Even so, there are several reports in the philosophical literature of possible people who struck it rich when offered the toxin deal! Refs: H. P. Grice, “Grice’s book of paradoxes, with puzzling illustrations to  match!”  

Trapani – napola da --

transcendentale: Grice: “Trust Cicero to look for the abstract!” -- transcendentia, broadly, the property of rising out of or above other things virtually always understood figuratively; in philosophy, the property of being, in some way, of a higher order. A being, such as God, may be said to be transcendent in the sense of being not merely superior, but incomparably superior, to other things, in any sort of perfection. God’s transcendence, or being outside or beyond the world, is also contrasted, and by some thinkers combined, with God’s immanence, or existence within the world. In medieval philosophy of logic, terms such as ‘being’ and ‘one’, which did not belong uniquely to any one of the Aristotelian categories or types of predication such as substance, quality, and relation, but could be predicated of things belonging to any or to none of them, were called transcendental. In Kant’s Critique of Pure Reason, principles that profess wrongly to take us beyond the limits of any possible experience are called transcendent; whereas anything belonging to non-empirical thought that establishes, and draws consequences from, the possibility and limits of experience may be called transcendental. Thus a transcendental argument in a sense still current is one that proceeds from premises about the way in which experience is possible to conclusions about what must be true of any experienced world. Transcendentalism was a philosophical or religious movement in mid-nineteenth-century New England, characterized, in the thought of its leading representative, Ralph Waldo Emerson, by belief in a transcendent spiritual and divine principle in human nature. Grice: “The formation of this Ciceronian expression is fascinating. There’s the descent of the lark, and the transcend of the lark!” -- transcendentals, also called transcendentalia, terms or concepts that apply to all things regardless of the things’ ontological kind or category. transcendental deduction transcendentals 926   926 Terms or concepts of this sort are transcendental in the sense that they transcend or are superordinate to all classificatory categories. The classical doctrine of the transcendentals, developed in detail in the later Middle Ages, presupposes an Aristotelian ontology according to which all beings are substances or accidents classifiable within one of the ten highest genera, the ten Aristotelian categories. In this scheme being Grecian on, Latin ens is not itself one of the categories since all categories mark out kinds of being. But neither is it a category above the ten categories of substance and accidents, an ultimate genus of which the ten categories are species. This is because being is homonymous or equivocal, i.e., there is no single generic property or nature shared by members of each category in virtue of which they are beings. The ten categories identify ten irreducible, most basic ways of being. Being, then, transcends the categorial structure of the world: anything at all that is ontologically classifiable is a being, and to say of anything that it is a being is not to identify it as a member of some kind distinct from other kinds of things. According to this classical doctrine, being is the primary transcendental, but there are other terms or concepts that transcend the categories in a similar way. The most commonly recognized transcendentals other than being are one unum, true verum, and good bonum, though some medieval philosophers also recognized thing res, something aliquid, and beautiful pulchrum. These other terms or concepts are transcendental because the ontological ground of their application to a given thing is precisely the same as the ontological ground in virtue of which that thing can be called a being. For example, for a thing with a certain nature to be good is for it to perform well the activity that specifies it as a thing of that nature, and to perform this activity well is to have actualized that nature to a certain extent. But for a thing to have actualized its nature to some extent is just what it is for the thing to have being. So the actualities or properties in virtue of which a thing is good are precisely those in virtue of which it has being. Given this account, medieval philosophers held that transcendental terms are convertible convertuntur or extensionally equivalent idem secundum supposita. They are not synonymous, however, since they are intensionally distinct differunt secundum rationem. These secondary transcendentals are sometimes characterized as attributes passiones of being that are necessarily concomitant with it. In the modern period, the notion of the transcendental is associated primarily with Kant, who made ‘transcendental’ a central technical term in his philosophy. For Kant the term no longer signifies that which transcends categorial classification but that which transcends our experience in the sense of providing its ground or structure. Kant allows, e.g., that the pure forms of intuition space and time and the pure concepts of understanding categories such as substance and cause are transcendental in this sense. Forms and concepts of this sort constitute the conditions of the possibility of experience.  transcendental argument: Grice: “I prefer metaphysical argument.’ -- an argument that elucidates the conditions for the possibility of some fundamental phenomenon whose existence is unchallenged or uncontroversial in the philosophical context in which the argument is propounded. Such an argument proceeds deductively, from a premise asserting the existence of some basic phenomenon such as meaningful discourse, conceptualization of objective states of affairs, or the practice of making promises, to a conclusion asserting the existence of some interesting, substantive enabling conditions for that phenomenon. The term derives from Kant’s Critique of Pure Reason, which gives several such arguments. The paradigmatic Kantian transcendental argument is the “Transcendental Deduction of the Pure Concepts of Understanding.” Kant argued there that the objective validity of certain pure, or a priori, concepts the “categories” is a condition for the possibility of experience. Among the concepts allegedly required for having experience are those of substance and cause. Their apriority consists in the fact that instances of these concepts are not directly given in sense experience in the manner of instances of empirical concepts such as red. This fact gave rise to the skepticism of Hume concerning the very coherence of such alleged a priori concepts. Now if these concepts do have objective validity, as Kant endeavored to prove in opposition to Hume, then the world contains genuine instances of the concepts. In a transcendental argument concerning the conditions for the possibility of experience, it is crucial that some feature entailed by the having of experience is identified. Then it is argued that experience could not have this feature without satisfying some substantive conditions. In the Transcendental Deduction, the feature of experience on which Kant concentrates is the ability of a subject of experience to be aware of several distinct inner states as all belonging to a single consciousness. There is no general agreement on how Kant’s argument actually unfolded, though it seems clear to most that he focused on the role of the categories in the synthesis or combination of one’s inner states in judgments, where such synthesis is said to be required for one’s awareness of the states as being all equally one’s own states. Another famous Kantian transcendental argument  the “Refutation of Idealism” in the CriToynbee, Arnold transcendental argument 925   925 tique of Pure Reason  shares a noteworthy trait with the Transcendental Deduction. The Refutation proceeds from the premise that one is conscious of one’s own existence as determined in time, i.e., knows the temporal order of some of one’s inner states. According to the Refutation, a condition for the possibility of such knowledge is one’s consciousness of the existence of objects located outside oneself in space. If one is indeed so conscious, that would refute the skeptical view, formulated by Descartes, that one lacks knowledge of the existence of a spatial world distinct from one’s mind and its inner states. Both of the Kantian transcendental arguments we have considered, then, conclude that the falsity of some skeptical view is a condition for the possibility of some phenomenon whose existence is acknowledged even by the skeptic the having of experience; knowledge of temporal facts about one’s own inner states. Thus, we can isolate an interesting subclass of transcendental arguments: those which are anti-skeptical in nature. Barry Stroud has raised the question whether such arguments depend on some sort of suppressed verificationism according to which the existence of language or conceptualization requires the availability of the knowledge that the skeptic questions since verificationism has it that meaningful sentences expressing coherent concepts, e.g., ‘There are tables’, must be verifiable by what is given in sense experience. Dependence on a highly controversial premise is undesirable in itself. Further, Stroud argued, such a dependence would render superfluous whatever other content the anti-skeptical transcendental argument might embody since the suppressed premise alone would refute the skeptic. There is no general agreement on whether Stroud’s doubts about anti-skeptical transcendental arguments are well founded. It is not obvious whether the doubts apply to arguments that do not proceed from a premise asserting the existence of language or conceptualization, but instead conform more closely to the Kantian model. Even so, no anti-skeptical transcendental argument has been widely accepted. This is evidently due to the difficulty of uncovering substantive enabling conditions for phenomena that even a skeptic will countenance.  transcendens -- transcendental argument: Transcendental argument -- Davidson, D.: H. P. Grice, “Reply to Davidson,” philosopher of mind and language. His views on the relationship between our conceptions of ourselves as persons and as complex physical objects have had an enormous impact on contemporary philosophy. Davidson regards the mindbody problem as the problem of the relation between mental and physical events; his discussions of explanation assume that the entities explained are events; causation is a relation between events; and action is a species of events, so that events are the very subject matter of action theory. His central claim concerning events is that they are concrete particulars  unrepeatable entities located in space and time. He does not take for granted that events exist, but argues for their existence and for specific claims as to their nature. In “The Individuation of Events” in Essays on Actions and Events, 0, Davidson argues that a satisfactory theory of action must recognize that we talk of the same action under different descriptions. We must therefore assume the existence of actions. His strongest argument for the existence of events derives from his most original contribution to metaphysics, the semantic method of truth Essays on Actions and Events, pp. 10580; Essays on Truth and Interpretation, 4, pp. 214. The argument is based on a distinctive trait of the English language one not obviously shared by signal systems in lower animals, namely, its productivity of combinations. We learn modes of composition as well as words and are thus prepared to produce and respond to complex expressions never before encountered. Davidson argues, from such considerations, that our very understanding of English requires assuming the existence of events. To understand Davidson’s rather complicated views about the relationships between mind and body, consider the following claims: 1 The mental and the physical are distinct. 2 The mental and the physical causally interact. 3 The physical is causally closed. Darwinism, social Davidson, Donald 206   206 1 says that no mental event is a physical event; 2, that some mental events cause physical events and vice versa; and 3, that all the causes of physical events are physical events. If mental events are distinct from physical events and sometimes cause them, then the physical is not causally closed. The dilemma posed by the plausibility of each of these claims and by their apparent incompatibility just is the traditional mind body problem. Davidson’s resolution consists of three theses: 4 There are no strict psychological or psychophysical laws; in fact, all strict laws are expressible in purely physical vocabulary. 5 Mental events causally interact with physical events. 6 Event c causes event e only if some strict causal law subsumes c and e. It is commonly held that a property expressed by M is reducible to a property expressed by P where M and P are not logically connected only if some exceptionless law links them. So, given 4, mental and physical properties are distinct. 6 says that c causes e only if there are singular descriptions, D of c and DH of e, and a “strict” causal law, L, such that L and ‘D occurred’ entail ‘D caused D'’. 6 and the second part of 4 entail that physical events have only physical causes and that all event causation is physically grounded. Given the parallel between 13 and 4 6, it may seem that the latter, too, are incompatible. But Davidson shows that they all can be true if and only if mental events are identical to physical events. Let us say that an event e is a physical event if and only if e satisfies a basic physical predicate that is, a physical predicate appearing in a “strict” law. Since only physical predicates or predicates expressing properties reducible to basic physical properties appear in “strict” laws, every event that enters into causal relations satisfies a basic physical predicate. So, those mental events which enter into causal relations are also physical events. Still, the anomalous monist is committed only to a partial endorsement of 1. The mental and physical are distinct insofar as they are not linked by strict law  but they are not distinct insofar as mental events are in fact physical events.  transcendentalism, a religious-philosophical viewpoint held by a group of New England intellectuals, of whom Emerson, Thoreau, and Theodore Parker were the most important. A distinction taken over from Samuel Taylor Coleridge was the only bond that universally united the members of the Transcendental Club, founded in 1836: the distinction between the understanding and reason, the former providing uncertain knowledge of appearances, the latter a priori knowledge of necessary truths gained through intuition. The transcendentalists insisted that philosophical truth could be reached only by reason, a capacity common to all people unless destroyed by living a life of externals and accepting as true only secondhand traditional beliefs. On almost every other point there were disagreements. Emerson was an idealist, while Parker was a natural realist  they simply had conflicting a priori intuitions. Emerson, Thoreau, and Parker rejected the supernatural aspects of Christianity, pointing out its unmistakable parochial nature and sociological development; while James Marsh, Frederick Henry Hedge, and Caleb Henry remained in the Christian fold. The influences on the transcendentalists differed widely and explain the diversity of opinion. For example, Emerson was influenced by the Platonic tradition, G. Romanticism, Eastern religions, and nature poets, while Parker was influenced by modern science, the Scottish realism of Reid and Cousin which also emphasized a priori intuitions, and the G. Higher Critics. Emerson, Thoreau, and Parker were also bonded by negative beliefs. They not only rejected Calvinism but Unitarianism as well; they rejected the ordinary concept of material success and put in its place an Aristotelian type of selfrealization that emphasized the rational and moral self as the essence of humanity and decried idiosyncratic self-realization that admires what is unique in people as constituting their real value. 

trans-finitum: definitum, infinitum: Trans-finite number, in set theory, an infinite cardinal or ordinal number.

