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Friday, March 26, 2021

Grice e Ferri: implicatura erotica

 La filosofia platonica poggia su due basi: cioè su la dottrina delle idee e su quella dell'amore. Da esse provengono le teorie del vero e del bene, l'ordine dialettico e l'ordine morale in ogni sistema che accolga i principii e il metodo di Platone o della sua scuola.  Ne segue che per conoscere in modo sufficientemente esatto il Platonismo di Ficino, non basta di esaminare la sua dottrina delle idee e dell'intelletto; conviene eziandio studiare i suoi pensieri sull'amore.  Consideriamone adunque con lui la natura, l'oggetto, il fine, le specie, gli effetti, le attinenze coll'uomo, col mondo e con Dio; osserviamolo o immaginiamolo, com' egli fa, in se stesso e nei varii ordini degli enti; seguiamo rapidamente sulle sue traccie la splendore della bellezza e l'efficacia dell'amore nell'Antropologia, nella Cosmologia, nella Teologia, cioè nell'intera enciclopedia filosofica da lui percorsa nel suo Commento al Simposio platonico (TM)  (^ v. il fascicolo preceden to  Conf. La Dottrina dell' Amore secondo Plutone, lezione e note, anno V, vol. X, disp. 1° di questa Rivista.  (*) Questa esposizione fu lctta all'Istituto superiore di Firenze nel 1866. Dopo d'allora fu pubblicata dal prof. Vincenzo Di Giovanni della Vol. XXIX. Disp. 3.  18  L'amore generalmente considerato è desiderio di bellezza, e la bellezza è grazia che risulta da corrispondenza di cose o da unità.  Questa corrispondenza o unità è di tre specie; o è affatto spirituale e consiste nell'armonia delle virtù interiori dell'animo, o è percettibile mediante la vista e l'udito ed è composta di forme corporee o di voci. Dal che segue che il bello non essendo riferibile se non ai sensi dell'udito e della vista e all'intelletto, gli altri sensi e le altre facoltà sono esclusi dal privilegio di conseguirlo e di goderne, e quindi che l'amore non ha altri strumenti da applicare.  « Grato è a noi, dice Ficino, il vero e ottimo costume « dell'animo; grata è la speziosa figura del corpo; grata la « consonanza delle voci. E perchè queste tre cose, l'animo  Università di Palermo un'analisi accurata del Commento di Ficino sul Simposio platonico. Il lettore la troverà a pag. 205 delle sue Prclezioni lli Filosofia, Palermo 1877. Di questo Commento che è unito alla traduzione latina delle opere di Platone .si hanno, a mia notizia , almeno tre cdizioni italiane. Due sono del 1544, delle quali una fatta in Venezia senza nome di stampatore con questo titolo; Il Commento di Marsilio Ficino sopra il Convilo di Platone eil esso Convilo tradotlo in lingua loscana per llercole Barbarasa da Terni con dedica al maguifico messer Gio. Battista Grimaldi. Il Convito platonico vi è effettivamente trailotto in italiano ed unito al Commento, e il traduttore annunzia nella dedica la sua intenzione di tradurre tutti i dialoghi di Platone.  Un'altra è di Firenze, per Neri Dortelata con dedica di un Bartoli al Duca Cosimo de' Medici. Finalmente una terza è pure di Firenze e dovuta al Giunti nel 1591. Entrambe queste ultime hanno per titolo: Sopra lo Amore ouver Convilo di Plutone. Vi è premessa una dedica di Marsilio Ficino a Bernardo del Vero, cad Antonio Manetti, da cui risulta che la versione italiana del Commento cdito a Firenze dal Dortelata e riprodotto dal Giunti è opera propria di Ficino.  Le citazioni fatte in questa esposizione come gli estratti dati nell'Appendice sono tolti da essa.  Sulla origine c composizione del Commento veggasi l'Appendice. « come a lui accomodate e quasi incorporali di più prezzo « assai stima che l'altre tre (-), però è conveniente che egli più « avidamente queste ricerchi, con più ardore abbracci, con «più veemenza si maravigli. E questa grazia di virtù, figura «0 voce che chiama l'animo a sè e rapisce per mežzo della « ragione, viso e udito, rettamente si chiama bellezza ».  Se si vuole conoscere la vera natura d'amore occorre, secondo Ficino, formarsi un giusto concetto del suo oggetto. I ragionamenti del filosofo fiorentino su questo punto' méritano di essere riferiti.  Trovandosi il bello negli animi, nelle forme e nei suoni, è mestieri che la bellezza sia una essenza comune a questi tre oggetti. Non sarà dunque corporea, altrimenti non converrebbe agli animi; anzi tanto manca che la bellezza in se stessa considerata possa dirsi corporea, che il bello da noi ammirato nei suoni e nelle forme non procede dalla materia, ma da un principio diverso ed è esso pure incorporale.  Difatto il corpo pud perdere la sua bellezza quantunque la sua materia sostanzialmente non cambi, e può conservaro la stessa grandezza o la stessa piccolezza diventando bello o brutto ; cosicchè le condizioni del bello o del brutto non corrispondono alle condizioni della quantità e dell'estensione ; la bellezza e le sue vicende non dipendono punto dalla natura corporea e dai suoi più essenziali attributi.  « Nè si dica, continua Ficino, come fanno alcuni, che la « bellezza è una certa posizione di tutti i membri o veramente « commisurazione e proporzione con qualche soavità di colori.  [ocr errors] (") Oggetti e piaceri del gusto, dell'odorato e del tatto relativi alla nutrizione, conservazione e generazione.  <<  « Questa opinione non è ammissibile, imperocchè essendo  questa disposizione delle parti solo nelle cose composte, « nessuna cosa semplice sarebbe speciosa. Ma noi veggiamo « i puri colori, i lumi, una voce, un fulgor d'oro, il candor « dell'argento, la scienza, l'anima, la mente e Dio, le quali « cose sono semplici, esser belle. ·  La bellezza pud dunque esser in un composto, ma non s'anifica col composto, può essere nella proporzione, ma non s'identifica con essa. Avviene che stando ferma la medesima proporzione e misura della membra, il corpo non piace quanto prima. « Certamente, così Ficino, oggi nel corpo vostro « è la figura medesima che l'anno passato e non la medesima  grazia. Nessuna cosa più tardi invecchia che la figura, nes« suna più tosto invecchia che la grazia. E per questo è ma« nifesto non essere tutt'uno figura e pulchritudine. E ancora « spesso veggiamo essere in alcuno più retta disposizione « delle parti e misura che in un altro; l'altro nondimeno « non sappiamo per che cagione si giudica più formoso, e più « ardentemente si ama. E questo ci ammonisce che dobbiamo < stimare la formosità essere qualche altra cosa , oltre alla « disposizione de' membri. La medesima ragione ci ammae« stra che noi non sospettiamo la pulchritudine essere soavità « di colori : perchè spesse volte il colore in un vecchio è « più chiaro , e in un giovane è maggior grazia. E negli  uguali di età alcuna voita accade che quello che supera « l'altro di colore è superato di grazia e di bellezza » (Convito Orazione Va c. 3).  Il bello non è dunque nè mistione di figure e colori, nè proporzione di parti, nè materia, nè quantità , e quantunque apparisca nei corpi, non ne risulta come da sua causa ; la  <  spiritualità della bellezza si conferma ancora considerando le condizioni del suo conoscimento nel soggetto che l'apprende ; imperocchè cid che piace, ciò che desta il senso della grazia è la specie o immagine di alcuna persona accolta nell'animo; e questa specie è incorporale poichè è dentro allo spirito ; essa è una similitudine immateriale della cosa, non la cosa stessa, dal suo concorso proviene il sentimento estetico e non dalla materia incapace di conferircelo fintantochè le sue forme non sono poste in relazione con noi mediante la vista e l'intelletto. Infinita è la differenza fra la piccolezza della pupilla e l'ampiezza del cielo, ma in un punto solo lo spirito ne accoglie l'immagine e l'ammira !  Finalmente mentre gli istinti corporali si acquietano e soddisfano mediante un determinato conseguimento del loro fine, l'amore è insaziabile, e il suo andamento ci prova che havvi qualche cosa di superiore al corporeo e al finito in lui stesso e nel suo oggetto.  Difatto in che guisa si genera l'amore e l'odio? In che modo commossi dalla bellezza ne ammiriamo lo splendore, o ripugnando al brutto ne proviamo avversione? Eccolo. L'animo porta come impresse nel segreto di sua sostanza le ragioni delle cose ; quivi sono le primitive idee del vero, del bello, dell'onesto, dell' utile: quivi le cause più profonde dei nostri desiderii, le norme universali e spontanee che guidano il giudizio degli incolti, e formano di verità il senno naturale e istintivo dell' uomo.  Se l'immagine di una persona passando nell' animo discorda da quella figura dell'uomo che l'animo porta in sè stampata come un sigillo, subito dispiace, e come brutta genera odio ; se concorda, piace, e come bella si ama. «Per  « la qual cosa, continua Ficino, accade che alcuni scontran“dosi in noi, subito ci piacciono ovvero dispiacciono, benchè « noi non sappiamo la cagione di tale effetto. Perchè l'animo « impedito dal ministerio del corpo, non riguarda le forme « che sono per natura dentro a lui, ma per la naturale e « occulta sconvenienza o convenienza, seguita che la forma « della cosa esteriore, con la immagine sua pulsando la « forma della cosa medesima, che è dipinta nell'animo, dis« suoną ovvero consuona, e da questa occulta offensione, « ovpero allettamento, 'l'animo commosso, la detta cosa odia « ama » (Orazione V, c. 5).  La bellezza è dunque corrispondenza delle cose alle loro idee, e quella eziandio che risplende nel corpo è un certo atlo di vivacità e di grasia (ibidem, capit. 6) che dipende dal loro influsso. Poichè ordine. modo e specie, cioè distanza commisurata di parti , debita grandezza di membri , conveniente qualità di linee e di colori concorrono ad abbellire la figura umana, quando convengono fra loro e nella unità del suo tipo, quando concordano con le ragioni di ciascuna parto e con quella del tutto (ibidem, capitolo 6)  L'amore osservato in noi è dunque rivolto a un oggetto intelligibile; la bellezza che egli ricerca è cosa spirituale ; l'idea, la verità, a cui si riferisce la sua più profonda inclinazione tende a separarlo dal corpo, a innalzarlo sopra gli enti sensibili, a trasportarlo sulle ali della mente fra gli oggetti divini e immutabili. Ma che cosa è adunque allora l'ainore in sè, l'amore come principio di tutti gli amori; è egli dunque un Dio, è egli perfetto e beato, felice, ricco, virtuoso, bastante a se stesso ? Ovyero continuando a rappresentarlo sotto la forma del mito, dobbiamo figurarcelo , secondo  Diotima nel Convito di Platone, come un demone, cioè sotto la specie di un ente imperfetto, di un genio tramezzante il divino e l'umano, bello e brutto, ricco e povero, sapiente e ignorante, felice e infelice ? nato dalla Dea della povertà e dal Dio dell'abbondanza il giorno che i celesti celebravano i natali di Venere? Ficino ammette l' uno e l'altro concetto, ma dà più importanza al primo che al secondo e quest'ordine è conforme allo spirito generale del suo sistema. Mentre Platone nel Convito lasciando l'amore nel punto della sfera del finito che tocca l'infinito, ne fa soltanto un demone che aspira alla perfezione, ma che non giunge a conseguirla, Ficino, unendo il derniurgo del Timeo all'eros del Simposio, ravvisa in lui un demone e un dio, e più spesso il secondo che il primo, anzi egli attribuisce positivamente l'amore all'Essere infinito. Il Dio del Timco platonico, che non ha invidia , mentre vuole il mondo perchè ne ama l'idea; il Dio di Filone e di Cristo sono per lui il vero Dio, il suo Dio è come quello di Dante un amore infinito che spande la bellezza nell' uni  verso.  Ma prima di salire con lui alla regione più alta in cui possa recarsi la filosofia dell'amore, rimaniamo per qualche tempo ancora in terra e rendiamoci conto della sua vera natura nell'uomo.  