Tocco, rather than Trocco Felice Tocco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Felice Tocco (Catanzaro, 11 settembre 1845 – Firenze, 6 giugno 1911) è stato un filosofo e storico della filosofia italiano.   Indice 1Biografia 2Opere 3Bibliografia 4Altri progetti 5Collegamenti esterni Biografia Studiò all'Università di Napoli con Bertrando Spaventa e in quella di Bologna, allievo di Francesco Fiorentino. Insegnante di antropologia a Roma, divenne professore di Storia della filosofia a Pisa e poi a Firenze.  Nel 1875 si pose, nelle sue Ricerche platoniche, il problema della cronologia degli scritti platonici mentre, nella sua monografia su Giordano Bruno, negò che il filosofo di Nola potesse essere considerato un "martire del libero pensiero", quanto piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di razionalizzazione delle teorie filosofiche, in linea con l'impulso delle ricerche scientifiche in atto ai suoi tempi. Contribuì alla pubblicazione delle opere latine di Bruno, individuandone tre fasi di sviluppo: una fase neoplatonica, una fase panteistica e una atomistica.  Fu sostenitore del neokantismo, rifiutando ogni costruzione metafisica e privilegiando le esigenze della ragione pratica.  Opere Ricerche platoniche, Catanzaro 1876; L'eresia nel Medioevo, Firenze 1884; Le Opere latine di Giordano Bruno esposte e confrontate con le italiane da Felice Tocco, 1889 (R. Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); Le Fonti più recenti della filosofia del Bruno. Nota del socio Felice Tocco, 1892 in "Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche", Vol. 1, fasc. 7/8. 1892; Le opere inedite di Giordano Bruno. Memoria letta all’Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli dal socio Felice Tocco, 1898; Studi francescani, Napoli 1909; Studi kantiani, Palermo 1909. Bibliografia Simonetta Bassi, «Francesco Fiorentino e Felice Tocco » in Il contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. ISBN 978-88-12-00089-0. Massimo Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neokantismo di Felice Tocco nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Firenze, Leo S. Olschki, 1990. ISBN 88-222-3798-6. Giulio Raio (a cura di), Lezioni su Kant di Felice Tocco: Studio ed edizione, Napoli, Liguori Editore, 1988. ISBN 8820716461. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Felice Tocco Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Felice Tocco Collegamenti esterni Felice Tocco, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Felice Tocco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Felice Tocco, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Opere di Felice Tocco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Felice Tocco, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Felice Tocco, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata Tocco, Felice, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autoritàVIAF (EN) 64112436 · ISNI (EN) 0000 0000 8344 1936 · SBN IT\ICCU\CFIV\092217 · LCCN (EN) n86095749 · GND (DE) 119007886 · BNF (FR) cb12515567c (data) · BNE (ES) XX1137275 (data) · NLA (EN) 36031522 · BAV (EN) 495/110549 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86095749 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloStorici della filosofia italianiNati nel 1845Morti nel 1911Nati l'11 settembreMorti il 6 giugnoNati a CatanzaroMorti a Firenze[altre]

Tolomei Giovanni Battista Tolomei Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giovanni Battista Tolomei, S.I. cardinale di Santa Romana Chiesa Giovanni-Battista Tolomei (Ptolemaeus) (1653-1726).j pg Ritratto del cardinale Tolomei Template-Cardinal (not a bishop).svg   Incarichi ricopertiRettore dell'Università Gregoriana (1698-1701) Cardinale presbitero di Santo Stefano al Monte Celio (1712-1726) Camerlengo del Collegio Cardinalizio (1720-1723)   Nato3 dicembre 1653 a Pistoia Ordinato presbitero1684 Creato cardinale17 maggio 1702 da papa Clemente XI Deceduto19 gennaio 1726 (72 anni) a Roma   Manuale Giovanni Battista Tolomei (Pistoia, 3 dicembre 1653 – Roma, 19 gennaio 1726) è stato un cardinale, filosofo e teologo italiano, appartenente alla Compagnia di Gesù.   Indice 1Biografia 2Opere 3Insegnamento 4La nomina a cardinale 5Altri progetti 6Collegamenti esterni Biografia Nato a Villa Camberaia tra Pistoia e Firenze fu di nobili origini. All'età di quindici anni fu mandato a studiare a Firenze dove studiò legge presso l'Università di Pisa. Il 18 febbraio 1673 entrò a far parte dell'ordine dei Gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne esperto di ben undici lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco, arabo, inglese, illirico e francese.  Iniziò la sua carriera teologica esponendo le Sacre scritture nelle letture pubbliche presso la Chiesa del Gesù a Roma. All'età di trent'anni venne eletto alla carica di procuratore generale dell'Ordine dalla Congregazione Generale, ufficio che tenne per cinque anni, fino a quando cioè non ottenne la cattedra di filosofia al Collegio Romano.  Opere Le sue letture, che ebbero sempre un vasto uditorio, vennero poi date alla stampa nel 1696 con il titolo Philosphia mentis et sensuum, nella quale, pur nel pieno rispetto dell'aristotelismo, accolse gran parte delle scoperte naturalistiche della sua epoca, esponendole nelle sue lezioni. Le letture vennero ristampate nel 1698 in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia di Lipsia e del celebre filosofo Leibniz.  Insegnamento Successivamente ottenne la cattedra di teologia alla Pontificia Università Gregoriana (allora ancora Collegio Romano) e rinnovò le tematiche relative alla controversia sul concetto di dogma già iniziate dal cardinal Bellarmino circa un secolo prima. Le letture relative a queste lezioni furono tutte redatte in un manoscritto di ben sei volumi in folio che tuttavia non vennero mai pubblicati dall'autore. Eletto successivamente rettore del Collegio Romano e del Collegio Germanico, ricoprì contemporaneamente la carica di Consultore presso la Congregazione dei Riti.  La nomina a cardinale Il 17 maggio 1702 venne con sua sorpresa nominato cardinale da papa Clemente XI ed ottenne il titolo di Santo Stefano al Monte Celio. Chiamato al servizio del Pontefice per giudicare gli errori in materia di dogmatica si occupò della pronuncia di condanna dell'eresia del teologo francese, esponente del giansenismo Pasquier Quesnel.  In qualità di cardinale fu uno degli elettori del conclave di nomina di papa Innocenzo XIII e di Benedetto XIII.  Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giovanni Battista Tolomei Collegamenti esterni Giovanni Battista Tolomei, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Giovanni Battista Tolomei, su Find a Grave. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giovanni Battista Tolomei, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Giovanni Battista Tolomei, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Giovanni Battista Tolomei, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Giovanni Battista Tolomei nell'Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, su unigre.it. Tolomèi, Giovanni Battista, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. PredecessoreRettore dell'Università GregorianaSuccessoreEstemma UniGreg.png Angelo Alamanni, S.I.1º gennaio 1698 - 1º gennaio 1701Annibale Marchetti, S.I.PredecessoreCardinale presbitero di Santo Stefano al Monte CelioSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Francesco Bonvisi11 luglio 1712 - 19 gennaio 1726Giovanni Battista Salerni, S.I.PredecessoreCamerlengo del Collegio CardinalizioSuccessoreEmblem Holy See.svg Luigi Priuli20 marzo 1720 - 20 gennaio 1723Bernardino ScottiV · D · M Compagnia di Gesù Controllo di autorità                                         VIAF (EN) 39609892 · ISNI (EN) 0000 0000 7100 4472 · GND (DE) 117628506 · BNF (FR) cb145120995 (data) · BNE (ES) XX1764446 (data) · BAV (EN) 495/83409 · CERL cnp00895598 · WorldCat Identities (EN) viaf-39609892 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Cardinali italiani del XVII secoloCardinali italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloTeologi italianiNati nel 1653Morti nel 1726Nati il 3 dicembreMorti il 19 gennaioNati a PistoiaMorti a RomaCardinali nominati da Clemente XIGesuiti italianiCamerlenghi del Collegio cardinalizioSepolti nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola in Campo Marzio[altre]