A malgrado della tendenza mistica che distingue tutta la dottrina di Ficino ed era profondamente radicata nelle sue abitudini e nel suo carattere ; a malgrado dell'indirizzo spirituale e religioso che in tutto il suo Commento al Convito platonico egli si sforza di dare all' amore ; egli è per altro ben costretto di confessare che oltre al desiderio della verità e di quella bellezza che si attiene alla mente, un'altra incli  nazione l'accompagna, un altro istinto e un altro fine ne determina nell' uomo le fasi e lo svolgimento. Cosicchè dopo averlo definito semplicemente desiderio di bellezza, corregge con Platone la sua definizione quando si tratta di applicarla agli uomini, e ammette che è appetito di generare nel subbietto bello , per conservare vita perpetua nelle cose mortali. Questo, dic' egli, è il fine del nostro amore, questo è l'amore degli uomini viventi in terra.  Ne segue che egli pure debba con Socrate e con Platone distinguere i due influssi di Venere celeste e di Venere volgare, dividere fra esse l'attività umana ; le nostre aspirazioni e i nostri bisogni; che debba attribuire all' una la tendenza alla generazione e al godimento materiale, all'altra il desiderio della contemplazione e dei piaceri intellettuali e virtuosi , e che congiungendo questa doppia direzione dell' amore con la triplice forma della vita sensibile, attiva e contemplativa di cui l'uomo è capace, egli ravvisi nell'uva delle due Veneri la causa che ci innalza dalla voluttà al godimento della virtù e della scienza, nell'altra la cagione che ci abbassa dalla scienza e dalla virtù al piacere materiale; in quella la forza che ci fa salire per gli ordini della perfezione, in questa l'impulso che ci fa discendere i gradi della decadenza morale. Ficino svolge con compiacenza il concetto di questa opposizione e insiste lungamente sulla superiorità dell'amore spirituale ; il sentimento cristiano cho lo guida, la qualità del suo carattere, l'indole stessa della sua filosofia, i fini che egli si propone scrivendo dell'amore, gliene ne fanno per così dire una legge. E per fermo nella sua filosofia lo spirito signoreggia talmente che il corpo diventa una sua creazione, che l'anima dimora nella materia come  ospite e prigioniera, finchè ne abbia infranto per così dire i cancelli e sia tornata nella regione sopraceleste fra le anime beate. Immensa è la catena degli spiriti che Ficino, guidato dalla mistica cristiana, stende fra la terra e il cielo, e come ce ne convinceremo fra poco, l'Angelologia non è meno connessa presso di lui con la dialettica dell' amore che con quella dell'intelletto.  Inoltre il sentimento religioso e l'onestà della coscienza lo spinsero a combattere la scostumatezza dei contemporanei, a portare l'amore verso la meta più alta, a sollevarlo dal fango delle passioni epicuree. « Difatto, sogliono i mortali, « dice Ficino nella prefazione al Convito, quelle cose che « generalmente o spesso fanno, dopo lungo uso, farle bene, « e quanto più le frequentano farle meglio. Questo per la « nostra stoltiz.a falla in amore. Tutti continuamente amiamo « in qualche modo, tutti quasi amiamo male, e quanto più « amiamo, tanto peggio amiamo .... e cid avviene perchè « entriamo in questo faticoso viaggio d'amore, senza conoscer« ne il termine e i passi. » (Lettera a Bernardo del Nero).  È dunque nella cognizione di questo termine che si travaglia la sua filosofia. Insegnata da Diotima sacerdotessa di Mantinea a Socrate, trasmessa da Socrate a Platone essa viene significata dal filosofo fiorentino ai suoi concittadini per innalzare la loro mente al vero fine della vita. Ed egli è talmente persuaso della importanza della sua missione che l'insegnamento platonico su questo soggetto è per lui l'effetto d'un decreto della provvidenza, una vera rivelazione dello Spirito divino, un mezzo onde l'amore infinito riduce a sè gli amori erranti dei mortali, e li guida al godimento della bellezza assoluta. E così in questa coine nelle altro  parti della sua filosofia si ritrova quel miscuglio entusiastico di Platonismo e di Cristianesimo indefinito e largo che senza dubbio era frutto dei tempi, ma forse più ancora si atteneva al suo intelletto e a un'indole ondeggiante fra i dogmi alquanto incerti di una erudizione non sempre ben coordinata e precisa. Ma prima di giudicare la dottrina di Ficino sull'amore e di additare la causa dei suoi pregi e dei suoi difetti, facciamo di esporla il più completamente possibile.  Arriviamo con lui al termine della dialettica e prima vediamo che via convien tenere per conseguirlo. È quella medesimá che Platone insegnò nel Convito sotto il nome di Diotima, mostrando come l'animo nostro dai vestigii esteriori della bellezza sparsa nei corpi di una medesima specie, raccolga l'idea di uno bello solo e limitato, poi come delle bellezze distinte e coordinate delle specie corporee formi la bellezza più estesa di un solo genere ; poscia in che guisa passando dall'ordine fisico allo spirituale, dalle bellezze visibili alle invisibili, componga le specie, poi il genere del bello intellettuale e morale sparso nelle virtù, nelle scienze, nelle facoltà e doti tutte dell'essere spirituale, fintantochè accorgendosi che i due ordini partecipano a una medesima idea di perfezione e beltà infinita , sciolta da ogni limitazione, superiore ad ogni genere e specie, la mente si riposi nell'assoluta unità, e quella ami senza modo e misura (Convito, Orazione VI, capit. 18).  Tale è finalmente il termine della salita d'amore, tale è la fonte in cui si appaga la sua sete inestinguibile. « Bi« sogna, dice Ficino, cercarla altrove che nel fiume della ma« teria, e nei rivoli della quantità, figura e colori. O miseri « amanti in che luogo vi volgerete voi ? Chi fu quello che  [ocr errors][ocr errors] « accese l'ardentissima fiamma nei vostri cuori ? Qui è la « grande opera, qui è la fatica. Io ve lo dirò, ma attendete. (Oraz. V, capit. 