Tomatis Francesco Tomatis da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Francesco Tomatis (Carrù, 5 luglio 1964) è un filosofo italiano. Dal 2002 insegna alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università degli Studi di Salerno come professore ordinario in Filosofia teoretica.   Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere 4Curatele 5Recensioni 6Note 7Collegamenti esterni Biografia Francesco Tomatis ha studiato nelle Università di Torino, Università di Heidelberg, Università di Perugia e Università di Macerata. Laureatosi in Filosofia teoretica all'Università di Torino con Gianni Vattimo e Luigi Pareyson (1991), dottore di ricerca all'Università di Perugia (1994), seguito da Giovanni Ferretti e Giuseppe Riconda, di cui è stato assistente all'Università di Torino dal 1995 al 2002, è stato borsista del Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson[1] (1995-1998), ricercatore della Alexander von Humboldt-Stiftung all'Università di Freiburg im Breisgau (1997), professore ordinario allo Studio teologico interdiocesano di Fossano[2] (1991-2001) e professore ospite in alcune Università europee e americane (Madrid, Córdoba, Mendoza..).  È membro dei comitati scientifici del Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson di Torino, della Fondazione centro studi Augusto Del Noce di Savigliano, dell'Accademia estetica internazionale di Rapallo[3], dell'Istituto Xavier Tilliette[4], della Internationale Schelling-Gesellschaft.  Nel 1987 ha fondato a Cuneo il Seminario angelus novus. Nel 1991 ha fondato con Massimo Cacciari, Massimo Donà, Romano Gasparotti, Sergio Givone, Margherita Petranzan, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello la rivista “Paradosso”. Dal 1995 scrive sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”[5], di cui è collaboratore dal 1998, e dal 2005 collabora a “La Rivista del Club alpino italiano”[6]. Dal 2012 è garante scientifico internazionale dell'associazione Mountain Wilderness International. Dal 2008 è istruttore di Kung Fu classico cinese, frequentando la Scuola Kung Fu Chang dal 1994, allievo diretto dei maestri Ignazio Cuturello e Roberto Fassi.  Pensiero Ha dedicato le sue ricerche al pensiero di Friedrich Schelling, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger in ambito tedesco, di Luigi Pareyson e Luigi Einaudi in quello italiano, di Lao Tzu e Yang Chengfu nel cinese, approfondendo in particolare il problema ontologico della libertà e del male, del tempo e dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Ha poi elaborato una filosofia esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna, che intende l'esistenza come esperienza personale della verticalità del limite, e una filosofia ermeneutica del dialogo interculturale, particolarmente attenta alla teologia cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese.  Opere Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Prefazione di Xavier Tilliette, Città Nuova Editrice, Roma, 1994, 384 pp. ISBN 88-311-3229-6 Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Presentazione di Piero Coda, Città Nuova Editrice, Roma, 1995, 200 pp. ISBN 88-311-0102-1 L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, 2ª ed., Roma, Città Nuova Editrice, 2010 [1997], pp. 168, ISBN 88-311-0111-0. Bibliografia pareysoniana, Trauben, Torino, 1998, 160 pp. ISBN 88-87013-20-X Pareyson. Vita, filosofia, bibliografia, 2ª ed. ampliata, Morcelliana, Brescia, 2003, 208 pp. ISBN 88-372-1914-8 Escatologia della negazione, Roma, Città Nuova Editrice, 1999, pp. 200, ISBN 88-311-0120-X. Friedrich Schelling. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, 96 pp. ISBN 88-215-5023-0 Filosofia della montagna, Prefazione di Armando Torno, Postfazione di Reinhold Messner, 3ª ed., Milano, Bompiani, 2005, pp. 224, ISBN 88-452-4138-6. Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, 2006, 208 pp. ISBN 88-452-5751-7 Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Prefazione di Piero Coda, Bompiani, Milano, 2007, 160 pp. ISBN 978-88-452-5956-2 Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Prefazione di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2009, 128 pp. ISBN 978-88-452-6256-2 Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova Editrice, Roma, 2011, 304 pp. ISBN 978-88-311-7390-2 Corpo e preghiera. La Via del T'ai Chi Ch'üan, con I. Cuturello, R. Fassi, D. Magni, 2ª ed., Roma, Città Nuova Editrice, 2012, pp. 276, ISBN 978-88-311-7399-5. La via della montagna, Bompiani, Milano, 2019, 688 pp. ISBN 978-88-301-0010-7 Curatele Luigi Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, 1998, 224 pp. ISBN 88-425-2324-0 Giuseppe Riconda, Xavier Tilliette, Del male e del bene, Città Nuova Editrice, Roma, 2001, 128 pp. ISBN 88-311-0129-3 Bruno Forte, Vincenzo Vitiello, La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova Editrice, Roma, 2001, 128 pp. ISBN 88-311-0130-7 Luigi Pareyson, Iniziativa e libertà, Mursia, Milano, 2005, 280 pp. ISBN 88-425-3303-3 Mauro Baudino, White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino, 2006, 48 pp. ISBN 88-7376-024-4 Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna, Bompiani, Milano, 2006, 168 pp. ISBN 88-452-5741-X Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, Sui principi sommi. Filosofia della rivelazione 1841/42, Bompiani, Milano, 2016, 1536 pp. ISBN 978-88-452-8094-8 Luigi Pareyson, Prospettive di filosofia moderna e contemporanea, Mursia, Milano 2017, 618 pp. ISBN 978-88-425-5781-4 Recensioni Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di X. Tilliette, Città Nuova, Roma 1994, 384 pp. [recensito da: B. Forte («Avvenire», 10.12.1994, p.22), G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», 8.1.1995, p.27), A. Giordano («La Guida», 13.1.1995, p.3 e 20.1.1995, p.3), P. Bogo («la masca», 18.1.1995, p.14), G. Pirola («La Civiltà Cattolica», 146, 3483/3484, 5-19.8.1995, pp.333–334), F. D'Agostini («La Stampa. Tuttolibri», 30.9.1995, p.6), F. Viganò («Informazione filosofica», 26, 1995, pp.53–54), S. Sotgiu («Diorama letterario», 190, 1995, pp.34–36), B. Forte («Asprenas», 43, 1996, 1, pp.127–129), X. Tilliette («Gregorianum», 1996, pp.195–196), E. Guglielminetti («Filosofia e teologia», 1996, 2, pp.408–411)].  Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Pres. di P. Coda, Città Nuova, Roma 1995, 200 pp. [recensito da: G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», 30.7.1995, p.26), G. Ricci («Avvenire», 28.10.1995, p.19), A. Ribero («AdOvest», 4, 1995, pp.72–73), S. Sotgiu («Diorama letterario», 190, 1995, pp.34–36), M. Micelli («Informazione filosofica», 27, 1996, pp.24–25), F. Russo («Acta philosophica», 1996, p.185), G. Garelli («La Guida», 14.3.1997, p.8)].  L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Città Nuova, Roma 1997, 20102, 168 pp. [recensito da: M. 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Pepino («Cuneo Provincia Granda», 2003, 5, p.78), F. Russo («Acta philosophica», 2004, p.374)].  O argumento ontológico. A existência de Deus de Anselmo a Schelling, tr. port. bras. di S.J. Schirato, Paulus, Sâo Paulo 2003, Brasil, 160 pp. Filosofia della montagna, Bompiani, Milano 2005, 20052, 20053, 20084, 224 pp. [recensito da: G. Reale («Corriere della sera», 29.9.2005, p.49), E. Billò («Unione Monregalese», 5.10.2005, p.7), V. Mathieu («Il Giornale», 27.10.2005, p.27), Vasta («La Sicilia», 31.10.2005, p.18), U. Curi («Messaggero Veneto», 6.11.2005, pp.1 e 10), L. Caveri («Peuple Valdotain», 6.11.2005, p. ), A. Zaccuri («Letture», novembre 2005, p.64), D. Anghilante («Ousitanio Vivo», novembre 2005, p.7), G. Lingua («Cuneo Provincia Granda», settembre-ottobre 2005, p.69), G. Brunod («PMNet», ottobre 2005, in www.pmnet.it), M. Schoepflin («Il Foglio», 14.1.2006, p. x), A. Rosa («TorinoSette», 13.1.2006, p.42), A. Parodi («La Stampa Web», 16.1.2006, www.lastampa.it), G. 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Iacona («Il Borghese», 2009, 7, pp.75–76), A. Torno («Corriere della Sera», 7.9.2009, p.26)].  Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova, Roma 2011, 304 pp. [recensito da: F. Chittolina («La Guida», 21.10.2011, p.63); [M. Schoepflin] («Il Giornale di Brescia», 5.11.2011, p.64); G. Tarantino («Secolo d'Italia», 6.11.2011, p.9); M. Iacona («Il Giornale d'Italia», 6.11.2012, p.11); D. Monaco («L'occhio», 1-15.11.2011, p.21); F. Chittolina («La Voce del Popolo», 4.12.2011, p.6); F. Ranucci («Conquiste del lavoro», 29.12.2011, p.4); [...] («Jesus», gennaio 2012, p.110); S. Bondi («Panorama», 29.2.2012, p. ); E. Di Nuoscio («Europa», 4.5.2012, pp.1 e 9); D. Anghilante («Ousitanio vivo», 376, 2012, p.9); F.S. Festa, («», 2012, http:// ); G. Bartoli («Dialegesthai», 10.7.2012, http://mondodomani.org/dialegesthai/; D. Monaco («Filosofia e teologia», 2013, 1, pp. ]; P. Lubrano («Il Nostro Tempo», 20.10.2013, p.14)].  Note ^ Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson ^ Studio teologico interdiocesano di Fossano ^ Accademia estetica internazionale di Rapallo Archiviato il 6 settembre 2011 in Internet Archive. ^ Istituto Xavier Tilliette ^ Ousitanio Vivo - Il Giornale ^ La Rivista del Club alpino italiano Collegamenti esterni Prof. Francesco Tomatis curriculum, pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito dell'Università degli Studi di Salerno. URL visitato il 3 gennaio 2014. Controllo di autorità                                   VIAF (EN) 44392278 · ISNI (EN) 0000 0000 7248 2708 · SBN IT\ICCU\RAVV\085518 · LCCN (EN) nr95036258 · BNF (FR) cb12442709g (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-nr95036258 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1964Nati il 5 luglioNati a CarrùPersone legate all'Università degli Studi di Macerata[altre]

Tomeo Niccolò Leonico Tomeo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Calcografia di Niccolò Leonico Tomeo Niccolò Leonico Tomeo (in albanese: Νikolla Thomai; Venezia, 1º febbraio 1456 – Padova, 28 marzo 1531) è stato un accademico e docente veneziano, originario dell'Epiro, professore di filosofia all'Università di Padova.  Tomeo è stato uno dei primi professori di origine Albanese per insegnare greco in Padova.[1][2]   Indice 1Biografia 2Opere 3Note 4Bibliografia 5Ulteriore lettura 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia Tomeo nasce a Venezia, Italia il 1º febbraio 1456 da una famiglia epirota originaria di Durazzo (Regno d'Albania).[3][4][5][6] Fu inviato a Firenze, dove ha studiato filosofia e letteratura greca sotto la tutela del Demetrios Chalkokondyles.[3][6] Nel 1497 l'Università di Padova nomina Thomaeus come suo primo docente  ufficiale sul testo greco di Aristotele.[2][4][6] Nel 1504 viene eletto come successore di Giorgio Valla per la cattedra di greco a Venezia, ma poiché Thomaeus non prese l'incarico sul serio, gli successe nel 1512 Marco Musuro.[6] Nel 1524, Thomaeus pubblica una raccolta di dialoghi filosofici in latino, il primo dei quali era intitolato "Trophonius, sive, De divinatione".[4] È stato ammirato da studiosi come Erasmo per le sue capacità filologiche.[5] Quando l'Università di Padova venne riaperta dopo la guerra della Lega di Cambrai, Tomeo insegnarà all'università fino alla sua morte, avvenuta il 28 marzo 1531.[6]  Opere Aristotelis Parva quae vocant Naturalia, Bernardino Vitali, Venezia 1523. Trophonius, sive, De divinatione, 1524. Bembo sive de immortalitate animae, 1524. Opuscula. Ex Venetiis, Bernardino Vitali, Venezia 1525. Edizione in linea: Nicolò Leonico Tomeo, Opuscula, Ex Venetiis, Bernardino Vitali, 1525. URL consultato il 18 giugno 2015. Conversio in Latinum atque explanatio primi libri Aristotelis de partibus animalium… nunc primum ex authoris archetypo in lucem aeditus. G. Farri, Venezia 1540. Note ^ Runciman 1985, p. 212: "The University of Padua was one of the first to encourage the study of Greek; and Greeks who could lecture on Greek texts were especially welcome. A Chair of Greek was founded there in 1463 and given to the Athenian Demetrius Chalcondylas. One of his successors, Nicholas Laonicus Thomaeus, an Epirot by birth, gave in 1497 a course of lectures on Aristotle, using only the Greek text and a few Alexandrian commentaries."  Copenhaver e Schmidt 1992, p. 104: "A few years later, cracks in the fortress of Latin Aristotelianism at Padua encouraged the hiring of Niccolò Leonico Tomeo, an Italian-born Greek, to lecture on the Greek Aristotle."  Geanakoplos 1985, p. 358: "Born in Venice of Greek parents (wrongly termed Albania by some scholars), Tomaeus as a youth was sent to study in Florence, where at its stadium he read Greek literature and philosophy with his famed compatriot, Demetrius Chalcondyles."  Ossa-Richardson 2013, p. 90: "Niccolò Leonico Tomeo (1456–1531), born in Venice to Greek parents, taught philosophy at Padua from 1497, and became known as a translator and interpreter of Aristotle. In 1524, he published a collection of philosophical dialogues, written in an elaborate Latin; the first of these is entitled 'Trophonius, sive, De divinatione'."  Parkinson 2003, p. 40: "Pomponazzi's Paduan colleague Niccolò Leonico Tomeo (1456–1531) was the first professor to lecture on the Greek text of Aristotle. As a Venetian of Greek parentage, Leonico Tomeo inherited the mantle of Byzantine scholars such as Gaza and Argyropoulos along with that of Italian humanists like Poliziano and Barbaro."  Bietenholz e Deutscher 1995, pp. 323–324: "Niccolò LEONICO TOMEO 1 February 1456–28 March 1531 Niccolò Leonico Tomeo (Leonicus Thomaeus) was born in Venice of Albanian parentage (From DURRES, Albania) and studied Greek in Florence under Demetrios *Chalcondyles. He had apparently been teaching at the University of Padua for some time when he was appointed its first official lecturer on the Greek text of Aristotle in 1497, since the Venetian senate's decree called him 'very popular and acceptable to the students'. Though elected to succeed Giorgio *Valla in the chair of Greek in Venice itself during 1504, he does not appear to have taken the post up seriously and was superseded by *Musurus in 1512. He returned to Padua as soon as the university reopened after the wars of the League of Cambrai, teaching there continuously until his death..." Bibliografia Bietenholz, Peter G. and Thomas Brian Deutscher, Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and Reformation (Volumes 1–3), Toronto, University of Toronto Press, 1995 [1985], ISBN 978-0-8020-8577-1. Copenhaver, Brian P. and Charles B. Schmidt, Renaissance Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 1992, ISBN 978-0-19-219203-5. Geanakoplos, Deno J., The Career of the Little-known Renaissance Greek Scholar Nicholas Leonicus Tomaeus and the Ascendancy of Greco-Byzantine Aristotelianism at Padua University (1497), in Byzantina, vol. 13, n. 1, 1985, pp. 355–372. Ossa-Richardson, Anthony, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early Modern Thought, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2013, ISBN 978-1-4008-4659-7. Parkinson, G.H.R., Routledge History of Philosophy Volume IV: The Renaissance and Seventeenth Century Rationalism, London and New York, Routledge, 2003 [1993], ISBN 978-0-415-05378-5. Runciman, Steven, The Great Church in Captivity: A Study of the Patriarchate of Constantinople from the Eve of the Turkish Conquest to the Greek War of Independence, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, ISBN 0-521-31310-4. Ulteriore lettura De Bellis, Daniela, Niccolò Leonico Tomeo interprete di Aristotele naturalista, in Physis: Rivista internazionale di storia della scienza, vol. 17, 1–2, 1975, pp. 71-93. De Bellis, Daniela, La vita e l'ambiente di Niccolo Leonico Tomeo, in Quaderni per la storia dell'Universita di Padova, vol. 13, 1980, pp. 37-75. De Bellis, Daniela, I veicoli dell'anima nell'analisi di Niccolo Leonico Tomeo, in Annali dell'Istituto di filosofia, Universita di Firenze, vol. 3, 1981, pp. 1-21. Serena, A., Niccolò Leonico Tomeo, in Appunti Letterari, Rome, 1903, pp. 5-32. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Niccolò Leonico Tomeo Collegamenti esterni Niccolò Leonico Tomeo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Niccolò Leonico Tomeo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Niccolò Leonico Tomeo, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Niccolò Leonico Tomeo / Niccolò Leonico Tomeo (altra versione), su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 88604630 · ISNI (EN) 0000 0001 2096 5860 · LCCN (EN) n85044581 · GND (DE) 102377138 · BNF (FR) cb122142622 (data) · BAV (EN) 495/359 · CERL cnp01879247 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85044581 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Nati nel 1456Morti nel 1531Nati il 1º febbraioMorti il 28 marzoNati a VeneziaMorti a PadovaFilologi italianiFilosofi italiani del XV secoloFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi medievaliProfessori dell'Università degli Studi di PadovaTraduttori dal grecoTraduttori dal greco al latinoUmanisti italiani[altre]