3).  « La divina potenza superiormente allo universo, agli « angeli, e agli animi da lei creati, clementemente infonde, « siccome a suoi figliuoli, quel suo raggio, nel quale è virtù « feconda a qualunque cosa creare. Questo raggio divino in « questi, como più propinqui a Dio, dipinge l'ordine di « tutto il mondo, molto più espressamente che nella materia « mondana. Per la qnal cosa questa pittura del mondo, la « quale noi veggiamo tutta, negli angeli e negli animi è più « espressa che innanzi agli occhi. In quella è la figura di « qualunque specie, del sole, luna, stelle, degli elementi , « pietre, alberi e animali. Queste pitture si chiamano negli « angeli esemplari e idee, negli animi ragioni e notizie, nella « materia del mondo immagini e forme. Queste pitture son « chiare nel mondo, più chiare nell'animo e chiarissime sono « nell'angelo. Adunque un medesimo volto di Dio riluce in « tre specchi posti per ordine nell'angelo, nell'animo e nel « corpo mondano » (Oraz. IV, capit. 4).  Così Ficino congiunge la sua dottrina degli enti con quella dell'amore, la sua Angelologia con la sua Estetica ; così egli unisce il suo dogmatismo mistico con le belle osservazioni e i profondi concetti che ha ricavati da Platone e dalla scuola d’Alessandria ; così egli varia gli aspetti della filosofia dell'amore, non senza dilettare o abbagliare l'immaginazione e fornire all'animo poetico e religioso un pascolo dilettevole quantunque non sempre con uguale profitto per la so da scienza.  Di tre simboli si serve principalmente Ficino per espri  mere la relazione della bellezza divina colle bellezze create e la sua diffusione nel mondo; il lume, lo specchio e il cerchio. Ora seguendo le traccie di Platone egli ci rappresenta Dio come un sole intelligibile che non diversamente dal sole sensibile produce un lume universale, crea colle forze fecondate dal suo calore l'occhio e la facoltà di vedere, suscita e rende visibili nella materia le forme che l'adornano; ora volgendosi a considerare l'idealità delle cose mondane e a significarne l'origine, ce la rappresenta come un raggio che uscito dalla mente divina accende l'intelletto puro degli angeli, vi produce come in ispecchio gli esemplari degli enti, e di là si ripercuote come in altro specchio nei corpi, per giungere così riflesso all'animo nostro ed unirsi con quello che ci viene direttamente da Dio. Ora finalmente ci figura Dio come un centro posto in mezzo ai quattro cerchi concentrici della mente, dell'anima , della natura e della materia, ce lo dipinge come una forza infinita che da un punto solo raggia a tutti i punti delle circonferenze l'essere e la verità, il bene e la bellezza. Unità assoluta Dio penetra per tutto senza dividersi, proroca e regola il moto senza muoversi, produce il multiplo e il vario senza uscire di sua perfetta semplicità. Con un medesimo lume con una medesima efficacia egli raggia nel cerchio delle menti angeliche le idee o verità , in quello delle anime le ragioni o pensieri; nel cerchio della natura i semi; in quello della materia le forme.  In questi cerchi sono tre mondi che mediante la divina virtù passano dal nulla all'essere, dal caos all'ordine, dall'ordine alla perfezione; i mondi cioè della mente, delle anime e dei corpi. Ciascuno di essi è creato, attratto e perfezionato da Dio, il quale come fattore è principio, come perfezionatore è fine, come potenza attrattiva è mezzo universale degli enti. E il ternario della vita universale, mentre si manifesta nel ritmo cosmico della creazione, attrazione, e perfeziono delle cose, si palesa eziandio nella sostanza dei tre mondi della mente, dell'anima e della materia, e più alto ancora nel triplice attributo di Dio: Bontà, Bellezza e Giustizia. La Bontà crea, la Bellezza attrae, la Giustizia consuma l'opera dell'una e dell'altra. Cosicchè per ultimo tutto procede fontalmente da Dio, tutto è a Dio rapito e in lui tutto ritorna e consiste per atto terminativo o perfetto; tutto viene dall'unità e all'unità si riduce; e la causa principale di questo movimento è la bellezza, l'atto per così dire centrale di questa circolazione della vita è l'amore, amore perfetto e pieno possessore del bello in Dio, amore imperfetto e ricettore meno ampio del suo splendore nel mondo e nell'uomo, nell'angelo, nell'anima e nel corpo.  « Con essa (bellezza) dice Ficino, Dio rapisce a se il mondo « e il mondo è rapito da lui; un certo continuo attraimento è « tra Dio e il mondo; che da Dio comincia e nel mondo « trapassa, e finalmente in Dio termina, e come per un « certo cerchio, d'onde si ripartì, ritorna. Sicchè un cerchio « solo è quel medesimo da Dio nel mondo, e dal mondo in « Dio, e in tre modi si chiama. In quanto ei comincia in « Dio o alletta, Bellezza; in quanto ei passa nel mondo o « quel rapisce, Amore; in quanto, mentre che ei ritorna nello « autore, a lui congiunge l'opera sua, dilettazione. Lo amore « adunque cominciando dalla bellezza, termina in dilettazione».  