Tomitano Bernardino Tomitano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Bernardino Tomitano (Padova, 1517 – Padova, 1576) è stato un medico, letterato e filosofo italiano, fondatore di accademie letterarie, autore di commenti alle opere di Aristotele[1] e autore di scritti di logica, alcuni dei quali ancora inediti.   Indice 1Biografia 2Opere 3Note 4Bibliografia 5Collegamenti esterni Biografia Nacque a Padova da una famiglia originaria di Feltre. Frequentò i corsi di filosofia e medicina all'Università di Padova e si laureò in ambedue le discipline nel 1535, appena diciottenne. Nel 1539 fu deputato dal Senato Veneto a leggere l'Organon di Aristotele alla "Scuola di logica" dell'Università, incarico che conservò fino al 1563. Nel periodo in cui rimase a Padova strinse amicizia, fra gli altri, con Sperone Speroni, Pietro Bembo, Jacopo Sadoleto, Paolo Giovio, Bernardo Navagero, Girolamo Fracastoro e Aldo Manuzio, e fece parte dell'Accademia degli Infiammati, il cui proposito era scrivere "compiutamente" in lingua italiana e lingua veneta; le discussioni all'accademia degli Infiammati sono alla base dei Quattro libri de la lingua thoscana[2]. Scrisse anche due brevi dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria (1550), la dimostrazione del teorema "due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai unirsi", intuito dal profeta ebreo per Grazia divina, e Introductio Cosmographiae, lezioni di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica (1551).  Nel 1554 fu accusato dal Santo Uffizio veneto di eresia per un'opera, divulgata a suo nome nel 1547 intitolata Espositione letterale del testo di Mattheo Evangelista, traduzione della parafrasi di Erasmo da Rotterdam al Vangelo secondo Matteo[3]. Tomitano dimostrò, con due scritti[4], che quell'opera non era sua, ma edita a sua insaputa da un "nobile signore N., con cui era assai famigliare". Fu creduto e assolto, ma da allora in poi i suoi scritti divennero alquanto conformisti.  Nel 1563 non ottenne la cattedra di "ordinaria filosofia" a cui aspirava. Deluso lasciò Padova e si trasferì con la famiglia a Venezia dove esercitò con successo la professione di medico. L'opera più importante del periodo veneziano, a parte la biografia di Astorre Baglioni, furono il De morbo gallico in due libri, e il carme encomiastico Thetis in onore di Enrico III di Francia nominato anche re di Polonia (1573).  Opere Introductio ad Sophisticos Elenchos Aristotelis. Eiusdem brevis methodus diluendorum paralogismorum per divisionem, praeter illa quae Aristoteles habuit in Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis et ex Aristotele nuper invenit. Adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum exernpla, ad exercitationem adolescentium, Venezia 1544 Ragionamenti della lingua Toscana, doue si parla del perfetto oratore, & poeta uolgari, dell'eccellente medico & philosopho Bernardin Tomitano, diuisi in tre libri. Nel primo si pruoua la philosophia esser necessaria allo acquistamento della rhetorica & poetica. Nel secondo si ragiona de i precetti dell'oratore. Et nel terzo, delle leggi appartenenti al poeta, & al bene scriuere, si nella prosa, come nel uerso, Venezia, Giovanni de Farri & fratelli, 1546. Nuova ediz. Quattro libri della lingua thoscana di M. Bernardino Tomitano. Oue si prova la philosophia esser necessaria al perfetto oratore, & poeta con due libri nuouamente aggionti, de i precetti richiesti a lo scriuere, & parlar con eloquenza, Padoua, Lorenzo Pasquati, 1569. Sonetti e Canzoni, in Rime diuerse di molti eccellentiss. autori nuouamente raccolte. Libro primo, con nuoua additione ristampato, Venezia Gabriel Giolito De Ferrarii, 1546 Esposizione letterale del testo di Mattheo Evangelista, Venezia, 1547 Sopra le Pistole di S. Paolo, Venezia, 1550[5] Moisè. Geometria, Mantova 1550 Introductio Cosmographiea, Venezia 1551 Prediche del reuerendissimo monsignor Cornelio Musso, vescouo di Bitonto, fatte in diuersi tempi, et in diuersi luoghi. Nelle quali si contengono molti santi euangelici precetti, non meno utili, che necessarij alla interior fabrica dell'huomo cristiano. Con la tauola delle cose più notabili in esse contenute, Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli, 1554 Oratione recitata per nome de lo Studio de le Arti padovano ne la creatione del Serenissimo Principe di Vinetia M. Marcantonio Trivisano, Venezia, 1554 Clonicus, sive de Reginaldi Poli laudibus, Venezia 1556 Consiglio sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M. Francesco Longo del Clarissimo M. Antonio, Padova 1556 Corydon, sive de Venetorum laudibus, et Carmen ad Laurentium Priolum Venetorum Principem, Venezia 1556 G. Breznicio (a cura di). Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. In novero Averrois Quaesita demonstrativa Argumenta, Venezia, 1562 Consiglio de l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la peste di Vinetia l'anno 1556, Padova, appresso Gratioso Perchacino, 1556 De morbo gallico, in 2 voll, Venezia 1567 Vita e fatti di Astorre Baglioni[6] Quattro libri della lingua thoscana, ove si prova la philosophia esser necessaria al perfetto oratore et poeta con due libri nuovamenti aggionti dei precetti richiesti a lo scrivere et parlar con eloquenza, Padova 1570 Thetis. In adventu Regis Henrici III Galliae Christianissimi et IV Poloniae Serenissimi ad felicissimam Venetiarum urbem, Venezia, Ziletti 1574 Note ^ Aristotelis Opera omnia. Cum commentariis Averrois. Animadversiones et solutiones B. Tomitani. Et alia plura. Venetiis, apud Iuntas, 1574 ^ I primi due libri sono tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria all'oratore e al poeta. Il terzo libro ha per argomento i precetti della retorica necessari alla scrittura e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato alla prosa d'arte ("locutione oratoria, et de' suoi ornamenti, con la ragion de i motti, facetie et apologi"). ^ Antonino Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2001, ISBN 88-498-0105-X, p. 72 Ricerche sulla teologia e la scienza nella Scuola padovana del Cinque e Seicento - Antonino Poppi - Google Libri. ^ Oratione prima alli Signori de la S. Inquisitione di Venetia, Padova 1556, e Oratione seconda alli Signori medesimi, Venezia, 1557. ^ Quest'opera è nominata solo da Anton Francesco Doni nella sua Prima Libraria, un repertorio dei libri italiani stampati fino al 1550. L'opera del Tomitano, pertanto, deve essere stata scritta prima del 1550. ^ È una biografia in otto libri su Astorre Baglioni, il capitano ucciso con Marcantonio Bragadin a Famagosta nel 1571. L'opera, composta tra il 1572 e il 1576, rimase ignota ai contemporanei del Tomitano ed è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati stampati solo alcuni brani a metà del XIX secolo. Bibliografia Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, della Compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo Duca di Modena, Firenze, Molini e Landi, 1810, Tomo VII, parte 2, p. 438. Marco Pecoraro, Tomitano, Bernardino, in Vittore Branca (a cura di), Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, UTET, 1973, vol. III, 507-512. Collegamenti esterni Bernardino Tomitano, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Bernardino Tomitano, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Aulo Greco, Bernardino Tomitano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. Controllo di autoritàVIAF (EN) 56709176 · ISNI (EN) 0000 0001 2134 2489 · LCCN (EN) nr96006348 · GND (DE) 119290960 · BNF (FR) cb12468169j (data) · BAV (EN) 495/139872 · CERL cnp01345804 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr96006348 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Biografie Categorie: Medici italianiLetterati italianiFilosofi italiani del XVI secoloNati nel 1517Morti nel 1576Nati a PadovaMorti a PadovaUmanisti italiani[altre]

tornolia Giovanni Torlonia (poeta) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Corona real abierta.svg Giovanni Torlonia Pal Braschi - da pal Torlonia - Giovanni e A Maria Torlonia e Canova (Canova attr., 1811) P1090719.JPG Palazzo Braschi, da palazzo Torlonia, Giovanni e A. Maria Torlonia (Canova attr., 1811) Principe Stemma PredecessoreMarino Torlonia, principe di Civitella Cesi, duca di Poli e di Guadagnolo Nome completoGiovanni Torlonia TrattamentoSua Grazia NascitaRoma, 22 febbraio 1795 MorteRoma, 9 novembre 1858 DinastiaTorlonia PadreMarino Torlonia, II principe Torlonia MadreAnna Sforza Cesarini ConsorteFrancesca Ruspoli FigliClemente Religionecattolicesimo Giovanni Torlonia (Roma, 22 febbraio 1831 – Roma, 9 novembre 1858) è stato un poeta, filosofo e filantropo italiano.   Indice 1Biografia 2Note 3Bibliografia 4Voci correlate Biografia Giovanni Torlonia fu secondogenito del duca Marino (1795-1865) e di Anna Sforza Cesarini, figlia del VI principe di Genzano Francesco. Apparteneva a una delle più facoltose famiglie nobiliari romane; il padre, duca di Poli e di Guadagnolo, era titolare del feudo di Bracciano e viveva a Roma nel palazzo Torlonia, già Núñez, in via Bocca di Leone. Anna Sforza Cesarini aveva portato in dote una villa a Frascati, già appartenuta ai Ludovisi.  Giovanni Torlonia sposò Francesca Ruspoli (1830 - 1902), figlia di Bartolomeo e nipote del III principe di Cerveteri Francesco[1]; dal loro matrimonio nacque Clemente (1852-1899).  Fabio Nannarelli[2], amico intimo e primo biografo di Giovanni Torlonia, così lo descrive: I capelli castani, abbondanti e finissimi, il pallore e la gracilità del volto… Ma se la fronte era di filosofo, l'occhio era d'artista, o meglio, di contemplatore… Svelto nella persona. Di piccola statura, incedeva frettoloso a testa alta e pensierosa.  Giovanni Torlonia si esprimeva con eleganza in francese, inglese e tedesco e aveva studiato diligentemente il greco e il latino, procurandosi una fastidiosa malattia agli occhi. Spirito avido di conoscenze, fu attratto dalla chimica e dalla botanica. Nelle sue passeggiate nella Campagna Romana raccoglieva e catalogava piante e fiori. Appassionato di Archeologia, collezionava monete di epoca Romana e trascriveva antiche iscrizioni. Fu socio della Pontificia Accademia di Archeologia. Pronunciò un discorso in occasione del Natale di Roma del 1854. Religioso fervente, è stato introdotto da Monsignor Carlo Passaglia allo studio della Patrologia e delle Sacre scritture. La famiglia Torlonia lo tollerava, ma lo considerava visionario e innovatore pericoloso[3].  Da Platone e da Plotino Giovanni Torlonia approdò alla filosofia tedesca, a Kant e a Fichte. Il pensiero filosofico – scrive Nannarelli – che gli tornava in contemplazione entusiastica, gli si faceva poesia.  Giovanni Torlonia era in contatto con un gruppo di poeti, suoi coetanei, oggi identificati come i Poeti della Scuola romana che di sera si ritrovavano al caffè Nuovo, a piazza San Lorenzo in Lucina (Palazzo Ruspoli). Scrive Nannarelli che Giovanni Torlonia, novello Mecenate, aveva raccolto intorno a sé questo gruppo di giovani spinti dal comune ideale di ricondurre l'arte poetica agli antichi splendori. Tra questi, c'erano Domenico Gnoli, Ignazio Ciampi, Giovanni Battista Maccari, Teresa Gnoli e il Nannarelli stesso. Scrive Domenico Gnoli:[4]Egli volle riuniti idealisti e classicisti, nella fiducia che, temperata la nebulosità metafisica degli uni e la gretta sensibilità degli altri, e prendendo il meglio d'ambedue le scuole, potesse scaturire a grado a grado un'arte nazionale o universale, profonda e intima d'idea e di sentimento, nitida, elegante di forma.  Poeta anch'egli, scrisse versi sull'amore, sui fiori, sulla contemplazione del Divino. Amava la poesia di Schiller, Goethe, Lenau e soprattutto di Leopardi. Declamava Dante e Tasso. Il suo primo poemetto, Versi, del 1853, ha meritato le lodi di Gregorovius[5]. Suoi versi apparvero nella Raccolta di poesie I fiori della campagna romana, stampata a Firenze nel 1857 e nella Strenna Romana, del 1858, che egli curò insieme a Paolo Emilio Castagnola. Dedicò versi alla poetessa all'improvviso Giannina Milli e a Teresa Gnoli. Ha dedicato un sonetto anche a Giovanna Massani, moglie di Luigi Lezzani.   Giovanni Costa, Trebbiatura nella campagna Romana, 1854 A Monte Mario, nei casali Mellini, sotto l'Osservatorio Astronomico, Giovanni Torlonia aprì a sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario precursore della alfabetizzazione delle classi povere, con Giuseppe Bondino aveva creato una Associazione promotrice delle scuole di campagna. A questa scuola rurale privata Giovanni Torlonia dedicò una poesia in latino, pubblicata nel 1850, sull’Album, giornale letterario e di belle arti.  La salute cagionevole di Giovanni Torlonia ebbe riflessi nefasti, sia sul destino della scuola rurale di Monte Mario, sia sul gruppo dei Poeti della Scuola romana. Fabio Nannarelli accorse al capezzale di Giovanni Torlonia: lo udì recitare il Salmo 41 e versi di Lenau; lo udì citare Platone e filosofi della scuola tedesca. Giovanni raccomandò alla moglie di mandare il figlio Clemente al Collegio di Marina di Genova. Fabio Nannarelli tentò di raccogliere intorno a sé i Poeti della Scuola romana - che furono decimati nel numero, per le morti precoci - ma nel 1860 si trasferì a Milano. Secondo le ferree disposizioni ricevute da Giovanni Torlonia, il suo cameriere, Raimondo Coccioletti, distrusse tutte le carte dell'archivio personale. Non è rimasto un ritratto, né una fotografia, del giovane duca Giovanni Torlonia. Ma Domenico Gnoli conservava i manoscritti di tre poesie di Giovanni Torlonia, inedite. Le pubblicò nel 1913.[6]  Note ^ Francesca Ruspoli ^ Fabio Nannarelli, op. cit. in Bibliografia. ^ Silvio Negro, Seconda Roma, Vicenza, Neri Pozza, 1966. ^ Domenico Gnoli, op. citata in Bibliografia. ^ Ferdinand Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, 1907. ^ Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana (1850-1870), Bari, Laterza, 1913. Bibliografia Fabio Nannarelli, Giovanni Torlonia, Firenze, Le Monnier, 1859. Giuseppe Cugnoni, Vita di D. Giovanni Torlonia, Velletri, Tip. di L. Cella, 1859, SBN IT\ICCU\RML\0106048. Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana (1850-1870), Bari, Laterza, 1913, SBN IT\ICCU\LIA\0064638. Ferruccio Ulivi, I poeti della Scuola Romana dell'Ottocento. Antologia, Bologna, Cappelli, 1964, SBN IT\ICCU\MOD\0089750. Mariella Casini-Cortesi, Profilo di Giovanni Torlonia, una scuola rurale a Monte Mario, in: Strenna dei Romanisti, 18 aprile 2000, pp. 497–529. Voci correlate Fabio Nannarelli Paolo Emilio Castagnola Domenico Gnoli (poeta e storico) Poeti della Scuola romana Ignazio Ciampi Teresa Gnoli Torlonia Elena Gnoli Controllo di autoritàVIAF (EN) 30312613 · ISNI (EN) 0000 0000 7139 5688 · LCCN (EN) no2009157121 · GND (DE) 117406309 · BAV (EN) 495/70784 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2009157121 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Poeti italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloFilantropi italianiNati nel 1831Morti nel 1858Nati il 22 febbraioMorti il 9 novembreNati a RomaMorti a Roma[altre]

Torricelli Evangelista Torricelli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Evangelista Torricelli (disambigua). Voce da controllare Questa voce o sezione sull'argomento scienziati è ritenuta da controllare. Motivo: Riguarda al luogo di nascita Roma e al paragrafo sulle dispute sul luogo di nascita, oltre alla mancanza di fonti non si capisce perché il luogo di battesimo sia assunto anche a luogo di nascita, visto anche che Torricelli si definiva faentino come scritto in voce Partecipa alla discussione e/o correggi la voce.  Lorenzo Lippi Ritratto di Evangelista Torricelli, 1647 circa. Evangelista Torricelli (Faenza, 15 ottobre 1608 – Firenze, 25 ottobre 1647) è stato un matematico, fisico e accademico italiano.   Indice 1Biografia 2                                La disputa sulla nascita di Torricelli 3Evangelista Torricelli e Galileo 4Risultati di Torricelli in fisica 5Risultati di Torricelli in matematica 6Onorificenze 7Note 8Bibliografia 9                                                Voci correlate 10Altri progetti 11Collegamenti esterni Biografia Nato a Roma (ma, fino al 1987, si è ritenuto che fosse nato a Faenza)[1] da Gaspare Ruberti, originario di Bertinoro e tessitore, e Giacoma Torricelli, faentina, Evangelista Torricelli rimase orfano in tenera età e trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Faenza, dove fu iniziato allo studio dallo zio materno, Gian Francesco Torricelli (Don Jacopo, monaco camaldolese), parroco di S.Ippolito, che curò la sua educazione primaria. Frequentò poi la scuola dei Gesuiti, prima a Faenza e quindi a Roma, dove si avvicinò agli studi di matematica, che approfondì sotto la guida di Benedetto Castelli (1577-1644), padre benedettino, rinomato professore di matematica ed idraulica al Collegio della Sapienza, e illustre discepolo di Galileo[2].  L'11 settembre del 1632 Evangelista Torricelli scrisse a Galileo Galilei una lettera di risposta a sue richieste a Benedetto Castelli, che assente in quei giorni aveva lasciato allo studente il compito di segretario; in tale lettera Torricelli colse l'occasione per presentarsi a Galileo, che egli ammirava grandemente come cultore di astronomia e di matematica. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galileo indusse Torricelli a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali.  Negli anni dal 1632 al 1641 egli lavorò e studiò a Roma con padre Castelli e poi divenne segretario di Giovanni Ciampoli, un alto prelato e intellettuale devoto a Galileo, che Torricelli seguì nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Nel 1641 Castelli presentò a Galileo, nel suo ritiro ad Arcetri, il manoscritto dell'opera di Torricelli dal titolo: De motu gravium suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così fu e il 10 ottobre 1641 Torricelli divenne assistente di Galileo, assieme a Vincenzo Viviani, e su domanda e insistenza di Galilei si trasferì nella sua abitazione[3].  Galileo morì pochi mesi dopo (l'8 gennaio del 1642). Alla sua morte, il Granduca Ferdinando II de' Medici nominò Torricelli suo successore come matematico del Granducato di Toscana, carica che ricoprì fino alla morte, e divenne professore di matematica presso l'Accademia fiorentina.   Frontespizio di De dimensione parabolae in: Opera geometrica di Evangelista Torricelli (Firenze, 1644) Oltre all'attività di matematico e studioso di geometria, nel corso della quale elaborò diversi importanti teoremi e anticipò il calcolo infinitesimale, egli si dedicò alla fisica, studiando il moto dei gravi e dei fluidi e approfondendo l'ottica. Possedeva un laboratorio nel quale realizzava egli stesso lenti e telescopi. A causa della sua prematura scomparsa, non conosciamo i particolari del processo originale di lavorazione, poiché lo scienziato lo aveva coperto da segreto.  Torricelli si dedicò anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il barometro a mercurio chiamato "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto di Torricelli" prima della fine del 1644. Tale invenzione era basata nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di un tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, veniva riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm (esperimento effettuato sul livello del mare). Proprio da questa invenzione è nata l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" (mmHg) e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg (la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio). Nello stesso anno pubblicò l'opera in tre parti dal titolo: Opera geometrica, della quale De motu gravium costituisce la seconda parte.  Torricelli morì a Firenze a soli 39 anni, pochi giorni dopo aver contratto probabilmente una malattia (tifo oppure polmonite)[4], e venne sepolto nella basilica di San Lorenzo.  La disputa sulla nascita di Torricelli Torricelli si diceva faentino e tale era considerato dalle persone che lo conoscevano, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non ebbero esito. Ciò diede adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Nel 1958, Giuseppe Rossini ricostruì l'albero genealogico dei Torricelli, originari della località Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di Evangelista. Solo nel 1987, Giuseppe Bertoni, già preside del liceo che da Torricelli prende nome, trovò nel registro dei battezzati della Basilica di San Pietro in Vaticano l'atto di battesimo di Evangelista.[senza fonte]  Ciò che aveva tratto in inganno fino ad allora i ricercatori era il fatto che Evangelista aveva assunto il cognome della madre anziché del padre.[senza fonte] Si sapeva che il nome del padre era Gaspare, pertanto si cercavano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si avevano notizie di una Giacoma Torricelli e si riteneva che fosse la zia paterna; era invece la madre.[senza fonte]  Evangelista Torricelli e Galileo La lettera inviata da Evangelista Torricelli (in Roma) a Galileo Galilei (in Arcetri), datata 11 settembre 1632, è conservata (originale autografo) alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i Manoscritti Galileiani[5] è il primo documento in ordine cronologico nel carteggio scientifico di Torricelli. Essa rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera dello scienziato faentino che  descrive la propria formazione scientifica; si dichiara a conoscenza dei fatti che portarono a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria 'fede' galileiana. Di seguito il testo:  «Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Col.mo  Nella absenza del Rev.mo Padre Matematico di N. Sig.re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario; fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev.mo ne do parte in compendio. Potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il Padre Abbate in ogni occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li Dialoghi di lei Ecc.ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, ben che giovane, scolaro del Padre R.mo di 6 anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina delli Padri Gesuiti. Son stato il primo che in casa del Padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già havendo assai bene praticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adheriva, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, et era di professione e di setta galileista.  Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli ha dato gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l'ha lodato, crollando la testa; dice anco che si stracca nel leggerlo per le molte disgressioni. Io gli ricordavo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si è portato male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R.mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc.ma mi farà degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e de' seguaci del vero; che già so che il Padre R.mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, 11 settembre 1632. Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma Sig.r Gall. Gal.»  Risultati di Torricelli in fisica La lettura approfondita delle Due nuove scienze, l'ultima opera di Galileo dei cui ultimi capitoli seguì direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti; tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo De motu gravium.  Nel 1644, anno di edizione della sua Opera Geometrica, concepì il principio del barometro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Torricelli e Viviani dimostrarono che il vuoto può esistere in natura e che l'aria ha un peso ponendo quindi fine alle millenarie discussioni filosofiche sull'horror vacui.[6] Un'unità di misura della pressione è stata chiamata Torr in suo onore e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del Sistema Internazionale è invece il pascal, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fece fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola barometro coniata da Robert Boyle nel 1667 è oggi quasi sempre associata al nome di Torricelli che risulta quindi fra i più celebri scienziati italiani nella storia.  Risultati di Torricelli in matematica Essendo in diretto contatto con Cavalieri iniziò a lavorare con la Geometria degli indivisibili e ben presto superò, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro.  Fu abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degli indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che era in uso presso gli antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui Torricelli fu entusiasta ammiratore: a lui dobbiamo la riscoperta nel Rinascimento del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, Torricelli dimostrò in 21 modi diversi un teorema di Archimede: 11 con il metodo d'esaustione, 10 con il metodo degli indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degli indivisibili venivano poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede aveva elaborato una sorta di geometria degli indivisibili, ma non la riteneva rigorosa, e perciò dimostrava sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto soltanto nel 1906, quando il filologo danese Heilberg scoprì un palinsesto con un'opera sconosciuta di Archimede, il Metodo meccanico, nel quale esponeva questi procedimenti.  Torricelli è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto tromba di Gabriele, da lui chiamato "solido iperbolico acutissimo", avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. Questo fu considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso lo stesso Torricelli, che cercò diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione ha scatenato un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche il filosofo Thomas Hobbes. In questa disputa alcuni hanno sostenuto che il solido conducesse all'idea di un "infinito completo".  Torricelli è stato pioniere nel settore delle serie infinite. Nella sua opera intitolata De dimensione parabolae del 1644, Torricelli considerò una successione decrescente di termini positivi {\displaystyle a_{0},a_{1},a_{2}\cdots }{\displaystyle a_{0},a_{1},a_{2}\cdots } e ha mostrato che la corrispondente serie telescopica {\displaystyle (a_{0}-a_{1})+(a_{1}-a_{2})+\cdots }{\displaystyle (a_{0}-a_{1})+(a_{1}-a_{2})+\cdots } converge necessariamente a {\displaystyle a_{0}-L}{\displaystyle a_{0}-L}, dove L denota il limite della successione; in questo modo riuscì a dare una dimostrazione della espressione per la somma della serie geometrica.  Onorificenze Ad Evangelista Torricelli sono stati dedicati il cratere Torricelli di 22 km di diametro sulla Luna[7] e l'asteroide 7437 Torricelli. Gli è anche dedicata una piazza nel centro storico di Pisa, dove per lungo tempo aveva sede il Dipartimento di Fisica dell'Università prima del trasloco nell'attuale sede nell'ex fabbrica Marzotto. A Faenza, è presente una statua (ubicata di fronte alla chiesa di San Francesco) che lo raffigura con in mano un barometro a mercurio (curiosità sulle proporzioni: l'altezza del barometro è inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm). Sempre a Faenza, è intitolato a Torricelli fin dal 1865 il Liceo che ha sede nell'antico palazzo dei Gesuiti di cui Evangelista fu allievo.  Note ^ Per la storia della scoperta della vera origine di Torricelli, vedi anche Registrazione del convegno per il quarto centenario della nascita di Torricelli, ottobre 2008 ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani (PDF), Fondazione BEIC, 2014, p. 75. ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani (PDF), Fondazione Biblioteca Europea di Informazione Cultura, 2015, p. 73. ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani (PDF), Fondazione BEIC, 2014, p. 77. ^ collocazione P. VI, T. XI, e. 232 ^ In questa sperimentazione venne preceduto di qualche anno dal fisico contemporaneo Gasparo Berti, che condusse un esperimento "barometrico" utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma fra il 1640 e il 1643 ^ (EN) Moon: Torricelli Bibliografia Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Giuseppe Rossini, La famiglia di Evangelista Torricelli, in AA.VV., Convegno di studi torricelliani in occasione del 350º anniversario della nascita di Evangelista Torricelli: 19-20 ottobre 1958, Faenza, Lega, 1959, pp. 133-149. Giuseppe Bertoni, La faentinità di Evangelista Torricelli e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del Liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, 2003, pp. 5-12. Fabio Toscano, L'erede di Galileo. Vita breve e mirabile di Evangelista Torricelli, Milano, Sironi, 2008. André Weil (1989): Prehistory of the Zeta-Function, in "Number Theory, Trace Formulas and Discrete Groups", Aubert, Bombieri and Goldfeld, eds., Academic Press Amir Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, 2015, pp. 111-128. Voci correlate Barometro di Torricelli Equazione di Torricelli Legge di Torricelli Torr Tromba di Torricelli Liceo ginnasio statale Evangelista Torricelli Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Evangelista Torricelli Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Evangelista Torricelli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Evangelista Torricelli Collegamenti esterni Evangelista Torricelli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giovanni Vacca, Evangelista Torricelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Evangelista Torricelli, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Modifica su Wikidata Opere di Evangelista Torricelli, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Evangelista Torricelli, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Evangelista Torricelli, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, in Galileo Project, Rice University. Carla Rita Palmerino, Evangelista Torricelli, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013. Controllo di autoritàVIAF (EN) 24633476 · ISNI (EN) 0000 0000 8076 6399 · SBN IT\ICCU\RAVV\037977 · LCCN (EN) n85800789 · GND (DE) 118623427 · BNF (FR) cb12117674q (data) · BNE (ES) XX1762491 (data) · NLA (EN) 35791203 · BAV (EN) 495/100568 · CERL cnp00396713 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85800789 Biografie Portale Biografie Fisica Portale Fisica Matematica Portale Matematica Categorie: Matematici italiani del XVII secoloFisici italiani del XVII secoloAccademici italiani del XVII secoloNati nel 1608Morti nel 1647Nati il 15 ottobreMorti il 25 ottobreNati a FaenzaMorti a FirenzeStudenti della Sapienza - Università di Roma[altre]