Egli è a questa dilettazione o beatitudine che Ficino ci chiama, facendosi interprete della religione che suol chiamarsi  naturale, del Cristianesimo e del Platonismo; egli ce la promette nella vita sopramondana; in quell' Iperuranio che Platone da sublime poeta dipinge nel Fedro, in quel Cielo che il genio di Dante sparge di luce e letizia crescente di sfera in sfera fino alla bellezza sfolgorante dell'Empireo e alla maestà del trono divino. Nella sua immaginazione, riscaldata dal misticismo, i due concetti si fondono, i due cieli si unificano, le due religioni si mescolano in una essenza comune, e la intuizione poetica guida e signoreggia la mente del filosofo. Il linguaggio di Dante e di Platone viene successivamente e promiscuamente sulle sue labbra; poichè ora egli vede l'amor divino menar gli animi alla mensa dei celesti abbondante di ambrosia e di nettare, ora contempla l'ordine in cui il medesimo amore dispone per così dire i loro scanni, e la distribuzione con cui li rende quieti e beati. Ficino ammira la perenne effusione e letizia di un affetto che sempre si rinnova e si bea nella sua fonte eterna; congiungendo la terra al cielo, la vita mondana alla celeste, egli ravvisa nell'amore il vincolo dell'una e dell'altra, una medesima forza che si svolge e si perfeziona e quasi un medesimo dramma che s'inizia nella prigione del corpo e si compie in una esistenza pienamente libera e spirituale. Imperocchè i gradi di quelli che seggono nel convito celeste, dice Ficino, seguitano i gradi degli amanti; quelli che più eccellentemente Dio amarono, di più eccellenti vivande quivi si pascono. Ciascuno lo göde sotto un aspetto, e cioè sotto quel medesimo che più amd e imitd sulla terra; in lui la giustizia, la fortezza, la temperanza contempla il beato e fruisce secondo la virtù che lo distinse, secondo il mezzo onde il suo amore si sublimo, e l'idea onde la sua mente fu più inva  ghita (Orazione IV, c. 6). Ma qualunque sia il principio che informa la beatitudine di ciascun'anima, esso è sempre un aspetto di Dio, e per così dire uno splendore del suo volto; cosicchè la gerarchia delle idee divine costituisce i gradi della beatitudine e la medesimezza della divina natura ne forma l'unità.  Ecco ora spiegato l'enigma dell'amore secondo Marsilio Ficino; nell'ultima parte di questa dottrina voi ravvisate un predominio del sentimento religioso e dell'intuizione poetica sulla ragione filosofica, un'abitudine di dogmatizzare che si sostituisce all'atto schietto dell'osservare e del ragionare, o nondimeno una sintesi di concetti e di rappresentazioni che formano un tutt'insieme elevato e degno della nostra ponderata considerazione; sopratutto per le sue attinenze coi fini che Marsilio si proponeva, colla causa della religione allora cosi decaduta nei costumi e nelle credenze, e alla quale ogli si consacrava; colla poesia pazionale che mercè do'suoi commenti si ricongiungera all'Estetica di Platone; finalmente coll'arte che nella patria di Giotto e del Beato Angelico conseguira, mediante i suoi lavori, una coscienza più piena della propria idealità, e una spiegazione più compiuta delle sue inspirazioni.  Grau differenza certo è fra Platone c colui che volle essere suo schietto discepolo, ma non vi riuscì, nè poteva impedito dal suo proposito di conciliare la dottrina del filosofo Atoniese col Neoplatonismo degli Alessandrini e l'uno e l'altro col Cristianesimo. Platone avera bensì additato all'anima umana la bellezza incrcata e perfetta como termino supremo della sua contemplazione; aveva egli detto veramente che il corpo è una prigione per essa, e che la sua vita comincia colla morte corporeil ; aveva insegnato como un sublime do  [ocr errors] vere la fuga dalle cose sensibili alle intelligibili, dai fenomeni alle idee, e qualche altro pronunciato si troverebbe ancora nelle sue opere che divenne pei posteri germe prolifico di dottrine mistiche ed esclusive. Ma egli aveva pure fatto dell'amore un demone, e come un mediatore fra l'uomo e Dio, una sintesi dei contrarii, un misto di perfezione e d'imperfezione; per cui innalzandolo al cielo non lo separava dalla terra, rendendogli le ali non lo dividera dalle passioni e dagli istinti che nei suoi miti stupendi sono rappresentati dai cavalli del cocchio dell'anima e si connettono con le necessità, i fini e le vicende della vita terrena. Egli definisce 'propriamente l'amore il desiderio di generare nella bellezza, e dividendo questa generazione in materiale e spirituale, egli vede soggiacere all'impero e al connubio fecondo dell'amore e del bello la vita filosofica, religiosa, morale artistica e fisica dell'umanità ; per lui le opere belle e buone provengono tutte dall'idea e dall'amore, e la unione e fecondità di entrambi si scorgono nella vita dei grandi poeti, dei fondatori della religione, dei legislatori più sapienti, dei filosofi più sublimi, come nelle leggi secrete che astringono la vita del mondo al mantenimento dell'ordine universale e nei moti istintivi che portano gli animali all'accoppiamento e alla perpetuazione della specie.  Così è, Platone, a malgrado della tendenza profondamente idealistica della sua filosofia, non separa l'amore dalla realtà, e anzi talvolta lo lascia cosiffattamente errare fra gli scogli dei costumi e della società greca, che vi rompe spesso e perde le penne leggiere che debbono volgerlo all' alto e portarlo dalla terra al cielo.  Nella dottrina platonica il carattere religioso dell'amore  si fondava sul razionale, rimaneva dialettico e non si tramutava in un processo mistico. Sotto la guida dell'intelletto saliva dall'umano al divino per ricongiunger questo a quello, benchè i due termini non vi fossero uniti in quella intimità profonda che la trascendenza delle idee platoniche non poteva ammettere. La separazione originaria dell'intelligibile dal sensibile vi apriva bensì un adito al misticismo, come un mezzo di supplire alla insufficienza speculativa della metessi o partecipazione, ma non l'introduceva se non accessoriamente col mito e la immaginazione, chiamati a simboleggiare i misteri dell'oltretomba e a rappresentare artisticamente concetti scientifici sulle attinenze dell'anima col corpo e sulla produzione del mondo. Ma la dialettica ontologica di Ficino foggiata su quella di Proclo non poteva mantenersi in questi confini.  Presso di lui l'amore sembra non avere altr'ufficio sulla terra che di indirizzarci al cielo, i suoi ministerii antropologici, sociali, artistici, scientifici non valere che a rispetto della sua meta suprema. Era questi mezzi Ficino ne distingue principalmente quattro, la poesia, la religione, la divinazione o dono profetico e l'amor divino, e, nel suo modo di vedere, l'opera del sentimento predomina in essi talmente sulla ragione che dilatando il concetto attribuito dal Socrate platonico nel Fedro a Stesicoro e applicato nello Jone specialmente alla facoltà poetica, egli chiama furori gli affetti dai quali dipendono e misura i loro pregi dall'impulso entusiastico col quale concorrono ad unificar l'animo, toglierlo all'agitazione e al moto, accostarlo all'immobilità dell'angelo, e finalmente rapirlo in estasi sopra la moltitudine delle cose mondane fino all'essenza e unità divina (').  M) A conferma del carattere mistico del Commento di f'icino si aggiunga che nell'orazione quarta detta dal Landino il grazioso mito Vol. XXIX. Disp. 3.In Platone l'amore collegandosi colle simpatie naturali e colle tendenze ideali nobilitava gli istinti, stendeva un velo di bontà morale sulla passione, rendeva gli amanti intenti al reciproco, perfezionamento, desiderosi della vicendevole felicità, ammiratori di una comune bellezza; di guisa che in forza della efficacia ideale, dell' amore, un raggio di poesia e di virtù si stendeva sulle sue condizioni reali, ne purificava le funzioni e i fini, ne connetteva i' risultamenti col bene dell'individuo e della società.  Questo aspetto stupendo dell'affetto umano in cui risplende il bene pratico e civile, che si connette con l'eroismo e la gloria, con le virtù operative e feconde, o è stato trascurato o almeno non ha ricevuto il necessario srolgimento nella dottrina di Marsilio. Egli ci ammonisce per vero che dobbiamo, amar Dio in tutte le cose, e tutte le cose in Dio, e che per gịungere a questa purificazione dell'amore ci è mestieri di contemplare la pura essenza delle cose nella luce dei loro tipi ideali, che sono il raggio immediato della Verità e Bontà divina. Là noi troveremo il vero uomo , là vedremo la natura e il fine degli enti, il vero oggetto di tutti i nostri ufficii. Ma in che modo questi bei precetti possono essi applicarsi alla vita ? Ficino non ce lo dice; Ficino non discende da quest'altezza. Mentre Platone segue l'amore nelle sue fatiche e nelle sue ansie, mentre abbracciando con ardore il doppio ordine della  degli Androgini esposto da Aristofane nel Convito platonico è nel Commentu di Ficino trasportato dalla integrità e divisione dell'uomo alla integrità o divisione delle relazioni della conoscenza o attività psichica col lume sopranaturale e naturale. Separata. da Dio e aflidata al solo lame ingenito l'anima è come ridotta alla metà di se stessa, frutto della sua superbia. Essa non ritrova l'altra sua metà e non si reintegra che ritrovando il lume sopranaturale.  vita attiva e contemplativa lo conduce di grado in grado ad ammirare le bellezze del mondo ideale per farne penetrare la luce nelle operazioni e nelle forme del mondo reale, Ficino si contenta d'allontanarlo il più possibile dal corpo e dai suoi piaceri, di persuaderlo che la vista, l'udito e l'intelletto sono i soli mezzi di cui possa giovarsi al suo vero scopo. Ottimi intendimenti, eccellenti consigli, e certamente efficaci sugli animi ben naturati, quando vadano congiunti a due importanti condizioni, e cioè 1° di non dimezzare la natura umana dimenticandone gli imperiosi bisogni, gl' istinti e i fini provvidenziali, e 2o d'aprire all'umana attività una carriera in cui le sue passioni abbiano sfogo regolandosi colle norme della scienza della virtù. No, le idee non son fatte soltanto per essere vagheggiate da solitarii ed egoisti contemplativi, ma eziandio per essere recate all'atto, e sposate per così dire al mondo con fecondo connubio. L'idealismo non può essere la guida della umanità senza l'appoggio del realismo; l'uno e l'altro presi isolatamente sono esclusivi; la loro unione soltanto è vera e feconda. Invano Ficino rapito dalla idea della bellezza assoluta e vedendola scaturire dall'unità divina, mi traccia la via d'amare e mi consiglia di cercarne l'oggetto nell'unità degli enti spirituali, salendo dal corpo (forma) all'anima, dall'anima all'angelo, dall'angelo a Dio; in questa salita in cui la scienza gli rimprovera di realizzare l'astratto, separando la mente dall'anima per crear l'angelo, e di trasportare le tradizioni religiose nelle dottrine filosofiche, il cuore umano separato dalla realtà gli domanda imperiosamente di far ritorno alle sue vere condizioni; egli vuol essere innalzato, ma al patto di riportar tosto dalle sue peregrinazioni celesti, e, per cosi dire dal convito dei beati,  [ocr errors][ocr errors][merged small] quel nettare e quell' ambrosia che spargono di giustizia e bellezza le relazioni della vita, che pascono lo spirito di verità ideale per renderlo efficace operatore di beni e di virtù reali. Invano Ficino conforta i suoi contemporanei a contentarsi, nell'amore, degli atti della vita contemplativa; inutilmente egli deplora i corrotti costumi di una società scettica e dimentica del dovere. La baldanza trionfante dei sensi e della materia resiste alla sua voce come a quella del Savonarola. Lorenzo il magnifico non si distoglie dal suo epicureismo, e la gioventù fiorentina concorre avida e frequente a crescere il numero dei suoi imitatori. L'ascetismo del frate riformatore e il misticismo del sacerdote filosofo sono rimedii troppo superiori alle abitudini della società contemporanea. Essi sarebbero insufficienti a ricondurre qualunque altra società a quelle virtù che rampollando dalle nostre relazioni colla famiglia, colla patria e coll'umanità, innalzano l'amore pei gradi di una gerarchia disposta dalla natura fra l'individuo e l'autore del mondo morale. In questo ordine non bene apprezzato dall'idealismo stesso di Platone, consiste la vera salita d'amore; in queste sfere egli pud essere ad un tempo divino e umano, religioso e civile; egli pud diventar sublime senza cessare di essere pratico, prender per guida l'idea senza perdere di vista la realtà; in esse può spiegarsi la sua forza dal modesto affetto che nudrisce e veglia la vita infante delle mortali generazioni fino all'eroismo che rapito dalla bellezza della giustizia sacra e immola se stesso al trionfo della libertà e del diritto.  