Trabucco Mario Trabucco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Mario Trabucco (... – ...) è stato un medico e filosofo italiano.  Non abbiamo grandi notizie della sua vita, della quale sappiamo solo che esercitò con successo la medicina a Caltagirone, soprattutto durante l'epidemia del 1622. Per il suo contributo fu creato nobile il 4 ottobre 1622 da Fernando d'Aragona. Alcune sue opere sono conservate nella Biblioteca Comunale di Caltagirone, città che gli ha anche dedicato una strada.  Opere "De Morbis puerorum et mulierum" Bibliografia Chaudon, L. M., Dictionnaire universel, historique, critique, et bibliographique, 1812, tomo XVII, pag. 276, s. v. Amico e Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855, tomo I, p. 206. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma, vol. I, p. 282, s.v. Amati, A., Dizionario corografico dell'Italia, 1868, p. 157. Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Biografie Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVII secolo[altre]

Tragella Cesare Tragella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Cesare Tragella prevosto della Chiesa cattolica CesareTragella.jpg Monastergen.png Nato4 gennaio 1852, Trezzano sul Naviglio Ordinato presbitero30 maggio 1874 dall'arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana Deceduto8 maggio 1934, Magenta Cesare Tragella (Trezzano sul Naviglio, 4 gennaio 1852 – Magenta, 8 maggio 1934) è stato un filosofo e presbitero italiano.   Indice 1                           Biografia 1.1I primi anni 1.2                                     Le grandi opere a Magenta 1.3Le accuse e gli ultimi anni travagliati 2Onorificenze 2.1Onorificenze italiane 2.2Onorificenze straniere 3Note 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia I primi anni Cesare Tragella nacque a Trezzano sul Naviglio nel 1852, figlio primogenito di Giovanni, medico chirurgo, e da Amalia Santagostino.  Dopo aver frequentato il collegio di Gorla Minore, frequentò il seminario maggiore di Milano e divenne sacerdote nel 1874, venendo destinato come coadiutore presso la parrocchia di Santa Maria Nuova di Abbiategrasso dopo che il padre dal 1867 era stato assunto presso le Pie Case degli Incurabili di quella città. Successivamente divenne dottore in teologia presso l'Accademia pontificia di Torino. Da questo momento si occupò molto di filosofia e di letteratura cattolica avvicinandosi molto ideologicamente alle posizioni dell'allora arcivescovo di Milano Luigi Nazari di Calabiana[1].  Furono questi gli anni inoltre che conobbe don Davide Albertario, proprietario e direttore de L'Osservatore Cattolico, al quale si legò molto a livello ideologico e per il quale scrisse diversi articoli che vennero pubblicati sul giornale[1].  Le grandi opere a Magenta Nel 1884 venne nominato parroco a Magenta, facendo il proprio ingresso il 12 giugno 1885 e qui si occupò subito delle esigenze pratiche della città, interessandosi animosamente alla vita politica del borgo. Nello stesso anno del suo ingresso nella nuova parrocchia fondò assieme al celebre professore di musica Luigi Valisi la Banda civica di Magenta che ancora oggi esiste. Nel 1893, prese parte alle esequie del maresciallo francese Mac Mahon che si svolsero in Francia, in rappresentanza della cittadinanza assieme al sindaco di Magenta. In questa occasione venne decorato con la croce di cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore. Tornato a Magenta, si prodigò per la raccolta dei fondi necessari alla realizzazione di un monumento alla memoria del maresciallo Mac Mahon che ancora oggi si trova nei pressi della stazione ferroviaria.  Nel 1898 svolse altri incarichi ufficiali di rappresentanza quando il governo austriaco lo incaricò di distribuire le onorificenze coniate dall'Impero in occasione dei cinquant'anni di regno dell'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria (il famoso Signum Memoriae) a quei cittadini del magentino che avessero combattuto a suo tempo nelle armate austriache[2]. In quello stesso anno si preoccupò di muovere col comune una petizione popolare per la costruzione di una pensilina alla storica stazione ferroviaria di Magenta e riuscì a provvedere dei fondi per la costruzione di un ospizio per i vecchi[3]   La Basilica Minore romana di San Martino di Magenta, fatta erigere su progetto dell'architetto Alfonso Parrocchetti, amico di don Cesare Targella Sempre nel 1898, accogliendo le proposte dei fedeli, decise di costruire una nuova chiesa parrocchiale (successivamente elevata al titolo di Basilica Minore romana) che andasse a sostituire la piccola e antica chiesa di san Martino (che venne successivamente abbattuta). Egli stesso fu l'autore del nuovo progetto ispirato alle cattedrali rinascimentali e si occupò in esso di serbare la memoria storica degli eventi della battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 con la costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per accogliere le spoglie dei caduti. Quest'ultimo progetto non ebbe l'autorizzazione della curia milanese in quanto era ritenuto sacrilego porre delle ossa non appartenenti a santi o personalità venerate all'interno di un luogo di culto. L'idea del Targella era indubbiamente quella di accomunare tutti, vincitori e vinti, di fronte alla morte e ricordare nel contempo la necessità di non creare divisioni sociali dopo l'unità italiana. Il progetto della chiesa, ad ogni modo, venne concluso nel 1903 ed in quello stesso anno don Tragella poté inaugurare il nuovo tempio assieme al vescovo di Vigevano, Giacomo Merizzi e al vescovo ausiliare di Milano.  Al termine di questa grande epopea venne nominato Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e nel 1910 lasciò Magenta per Inverigo cedendo il posto a don Domenico Bernareggi, fratello minore dell'allora vescovo di Bergamo, Adriano Bernareggi[4] e poi, anche lui, divenuto Vescovo (ausiliare di Milano).  Nel 1908 fondò a Magenta il Forno Cooperativo Ambrosiano per combattere la cattiva nutrizione della popolazione e consentire di avere pane di ottima qualità anche nelle campagne, e a prezzi accessibili[5].  Le accuse e gli ultimi anni travagliati  Busto di don Cesare Tragella nella Basilica di San Martino di Magenta Malgrado la munifica opera sostenuta dal Tragella negli anni della sua direzione della parrocchia di Magenta, nel 1919, al termine del primo conflitto mondiale, venne accusato di appropriazione indebita di fondi appartenenti alla parrocchia di San Martino e di aver portato in fallimento la sua chiesa. Gli accusatori erano alcuni fabbricieri magentini e alcune tra le personalità di maggiore spicco nel paese come il commendatore Giovanni Giacobbe (direttore dell'Asilo e proprietario dell'omonima villa storica) ed il sindaco Giovanni Brocca il quale aveva avuto non pochi contrasti per le idee rivoluzionarie di don Tragella. Il sacerdote venne pertanto condannato alla pena di due anni e quattro mesi di prigione. Visto però il suo lodevole operato e la sua fama di filosofo e letterato, Vittorio Emanuele III di Savoia lo graziò con la commutazione della pena a due mesi di carcere da scontarsi nel carcere di San Vittore a Milano[4]. Dopo di questo, don Tragella visse per qualche tempo ospite del parroco di Margno in Valsassina per poi fare ritorno a Magenta.  Tornato nella sua ex parrocchia come residente nel 1920, gli venne impartito l'ordine di non occuparsi più della cosa pubblica, cosa non facile per un personaggio come lui. Con il nuovo parroco insorsero subito dei contrasti circa la gestione delle finanze della chiesa ed a questo punto, il 27 luglio 1923 gli giunse la sospensione ecclesiastica da parte della curia.  Ammirato dal popolo malgrado le peripezie della sua vita, Cesare Tragella si spense a Magenta l'8 maggio del 1934.  Onorificenze Onorificenze italiane Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Croce pro Ecclesia et Pontifice - nastrino per uniforme ordinariaCroce pro Ecclesia et Pontifice Onorificenze straniere Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) Note  Tunesi, Morani, Le stagioni, op. cit.. ^ Viviani, op. cit., p. 292. ^ Ricovero vecchi poveri (1902-1943) Sito Lombardia Beni Culturali.  Viviani, op. cit., p.292. ^ Don Tragella ridusse il prezzo del pane giallo di 10 centesimi al chilogrammo (quello bianco era riservato solo alle classi più abbienti), cfr. Tunesi, Morani Le stagioni, op. cit.. Bibliografia Cesare Tragella, Lettera a Romolo Murri n.185 del 6 settembre 1898, in: Romolo Murri, Lorenzo Bedeschi (cur.), Carteggio. II. Lettere a Murri. 1898, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1971, p. 181-182. Carlo Morani, Natalia Tunesi, Le stagioni di un prete: storia di Don Cesare Tragella, prevosto di Magenta (1852-1934), Giussano, Graffiti, 1993. Carlo Morani, Natalia Tunesi, G. Vian, Le stagioni di un prete, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 31 (3), 1995, p. 578. ISSN 0035-6573 (WC · ACNP) Ambrogio Viviani, 4 giugno 1859. Dalle ricerche la prima storia vera, Magenta, Zeisciu, 1997. Voci correlate Magenta (Italia) Battaglia di Magenta Collegamenti esterni Centro Culturale Don Cesare Tragella di Magenta AIC - Associazione italiana centri culturali. PredecessorePrevosto di MagentaSuccessoreMonastergen.png Carlo Giardini1885-1910Domenico Bernareggi Controllo di autoritàVIAF (EN) 4166649 · ISNI (EN) 0000 0000 4249 0205 · LCCN (EN) n94087772 · WorldCat Identities (EN) lccn-n94087772 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloPresbiteri italianiNati nel 1852Morti nel 1934Nati il 4 gennaioMorti l'8 maggioNati a Trezzano sul NaviglioMorti a Magenta (Italia)Ufficiali dell'Ordine della Corona d'ItaliaDecorati con l'Ordine dei Santi Maurizio e LazzaroCavalieri della Legion d'onore[altre]