A questo segno aveva mestieri di essere condotta Firenze, a questa meta avrebbe dovuto rivolgersi l'Italia sulla fine del 400, per rifare le proprie convinzioni, per correggere  i  suoi costumi, per dare alla forza materiale un fondamento incrollabile nella forza morale.  In questo modo essa avrebbe dovuto provvedere per tempo a se medesima, e opporre l'usbergo della virtù e del coraggio allo straniero che stava per immergerle il ferro nel seno. Egli venne attratto dalla sua bellezza; la trovò mal difesa, la vinse e se ne insignor). Videro i sapienti di quel tempo lo strazio ch'egli ne fece schernendo la sua debole resistenza, e Ficino era fra essi.  Lagrimò il pio sacerdote su tanto male, ricordd agli uomini i loro trascorsi e i segni del cielo forieri di punizione; gl'invitd a rassegnarsi e a pentirsi. Un altro conforto egli porse a Firenze afflitta, interponendosi fra essa e Carlo VIII, e con orazione più informata a carità che a fermezza, si sforzo di volgere l'animo di lui a miti e clementi consigli. Cristiane intenzioni, pietosi ufficii! Ma altri aiuti, altri difensori richiedevano i tempi, e l'energia di Capponi mostrd di che tempra sono gli animi da cui dipende la salvezza dei popoli!  LUIGI FERRI  APPENDICE  Il libro di Ficino sopra l'Amore consta di Orazioni che espongono e commentano con indirizzo neoplatonico, quelle che sono contenute nel Convito di Platone. Ficino stesso narra nel capitolo primo l'origine e lo scopo del suo lavoro.  Platone spird (secondo la tradizione) in un convito nell'ottantunesimo anno di sua età il 7 di ottobre, giorno anniversario della sua nascita, cosicchè gli antichi platonici, ogni . anno, celebravano cotesto giorno in un convito.  Abbandonato per mille e dugento anni da Porfirio in poi il rito solenne, fu restaurato con regale apparato per ordine di Lorenzo il Magnifico nella villa di Caregri, sotto la direzione di Francesco Bandini che ne fu costituito Architriclino.  I convitati furono 9, pari cioè al numero delle muse. Sette figuransi le orazioni dette e corrispondono a quelle che sono contenute nel Convito platonico. Si trassero a sorte le parti da sostenersi e la sorto presaga dell'intenzione del vero commentatore le distribui precisamente nel modo più conveniente alle qualità dei personaggi del nuovo Simposio ; cosicchè la orazione di Fedro, bello e giovane retore, toccò a Giovanni Cavalcanti, che per virtù e nobiltà di animo come per bellezza esteriore fu chiamato l'eroe del Convito; la seconda detta da Pausania ad Antonio degli Agli vescovo di Fiesole, la terza di Erissimaco medico a Ficino medico; la quarta di Aristofane a Cristoforo Landino poeta; la quinta di Agatone a Carlo Marsuppini, la sesta di Socrate a Tommaso Benci, la settima di Alcibiade a Cristoforo Marsuppini. Ma il vescovo e il medico debbono partire per la cura delle anime e dei corpi e commettono le loro disputazioni a Giovanni Cavalcanti. Ficino non poteva essere più cortese coi suoi discepoli e amici platonici. In questo banchetto reale la cui fatica ideale e commemorativa è tutta sua egli si è ecclissato. Anche il Nuti e il Bandini che insieme cogli oratori compiono il numero sacro delle nove muse non sono da lui dimenticati. Al Bandini ordinatore del banchetto non aveva bisogno di attribuire altra parte che quella assegnatagli da Lorenzo; dal Nuti suppose fatta la lettura del Simposio platonico premessa ai commentarii. Secondo il Bandini (Specimen litteraturae Florentinae tomo II, p. 66) sarebbe il Cavalcanti che avrebbe persuaso Ficino a scrivere il libro dell'Amore per invogliare la gioventù della celeste bellezza.  La versione italiana del Commento di Ficino al Convito essendo divenuta ziuttosto rara, e desiderando far conoscere con qualche particolarità le speculazioni del filosofo fiorentino sull'Amore, stimo opportuno di aggiungere alcuni estratti alle citazioni contenute nel testo.  1.  Definizione della Bellezza e dell' Amore.  Bellezza è una certa grazia, la quale massimamente e il più delle volte nasce dalla corrispondenza di più cose; la quale corrispondenza è di tre ragioni. Il perchè la grazia che è negli animi è per la corrispondenza di più virtù. Quella che è nei corpi, nasce per la concordia di più colori e linee. È ancora grazia grandissima ne' suoni, per la consonanza di più voçi. Adunque di tre ragioni è la bellezza; cioè degli animi, de' corpi e delle voci. Quella dell'animo con la mente sola si conosce : quella de' corpi con gli occhi ; quella delle voci non con altro che con gli oreochi si comprende. Considerato adunque che la mente e il vedere e lo udire son quelle cose, con le quali sole noi possiamo fruiro essa bellezza ; e lo amore di fruire la bellezza desiderio sia ; bo. Amore sempre della mente, occhi è orecchi é contento. Lo appetito che gli altri sensi seguita, non amore, ma piuttosto libidine o rabbia si chiama.  II.  Spiritualità della Bellezza e sua relazione con la materia  e con l'arte. — Le proporzioni e l'espressione.  