Trapè Trapè Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Agostino Trapè, O.S.A. (Montegiorgio, 9 gennaio 1915 – Roma, 14 giugno 1987), è stato un presbitero e filosofo italiano, uno dei massimi studiosi del pensiero di sant'Agostino.   Indice 1Biografia 2Opere (selezione) 3Note 4Altri progetti 5Collegamenti esterni Biografia Nato a Montegiorgio nelle Marche il 9 gennaio del 1915 Trapè fu ordinato sacerdote a Roma il 15 luglio 1937. Si laureò in Teologia sistematica nel 1938, presso l'Università Gregoriana con una tesi intitolata Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, pubblicata a Tolentino nel 1942.[1]  Trapè fu professore presso la Pontificia Università Lateranense dal 1960 al 1983. [2]  Priore Generale dell'Ordine agostiniano dal 26 agosto 1965 al 10 settembre 1971 Agostino Trapè, promosse la fondazione dell'Istituto Patristico Augustinianum.[3]  Trapè ha fondato e diretto la "Nuova Biblioteca Agostiniana" che si occupa della pubblicazione dell'Opera Omnia di S. Agostino in edizione bilingue latino-italiano (Edita da Città Nuova) e la serie del "Corpus Scriptorum Augustianorum", che pubblica le opere dei filosofi scolastici agostiniani.  Le sue opere sono state tradotte in varie lingue.  Opere (selezione) Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, Tolentino 1942; La doctrina de Seripando acerca de la concupiscencia, La ciudad de Dios 159 (1947), pp. 501-533. Traduzione italiana; Introduzione a S. Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea. Atti del congresso Italiano di filosofia Agostiniana, Roma 20-23 ottobre 1954. Tolentino 1956, pp. X-XVI; Varro et Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas 23 (1975) 13-24; Augustinus et Varro, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, Rieti 1976, pp. 553-563; Escatologia e antiplatonismo di Sant'Agostino, Augustinianum 18 (1978), 237-244; S. Agostino filosofo e teologo dell'uomo, Bollettino dell’Istituto di filosofia, Università di Macerata, anno accademico 1978-1979, pp. 89-104; S. Agostino: L'ineffabilità di Dio, in AA. VV. «La ricerca di Dio nelle religioni», EMI, Bologna, 1980; La Aeterni Patris e la filosofia cristiana di S. Agostino, in Atti del VIII Congresso Tomistico internazionale, Roma 1981, I, pp. 201-217; S. Agostino, l'uomo, il pastore, il mistico, Fossano, 1976; Roma, Città Nuova, 2001, 440 pp. [traduzione spagnola, Buenos Aires, 1984; tedesca, Monaco, 1984; Polacca, Varsavia, 1984; inglese, New York, 1986; francese, Parigi, 1988; ungherese, Budapest, 1987]; S. Agostino, in Patrologia III, Casale Monferrato 1978, pp. 322-434 [traduzione spagnola, Madrid, 1981, pp. 405-553]; Agostino d'Ippona, in Dizionario patristico e di antichità cristiana, Casale Monferrato, 1983, I, pp. 91-104. [traduzione spagnola. Ed. Sígueme. Salamanca, 1992, vol. II, pp. 1728-1730]; Introduzione e commento alla Lettera apostolica «Hipponensem episcopum», Roma, 1988; Introduzione generale a sant'Agostino, Roma, 2006, pp. 380. Note ^ A. TRAPÉ, Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, Tolentino 1942, su agostinotrape.it. ^ Agostino Trapè. L'amico, il maestro, il pioniere, Carlo Cremona, Città Nuova, 2004, p. 49 ^ Agostino Trapè. L'amico, il maestro, il pioniere, Carlo Cremona, Città Nuova, 2004, p. 71 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Agostino Trapè Collegamenti esterni Agostino Trapè - apostolo della cultura. Sito internet dedicato all'opera di Agostino Trapè Controllo di autoritàVIAF (EN) 7406183 · ISNI (EN) 0000 0001 2119 3081 · SBN IT\ICCU\CFIV\010387 · LCCN (EN) n81149630 · GND (DE) 110316576 · BNF (FR) cb12032896m (data) · BAV (EN) 495/77355 · WorldCat Identities (EN) lccn-n81149630 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Presbiteri italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1915Morti nel 1987Nati il 9 gennaioMorti il 14 giugnoNati a MontegiorgioMorti a Roma[altre]

Trasci -- Ferruccio Baffa Trasci Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ferruccio Baffa Trasci vescovo della Chiesa cattolica Coat of Arms of Ferruccio Baffa-Trasci.svg   Nato                                      27 agosto 1590 a Bisignano Deceduto30 ottobre 1656 a Roma   Manuale Ferrante Marco Antonio Baffa Trasci (Bisignano, 27 agosto 1590 – Roma, 30 ottobre 1656) è stato un vescovo cattolico, teologo e filosofo italiano.  Baffa-Trasci Arms of Baffa-Trasci.svg Spera in Deo D'azzurro, un aratro d'argento, sostenente un basilisco verde. Data di fondazioneXVI secolo Etniaitaliana Manuale Baffa Trasci nacque in una famiglia di origine arbëreshë a Bisignano in Calabria nel 1590, figlio primogenito di Pietro Antonio ed Elisabetta Anna Trentacapilli, donna pia e molto religiosa, erede di una famiglia da più secoli ascritta al patriziato locale. Pur essendo il primogenito della famiglia e, dunque, contravvenendo alle regole del maggiorascato, a causa della salute cagionevole venne avviato alla carriera ecclesiastica nel locale Seminario di Bisignano, proseguendo in seguito gli studi a Roma e Napoli. Fu nella città partenopea che si legò particolarmente alla Compagnia di Gesù divenendo in breve tempo uno dei confessori più vicini a Isabella della Rovere[1], principessa di Bisignano[2].  L'esilio volontario a Proceno Pur giovanissimo per non essere distolto dai propri studi filosofici si ritirò volontariamente a vita privata, dapprima nella Tuscia e poi ospite nel Castello di Proceno, presso Viterbo di proprietà della nobile famiglia Sforza. Ancora nei primi del XX secolo una lapide marmore posta nella rocca ne ricordava la sua permanenza[3]. Da tale volontario esilio uscì in pochissime occasioni, per lo più per viaggi in Spagna, a Saragozza e Valladolid a capo di missioni diplomatiche presso l'arcivescovo Juan Cebrían Pedro assistito dal nipote Stanislao Baffa Trasci. Fu durante la reclusione volontaria nella Rocca di Proceno che ebbe modo di conoscere Galileo Galilei ospite nel palazzo durante un suo viaggio verso Roma[2].  La morte Ormai sessantaseienne, dopo esser stato per alcun tempo vescovo ausiliare di Umbriatico[4], nell'estate del 1656 venne creato Vescovo titolare di Massimianopoli in partibus infidelium da papa Alessandro VII[2].  Ferruccio Baffa Trasci morì a Roma nell'ottobre dello stesso anno di peste presso il Lazzaretto istituito sull'Isola Tiberina, venendo sepolto in una fossa comune. Gran Parte dei suoi scritti vennero salvati dai nipoti e riordinati nel XIX secolo dal pronipote Vincenzo Baffa Trasci. Il noto storico romano Giuseppe Tomassetti dedicò un breve saggio sulla sua figura dal titolo Cenno storico sulla vita di S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di Massimianopoli 1590 - 1656.  Opere Traduzione dei Pensieri o Colloqui con se stesso di Marco Aurelio Universam Aristotelis philosophiam Summa Aristotelicha Summa Theologica Dogmatica[5] Note ^ Bonita - Bojani, I della Rovere nell'Italia della corti, Ed. Quattroventi 2002  Tomassetti G., Cenno storico sulla vita di S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di Massimianopoli 1590 - 1656, Roma 1888 ^ C. Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Stab. Tip. FABRIZIO Acquapendente 1932 ^ C. Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Stab. Tip. FABRIZIO Acquapendente 1932 ^ D. Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli, Ferruccio Baffa Trasci-un erudito italoalbanese del XVII secolo ormai dimenticato, Edizioni MIT Cosenza 2008 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ferruccio Baffa Trasci PredecessoreVescovo titolare di MassimianopoliSuccessore ...luglio 1656- 30 ottobre 1656.. Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Vescovi cattolici italiani del XVII secoloTeologi italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1590Morti nel 1656Nati il 27 agostoMorti il 30 ottobreNati a BisignanoMorti a Roma[altre]

Treves Renato Treves Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Renato Samuele Treves (Torino, 6 novembre 1907 – Milano, 31 maggio 1992) è stato un filosofo e sociologo italiano.   Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere principali 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Renato Treves nasce a Torino il 6 novembre 1907. Compie gli studi al Liceo M. D'Azeglio e poi nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, dove entra in contatto, fra gli altri, con Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Piero Luzzati, Alessandro Passerin d'Entrèves, e simpatizza con il gruppo di Giustizia e Libertà abbracciando i principi del socialismo liberale. Laureatosi sotto la guida di Gioele Solari con una tesi su Henri de Saint-Simon e conseguita la libera docenza, insegna dapprima nell'Università di Messina, dove viene arrestato per sospetta attività antifascista, ma subito rilasciato. Trasferito all'Università di Urbino, nel 1938 viene escluso, in quanto proveniente da famiglia ebraica, dal concorso bandito sulla sua cattedra e si trasferisce in Argentina. Qui sposa Fiammetta Lattes da cui ha tre figli (Tullio, Aldo e Anna) e insegna filosofia del diritto e sociologia nell'Università di Tucumán fino al 1947.  Rientrato in Italia e riottenuta la cattedra nell'Università di Parma, si trasferisce subito all'Università di Milano dove insegna Filosofia del diritto, Sociologia e Sociologia del diritto. Protagonista della rinascita post-bellica della sociologia in Italia, coopera attivamente col Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e col suo segretario generale Adolfo Beria di Argentine, coordinando fra l'altro una vasta ricerca su “L'amministrazione della giustizia e la società italiana in trasformazione” da cui escono fra il 1967 e il 1976 dodici volumi di vari autori. Nel 1962 promuove con William M. Evan e Adam Podgórecki la costituzione del Research Committee on Sociology of Law della International Sociological Association. Presiede questo Comitato fino al 1974 facendosi attivo promotore, in patria e all'estero, soprattutto in Spagna, della sociologia del diritto. Fonda nel 1974 la rivista italiana della disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che insegna a Milano sino al ritiro nel 1983. Nel 1989 è tra i promotori dell'International Institute for the Sociology of Law di Oñati (Guipúzkoa, País Vasco, Spagna). È nominato dottore honoris causa dalle Università del País Vasco, Carlos III de Madrid e Pandios di Atene. Muore a Milano il 31 maggio 1992.  Pensiero Renato Treves difende una posizione filosofica relativista e prospettivista, influenzata da autori come Karl Mannheim, José Ortega y Gasset, Charles Wright Mills e Hans Kelsen, del quale ultimo introduce in Italia la Dottrina pura del diritto. Alieno dal dogmatismo e paladino di una concezione critica della scienza, rifiuta ogni visione metafisica del diritto in favore di una visione metodologica che sfocia nella sociologia del diritto intesa come scienza prevalentemente empirica, non avalutativa, ma ispirata a valori, nel suo caso quelli di libertà e giustizia sociale. Treves è considerato insigne maestro per un'intera generazione di filosofi e sociologi del diritto. Per Renato Treves due erano i problemi che la sociologia del diritto doveva affrontare: da un lato la posizione, la funzione e il fine del diritto nella società vista nel suo insieme; dall'altro la società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi che possono essere conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque forniscono informazioni su come una società vive le regole che si è data. Del primo problema si sono occupate soprattutto le dottrine sociologiche e politologiche, mentre sul secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche antiformalistiche.  Opere principali Il diritto come relazione, Torino, 1934 Sociología y filosofía social, Buenos Aires, 1941 Benedetto Croce, filósofo de la libertad, Buenos Aires, 1943 Diritto e cultura, Torino, 1947 Spirito critico e spirito dogmatico, Milano, 1954 Libertà politica e verità, Milano, 1962 Giustizia e giudici nella società italiana, Bari, 1972 Introduzione alla sociologia del diritto, Torino, 1977 Sociologia del diritto. Origini, ricerche, problemi, Torino, 1987 Sociologia e socialismo. Ricordi e incontri, Milano, 1990. Bibliografia AA. VV:, Dizionario biografico dei giursti italiani (XII-XX secolo), Bologna, Il MUlino, vol. II, pp. 1977-1980 André-Jean Arnaud e Simona Andrini, Jean Carbonnier, Renato Treves et la sociologie du droit. Archéologie d'une discipline, LGDJ, Parigi, 1995. Norberto Bobbio, Il magistero di Renato Treves, in La Nuova Antologia, n. 553, ottobre-dicembre 1984, p. 204 ss. Arturo Colombo, La lezione di Renato Treves, in La Nuova Antologia, n. 2183, luglio-settembre 1992, p. 315 ss. Elías Díaz, Renato Treves (1907-1992), in Doxa. Cuadernos de Filosofía del Derecho, 1992, 12, p. 25 ss. Vincenzo Ferrari, Renato Treves sociologo del diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, LXX, IV serie, gennaio-marzo 1993, p. 21 ss. Vincenzo Ferrari, Treves, Renato, in International Encyclopedia of Law and Society, Sage, Thousand Oaks-London-New Delhi-Singapore, 2007, III, p. 1520-1. Vincenzo Ferrari e Nella Gridelli Velicogna, Philosophy and Sociology of Law in the Work of Renato Treves, in Ratio Juris, vol. 6, n. 2, July 1993, p. 202 ss. Vincenzo Ferrari, Morris L. Ghezzi e Nella Gridelli Velicogna (a cura di), Diritto, cultura e libertà. Atti del convegno in memoria di Renato Treves (Milano, 13-15.10.1994), Giuffrè, Milano, 1997. Morris L. Ghezzi, La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto, Mimesis, Milano-Udine, 2009, p. 19 ss. Mario G. Losano, Renato Treves, sociologo tra il vecchio e il nuovo mondo, Unicopli, Milano, 2000. Pio Marconi, Il legato culturale di Renato Treves, in Sociologia del diritto, XXXVI, 2009, 1, p. 5-26. Aristide Tanzi, Renato Treves, dalla filosofia alla sociologia del diritto, ESI, Napoli, 1988. Carlo Nitsch, Renato Treves esule in Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia. Con documenti inediti e la traduzione di due scritti di Treves, Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Serie V, Volume 38, fasc. 2, 2014 Voci correlate Sociologia del diritto Collegamenti esterni AA. VV., «Treves, Renato (propr. Samuele Renato)» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autoritàVIAF (EN) 19694041 · ISNI (EN) 0000 0001 1970 6327 · SBN IT\ICCU\CFIV\063429 · LCCN (EN) n82015494 · GND (DE) 120167255 · BNF (FR) cb12036000h (data) · BNE (ES) XX940296 (data) · BAV (EN) 495/270604 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82015494 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloSociologi italianiNati nel 1907Morti nel 1992Nati il 6 novembreMorti il 31 maggioNati a TorinoMorti a MilanoEbrei italianiFilosofi del dirittoSociologi del dirittoMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]


Tria Giovanni Andrea Tria Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti vescovi italiani e filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Giovanni Andrea Tria arcivescovo della Chiesa cattolica Template-Archbishop.svg   Incarichi ricopertiVescovo di Cariati e Cerenzia Vescovo di Larino Arcivescovo titolare di Tiro   Nato22 luglio 1676 a Laterza Ordinato presbitero19 settembre 1699 Nominato vescovo4 marzo 1720 Consacrato vescovo17 marzo 1720 Elevato arcivescovo20 dicembre 1741 Deceduto16 gennaio 1761 a Roma   Manuale Giovanni Andrea Tria (Laterza, 22 luglio 1676 – Roma, 16 gennaio 1761) è stato un filosofo, teologo e arcivescovo cattolico italiano.   Indice 1Biografia 2Opere 3Genealogia episcopale 3.1Successione apostolica 4Fonti 5Voci correlate 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia Figlio di Francesco Tria e Margherita Geminale, completò i suoi studi di filosofia, teologia e ambe leggi a Napoli e Roma. Nel 1704 fu uditore di diritto canonico presso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni rimase al servizio di questa abbazia anche quando fu trasferito a Roma.  Il 26 agosto 1709 fu nominato vicario generale di monsignor Lorenzo Gherardi, vescovo di Loreto e Recanati, e tale rimase fino al 1714. Più tardi, con monsignor Giuseppe Firrao, ebbe l'incarico di "nunzio straordinario" alla Corte del Portogallo.  Quando monsignor Firrao, per questione di salute, fu trasferito in Svizzera, Tria andò con lui a Lucerna. Durante la sua permanenza in Svizzera intraprese un'importante missione in Svezia e Germania.  Fu eletto vescovo di Cariati e Cerenzia ed entrò in carica il 17 marzo 1720, presiedendo il sinodo (16/18 marzo 1726).  Fu trasferito poi alla diocesi di Larino, nel Molise, il 23 febbraio 1727.  Partecipò al concilio provinciale di Benevento dal 1º al 12 maggio 1729. Nel 1740 fu nominato «consulente del Sacro Offizio» e nel dicembre dello stesso anno fu nominato arcivescovo di Tiro.  Divenne «esaminatore di Vescovi» e fu insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine di San Giacomo per i suoi meritori servigi resi alla Corte di Lisbona.  Morì di apoplessia a Roma il 16 gennaio 1761.  Opere Il suo erudito lavoro include:  Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della citta e Diocesi di Larino (edite a Roma, 1744) Note di accommodamento tra il Papato e la Corte Reale di Napoli (edito a Roma, 1743) Vita di Papa Benedetto XIII Genealogia episcopale Cardinale Scipione Rebiba Cardinale Giulio Antonio Santori Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. Arcivescovo Galeazzo Sanvitale Cardinale Ludovico Ludovisi Cardinale Luigi Caetani Cardinale Ulderico Carpegna Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni Cardinale Gaspare Carpegna Cardinale Fabrizio Paolucci Cardinale Antonio Felice Zondadari Arcivescovo Giovanni Andrea Tria Successione apostolica Vescovo Geronimo de Laurenzi (1743) Fonti (IT) Camillo Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli, Tipografia dell'Aquila di V. Puzziello, 1844, p. 357. URL consultato il 26-4-2019. Voci correlate Diocesi di Larino Pietro Pollidori Giovan Battista Pollidori Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giovanni Andrea Tria Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni Andrea Tria Collegamenti esterni Opere di Giovanni Andrea Tria, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Giovanni Andrea Tria, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 243947962 · BAV (EN) 495/41396 · CERL cnp00977994 · WorldCat Identities (EN) viaf-243947962 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloTeologi italianiArcivescovi cattolici italiani del XVIII secoloNati nel 1676Morti nel 1761Nati il 22 luglioMorti il 16 gennaioMorti a RomaVescovi di Cariati e CerenziaVescovi di Larino[altre]


Trincheri Lorenzo Trincheri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l'ultramaratoneta italiano, vedi Lorenzo Trincheri (ultramaratoneta). Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti filosofi italiani e critici letterari non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Commento: Mancano del tutto le fonti Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione sugli argomenti filosofi e critici letterari non è ancora formattata secondo gli standard. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Lorenzo Gioacchino Trincheri (Pieve di Teco, 4 maggio 1768 – Parigi, 19 novembre 1846) è stato un critico letterario, filosofo e saggista italiano.  Biografia Nacque a Pieve di Teco, un poco noto paese dell'entroterra ligure da una famiglia benestante che aveva in possesso alcuni ettari di terreno.  Fu critico letterario, filosofo e saggista appassionato agli autori romantici.[senza fonte] Fu riconosciuto e si affermò all'interno della cerchia dei letterati del suo tempo grazie alla brillante difesa in favore di Alessandro Manzoni, quando quest'ultimo pubblicò nel 1819 la sua prima tragedia - Il Conte di Carmagnola. Fu con il sostegno del suo maestro e amico Goethe, famoso filosofo e scrittore romantico, che egli riuscì a far valere la proprio opinione positiva nei confronti dell'autore dei Promessi sposi. Poche altre notizie biografiche si conoscono a proposito della sua vita che, a causa di un incidente in cui ferì a morte un suo amico, un certo Andrea, crollò in una situazione estremamente travagliata.  Negli ultimi anni della sua vita si trasferì a Parigi, svolgendo incarichi di traduzione per pochi soldi[non chiaro], per poi morire in tristezza e solitudine nel novembre del 1846.[senza fonte]  Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Critici letterari italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloSaggisti italiani del XIX secoloNati nel 1768Morti nel 1846Nati il 4 maggioMorti il 19 novembreNati a Pieve di TecoMorti a Parigi[altre]

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