Finalmente che cosa è la bellezza del corpo ? Certamente è un certo atto, vivacità e grazia , che risplende nel corpo per lo influsso della sua idea. Questo splendore con discende nella materia, s' ella non è prima attissimamente preparata. E la preparazione del corpo vivente in tre cose s'adempie, ordine, modo e specie. L'ordine significa la distanza delle parti , il modo significa la quantità, la specie significa: lincamenti e colori. Perchè in prima bisogna che ciascuni membri del corpo abbino il sito naturale, e questo è che li orecchi, li occhi, il naso e. gli altri membri siano ne' luoghi loro, e che gli orecchi" 'amendoi egualmente sieno discosti dagli occhi. E questa parità di distanza che s'appartiene all'ordine, ancora non basta, se non vi s'aggiunge il modo delle parti: il quale attribuisce a qualunque membro la grandezza debita, attendendo alla proporzione di tutto il corpo. E questo è che tre nasi posti per lungo adempino la lunghezza d'un volto ; e ancora li due mezzi cerchi delli orecchi insieme congiunti, faccino il cerchio della bocca aperta: e questo medesimo faccino le ciglia se 1222, me si congiungono. La lunghezza del naso ragguagli la lunghezza del labbro e similmente dello orecchio : e i due tondi degli occhi , ragguaglino l' apertura della booca, otto capi faccino la lunghezza di tutto il corpo: c similmente le braccia distese per lato e le gambe distese faccino l' altozza del corpo. Oltre a questo stimiamo essere necessaria la spezie; acciocchè li artificiosi tratti delle linee e le crespe, e lo splendore degli occhi adornino l'ordine e modo delle parti. Queste tre cose benchè nella materia siano, nientedimeno parte alcuna del corpo essere non possono. L'ordine de'membri, non è membro alcuno : perchè lo ordine è in tatti. i membri, o nessun membro in tutti i membri si ritrova. Aggiugnesi che lo ordine non è altro che conveniente distanza delle parti; e la distanza ė o nulla , o vacuo ,  o un tratto di lince. Ma chi dirà le linee essere corpo ? Conciossinchè manchino di latitudine, e di profondità , necessarie al corpo. Oltre a questo il modo non è quantità, ma è termine di quantità. I termini sono superficie, linee, punti : le quali cose non avendo profondità non si debbono corpi chiamare. Collochiamo ancora la spezio non nella materia, ma nella gioconda concordia di lumi, ombre e linee. Per questa ragione si mostra essere la Bellezza dalla materia corporale tanto discosto, che non si comunica a essa materia, se non è disposta con quelle tre preparazioni incorporali, le quali abbiamo narrate (Orazione V, cap. 6).  che sono III.  L'amore nella creazione e nel mondo.  Tre mondi pongono (i Platonici): tre ancora saranno i caos. Prima che tutte le cose è Iddio autore di tutto, il quale noi esso Bene chiamiamo. Iddio prima crea la mente angelica : dipoi l'anima del mondo come vuole Platone: ultimamente il corpo dell' Universo. Esso sonimo Iddio non si chiama mondo, perchè il mondo significa ornamento di molte cose composto : ed cgli al tutto semplice intendere si debbe. M:: esso Iddio affermiamo essere di tutti i mondi principio e fine. La mente angelica è il primo mondo fatto da Dio; il secondo è l'anima dell'universo, il terzo è tutto questo edifizio che noi veggiamo. Certamente in questi tre mondi, ancora tre caos si considerano. In principio Iddio creò la sostanza della mente angelica, la quale ancora noi essenza nominiamo. Questa nel primo momento della sua creazione è senza forme e tenebrosa: ma perchè ella è nata da Dio, per un certo appetito innato , a Dio suo principio si rivolge: voltandosi a Dio, dal suo raggio è illustrata, e, per lo splendor di quel raggio, s'accende l'appetito suo. Acceso tatto a Dio si accosta ; 'accostandosi piglia le forme; imperocchè Iddio che tutto può, nella mente che a lui si accosta, scolpisce la natura di tutte le cose, che si creano. In quella adunque spiritalmente si dipingono tutte le cose che in questo mondo sono. Quivi le spere de' cieli, e degli elementi, quivi le stelle, quivi la natura de' vapori, le forme delle pietre , de' metalli, delle piante, e degli animali si generano. Queste spezie di tutte le cose, da divino aiuto, in quella superna mente concepute, essere le idee non dubitiamo ; e quella forma e idea de' cieli, spesse volte Iddio cielo chiamiamo; e la forma del primo pianeta Saturno, e del secondo Giove, e similmente si procede ne' pianeti che seguitano. Ancora quella idea di questo elemento del fuoco si chiama Iddio Vulcano, quella dell'aria Junone, e dell'acqua Nettuno, e della terra Plutone ; per la qual cosa, tutti gli dei assegnati a certe parti del mondo inferiore, sono le idee di queste parti in quella superna mente adunate. Ma innanzi che la mente angelica da Dio perfettamente ricevesse le idee, a lui si accostò; e prima che a lui si accostasse, era già di accostarsi acceso lo appetito suo ; e prima che il suo appetito si accendesse, aveva il divino raggio ricevuto : e prima che di tale splendore fosse capace , lo appetito suo naturale a Dio suo principio già si era rivolto  E il suo primo voltamento a Dio è il nascimento d'amore; la infusione del raggio, il nutrimento d'amore, e lo incendio che ne seguita, crescimento d'amore si chiama. Lo accostarsi a Dio è lo impeto d'amore ;  [ocr errors] la sua formazione è formazione d'amore, e lo adunamento di tutte le forme e idee i latini chiamano Mondo, e i greci Cosmo, che ornamento significa. La grazia di questo mondo e di questo ornamento è la bellezza alla quale subitamente che quello amore fu nato, tirò e condusse la mente angelica , la quale essendo brutta (caos) per suo mezzo bella divenne. Però tale è la condizione di amore che egli rapisce le cose alla bellezza, e le brutte alle belle aggiugne. (Orazione I, capo 2).  IV.  Amore legame universale.  Secondo che mostrammo, questo desiderio di amplificare la propria perfezione, che in tutti è infuso, spiega la nascosta e implicata fecondità di ciascuno, mentre che costringe germinare fuori i semi : e le forze di ciascheduno trae fuori : concepe i parti , e quasi con chiave apre i concetti e produce in luce. Per la qual cosii, tutte le parti del mondo, perchè sono opera di uno artefice, e membri di una medesima macchina, tri se in essere e vivere simili, per una scambievole caritii insieme si legano. In modo che meritamente si può dire lo Amore nodo perpetuo, e legaine del mondo, e delle parti sue immobile sostegno, e della universa macchina primo fondameuto. (Orazione III, capo 3).

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